Una cagnetta, di nome Macchia, ha trascorso cinque giorni e cinque notti in cimitero a Bagnoli (NA), accovacciata davanti alla tomba dove c’è la foto della sua anziana padrona deceduta da poco tempo. Quando il figlio della donna defunta è andato al camposanto a riprenderla non voleva tornarsene a casa, nonostante fosse sfinita dalla fame e dalla sete.
Paradossalmente, secondo quasi tutti i regolamenti comunali di polizia mortuaria, per ovvie ragioni di pulizia e decoro (la norma tradisce pur sempre un vago saporte paleottocentesco… roba degna de “I Sepolcri” di foscoliana memoria) è interdetto agli animali, ancorchè domestici, l’accesso al perimetro consacrato del camposanto.
Oddio, la norma, agli albori del XIX Secolo, aveva una funzione ben precisa, ossia impedire a bestie selvatiche, predatori, cani randagi, fiere l’accesso alle sepolture (all’epoca tutte nel terreno, quindi, a sistema di inumazione) per procacciarsi cibo.
La profondità minima delle fosse è presidio igienico-sanitario fondamentale per noi moderni, ma nel Medioevo perfettamente sconosciuto. Essa nasce proprio con l’intento di evitare profane incursioni da parte di animali carnivori e predatori, siccome essi potrebbero esser attratti dal lezzo dolciastro della carne guasta, rilasciato dai cadaveri umani, soprattutto quando quest’ultimi, sino a tutto il ‘700 europeo, venivano seppelliti a pochi centimetri sotto terra, rispetto al piano di campagna, senza bara, e nelle orrende fosse comuni, dove erano affastellati in maniera promiscua e caotica, ricoperti da uno strato di calce, per asciugare miasmi postmortali e percolazioni cadaveriche, prima che i necrofori procedessero alla copertura dello scavo.
questo è vero amore….. se solo l’uomo avesse un minimo di sentimento che hanno gli animali verso coloro che li amano penso che il mondo sarebbe 1000 volte meglio….impariamo .ragazzi …..