Cadaveri portatori di radioattività: procedure tecniche e competenze autorizzatorie

Come nell’evenienza delle morti dovute a malattie infettive- diffusive, di cui all’apposito elenco pubblicato dal Ministro della sanità (D.M. 15 Dicembre 1990), anche il  decesso di persone cui siano stati somministrati nuclidi radioattivi richiede l’adozione di specifiche misure cautelari, sulla base di disposizioni speciali, spesso atti di formale recepimento di direttive dell’Unione Europea, valide ex se per tutti i Paesi UE.
Dunque, qui almeno ci soccorre il diritto comunitario, quando prevale su quello interno, dalla consueta congerie e babele delle leggi regionali, spesso scoordinate tra loro.
Incidentalmente, giova ricordare come nella regione Lombardia, con il vecchio reg. reg. (Lombardia) 6 febbraio 2007, n. 1, di modifica al reg. reg. (Lombardia) 9 novembre 2004, n. 6, ad oggi ambedue definitivamente abrogati, si considerassero unicamente i cadaveri portatori di radioattività a seguito di trattamenti sanitari, quando, nel testo originario il riferimento sarebbe stato, indistintamente, ai cadaveri portatori di radioattività).
Merita inoltre rammentare che il “certificato di morte”, già imposto dall’art. 100 del D.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185, richiamato dal regolamento nazionale di polizia mortuaria, non è più presente nella normazione successiva, data l’abrogazione esplicita di questa fonte con il d. lgs. 17 marzo 1995, n. 230 e successive modifiche.

Il prefato decreto legislativo è stato ampiamente riformato dal il d. lgs. 26 maggio 2000, n. 241, successivamente ulteriormente novellato dal d. lgs. 9 maggio 2001, n. 257, così come vanno ricordati il d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 52, il d.lgs. 20 febbraio 2009, n. 23, il d.lgs. 15 febbraio 2010, n. 31, nella sua versione attuale così come introdotta  dall’art., comma 1, d.lgs. 23 marzo 2011, n. 41.
Questa sequela di decreti delegati (a cura di Sereno Scolaro, nel suo volume: “La Polizia Mortuaria”, anno 2017, ed. Maggioli) non deve ritenersi esaustiva.
Quando risulti tale condizione (invero piuttosto rarefatta, ma comunque significativa) del cadavere, l’A.USL dispone che il trasporto ed il trattamento preliminare (ossia il confezionamento del feretro)  per la destinazione ultima del cadavere siano effettuati adottando le necessarie misure di protezione al fine di evitare ogni possibile contaminazione ambientale.
Queste precauzioni devono riguardare sia le modalità di trasporto, sia la manipolazione o la preparazione del corpo (ad esempio: la vestizione, il trattamento antiputrefattivo, se necessario, le estreme onoranze e quanti altri momenti comportino l’esposizione della salma a cassa aperta o il diretto contatto con essa), ma si estendono anche alla modalità di “sepoltura” (da intendersi in senso lato, cremazione compresa).

Simili restrizioni scandite da imprescindibili ragioni di interesse pubblico, potrebbero influenzare la pratica funebre scelta dai familiari, quando, ad esempio, ciò si esplichi nel divieto espresso all’inumazione, oppure alla cremazione, per i possibili rischi di emissione in atmosfera di nuclidi radioattivi o alla contaminazione delle pareti del forno e ai rischi per i lavoratori interessati.
Anche in questa frangente estremo si tratta di contemperare le esigenze della salute pubblica, in questo caso la prevenzione di qualsiasi forma e livello di contaminazione ambientale e di tutela degli ambienti di lavoro e dei lavoratori, con quelle del rispetto del lutto dei familiari, anche se possono pur sempre essere adottati atti autoritativi equilibrati e soprattutto quando sia posta in essere un’adeguata informazione che coinvolga i familiari stessi.
Spesso, infatti, il precetto legislativo, specie se di proibizione, è percepito e vissuto come “vincolo” ostativo, in qualche modo autoritario, mentre se ne trascura la sua profonda motivazione.
Altrettanto sovente si glissa sull’aspetto, invece fondamentale, di una corretta comunicazione con i dolenti interessati nell’organizzazione delle esequie, generando la sensazione di atteggiamenti formalistici e privi di reale fondamento medico-scientifico, per altro, invece, del tutto presente.

Diverse fonti regionali, hanno affrontato il problema nel dettaglio, come al solito da posizioni e punti di vista differenti.
La prima a disciplinare la questione con norme ad hoc ed innovative fu la Lombardia, oltre 20 anni fa, con la sua legislazione locale in tema di polizia mortuaria.
Ad esempio: anche se il diritto funerario di seguito richiamato non è più in vigore, una riflessione storica si impone, per una materia, invece, ancora scevra di una sua codificazione univoca.
Come non di rado accadeva 20 anni fa, durante la prima ondata di LL.RR. sulla polizia mortuaria, La Regione prototipo fu ancora una volta la Lombardia.
L’art. 40, comma 5 del precedente reg. reg. (Lombardia) 9 novembre 2004, n. 6 e successive modifiche, difatti, avrebbe previsto come nel caso di cadaveri portatori di radioattività l’inumazione, oppure la tumulazione dovessero essere precedute dalla misurazione dell’emissione radiante del feretro (del feretro, non del cadavere), la quale non avrebbe dovuto esser superiore al limite massimo previsto in materia di radioprotezione, senza fornire, apparentemente (e in quella sede) per altro indicazioni operative qualora quest’ultimo avesse dovuto riuscire più elevato.

La situazione specifica, infatti, era stata affrontata al precedente art. 11, commi 3 e 3-bis reg. reg. (Lombardia) 9 novembre 2004, n. 6 e successive modifiche con cui la fattispecie fu, dopo le modifiche apportatevi dall’art. 1 reg. reg. (Lombardia) 6 febbraio 2007, n. 1, delimitata ai soli cadaveri portatori di radioattività a seguito di trattamenti sanitari, con ciò escludendosi quelli che così fossero. ma per altre cause, per lo più ignote, quando di predispone il funerale e più alto è il pericolo di involontarie contaminazioni.
Interessante la parte più tecnica: si dispose, in effetti, che, nel caso, la struttura sanitaria, la quale solitamente provvede alla somministrazione delle sostanze radioattive, fornisse all’A.USL, intuitivamente di decesso, idonea documentazione contenente le informazioni sulla tipologia, quantità e stato fisico delle sostanze radioattive utilizzate e sulla valutazione della dose al gruppo critico della popolazione ed ai lavoratori necrofori o addetti ai servizi cimiteriali attestante il rispetto dei limiti di dose di cui al d.lgs. 17 marzo 1995, n. 230 (Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti).

Adesso si ricorda, incidentalmente, vista la continua produzione e, quindi, evoluzione normativa, come il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 230 sia stato modificato dal d.lgs. 26 maggio 2000, n. 187, dal d.lgs. 26 maggio 2000, n. 241, quindi ulteriormente dal d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, dal d.lgs. 9 maggio 2001, n. 257, dalla l. 1° marzo 2002, n. 39, dal d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 72, dal d.lgs. 20 febbraio 2009, n. 23, dal d.lgs. 10 febbraio 2011, n. 31, dal d.lgs. 23 marzo 2011, n. 41, nonché dal d.lgs. 19 ottobre 2011, n. 185).
In mancanza di una tale attestazione (come potrebbe aversi nell’ipotesi che la somministrazione delle sostanze radioattive in trattamenti sanitari sia avvenuta al di fuori della regione), l’ASL, avvalendosi del supporto strumentale dell’ARPA, procede a verificare direttamente il rispetto dei limiti di dose al gruppo critico della popolazione ed ai lavoratori: operatori funebri o addetti al servizio cimiteriale.
Anche se questo scambio d’informazioni, teoricamente, potrebbe presentare criticità pure sotto il profilo della gestione di dati personali sensibili, occorre considerare come la limitazione alle sole situazioni nelle quali il cadavere sia portatore di radioattività a seguito di interventi sanitari, esponga, la salute pubblica a più di qualche rischio, forse mettendola a repentaglio, più del dovuto.
Verrebbe spontaneo constatare come, quanto meno per le classiche tumulazioni stagne, l’art. 30, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 contempli ancora, in qualche modo come un “residuo storico”, la possibilità fattiva che la cassa metallica possa essere costituita, oltre dalla più comune e largamente maggioritaria lastra di zinco, anche da piombo, pur nella sua improbabile reperibilità, almeno per queste funzioni di contenimento rafforzato.

Interessante un’ultima analisi.
L’art. 17, comma 3 reg. reg. (Piemonte) d.p.g.r. n. 7/R dell’8 agosto 2012 e successive modifiche contiene norme ad hoc.
Nel frangente  di cadaveri portatori di radioattività l’inumazione, oppure la tumulazione, dovranno essere precedute dalla misurazione dell’emissione radiante che non deve oltrepassare i limiti previsti.
Si è in presenza di una previsione, oltretutto di rango secondario, che solleva alcune perplessità (e non solo per l’estraneità a competenze regionali), nel senso che non fornisce indicazioni nell’eventualità in cui vi sia un superamento del limite nelle emissioni radianti, situazione nella quale neppure potrebbe sostenersi che non avvenga l’inumazione o, se richiesta, la tumulazione!
Il cadavere, dovrebbe, difatti, comunque esser sepolto, nelle forme ammesse dalla Legge.
In via generale, si dovrebbe considerare come le norme in proposito, attenendo alla materia specifica di cui all’art. 117, comma 2, lett. s) Cost., non siano proprio di spettanza regionale, dovuta alla potestà legislativa concorrente, qui esercitata del tutto a sproposito ed in modo velleitario, quasi volontaristico.

Written by:

Carlo Ballotta

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