Avvenire sulla situazione cimiteriale della grandi città italiane

Riprendiamo un articolo sintetico ed incisivo di Avvenire, che fa il punto sulla situazione cimiteriale della grandi città italiane.
Di seguito lo si riporta integralmente:

Cosa non funziona. Bare accatastate e tombe divelte. Non c’è pace neppure al cimitero

di Fulvio Fulvi sabato 14 maggio 2022

Viaggio nelle grandi città, tra disservizi e ritardi. I problemi sono soprattutto nel Mezzogiorno. Legge vecchia, allarmi inascoltati e degrado: ecco perché gli operatori chiedono un piano nazionale
Bare accatastate nelle camere mortuarie e nei depositi, tombe divelte e lapidi spezzate, cremazioni sospese perché i forni sono rotti o ingolfati. Quella dei cimiteri è un’emergenza che si trascina da anni, soprattutto in metropoli come Roma, Napoli, Palermo ma che, dopo la grave crisi dovuta alle vittime della pandemia da Covid-19, rischia di allargarsi anche ai Comuni più piccoli. Sotto accusa, un po’ ovunque, è il sistema di gestione dei servizi cimiteriali alle prese spesso con la mancanza di spazi per costruire nuove strutture o dei fondi per l’ammodernamento di quelle esistenti. E nel conto vanno messi anche disservizi e incurie, oltre all’assenza di una legge nazionale che regoli la materia anche per quanto riguarda gli adempimenti burocratici. Un dramma nel dramma per i parenti dei defunti costretti ad attendere anche per mesi la sepoltura dei loro congiunti.

A Roma, dopo i reiterati appelli rivolti all’ex sindaca Virginia Raggi, l’Ama Spa, la partecipata che gestisce anche le attività cimiteriali, aveva provveduto a rendere più veloci le pratiche burocratiche nel tentativo di ridurre le giacenze dei feretri. ma al cimitero Flaminio- Prima Porta fino al mese scorso più di mille salme erano ancora in attesa di essere cremate perché due forni su sei risultavano fuori uso. E chi vuole portare i resti del proprio caro estinto fuori città per usufruire di altri impianti deve pagare una tassa di 218 euro. Esiste però un piano da 7 milioni di euro varato dal Campidoglio per riorganizzare i cimiteri capitolini, con tempi di attuazione che vanno dai due ai cinque anni per realizzare nuovi loculi e linee di cremazione e la manutenzione degli edifici.

A Napoli i parenti dei morti tumulati nel cimitero di Poggioreale, il più grande della città, riuniti in un comitato, sono sul piede di guerra: dal 5 gennaio scorso un crollo (causato a quanto dai lavori della nuova linea della metropolitana) ha scardinato lapidi e danneggiato circa 200 loculi della parte Monumentale ostruendo l’accesso ai visitatori, costretti a lasciare fiori e lumini davanti al cancello chiuso. Il cimitero, situato nella zona detta “Pipiniera” è a tutt’oggi inagibile perché la procura di Napoli, attraverso il pm Giuseppe Tittaferrante ha aperto un’inchiesta per individuare eventuali responsabi-lità: l’ipotesi di reato è quella di crollo o disastro colposo. «I feretri sono esposti da cinque mesi alla pioggia e al vento e nessuno fa niente» protestano i familiari. «L’intero cimitero monumentale – afferma una nota dell’amministrazione partenopea – è stato sequestrato ed è pertanto chiuso al pubblico sino a data da destinarsi ». I dissesti nel sottosuolo avrebbero provocato danni anche alle cappelle sepolcrali “dei Dottori” e di “San Gioacchino a Sopramuro” al Carmine 1: il 30% circa dell’intera area cimiteriale, in corrispondenza degli ingressi principali del lato sud. «Restituiremo presto decoro alle salme » promette intanto l’assessore comunale alle attività cimiteriali, Vincenzo Santagada, che annuncia: «La procura ha autorizzato per il 20 maggio prossimo un sopralluogo dei tecnici con i vigili del fuoco per verificare la possibilità di mettere in sicurezza l’area e quindi riaprire al pubblico, dissequestrandola, la parte non toccata dal crollo, con le adeguate delimitazioni. Si potrà riprendere così – conclude l’assessore – l’attività di polizia mortuaria che nel frattempo è stata interrotta».

Ma spiazza di più il lungo “stallo” delle sepolture al cimitero dei Rotoli di Vergine Maria, il più grande di Palermo, dove i feretri in attesa di tumulazione sono quasi 1.100. E ci sono salme ferme in deposito da più di due anni. Mancano i loculi e il Comune non avrebbe nemmeno i soldi per pagare gli straordinari ai dipendenti impiegati nel servizio. Inoltre, nel capoluogo siciliano il forno crematorio non funziona e i corpi da incenerire vengono dirottati a Messina o, addirittura, fino alla provincia di Cosenza. Il camposanto, peraltro, a gennaio era stato pure attaccato da un gruppo di cinghiali fuggiti dalla riserva di Monte Pellegrino: gli animali, in seguito catturati e abbattuti, avevano scavato buche tra le lapidi. Intanto dal governo sono arrivati a Palermo due milioni di euro e il via libera a una rimodulazione del progetto del nuovo cimitero in località Ciaculli, prevedendo da subito un campo per 5mila inumazioni.

Purtroppo, però, l’emergenza non finisce qui perché tocca anche città come Pescaradove nei due cimiteri civici, dei Colli e San Silvestro, c’è ogni anno, secondo il Comune, «un fabbisogno di loculi pari a 450 unità». Troppi, in mancanza anche di sufficienti linee per le cremazioni. Perché finora sarebbero solo Lombardia, Veneto e Piemonte le regioni italiane che si sono date un piano per l’allocazione dei forni. «I popoli civili si riconoscono dalla priorità che essi attribuiscono al culto dei morti» scriveva Ignazio Silone nel romanzo Il segreto di Luca, del 1956. Ma in Italia, evidentemente, c’è ancora molta strada da fare su questo fronte.

(Hanno collaborato Antonio Averaimo e Roberto Puglisi)

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