Una volta chiarita la situazione di “post maturità”del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, dovuta alla discrasia temporale tra la L. 8 giugno 1990, n.142, con l’attribuzione ai dirigenti di competenze esclusive in materia di autorizzazioni di polizia mortuaria (attribuzione che era già operante rispetto al D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, quanto meno per le norme corrispondenti), appare importante dover avere riguardo alla natura delle autorizzazioni di polizia mortuaria o, almeno, ad alcune di queste. Tra l’altro, quando si parli di autorizzazioni, deve ormai essere tenuto – sempre – presente l’art. 107, comma 3, lett. f) D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Risultano pertanto di competenza esclusiva degli “apicali” i provvedimenti di cui all’Art. 107 comma 3 lettera f) del Decreto Legislativo 267/2000 e gli altri atti loro attribuiti dallo statuto del singolo Comune e dai regolamenti (tra cui quello di polizia mortuaria locale).
L’estumulazione è ordinaria quando si esegue alla naturale scadenza della concessione; se non contemplata dal regolamento comunale o dalla “convenzione” dello stesso atto di concessione (dopo l’entrata in vigore del DPR 15 luglio 2003 n. 254 si cominciano a considerare ordinarie le estumulazioni dopo 20 anni, intesi anche come somma di più periodi trascorsi in diversi avelli) l’estumulazione straordinaria può esser negata ovviamente in forma scritta e motivata, indicando altresì il termine temporale l’autorità cui sia possibile ricorrere ai sensi dell’Art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif (Sereno Scolaro).
L’art. 86, comma1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, infatti, nel definire la regola, presenta anche la nidificazione di un’eccezione, con quell’inciso che così recita: “… ., quando non si tratti di salme tumulate in sepolture private, a concessione perpetua, ….”, questa interpolazione altera, e non di poco, il quadro di riferimento antecedentemente delineato, in sostanza inibendo le ipotesi dell’estumulazione per questi feretri e in tali condizioni, comportando la non estumulabilità dei cadaveri tumulati in concessioni aventi il carattere della perpetuità.
Da qui, sorge, prima di tutto ed immediatamente, una questione che che riguarda la valutazione se le disposizioni dell’art. 88 possano anche applicarsi a queste situazioni o meno. Essendo tali salme in tali condizioni concessorie sostanzialmente “in-estumulabili”, se diamo alla norma una lettura letteralmente restrittiva, si dovrebbe concludere che un’eventuale domanda volta al trasferimento in altra sede formulata ex art. 88, comporti e il vincolo di opporvi rifiuto e la dichiarazione di decadenza dell’intera concessione in quanto la stessa domanda costituisce una violazione delle condizioni di uso della concessione perpetua, cioè un “ab-uso”, nel senso tecnico-giuridico del termine.
Le autorizzazioni di polizia mortuaria (es.:l’autorizzazione al singolo trasporto funebre) l’autorizzazione alla cremazione (16), ecc.), non hanno attinenza di sorta con l’ambito delle autorizzazioni sanitarie, spettando ai servizi comunali e avendo il carattere di autorizzazioni amministrative per determinate, singole ed individuate, attività od operazioni. Oltretutto, il fatto che (dal 13 giugno 1990!) non siano più neppure funzioni attribuite al sindaco, bensì ai dirigenti, fa venire meno la stessa questione sulla loro (eventuale) natura sanitaria Analoghe considerazioni, forse anche di minore spessore, potrebbero farsi per l’autorizzazione di cui all’art. 88 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, anch’essa richiedente una verifica “tecnica”, distinta e propedeutica rispetto alla fase autorizzativa. Tutte queste considerazioni portano all’unica conclusione dell’estraneità della natura sanitaria di tali autorizzazione, per collocarle nell’ambito delle autorizzazioni amministrative. Anche se, probabilmente, la questione è in sé mal posta, dal momento che non si tratta di autorizzazioni nelle attribuzioni del sindaco (ambito in cui, forse, potrebbe accademicamente anche sollevarsi tale problematicità) quanto di autorizzazioni nelle attribuzioni – esclusive e non derogabili – dei dirigenti, fin dall’entrata in vigore della L. 8 giugno 1990, n. 142, cioè in epoca in cui era ancora vigente il D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803.
Nella polizia mortuaria l'”autorizzazione” è un provvedimento discrezionale di natura amministrativa che incide su diritti, condizionandone l’esercizio, a carattere ampliativo della sfera soggettiva dei privati, ma non costitutivo, in quanto esso non crea diritti o poteri nuovi in capo al destinatario, ma legittima solo l’esercizio di diritti o potestà già preesistenti nella sfera del soggetto, l’istruttoria finalizzata al rilascio di quest’ultima non dovrebbe mai eccedere dalla valutazione dei titoli formali, senza, quindi, valutazioni troppo intrusive sulle motivazioni di chi la richieda, c’è però un saggio del 15 dicembre 2005, a cura del Dr.Giuseppe Boffone, reperibile sul portale giuridico Altalex, in cui si smonta questa tesi dell’autorizzazione intesa quasi come un atto dovuto.
Oggetto di questo breve studio è un pronunciamento giurisprudenziale:
Consiglio di Stato, Sez. V, 29 novembre 2005, Decisione n. 6727:
“Secondo l’art. 88 del D.P.R. n. 285/1990 (nel caso di specie, riprodotto nel locale regolamento di polizia mortuaria) il limite alla potestà sindacale di autorizzare l’estumulazione e il trasporto dei feretri va rinvenuto nell’assenso dell’autorità sanitaria sulle cautele da osservare onde evitare pregiudizi alla salute pubblica per il trasporto del feretro, ferme perciò restando le valutazioni del Sindaco circa l’opportunità del trasferimento, dato il carattere latamente discrezionale dell’autorizzazione. Pertanto, nell’esercizio della discrezionalità attribuitagli dall’art. 88 del D.P.R. n. 285/1990, il Sindaco ben può negare l’autorizzazione all’estumulazione e trasporto della salma sulla sola scorta della volontà del defunto, ove questa sia chiara e inequivocabile”.
Innanzi tutto sarebbe più corretto parlare non tanto di estumulazione, quanto di traslazione, ossia di trasferimento della cassa in altra sepoltura senza dover necessariamente manomettere l’assetto del feretro stesso, ad esempio rimuovendone i coperchi, se esso verrà nuovamente avviato a tumulazione. Tutt’al più se il cofano accusa cedimenti o stress meccanico si praticherù il cosidetto “rifascio”, cioè la deposizione della bara in un cassone esterno di zinco.
Solo se il feretro dovesse esser inumato (cambiando, così, modalità di sepoltura) bisognerebbe togliere i coperchè per neutralizzare la lamiera di zinco.
Alla sua morte, il Mons. G.A. dispone attraverso la sua scheda testamentaria affinché la propria salma sia seppellita nel cimitero più vicino: in ottemperanza a tale volontà il feretro viene ospitato nel cimitero sito nel Comune del luogo della sua morte.
Ad avviso dei congiunti del defunto, tuttavia, durante gli ultimi periodi della sua vita, il Monsignore aveva più volte a chiare lettere espresso la propria volontà di essere sepolto vicino alla propria madre, ovvero in un luogo diverso dal cimitero del comune di decesso: la lettera della disposizione di ultima volontà, quindi, andrebbe interpretata alla luce di tali elementi rappresentativi e volitivi non solo notori ma aventi la consistenza di chiave di lettura della volontà testamentaria.
Il Comune resistente oblitera la teoria dei congiunti del de cuius e rigetta l’istanza di trasferimento della salma, dando così adito al contenzioso deciso dal Collegio di Palazzo Spada.
La prima questione di diritto posta all’attenzione del Consiglio di Stato è quella concernente la natura giuridica del provvedimento impugnato: ad avviso dei Giudici aditi, la soluzione è rinvenibile nel tenore letterale dell’art. 88, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (di approvazione del regolamento di polizia mortuaria) che demanda al sindaco di autorizzare l’estumulo dei feretri per trasferirli in altra sede così conferendo alla decisione adottata dallo stesso una valenza squisitamente provvedimentale perché assentiva o denegativa della relativa attività.
Quanto al merito della quaestio, il Collegio rileva come la natura del provvedimento di autorizzazione o diniego alla estumulazione sia prettamente discrezionale, nell’ambito dei limiti previsti dalla legge, con l’ulteriore conseguenze che, nell’esercizio della discrezionalità attribuitagli dall’art. 88 D.P.R. n. 295/1990, il sindaco può anche valutare la volontà del defunto, ove questa sia chiara e inequivocabile.
Segnatamente, il Collegio ritiene che il potere discrezionale de quo sia confortato, nel suo contenuto “esteso”, dalla mancanza di indicazioni precise in merito al luogo di sepoltura, reperibili nell’ambito delle disposizioni di ultima volontà del de cuius.
Per la verità la statuizione resa in tal senso dal Consiglio di Stato, trova una forte obiezione nell’indirizzo giurisprudenziale datato, ad avviso del quale qualora il defunto non abbia indicato con assoluta certezza ed in modo definitivo la località, il punto e le modalità della sua sepoltura, l’electio sepulchri spetta in ordine di preferenza al coniuge superstite, ai parenti ed, infine, ai suoi eredi.
Il diritto del coniuge rimasto in vita a traslare la salma del coniuge defunto dal luogo di sepoltura ad altro sepolcro, che è limitato solo da diversa volontà del defunto, non è in contrasto con la pietas verso i defunti, perché la coscienza collettiva cui tale sentimento fa riferimento, non recepisce negativamente, nè disapprova la traslazione dei resti mortali per un seppellimento ritenuto ragionevolmente più idoneo e conveniente da detto coniuge superstite e dagli altri aventi diritto. (Corte di Cassazione, sez. 2^ civile, sent. n.9168 dell’11 dicembre 1987)
Secondo tale lettura ermeneutica, il titolare dello jus eligendi sepulchrum può altresì chiedere l’autorizzazione al trasferimento in altro luogo della salma nonostante la opposizione degli altri parenti, purché la nuova scelta sia sorretta da gravi ragioni e da adeguata motivazione, (cfr. Trib. Catania, 12/12/1982 in Giur. di Merito, 1984, 858; Cass. civ., sez. I, 27/01/1986, n.519 in Mass. Giur. It., 1986).
“In accoglimento del ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. proposto dall’erede testamentario (non parente), che assuma di agire per eseguire la volontà manifestata in vita dal defunto, nei confronti dei parenti, il pretore può ordinare che in attesa della definizione del giudizio di merito la salma sia tumulata nel cimiterodel luogo ove egli visse e morì. (Pretura di Firenze, ordin.29 novembre 1977)”.
Non solo: al di là della fattispecie concreta, generalmente la situazione giuridica de qua è inquadrata sistematicamente nell’ambito dei diritti soggettivi perfetti e non nel contesto degli interessi legittimi, (cd. ius sepulchri, ossia il diritto a essere tumulato nel sepolcro).
Inoltre, quanto all’addentellato normativo, l’art. 88 esplicitamente recita che “il sindaco può autorizzare, dopo qualsiasi periodo di tempo ed in qualunque mese dell’anno, l’estumulazione di feretri destinati ad essere trasportati in altra sede a condizione che, aperto il tumulo, il coordinatore sanitario constati la perfetta tenuta del feretro e dichiari che il suo trasferimento in altra sede può farsi senza alcun pregiudizio per la salute pubblica”.
Bisogna notare la riduzione di ogni discrezionalità nella funzione atribuita all’ASL, ma anche una traslazione della competenza dall’Autorità Amministrativa a quella tecnico-sanitaria la qiale si pone in posizione strumentale rispetto alla potestà autorizzativa del Comune.
Da questa ripartizione di ruoli l’autorizzazione all’estumulazione si riduce a mero atto di gestione a contenuto vincolato e scevro da ogni reale potere di valutazione o giudizio ed in quanto tale mon rigettabile.
Secondo un’interpretazione più “politica” dove a rilevare maggiormente sarebbe la preminenza del potere amministrativo il comune la formulazione dell’Art. 88 si configurerebbe, invece, quale norma a presidio degli interessi della collettività attraverso la mediazione del Sindaco, il quale “può autorizzare”, in senso positivo, e, a contrario, “non autorizzare” ma, sembrerebbe, limitatamente agli stessi motivi addotti dalla disposizione normativa, ovvero circostanze igienico – sanitarie afferenti al feretro.
Per ragioni di completezza, è opportuno precisare come, invece,non sorgano problemi analoghi, invece, nelle ipotesi di pratica funeraria della cremazione ovvero di dispersione delle ceneri, disciplinate dalla Legge n. 130 del 30 Marzo 2001, (laddove attuabile attraverso apposita normativa regionale) poiché non ha luogo l’evento materiale della tumulazione, mentre nello spirito del DPR 285 ed ancor più dell’Art. 343 Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265 le urne debbono esser racchiuse in una nicchia, capace di proteggerle da atti sacrileghi garantendo loro stabile e certa destinazione. L’unica vera novità rinvenibile nel corpus normativo del DPR 285/1990 è rappresentata dall’Art. 80 comma 6 dove si prevede la dispersione in cinerario comune su istanza del de cuius oppure per inerzia e disinteresse degli aventi titolo.
Lo sversamento in natura delle ceneri, proprio perché smaterializza la presenza fisica della spoglia mortale (prima incinerata, poi dispersa in natura, così da non esser più riconducibile ad un “unicum”), confligge pesantemente con il diritto alla memoria da parte dei superstiti ravvivato dal culto della tomba celebrato anche dalla letteratura con il carme foscoliano de “I Sepolcri”.
Se facoltativa è la cremazione a maggior ragione ulteriormente di sola eleggibilità da parte del defunto è ritenuta la dispersione delle ceneri, come prevista dalla novella (Legge130 del 2001), che deve essere autorizzata solo dal de cuius senza possibilità di surroga da parte dei congiunti in dividuati con il criterio di poziorità enunciato dall’Art. 79 comma 1 DPR 10 settembre 1990 n. 285, (con rinvio agli Artt. 74, 75, 76, 77 del Codice Civile i gradi di parentela)
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Temo vi siano poche scappatorie rispetto alla volontà del comune: vediamo il perchè:
Nell’ordinamento italiano di polizia mortuaria vige il principio fondativo e, quindi, implicito rispetto alla norma formale della stabilità delle sepolture, almeno per tutta la durata del periodo legale di permanenza dei cadaveri in cimitero, affinchè si compiano i naturali precessi di scheletrizzazione.
Questa regola è presente in almeno 3 disposizioni:
1) Art. 116 Decreto Legislativo n.271/1989 (cautela da parte dell’Autorità Giudiziaria nell’ordinare il disseppellimento dei cadaveri)
2) Artt. 83 ed 88 DPR n.285/1990 (soggezione di tutte le operazioni cimiteriali di esumazione/estumulazione a preventiva autorizzazione comunale)
3) Art.86 comma 1 DPR n.285/1990 (inibizione della possibilità di estumulare da sepolcri dati in concessione perpetua)
In questo compendio di norme è enunciato il diritto dei defunti a “riposare in pace”, senza vorticosi cambi di tomba.
Purtroppo il DPR n.285/1990 con l’Art. 98 sembra considerare lo Jus Sepulchri, ancorchè residuale quando vi sia soppressione del camposanto, solo in relazione alle sepolture private, ossia ai sepolcri dati in concessione di cui al Capo XVIII, tuttavia anche quest’ultimo è passibile di atti ablativi da parte del comune (il cimitero ex Art. 824 comma 2 appartiene al demanio comunale), anche la giurisprudenza, infatti, è abbastanza costante nel ritenere il diritto del privato un diritto affievolito nei confronti del comune. (TAR Campania Sez. III, 15/01/87 n.14, C.S. Sez. V 01/06/1949 n.458, C.S. Sez. V 16/12/50 n. 1289). sino a degradare a semplice interesse legittimo, rispetto alla potestà regolamentativa che sorge in capo all’Ente Locale ex Art. 117 comma 6 III Periodo Cost.
La Legge Italiana, in effetti (Art. 337 Regio Decreto n.1265/1934) prevede solo l’inumazione, purchè in campo comune, come tecnica predefinita di “smaltimento” dei corpi umani ormai privi di vita. In realtà lo Jus Sepulchri, inteso come titolo di accoglimento in cimitero, è applicabile anche all’inumazione in campo di terra, ai sensi dell’Art. 50 DPR n.285/1990.
Per il cambio di destinazione di porzione di cimitero da campo di inumazione ad area da adibirsi a costruzione di loculi o in concessione a privati, non si applica il Capo XIX del DPR 285/1990, difatti detto articolo riguarda la soppressione del cimitero, cioè il cambio di destinazione d’uso di un bene appartenente al demanio comunale per trasferirlo verosimilmente al patrimonio disponibile, ad esempio per essere impiegato quale area fabbricabile per edilizia residenziale.
Per la fattispecie in esame è invece applicabile la normativa del capo XVIII del DPR n. 285/1990. Il comune deve adottare il piano regolatore cimiteriale (Art. 91 DPR n.285/1990) destinando la zona del vecchio campo comune ad area per costruzione di loculi o per assegnazione di tombe. Ovviamente deve esservi il rispetto degli standards minimi previsti dall’art. 58. In assenza di piano regolatore cimiteriale, il comune può adottare una procedura d’urgenza limitandosi al cambio di destinazione d’uso con atto di G.M., o meglio, se costruisce direttamente i manufatti a loculo, utilizzare il momento dell’approvazione del progetto per cambiare la destinazione d’uso.
Dopo l’esumazione delle salme inumate, si provvederà traslazione degli eventuali indecomposti in altra zona del cimitero. Le ossa rinvenute durante le esumazioni devono essere avviate all’ossario comune a meno che gli interessati non dispongano per altra sepoltura.
Anche se l’Art. 1 comma 7Bis Legge 28 febbraio 2001 n. 26 assoggetta l’esumazione al versamento di una tariffa (da determinarsi ex At. 117 Decreto Legislativo n.267/2000) si ha ragione di ritenere che possano sussistere questioni circa il trasferimento di oneri in capo al privato per una scelta siffatta da parte dell’Amministrazione.
Orbene, è preferibile che il comune determini questi spostamenti col minimo di riflessi per il/i cittadino/i interessato/i, accollandosi buona parte dei costi dello spostamento, così da evitare un pronunciamento della Magistratura, siccome sarebbe il giudice, unico soggetto titolato ad esprimersi sul possibile ricorso di un interessato, a imporre questi oneri. Mentre per le spese di trasferimento delle salme si propende per un accollo totale al comune, quelle per il ripristino della tomba, dovrebbero invece essere concordate con l’interessato, anche perchè ai sensi dell’Art. 70 DPR n.285/1990 il comune, quale titolare ultimo della funzione cimiteriale è tenuto a fornire per ogni fossa solo il cippo identificativo.
Gentile Redazione,
volevo sottoporvi un quesito per me e la mia famiglia molto doloroso: 4 anni fa è deceduta ns madre, e sepolta in terra, come da sua volontà. la scelta del luogo è stata fatta dal comune, che ha tenuto presente i futuri lavori di ampliamento cimiteriali e che ha quindi provveduto alle dovute misurazioni e a sotterrare ns madre in un luogo ritenuto di non disturbo per i futuri lavori. Ora il comune dice di aver cambiato i progetti di ampliamento e voglio dissotterrare mia madre per spostarla in altro luogo (dello stesso cimitero). Premetto che qs cimitero di periferia è stao sempre in stato di abbandono e che il cambio del progetto inizale è donuto all’inserimento di tombe di famiglia (vantaggiose per gli introiti comunali). la nostra famiglia i oppone fermamente alla rimossione del feretro di ns mamma dopo soli 4 anni. Aspetto un Vs consiglio su come opporci. non esisite un diritto del defunto?? grazie, Deborah
C’è una sentenza, pur nei limiti di applicabilità erga omnes, ai sensi dell’Art. 2909 Codice Civile, su cui ragionare:
Corte d’appello di Milano, Sez. I, 5 ottobre 1982 n. 1618 In mancanza di una disposizione del defunto quando era in vita, lo ius eligendi sepulcrum spetta alla convivente more uxorio, sempreché particolari circostanze familiari ed ambientali non facciano prevalere la contraria volontà del nucleo familiare legittimo del defunto.
La soluzione del caso qui esposto si presenta non facile, a causa del silenzio del D.P.R. 10.9.1990 n. 285 in tema di soggetti legittimati a proporre l’istanza di autorizzazione al trasporto della salma in altra sepoltura.
Gli atti di disposizione per il post mortem, nel soloco tracciato, per i vivi, dall’Art. 5 Codice Civile, seguono il principio di poziorità (potere + priorità) delineato, in via estensiava, dall’Art. 79 comma 2 DPR n.285/1990. Nel suddetto Art. 79 comma 2 è cristallizzato in norma positiva una lunga elaborazione giurisprudenziale.
Lo Jus Eligendi sepulchrum, ossia la electio sepulchri, quindi, il diritto di scegliere la destinazione del proprio corpo, una volta consumatosi il decesso, spetta in primis al de cuius, attraverso disposizione testamentaria, poi, nell’ordine vengono il coniuge, che nel silenzio del de cuius ha titolo privilegiato (lo Jus Coniugii prevale sullo Jus Ssnguinis e sullo JUs Successionis. Così, almeno si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con sentenza deò e 4.4.78 n. 1527 GI 1978, I,1, 1423 ) e dopo tutti gli ascendenti/discendenti di pari grado sino al sesto livello di parentela ai sensi degli Artt. 74 e segg. Codice Civile.
Ragionando in via analogica la dottrina, in materia di successione legittima e di obbligo di prestazione degli alimenti, individua nuovamente una scala di potere + priorità traspare tra gli aventi diritto, in linea teorica, a decidere della spoglia mortale del de cuius.
Dal Codice Civile, infatti, emerge chiaramente la volontà del legislatore di far prevalere gli interessi del coniuge e dei figli, su quelli dei genitori. Infatti i genitori del de cujus divengono suoi eredi solo nel caso in cui questi non abbia lasciato figli (568 c.c.). Per quanto riguarda poi l’obbligo della prestazione degli alimenti, i figli ed il coniuge precedono i genitori (433 c.c.) Occorre pero’ precisare che, oltre al grado di parentela, il giudice tiene anche in considerazione il comune sentire sociale della comunita’ presente in un dato momento e in un determinato territorio. Potrebbe per esempio apparire piu’ consono alla posizione sociale del defunto, la sepoltura nella cappella di famiglia
In dottrina
IL testamento olografo ex Art. 620 Codice Civile per produrre i propri effetti giuridici deve esser prima pubblicato, altrimenti è solo un pezzo di carta senza valore.
e possibile trasferire una salma in parcheggio temporaneo da un ccimitero Roma – Fiuggi ,senza avvertire i figli anche se nel testamento tale modus era stato richiesto dal de cuius, sulla richiesta della non moglie ma convivente evitando altresi di avvertire i figli del trasferimento. E posssibile che l’incaricato del cimitero abbia potuto tranquillamente concedere tale autorizzazione solo sullabase delle volonta del defunto scritte in testamento? grazie
La norma di riferimento per l’imputazione dei costi è l’ordinanza del
sindaco con cui si regolano le estumulazioni ex Art. 88 DPR 10 settembre 1990 n. 285.
In quella sede si possono prevedere gli oneri per il cosidetto rifascio del feretro (Art. 88 comma 2 DPR 285/1990 e paragrafo 3 Circ. Min. 31 luglio 1998 n. 10).
In linea di massima dovrebbero provvedere gli aventi titolo a diasporre della spoglia mortale secondo il principio di poziorità enunciato dall’Art. 79 DPR 285/1990 tuttavia si ha notizia di casi in cui la responsabilità è a carico del concessionario al quale compete pur sempre la manutenzione del sepolcro in special modo se la tomba è stata direttamente realizzata dal concessionario su area avuta in concessione.
Anche il risanamento del loculo presenta qualche ambiguità in merito alla ripartizione delle spese, a volte è lo stesso comune in quanto titolare della funzione cimiteriale ex Artt. 823 ed 824 Codice Civile a procedere d’ufficio.
Cara Redazione,
Quattro anni fa è morto mio nonno ed è stato seppellito nella cappella gentilizia di mia zia, la quale questa dopo tale periodo non vuole più la bara del padre è ha invitato gli altri eredi di prodigarsi al fare il tutto. Durante dette operazioni è emerso che, la bara posta all’ultimo piano, si è putrafatta il con rottura della cassa di zinco e relativa fuoriuscita di liquidi postmortali
Pertanto chi ha assistito a queste operazioni, (A.U.S.L.) ha intimato di fermare tutta la procedura e provvedere a porre la cassa in un ulteriore cassa di metallo.
Vorrei sapere, in considerazioneall’art. 63 del DPR 285/90 queste spese a chi spettino?
Grazie a Carlo e Sereno per le vostre risposte complete ed esaurienti.
Mi sia consentita una chiosa.
Ex Art. 86 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria (laddove non siano intervenute esplicite abrogazioni su base regionale) le operazioni di estumulazione vanno svolte alla presenza del personale sanitario. L’ASL attraverso delega può incaricare di tale incombenza il personale necroforo in servizio presso il cimitero stabilendo di concerto con l’ordinanza sindacale che regola esumazioni ed estumulazioni un protocollo operativo. In questo caso con ordine di servizio si individua solitamente nel caposquadra necroforo il soggetto deputato a valutare lo stato di mineralizzazione più o meno incompiuta del resto mortale.
Ex Art. 86 comma DPR n.285/1990 nei feretri estumulati da inumare deve esser praticata un’apertura sul coperchio di metallo di modo da favorire la lisilviazione del percolato cadaverico e, quindi, la ripresa dei processi di decomposizione rallentati o inibiti dal permanere del cadavere per lungo tempo entro cofano ermetico costituito da duplice cassa di legno e lamiera. NUlla vietà, però di richiudere il coperchio di legno.
IL coperchio di legno, all’atto dell’estumulazione, può esser, quindi, tranquillamente riposto sulla cassa, in alternativa il cadavere saponificato/corificato/mineralizzato può esser riposto in un contenitore avente le caratteristiche di cui alla risoluzione ministeriale (senza dimenticare la Circ.Min. 31uglio 1998 n.10) p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004, con cui il Governo è intervenuto, a seguito del DPR 254/03.
La cassa per esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo così come definiti dall’Art. 3 comma 1 lettera b) DPR n. 254/2003 per ovvie ragioni di pietas e rispetto verso i morti, deve comunque esser chiusa, anche se, sotto il profilo funzionale un diretto contatto tra il terreno ed i tessuti organici indecomposti faciliterebbe la mineralizzazione degli stessi.
IN sintesi il Sindaco della Sua località non conosce bene le norme di polizia mortuaria
Ci si limita – intenzionalmente – agli aspetti “tecnici”.
La profondita’ della fossa deve essere non inferiore a 2 metri (art. 72, comma 1 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
Oltretutto, tali operazioni dovrebbero essere svolte dal personale del cimitero.
Poco tempo fa mia nonna è stata estumulata e trasferita, dopo 20 anni, dal loculo alla terra. La cosa grave è che al momento della tumulazione non era presente il personale sanitario.Inoltre l’impresa che ha effettuato il lavoro ha tolto il coperchio e gettato terra direttamente sopra la salma.
Non è tutto, la salma infatti è stata posizionata a una profondità di soli 60 cm.
Abbiamo fatto un esposto al sindaco il quale ci ha risposto che il lavoro è stato fatto a norma di legge.
Ora quello che chiedo è : c’è effettivamente una legge che regola l’operazione di estumulazione? Se esiste qual’è? A quanti cm deve essere sepolto il feretro?
Possono permettersi di gettare della terra direttamente sui resti della salma senza riposizionare il coperchio compiendo così un gesto ripugnante ed irrispettoso sia per la salma che per i cari che devono assistere a questo scempio?E corretto che il lavoro sia stato eseguito senza la presenza del personale sanitario?
Grazie.