L’idea di scrivere questo articolo viene da alcuni quesiti che in vario modo sono attinenti ai rapporti del Comune e degli operatori dei servizi funerari con le Comunità islamiche presenti sul territorio nazionale.
Si preferisce parlare di comunità al plurale perché al momento non è possibile individuare una sola rappresentanza della fede islamica con la quale intrattenere un dialogo istituzionale; tant’è che finora non si è realizzata una regolazione dei rapporti con lo Stato italiano mediante intesa, che è lo specifico strumento giuridico individuato dalla nostra Costituzione.
Tuttavia alcuni tentavi per avviare un dialogo istituzionale con la componente islamica sono stati fatti, come risulta da una nota del 2015 del Servizi studi del Senato, alla quale si rinvia per una disamina più dettagliata di questo iter.
L’aspetto che ho ritenuto possa essere di qualche interesse per i lettori riguarda la prassi, diffusa in diversi territori regionali, di presentare al Comune la richiesta di poter fruire di locali pubblici o privati da adibire a centro culturale e, una volta ottenuta la concessione di tali spazi, viene chiesto il cambio di destinazione d’uso, pur in assenza di modifiche ai piani urbanistici, allo scopo di adibirli a luogo di culto, avvalendosi strumentalmente di alcune norme vigenti di favore sull’associazionismo.
È evidente che l’attinenza del tema con il settore funerario viene in rilievo nell’occasione di utilizzo di quei locali adibiti a luogo di culto per la celebrazione di riti funebri.
Da qui i legittimi interrogativi: se all’interno del centro culturale sia possibile officiare riti religiosi funebri o istituire camere ardenti, se per questi scopi sia necessaria una specifica autorizzazione e se vi siano condizioni igienico sanitarie da rispettare in simili circostanze.
È vero che, da un lato, è preminente il coinvolgimento del Comune, deputato a svolgere i necessari controlli, ma dall’altro emerge anche l’interessamento degli operatori dei servizi funerari che devono organizzare il funerale in tutti i suoi aspetti, in particolare, per quanto qui attinente al tema trattato, quelli della logistica, della documentazione necessaria e della garanzia delle condizioni igienico sanitarie.
Facendo una ricognizione sull’argomento, di seguito si riportano due note ministeriali e una sentenza del Consiglio di Stato che contengono indicazioni utili su come procedere nella situazione sopra detta.
1. Ministero dell’interno, Comitato per l’Islam italiano, nota del 3 marzo 2011: al paragrafo 2 “Giurisprudenza e territorio” si afferma che:
“La pratica di utilizzare costruzioni per attività diverse da quelle per le quali sono state realizzate, quando non tenga conto delle leggi sul governo del territorio, non può tuttavia essere considerata legittima soltanto perché riguarda in generale il legittimo diritto al culto.
Anche nella giurisprudenza più recente, tali stratagemmi giuridici sono già stati giudicati abusivi dalla sentenza 27 luglio 2010 n. 4915 del Consiglio di Stato, proprio nel caso di una sala di preghiera islamica, confermando quanto deciso dal TAR Trentino Alto Adige – Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano con sentenza 30 marzo 2009, n. 116, “Moschee e pianificazione urbanistica”.
Sulla stessa linea aveva sentenziato in data 23 aprile 2009 il TAR di Trento, giudicando illegittima una dichiarazione d’inizio attività riguardo al progettato cambio di destinazione funzionale, in quanto mancavano alcuni fondamentali requisiti, quali le idonee infrastrutture di servizio, come i parcheggi e la viabilità, che seppure idonee per la funzione associativa, si rivelino evidentemente inadeguate alla funzione religiosa del luogo di culto, destinato ad attirare e concentrare un elevato numero di persone.
Egualmente, la sentenza 27 novembre 2010 n. 8928 del Consiglio di Stato, avverso l’accoglimento del ricorso della locale Associazione Centro Culturale Islamico da parte del TAR Lombardia (sentenza n. 27161/2009), sempre in materia di abuso edilizio avvenuto durante un cambio di destinazione d’uso da un laboratorio artigiano a un luogo di preghiera, distingue il piano dei «diritti costituzionalmente tutelati, quale è il libero esercizio del culto» e l’esigenza della «corretta applicazione della normativa edilizia».”.
2. Sentenza del Consiglio di Stato del 15 gennaio 2013, n. 181 relativa proprio al diffuso fenomeno della proliferazione di associazioni qualificate come “Associazioni di Promozione Sociale” (APS) che, nei fatti, hanno come funzione esclusiva e/o prevalente quella di gestire luoghi di culto in immobili privi dei requisiti urbanistici, strutturali e di sicurezza, necessari per tale destinazione d’uso.
A tal proposito, i giudici affermano che:
“l’attività di culto (…) non può di per sé essere intesa come attività di promozione sociale. (…) Inoltre, deve essere ricordato che, proprio in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, le relative sedi, ai sensi dell’articolo 32, L. 7 dicembre 2000 n. 383, sono localizzabili in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibile con ogni destinazione d’uso urbanistico, a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio impressa specificamente e funzionalmente al singolo fabbricato, sulla base del permesso di costruire.
Pertanto, ove, come nella specie, non venga specificamente dimostrato un vincolo strumentale dell’attività di culto rispetto alle attività di promozione sociale che l’associazione intende realizzare, si rischierebbe di consentire un utilizzo del tutto strumentale ed opportunistico della normativa di estremo favore sopra richiamata per porre un edificio destinato al culto in qualsiasi parte del territorio comunale”.
3. Ministero del lavoro, nota n. 3734 del 15 aprile 2019, in risposta alla richiesta di chiarimenti della regione Emilia Romagna, che merita un approfondimento.
La regione, nella richiesta di parere, fa presente che nello statuto di alcune associazioni di promozione sociale sono presenti clausole statutarie che, ancorchè in modo non prevalente, prevedono lo svolgimento di attività di culto, svolta promiscuamente con la tipica attività di promozione sociale in sedi e locali per cui è prevista l’applicazione dell’art. 71 del d.lgs. del 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo Settore – CTS [1] che prevede la compatibilità con tutte le destinazioni d’uso di sedi e locali in cui si svolge l’attività.
Pertanto, chiede:
- se le attività di culto, anche se previste negli atti costitutivi o negli statuti delle associazioni di promozione sociale o di altri enti del Terzo settore possano rientrare tra le attività diverse di cui all’art. 6 del d.lgs. 117/2017;
- se un’APS o altro ETS possa essere iscritto nel Registro qualora eserciti attività di culto pur facendo salva la prevalenza delle attività di promozione sociale;
- se si debba comunque ritenere che per l’uso promiscuo, tra attività di culto e di promozione sociale, di sedi e locali non debba essere applicata la misura di favore di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 117/2017.
In riferimento al primo quesito, il ministero del lavoro, innanzitutto premette che non ritiene configurabile come “attività di culto”, ai fini della individuazione dell’oggetto sociale dell’ente, una celebrazione occasionale, mentre possono essere considerate tali le celebrazioni ricorrenti e sistematiche, in giorni fissi e orari predefiniti. In secondo luogo, sulla base della definizione o elencazione delle “attività di culto” elaborata dal Consiglio di Stato [2], la collocazione delle stesse tra le attività diverse, ai sensi dell’articolo 6 [3] del CTS risulta apparire problematica, data la necessaria strumentalità di queste ultime rispetto alle attività di interesse generale di cui all’articolo 5 [4].
Infatti, si afferma nella nota ministeriale che:
“se le attività di culto caratterizzano gli enti religiosi civilmente riconosciuti, che sul territorio dello Stato svolgono le loro attività ai sensi delle leggi vigenti, il legislatore del Codice del Terzo settore, nel rispetto della citata [5] separazione tra ambito civile e statuale e ambito religioso, ha fissato, con il comma 3 dell’articolo 4 un preciso criterio: a tali enti, infatti, “le norme del (…) decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5”, previa adozione di un apposito regolamento.
Pertanto, le attività di culto (che costituiscono la principale ragion d’essere degli enti religiosi) sono “altro” rispetto a quelle disciplinate dal Codice e non sembrano sussumibili nella categoria delle attività diverse di cui all’articolo 6 del Codice.”
Riguardo al terzo quesito, relativo alla possibilità di beneficiare,con riferimento ai locali in cui viene esercitata l’attività di culto, della misura di favore di cui all’articolo 71 del CTS, il ministero evidenzia alcune differenze inserite dal legislatore codicista rispetto al previgente art. 32. co. 4 della L. n. 383/2000; e fermo restando che in tema non sono ammesse “deroghe alla sussistenza dei requisiti di agibilità (…) e alle misure minime di sicurezza” [6]. Si riportano di seguito i testi delle due disposizioni richiamate:
Art. 71, co. 1 dlgs 117/2017
1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purchè non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
Art. 32, co. 4 della L. n. 383/2000 (abrogato dal dlgs 117/2017)
4. La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
Secondo il ministero del lavoro, la disposizione del CTS presenta importanti differenze. Vale a dire: i potenziali beneficiari, che prima erano le sole APS, ora sono anche gli Enti del Terzo settore (ETS), e la previgente definizione, che genericamente parlava di “attività”, viene sostituita da quella più ristretta di “attività istituzionali purché non di tipo produttivo”.
Questo comporta l’esclusione dal regime di favore non solo delle attività istituzionali a carattere produttivo ma anche delle “attività “non istituzionali” (tra cui quindi quelle svolte ex art. 6), che pertanto non potranno beneficiarne anche qualora siano strumentali alle prime”.
La nota prosegue specificando che:“ per attività istituzionali degli ETS – e in particolare delle APS – devono intendersi infatti quelle previste dallo statuto come oggetto principale del rapporto sociale, attraverso le quali ciascun ente persegue le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che lo caratterizzano come Ente del Terzo settore. Tali attività sono quindi, da identificarsi nelle attività di interesse generale ex art. 5 del Codice del Terzo settore, che in quanto tali godono, purchè svolte senza fine di lucro e in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio, del particolare “favor” del legislatore, da cui derivano, tra l’altro, le disposizioni agevolative di cui all’articolo 71. (…)
indipendentemente dall’ eventuale possibilità di ricomprendere le attività di culto tra quelle di cui all’articolo 6, sarà necessario, qualora un locale (fosse anche la sede di un’associazione di promozione sociale) venga adibito in maniera sistematica e organizzata allo svolgimento di celebrazioni religiose o altre attività di culto, che ciò avvenga in assenza di deroghe rispetto alla ordinaria normativa urbanistica in materia di destinazione d’uso.”
E conclude riportando un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato n. 6176/2018:
“la qualità dell’appellante come associazione di promozione sociale, per la quale l’art. 71 del d.lgs. 117/2017 ne consente l’insediamento della sede in edifici con qualunque destinazione d’uso, non l’autorizza ad insediare un luogo di culto non occasionale o precario in aree e territori comunali non vocati”; ciò anche “qualora le finalità religiose non siano contemplate nello statuto” , nel caso specifico, “lo scopo aggregativo tipico degli enti del terzo settore, e d’altronde svolto dall’Associazione in altri contesti, scolora rispetto ai dati di fatto che dimostrano anche il fine di culto da essa sì perseguito, ma in modo urbanisticamente scorretto”.
[1] Nel caso sia di interesse un approfondimento sulla riforma del terzo settore si rinvia ad un documento del Servizio Studi della Camera del 29 settembre 2022.
[2] Per “attività di culto” può intendersi la “pratica religiosa esteriore riservata ai credenti di una determinata fede” (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 181/2013) o, in senso non tassativo “la celebrazione di funzioni religiose riservate ai credenti di una determinata fede, la diffusione del relativo credo, la formazione degli aderenti e dei ministri religiosi” (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 3417/2015).
[3] Art. 6 (Attività diverse) d.lgs. n. 117/2017.
1. Gli enti del Terzo settore possono esercitare attività diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Cabina di regia di cui all’articolo 97, tenendo conto dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale.
[4]Art. 5 (Attività di interesse generale) d.lgs. n. 117/2017.
1. Gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali incluse le cooperative sociali, esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio, le attività aventi ad oggetto:
a) interventi e servizi sociali ai sensi dell’articolo 1, commi 1 e 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, e successive modificazioni, e interventi, servizi e prestazioni di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e alla legge 22 giugno 2016, n. 112, e successive modificazioni;
b) interventi e prestazioni sanitarie;
c) prestazioni socio-sanitarie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, e successive modificazioni;
d) educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;
e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi, nonchè alla tutela degli animali e prevenzione del randagismo, ai sensi della legge 14 agosto 1991, n. 281;
f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;
g) formazione universitaria e post-universitaria;
h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale;
i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo;
j) radiodiffusione sonora a carattere comunitario, ai sensi dell’articolo 16, comma 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni;
k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo, alla prevenzione del bullismo e al contrasto della povertà educativa;
m) servizi strumentali ad enti del Terzo settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da enti del Terzo settore;
n) cooperazione allo sviluppo, ai sensi della legge 11 agosto 2014, n. 125, e successive modificazioni;
o) attività commerciali, produttive, di educazione e informazione, di promozione, di rappresentanza, di concessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell’ambito o a favore di filiere del commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore operante in un’area economica svantaggiata, situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla base di un accordo di lunga durata finalizzato a promuovere l’accesso del produttore al mercato e che preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in favore del produttore e l’obbligo del produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali, in modo da permettere ai lavoratori di condurre un’esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i diritti sindacali, nonchè di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile;
p) servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle persone di cui all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106;
q) alloggio sociale, ai sensi del decreto del Ministero delle infrastrutture del 22 aprile 2008, e successive modificazioni, nonchè ogni altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;
r) accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti;
s) agricoltura sociale, ai sensi dell’articolo 2 della legge 18 agosto 2015, n. 141, e successive modificazioni;
t) organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;
u) beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratuita di alimenti o prodotti di cui alla legge 19 agosto 2016, n. 166, e successive modificazioni, o erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo;
v) promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata;
w) promozione e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, nonchè dei diritti dei consumatori e degli utenti delle attività di interesse generale di cui al presente articolo, promozione delle pari opportunità e delle iniziative di aiuto reciproco, incluse le banche dei tempi di cui all’articolo 27 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e i gruppi di acquisto solidale di cui all’articolo 1, comma 266, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
x) cura di procedure di adozione internazionale ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184;
y) protezione civile ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;
z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
2. Tenuto conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2016, n. 106, nonché delle finalità e dei principi di cui agli articoli 1 e 2 del presente ì Codice, l’elenco delle attività di interesse generale di cui al comma 1 può essere aggiornato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di trasmissione del decreto, decorsi i quali quest’ultimo può essere comunque adottato.
[5]Ndr: È il principio dell’irrinunciabile separazione tra la sfera statuale e quella religiosa, secondo cui “non è dato allo Stato di interferire, come che sia, in un ordine che non è il suo, se non ai fini e nei casi espressamente previsti dalla Costituzione” (ex multis, Corte Costituzionale, sentenza n. 334/1996).
[6] Si veda parere del Consiglio di Stato, Sez. I, parere su ricorso straordinario al capo dello Stato n. 764 del 26 marzo 2018.