Atti ablativi sulle concessioni cimiteriali e principio di pubblicità del procedimento ex Artt. 7, 8 e 21- bis Legge n. 241/1990.

Il presente saggio s’incardina su questi due assiomi di ordine comune, almeno per chi pratichi, con qualche dimestichezza, il diritto funerario.

 

1) La presunzione di conoscenza legale degli atti, correlata all’espletamento delle formalità di pubblicazione prescritta dalla legge o dai regolamenti si riferisce alla categoria degli atti amministrativi generali, che hanno come destinatari un numero elevato di soggetti.

 

2) Nel caso di specie l’atto di revoca, non rientra nella categoria degli atti amministrativi generali in relazione ai quali non è prescritta la notifica individuale, trattandosi al contrario di provvedimento avente destinatari determinati.

 

Dopo queste due affermazioni così apodittiche, traiamo spunto da un sentenza: T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 04-05-2011, n. 2458 per esaminare negli snodi motivazionali del pronunciamento il nesso tra l’adozione del provvedimento di revoca ed i principi enunciati dalla Legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo in tema di pubblicità-notizia degli atti.

 

In brevis: un Comune, in Regione Campania, aveva rilevato e, dunque, contestato, sulla base di un rapporto della locale Polizia Municipale e della corrispondente relazione a cura del Responsabile del Servizio Cimiteriale, lo stato di abbandono di alcune tombe in concessione al cimitero comunale, fra cui quella oggetto di ricorso.

L’ufficio della polizia mortuaria decideva quindi la pubblicazione dell’elenco delle tombe considerate in stato di abbandono all’albo pretorio nonché all’ingresso del Cimitero Comunale e informava che il provvedimento di revoca sarebbe divenuto esecutivo, decorsi trenta giorni dalla pubblicazione del medesimo nell’albo comunale per l’eventuale esame di osservazioni da parte di persone aventi causa degli originari concessionari interessate dalla revoca.

Alla minuziosa documentazione redatta del responsabile del Servizio Cimiteriale era allegata, in esito alla istruttoria espletata per la conoscenza dei dati identificativi dei successori o dei concessionari di tombe cimiteriali, la nota di riscontro dell’Istruttore Direttivo dei Servizi Demografici, da cui si evinceva che agli atti dell’Ufficio: “non risultano dati anagrafici onde verificare eventuali eredi di concessionari di tombe cimiteriali”.

A questo punto, decorso il termine di pubblicazione degli atti, il Comune procedeva alla revoca definitiva della concessione della tomba de qua, oggetto del futuro contezioso, rientrandone d’imperio, in pieno possesso, per una nuova riassegnazione, ma un cittadino, sentendosi parte lesa, impugna l’atto avanti il Giudice Amministrativo,deducendo che, la cerchia dei destinatari del provvedimento di revoca doveva intendersi estesa altresì agli eredi delle persone ivi sepolte nella tomba oggetto di revoca, dal momento che tale provvedimento, quale atto suscettibile di essere trasmesso ai discendenti, andava a pregiudicare direttamente la loro rispettiva sfera giuridica.

Tanto premesso, il T.A.R. Campano ha reputato che il procedimento di pubblicità assunto dal Comune non fosse né utile né idoneo a consentire al ricorrente, quale soggetto interessato e direttamente inciso dal provvedimento di revoca, di acquisire la piena conoscenza o conoscibilità del provvedimento stesso ai fini del decorso del termine decadenziale di impugnazione dell’atto.

Come noto, ai sensi dell’art. 21 della legge 1034/1971 (ora art. 140 Codice di Procedura Civile) il termine perentorio di sessanta giorni per la impugnazione degli atti amministrativi decorre dalla data in cui l’interessato ne abbia avuto la “piena conoscenza” o – solo per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale – dal giorno in cui sia scaduto il termine della loro pubblicazione.

La presunzione di conoscenza legale degli atti, correlata all’espletamento delle formalità di pubblicazione prescritta dalla legge o dai regolamenti si riferisce alla categoria degli atti amministrativi generali, che hanno come destinatari un numero elevato di soggetti.

Nel caso di specie l’atto di revoca censurato avanti al Giudice Amministrativo, non rientra nella categoria degli atti amministrativi generali in relazione ai quali non è prescritta la notifica individuale, trattandosi al contrario di provvedimento avente destinatari determinati.

 

L’art. 21-bis della legge n. 241/1990, per le misure che, come quelle in esame, risultino limitative della sfera giuridica dei privati, richiede infatti che la comunicazione venga effettuata “anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile”. I Giudici Amministrativi territoriali hanno osservato che non può dubitarsi della riconducibilità della revoca di cui è causa all’ambito degli atti “limitativi della sfera giuridica dei privati”, dal momento che essa andava ad incidere in primis sulla destinazione delle spoglie mortali delle persone ancora defunte nella tomba oggetto di concessione perpetua e, in secundis, sull’esercizio dello ius sepulchri, trasferibile in capo agli eredi, jure sanguinis oppure jure successionis, secondo la volontà del fondatore del sepolcro.

Sotto tale profilo deve ritenersi che l’atto di revoca, ancorché perfezionatosi nei suoi elementi costitutivi all’esito del procedimento instaurato dal Comune, non avesse tuttavia acquisito efficacia nei confronti dei destinatari, non avendo il Comune adottato le forme di notifica peculiari prescritte dalla legge per gli atti limitativi della sfera giuridica dei privati.

In conclusione, il ricorso è stato ritenuto fondato e ha quindi trovato accoglimento.

 

Dopo questa necessaria prolusione per ciò che concerne la comunicazione di atti aventi come destinatari soggetti determinati, la legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, all’art. 8, per quanto riguarda l’avvio del procedimento, rimette all’amministrazione la scelta in ordine alle forme di pubblicità “di volta in volta ” idonee nei casi in cui la comunicazione personale risulti “particolarmente gravosa”. Nel caso di specie, le modalità di comunicazione di cui all’articolo 7 della legge n. 241/1990 sono state precisamente determinate dal Comune, dato che l’articolo 36 del regolamento di polizia mortuaria, non gravato in parte qua, al comma 4 stabilisce che l’avvio del procedimento di revoca della concessione è notificato agli interessati, se noti, e affisso all’albo pretorio del Comune e all’ingresso del Cimitero, a cura del Direttore dei Servizi Cimiteriali.

Ciò posto, i destinatari del provvedimento di revoca dovevano considerarsi non noti per il Comune intimato all’epoca dell’avvio del procedimento di revoca.

Pertanto ai soli fini della comunicazione di avvio del procedimento deve considerarsi sufficiente la formalità di pubblicazione espletata, avendo del resto avuto esito negativo le ricerche anagrafiche espletate presso l’Ufficio comunale di competenza

Alla luce delle argomentazioni esposte i Giudici Amministrativi campani hanno quindi respinto le censure mosse avverso l’atto impugnato per violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 dal momento che, per la comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione ha osservato le ordinarie modalità di pubblicazione giustificate per la natura gravosa della comunicazione ai sensi dell’art. 8. L. n. 241/1990.

 

Si mediti, in generale, su questa giurisprudenza del Giudice della nomofilachia: Cass. Civ.le, Sez. Unite, 9 marzo 1981, n. 1300: “Per conseguire quell’ideale coincidenza tra la conoscenza legale e quella effettiva della diffida, e conseguentemente evitare di porre in essere un atto di decadenza nullo, per violazione dell’obbligo di comunicazione, il procedimento che la p.a. dovrebbe adottare si sostanzia nello svolgimento di accurate e complete ricerche anagrafiche degli aventi titolo; qualora queste non sortissero i risultati sperati, il ricorso alle pubbliche affissioni [n.d.r.: art. 140 Codice di Procedura Civile] appare l’ultima reale possibilità che ha la p.a. di adempiere all’obbligo di comunicazione”.


Ove, però, l’atto ablativo su una concessione venisse (illegittimamente) applicato su un sepolcro in cui il fondatore primitivo fosse privo di aventi causa (discendenti o anche eredi come extrema ratio), per l’estinzione del ramo famigliare, nessuno potrebbe impugnare avanti al Giudice Amministrativo il provvedimento, stante la carenza sia della legittimazione attiva sia dell’interesse ad agire (art. 100 Codice di Procedura Civile), inteso quest’ultimo come utilità che il soggetto ricorrente può ritrarre dall’esperimento del rimedio giudiziario.

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Carlo Ballotta

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4 thoughts on “Atti ablativi sulle concessioni cimiteriali e principio di pubblicità del procedimento ex Artt. 7, 8 e 21- bis Legge n. 241/1990.

  1. Vorrei sapere se la curia può in qualche modo espropriare la tomba di famiglia di nostra proprietà ad uso perpetuo.Premetto che non stiamo pagando le spese di pulizia del cimitero in quanto non vengono eseguite sulla nostra tomba di famiglia anzi gli alberi del cimitero rovinano il tetto della suddetta tomba”.

    1. X Jerry,

      Gli elementi a disposizione per scrutinare attentamente il caso sono scarsi e lacunosi.

      Ora, arguendo per progressive intuizioni: se c’è di mezzo la Curia suppongo si tratti o di un cimitero particolare o privato (fattispecie storica residuale e tollerata ancora dall’attuale ordinamento giuridico italiano di polizia mortuaria ex art. 104 comma 4 D.P.R. 10 settembre 1900 n. 285 a due precise condizioni:

      deve infatti, pre-esistere nel suo impianto ed effettivo esercizio, all’entrata in vigore del Testo Unico Leggi Sanitarie di cui al R.D. n. 1265/1934, con cui si sancì l’esclusività comunale nell’erogazione del servizio cimiteriale.
      è, comunque, sottoposto alla vigilanza igienico-sanitaria del Comune

      o più difficilmente di un semplice reparto del cimitero comunale dato in concessione ad Ente Religioso dalla personalità giuridica riconosciuta (Legge n. 222 del 20 maggio 1985 il quale a sua volta, secondo il proprio ordinamento statutario, cede il diritto d’uso ai propri appartenenti.

      Strano si parli di esproprio, questo istituto civilistico se non per pubblica utilità (in questa evenienza normato dal D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) riguarda solitamente rapporti di diritto squisitamente privato, di solito in ambito cimiteriale si dovrebbe ragionare in termini di questi istituti: requisizione, revoca per interesse pubblico o decadenza-sanzionatoria.

      Secondo me, almeno, si potrebbe configurare una decadenza sanzionatoria per grave inadempienza contrattuale, ma non escludo altre ipotesi parimenti verosimili.

      Ritengo, pertanto si tratti di un cimitero parrocchiale, cioè privato Ce ne sono ancora diversi, sparsi su tutto il territorio nazionale.

      Dipende, in estrema sintesi, dal contratto originariamente stabilito tra le parti contraenti (ente ecclesiastico e privato cittadino), vale adire: il titolare dell’impianto può aver inserito tra le clausole contrattuali anche un’ obbligazione (canone manutentivo) cui soggiace necessariamente l’utente intestatario della cappella funeraria. Sulle reciproche inadempienze…omissis, titolato a pronunciarsi sarà il giudice ordinario in sede civile.

  2. X Nicoletta,

    Rispondo alla Sua richiesta con quattro premesse

    1) se i defunti tumulati (illegittimamente? Sine Titulo? https://www.funerali.org/cimiteri/tumulazione-illegittima-373.html) sono veramente estranei al nucleo famigliare del concessionario primo, o fondatore del sepolcro di cui all’art. 93 comma 1 I Periodo del regolamento nazionale di polizia mortuaria di cui al D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285; ed a questi fini la definizione canonica di “famiglia” è fornita dal combinato disposto tra l’atto concessorio ed il regolamento comunale di polizia mortuaria, quale normazione di dettaglio.

    2) se per estendere il titolo di accoglimento a persone terze rispetto alla famiglia del fondatore del sepolcro non è stato attivato il rischioso istituto della benemerenza ex art. 93 comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, sulla base della locale regolamentazione funeraria, ed in ogni caso possibile solo dal 27 ottobre 1990.

    3) se il sepolcro non è stato istituito come ereditario, o in esso non si è tramutato, ed è, pertanto, di essenza eminentemente famigliare, e tale dato si evince consultando attentamente il contratto di concessione.

    4) se per effetto di ripetuti subentri mortis causa (https://www.funerali.org/cimiteri/la-morte-del-concessionario-e-listututo-del-subentro-7523.html) non è variata l’originaria titolarità della concessione, da cui poi “giù per li rami” discende il diritto di sepolcro.

    Allora:

    Come ci ricordano molteplici e storiche pronunce della Suprema Corte di Cassazione lo jus sepulchri primario, consistente nelle duplice facolta di dare o ricever sepoltura, ha natura ancipite, cioè ibrida di diritto reale, patrimoniale nonchè personalissimo.

    In ordine allo ius sepeliendi, può configurarsi l’esercizio del potere di fatto, qualificabile come possesso (art. 1140, comma 1, cod. civile.), tutelabile con l’azione civilistica di
    manutenzione ex art. 1170 Cod. Civile.

    L’esercizio del possesso della cappella non potrebbe essere costituito da altri atti che non fossero l’inferre mortuum in sepulchrum, poiché il possesso stesso è attuabile solo entro i limiti della destinazione del bene, oltre i quali vale il regime delle cose indisponibili e l’attività (che altrimenti corrisponderebbe alla situazione di fatto) rimane senza effetti (art. 1145 c.c.).
    Secondo un diverso orientamento, il diritto primario di sepolcro non può considerarsi di natura reale, essendo accordato a tutela di un interesse che viene soddisfatto, e, quindi, si estingue, nel momento stesso nel quale la salma viene deposta nel sepolcro. Si è detto, poi, che la natura personale dello ius inferendi non impedisce che dia luogo, nella sua attuazione, a rapporti
    giuridici e a diritti di contenuto patrimoniale. Il diritto in esame dovrebbe qualificarsi, perciò, come un diritto di uso di carattere personale, comunque (anche secondo questa ipotesi ricostruttiva), suscettibile di tutela in via possessoria, ex art. 1168, comma 2o, cod.civile., nei limiti in cui può ritenersi importare una detenzione della res, ossia del bene sepolcrale.

    Si rammenta, infine, che per ogni immissione di feretro in cappella privata ex art. 102 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, il Comune per evitare abusi o forzature deve attentamente valutare e ponderare il titolo di accettazione di quel determinato defunto in quel particolare sacello privato e gentilizio.

  3. Nella cappella di famiglia sono stati messi defunti che non sono eredi diretti. Potrei contestare al comune la loro presenza?

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