Assenza di titolo concessorio: un ultimo appunto…

Nell’ipotesi, estrema ed esiziale, che il non reperimento degli atti di concessione derivasse dalla loro totale omissione illo tempore, fatte salve le possibili responsabilità personali (probabilmente cadute in prescrizione, o comunque estintesi, anche per sopraggiunta morte delle persone coinvolte, stiamo infatti ragionando di concessioni molto risalenti nel tempo), non resterebbe che addivenire a questa dolorosa (almeno per i presunti concessionari e loro aventi causa… se c’è stato subentro!) conclusione: la concessione cimiteriale è tamquam non esset, inesistente e, al più, si potrebbe pure esser concretizzato, nel tempo, un uso della tomba sine titulo, ovvero senza legittimazione alcuna, ossia  un’occupazione di fatto o, meglio, abusiva, la quale andrebbe sanata con la rimozione, a totale onere dell’occupante, delle spoglie mortali prive di Jus Sepulchri e, dunque, deposte senza titolo in quel determinato sepolcro oggetto di indagine.
Ciò, con la corresponsione degli oneri (almeno per i periodi non perenti, in quanto già caduti in prescrizione ex Art. 2946 Cod. Civile?), e loro interessi nella misura del saggio legale (ex Artt. 1277 e 1284 Cod. Civile), secondo i vigenti canoni concessori stabiliti dal Comune, in base agli odierni parametri contabili generali dettati dall’Art. 4 comma 2 lett. a) e b) D.M. 1 luglio 2002 emanato ex Art. 5 comma 2 L. n. 130/2001 o, in loro mancanza, di somme non inferiore ad un pro-rata annuo delle tariffe di concessione presenti nel tempo, derivanti dall’indebito utilizzo di beni di proprietà comunale, aventi, tra l’altro, essenza demaniale, con questa ulteriore puntualizzazione: eventuali, protratte ed ingiustificate inerzie nell’assumere i dovuti provvedimenti produrrebbero danno erariale ai termini dell’art. 93 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif, per omessa tutela della posizione dell’amministrazione locale titolare del manufatto demaniale, con segnalazione di rito alla Corte dei Conti, Sez. Regionale, l’azione, comunque, si prescrive in cinque anni.

Eventuali opere murarie, costruite sull’area cimiteriale e demaniale, con annesse suppellettili d’arredo funebre, appartengono al proprietario del suolo (per accessione; Artt. 934 e ss. Cod. Civile) salvo il pagamento del valore dei materiali impiegati (art. 936, comma 2 Cod. Civile) al prezzo originario del loro acquisto, senza attualizzazioni (in ossequio al il principio nominalistico di cui all’art. 1277 Cod. Civile) e laddove tale costo sostenuto risulti provato da titoli idonei (fatture, quietanze altri documenti regolari anche fiscalmente).
Appare evidente, e persino lapalissiano, come queste considerazioni, soprattutto le ultime, non possano sempre essere agevolmente oggetto di relazioni positive e, soprattutto, costruttive e collaborative tra l’amministrazione comunale e i soggetti, privati cittadini, che ritengano, spesso anche in buona fede, di essere titolari di diritti già acquisiti e perfetti sulle concessioni cimiteriali.

Attenzione, però: in realtà è possibile che le tombe siano pervenute alle odierne famiglie (occorre, a tal proposito, ristabilire la discendenza nei rami famigliari e il riconoscimento del rapporto di coniugio o filiazione, o quello di parentela può essere dato con le ordinarie forme delle certificazioni di stato civile e di anagrafe, tenendo presente il disposto dell’art. 3 D.P.R. 2 maggio 1957, n. 432. A questo proposito, va ricordato sia l’art. 18 L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif., sia l’art. 43, comma 1 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e succ. modif.) non solo attraverso diretta concessione del Comune, ma anche per atto inter vivos (compravendita) o mortis causa (successione), quindi a titolo derivativo, sin quando questo trasferimento fosse stato legale.
Difatti, una vecchia legislazione dell’epoca pre-repubblicana avrebbe pure consentito la cessione fra privati di manufatti cimiteriali (art. 71 comma 2 ess. del R.D. 21.12.1942, n. 1880) o la loro trasmissione ure haereditatis, mentre ciò, ora, non è più ammesso dalla Legge, precisamente dal 10 febbraio 1976.
È, ad ogni modo, il privato cittadino a dover esibire il titolo che certifichi la concessione comunale nell’epoca in cui essa avvenne.
Purtroppo, talvolta, i contratti originali non sono più disponibili, per cui la famiglia interessata dovrebbe effettuare un esame approfondito su come essa sia giunta in possesso dei sepolcri de quibus anche attraverso incontri informativi con suoi membri e componenti.

Potrebbe esser abbastanza agevole comprovare che vi sia stato un uso continuativo della Cappella da parte della famiglia nel tempo (attraverso lo studio dei registri cimiteriali che sono in archivio comunale, o pure producendo agli atti eventuali permessi di costruzione degli edifici sepolcrali rilasciati solitamente ex post rispetto all’atto concessorio, o anche l’elenco, corredato da materiale fotografico, delle iscrizioni tombali da cui evincere tutti questi elementi).

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Carlo Ballotta

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