Se sia nelle cose che la Lettera del Presidente (Federcofit) di ottobre presenti un editoriale riguardante la presentazione del D.d.L. AS 1611 e della Conferenza-stampa tenutasi l’8 ottobre 2014, meno comprensibile risulta il suo contenuto (non solo per la sua individuazione di “nemici” fin dalla prime righe, includendovi anche illazioni sui partecipanti alla conferenza-stampa). Appare del tutto privo di senso l’asserzione secondo cui si sia in presenza di un baratto e mercimonio tra soggetti rappresentativi di interessi “particolarissimi”, di fronte al fatto che il testo si presenta come un’elaborazione che va in tutt’altra direzione, essendo, forse per la prima volta, dopo alcuni tentativi formulati da singoli soggetti rappresentativi, che viene elaborato un testo che , oltre a tenere presente come la situazione attuale sia ben diversa da quelle che si avevano nel passato, evidenzia una “visione” non solo moderna, ma, soprattutto, generale, in cui si considerano i diversi interessi, in funzione di una loro coerenza con quelli più generali, in primis la centralità delle Famiglie in lutto, affrontando le specificità di un settore in termini di “sistema”. Cioè, tutt’altro che una qualche difesa di particolarismi, atteggiamento che, semmai, è del tutto chiaramente individuabile in altri e per fatti concludenti, anche come metodo. Che si sia in presenza di un intervento un po’ sopra le righe appare evidente, non solo da riferimenti a questo o quel personaggio, così come l’attribuzione di mire (verrebbe da richiamare, le motivazioni, gli attori, le questioni ed i modi (ed altro) con cui si sia addivenuti alla costituzione di Federcofit, frantumando quella che allora era un’unica Federazione, nonché e nonché le diverse vicende avutesi di seguito, cosa che pochi ricordano e molti non hanno avuto modo di conoscere), specie considerando come se tutto stia nella doglianza di una non partecipazione a fasi di elaborazione del testo sarebbe il caso, prima di assumere posizioni, di fare un esame di coscienza per cercare di comprendere se non vi siano stati elementi che abbiano prodotto questa non partecipazione, poiché un coinvolgimento richiede una valutazione della qualità dell’apporto che possa essere dato. Non si considerano le affermazioni, auto-giustificazioniste, che contrappongano norme nazionali “vecchie” (che se, al di là delle epoche, siano non più attuali, queste possono essere adeguate) e norme regionali vicine ai problemi (o, più agevolmente accessibili a interessi particolarissimi?), per il fatto che questo significa voler ignorare, non solo come questa “vicinanza” sia tutt’altro che oggettiva, ma soprattutto il fatto che queste ultime hanno portato a situazioni, a volte ingestibili, di dis-articolazione nel settore, non solo per il fatto che, come gli operatori ben sanno, si tratta di attività che non si esauriscono in un ambito territoriale predeterminato, tutt’altro. Se, in materia di servizi, l’orizzonte di operatività sia ormai quello proprio dell’Unione europea, appare frutto di una visione paesana il solo proporre che il sistema di regolazione di un settore sia contenuto in ambiti territoriali sub-nazionali. Si trascura, infine, come in non una sola occasione si formulino valutazioni su ipotesi di cimiteri privati, affermando, oltretutto, che la loro gestione costituisca un grande vantaggio, affermazione che prova la non conoscenza delle dinamiche – reali – delle risorse dei cimiteri, ma anche l’ignoranza circa cosa comporti una gestione cimiteriale. Probabilmente, la visione è distorta da una tale non conoscenza, fermandosi a sensazioni superficiali, in cui nessuna seria valutazione economica, di medio-largo respiro, è tenuta presente, mancando gli elementi per formulare un qualsiasi piano economico-finanziario con orizzonti temporali non limitati ad alcuni anni, o decenni, ma a tempo indeterminato. Il fatto che sia improponibile mirare a questo non si motiva con principi astratti, ma, semplicemente, con il fatto che un’impresa (nel senso proprio del termine) non può essere richiesta di assicurare la continuità operativa se non abbia ricavi adeguati (incluso l’imprescindibile utile), e ciò anche nel tempo, allorquando i ricavi vengono a ridursi, se non a cessare. Non è un caso che nei paesi (definiti: moderni) in cui tali attesi istituti sono, o sono stati, presenti, le gestioni private dei cimiteri hanno registrato insolvenze (determinando l’esigenza di un re-intervento di soggetti non privati, con oneri a carico delle collettività) o, dopo avere scontrato le insolvenze, sono state adottate metodologie di garanzia, prevedendo (es.) che una quota, neppure secondarie, dei ricavi attuali sia destinata a soggetti terzi (in genere, fondi specifici), in modo che le risorse così affluite possano essere destinate, nel momento in cui sorgono le insolvenze, alla continuità; il ché comporterebbe un incremento delle tariffe per l’uso, tariffe non riferibili a quelle “comunali”, troppo spesso “sotto costo”, ma quelle economicamente determinabili con criteri di ordinaria contabilità aziendale, imprenditoriale. Appare necessario il confronto sul testo, sui contenuti, cioè nel merito e non sulle primazie o sulle paternità, né su asseriti, da altri, schieramenti che, semmai, proverebbero come di fronte alla destrutturazione fatta produrre nel settore, vi è pur sempre la possibilità, anche in presenza di differenze, di trovare punti di condivisione tra soggetti che mirino a una “visione” di un’adulta crescita nel settore. Ed è quest’ultima a contare. Sereno Scolaro