Articolo 77 comma 1 D.P.R. n. 285/1990, paragrafo 3 Circolare Sanità n.10 del 31/07/98 – Quando occorre provvedere davvero al rifascio del feretro?

Un’impresa funebre ci ha segnalato un caso piuttosto problematico, in cui si è venuta a trovare durante un’estumulazione straordinaria.
Il valore didattico di questo episodio ci è subito parso di notevole valore, così lo sottoponiamo all’attenzione del nostro pubblico.


Gentile redazione,
durante un’estumulazione straordinaria si è verificato un singolare episodio.

Quando abbiamo rimosso lapide e tamponatura per aver diretto accesso al feretro:
1. Il cofano ligneo, dopo soli 5 anni di sepoltura in cella muraria, presentava ampie superfici intaccate da una muffa biancastra.
2. Nel loculo, tuttavia, all’atto della smuratura, non si rilevavano tracce o infiltrazioni d’umidità, nè residui di liquame cadaverico, ancora allo stato liquido oppure rappreso.
3. All’apertura del tumulo non si è sprigionato l’olezzo acre e potente tipico della putrefazione cadaverica.
4. Per prudenza si è deciso di attendere il parere dell’autorità sanitaria. Così ha deciso la direzione del cimitero, poiché nella mia Regione, per effetto di un’apposita norma, è il gestore dell’area sepolcrale a dover assicurare i controlli sulla perfetta tenuta della bara, di cui al comma 2 dell’Art. 88 D.P.R. 285/90, avvalendosi dell’autorità sanitaria, unicamente quando emerga un problema di ordine igienico-sanitario.

Da parte dei famigliari, che hanno presenziato all’estumulazione, sono state rivolte pesanti accuse alla mia impresa funebre, siccome, secondo loro, 5 anni addietro, quando fui io stesso a curare quel particolare funerale, noi avremmo fornito un cofano non conforme alle disposizioni di legge.

Come posso tutelarmi da questa, secondo me, almeno, ingiusta aggressione?

Lettera firmata


Gentile Sig. XYZ,
ci sono subito alcune premesse necessarie per enucleare correttamente il problema.

Ai sensi del comma 2 Art. 88 del DPR 285/90 l’estumulazione di un feretro, da avviare a nuova sepoltura, (sarebbe concettualmente più corretto parlare non di estumulazione, ma di semplice traslazione, siccome il feretro sarà nuovamente tumulato) può esser autorizzata solamente quando si sia constatata la perfette tenuta stagna della bara a fluidi e gas post mortali.
Si tratta di una condizione imprescindibile, perché la bara potrebbe esser trasportata anche in un altro cimitero, e poi, anche se la traslazione avvenisse entro lo stesso recinto cimiteriale, le casse da tumulazione debbono sempre garantire la totale ermeticità, per tutto il periodo di permanenza nella tomba.

Ai sensi del paragrafo 3 della circolare ministeriale n. 10 del 31 luglio 1998 (trattamenti consentiti all’estumulazione) solo per resti mortali inconsunti, ma privi di parti e tessuti anche residualmente molli, è consentita la tumulazione senza l’obbligo della duplice cassa ermetica.
Questa definizione è assai critica: chi può stabilire con certezza l’avvenuta mineralizzazione delle parti molli? I necrofori saranno costretti a palpare torace, arti e glutei dei resti mortali?
La criticità operativa, come lei stesso converrà, è notevole e di dubbia soluzione.

Un cadavere, in forza della suddetta circolare, della Legge 130/2001 e del D.P.R. n. 254 15 luglio 2005, diventa automaticamente un semplice resto mortale e, paradossalmente, non più un “cadavere” dopo 10 anni dall’inumazione e 20 dalla tumulazione stagna.
Siccome, nella fattispecie in esame, stiamo parlando di un cadavere sepolto in tumulo da appena 5 anni (quando la decomposizione, almeno in teoria, dovrebbe esser nel suo pieno sviluppo), per una nuova sepoltura in cella muraria occorre, sempre e comunque, il feretro saldato a fuoco o con altro mezzo equivalente (chiusura a freddo con particolari colle o mastici), tale da assicurare l’impermeabilità ai miasmi cadaverici, come, tra l’altro, indicato espressamente dall’Art. 77 comma 1 del DPR 285/90.
Ora, possiamo procedere solo per ipotesi, poiché nessuno conosce in quale stato versi davvero il cadavere all’interno della doppia cassa (il feretro, infatti, non è stato scoperchiato e non è possibile aprirlo autonomamente senza autorizzazione del comune, dell’AUSL territorialmente competente o della magistratura).

Innanzi tutto bisogna valutare se:
* La cassa di legno non sia stata indebolita dall’azione della muffa e sia ancora in grado di assicurare adeguata resistenza allo stress meccanico, provocato dal peso inerte del cadavere e dagli stessi gas putrefattivi (il legno è ancora intatto e solido sotto il velo di muffa? Lo spessore delle assi presenta segni di erosione o sfaldamento?).
* La cassa di legno non accusi, nella zona di congiunzione tra le assi del fondo e tra il fondo stesso e le pareti laterali, segni di affaticamento (assi schiodate, giunture forzate, giochi anche di diversi millimetri tra le assi..).
* La cassa in lamiera non sia stata corrosa dall’acidità dei liquami (l’operazione è piuttosto difficile perché bisognerebbe sfilare il cofano zincato da quello di legno, così da ispezionarne soprattutto il fondo; lì infatti, per gravità si accumula il percolato cadaverico).

Per spiegare questo curioso fenomeno si possono prefigurare almeno due situazioni:
* Un fungo, che alligna nel colombario, (si pensi a cimiteri molto vecchi, in cui i loculi delle gallerie sotterranee, dove di solito c’è più acquosità, erano realizzati con mattoni e non con il cemento) ha permesso il formarsi sulla superficie del feretro di una strana patina biancastra, ma la bara è ancora intatta.
* La muffa è dovuta allo scoppio del feretro, ma per qualche misteriosa ragione il liquame fetido si è trasformato in una formazione fungina, magari a causa di qualche microrganismo presente nell’ambiente esterno; ecco il motivo per cui non si avverte il lezzo nauseabondo, che di solito accompagna i più classici fenomeni percolativi.
Personalmente, in via del tutto empirica e con beneficio d’inventario – s’intende – propenderemmo per la seconda possibilità, anche perché, se davvero il cimitero fosse invaso da miceti, tutti i feretri recentemente estumulati sarebbero interessati dalla presenza di muffa.

Le spieghiamo il motivo di questa supposizione.
Quando, molti anni fa ormai, si testavano la prime tipologie di loculi ad areazione controllata, in alcuni comuni della Sardegna e del Lazio si tumularono cadaveri racchiusi solo entro cassa lignea, mentre i loculi erano dotati di filtri per pulire, attraverso un sistema di microareazione a circuito chiuso, i composti aeriformi rilasciati dalla decomposizione.
All’atto dell’estumulazione straordinaria, dopo alcuni mesi, il loculo era asciutto, non si rilevavano odori disgustosi e i cofani erano parzialmente ricoperti solo da strati di muffe e non da incrostazioni.
I processi ossidativi, che si innescano quando c’è scambio d’aria fresca ed asciutta tra loculo ed ambiente esterno, avevano silenziosamente degradato i liquidi cadaverici attraverso una naturale essicazione.
Forse, anche nel caso oggetto di studio, è accaduto un evento simile, oppure si tratta di saponificazione, con i tessuti molli che non colliquano ma si convertono in adipocera.
L’adipocera si rivela come una sostanza grigiastra, simile al sapone, che emana un odore rancido e che si estende in tutto il pannicolo adiposo sottocutaneo. Così il cadavere appare rivestito da un involucro di grasso cadaverico, le masse muscolari, invece, sono solo parzialmente interessate da questa mutazione chimica.

La descrizione da Lei riportata lascia, comunque, pensare ad una trasformazione post mortale, in grado di liberare parecchi liquidi, che si sarebbero poi infiltrati nella cassa di legno.
Gli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo non sono prevedibili.. a tavolino, quindi l’impresa non ha alcuna responsabilità in merito, se attesta e certifica di aver confezionato il feretro, secondo i requisiti tecnici di cui all’Art. 30 e seguenti del D.P.R. 285/90.
Si configurerebbe un reato, se l’impresa surrettiziamente non avesse dotato la cassa di nastro metallico, reggette (paragrafo 9 circolare n. 24 del 24/06/1993) oppure valvola o ancora altro dispositivo, volto a neutralizzare i gas putrefattivi (Art. 77 comma 3 DPR 285/90) o, se ancora, nell’intercapedine tra le due casse non avesse sistemato materassino assorbente, oppure uno strato di polvere idrofila per trattenere eventuali perfusioni di liquidi.

In ultima analisi sulla bara, ai sensi del comma 12 Art 30 DPR 285/90, è impresso il sigillo del costruttore, cui si potrà fare riferimento, qualora si accerti che è stata violata la legge o non sono stati rispettati i criteri strutturali, dettati dalle norme di polizia mortuaria.
Come indicato in precedenza si ritiene, in via prudenziale, quanto meno opportuno e consentaneo il rifascio del feretro, in questione, con un nuovo cassone di zinco, questa volta esterno, se non si riscontra la completa integrità del feretro originario, allora ogni ulteriore intervento sarebbe pressoché superfluo, ma su quest’aspetto è bene si pronunci l’autorità sanitaria.
Tale accorgimento permetterà il trasporto ed una nuova sepoltura, con tutte le cautele igienico-sanitarie del caso (in effetti, dopo una fase di relativa stasi, la decomposizione potrebbe riprendere con notevole produzione di materiale putrefattivo).

Anche se non si avvertono odori acri e violenti, oppure vistose perdite di liquidi, bisogna sempre prestare massima attenzione nel movimentare la bara; la perfusione di composti aeriformi o fluidi ad alto contenuto batterico (il cadavere di cui sopra, ad esempio, potrebbe esser portatore di malattia infettivo-diffusiva), tra feretro ed ambiente esterno, rappresenta per i necrofori un altissimo pericolo di danno biologico  da non sottovalutare mai.
Alcune imprese adottano questa politica della qualità: rispondono di eventuali rotture del feretro, anche al di là del tempo massimo di garanzia previsto dal Codice del Consumo (artt. 128 e segg.), proprio per preservare una buona immagine.. magari regalando anche il cassone di zinco.
L’acquisto di un cassone da avvolgimento, nell’economia generale di una ditta, non rappresenta certo una spesa da tracollo, al contrario può esser un gesto importante per mantenere e corroborare il rapporto di fiducia tra l’impresario e la sua potenziale clientela.

Il messaggio negativo ed assolutamente ingiusto di un’impresa funebre, che spaccia cofani di bassa qualità, tra l’altro illegali, potrebbe esser deleterio, soprattutto nel breve o medio periodo, sino a quando non si sia fatta luce sulla vicenda.
Nella speranza di esserLe stati d’aiuto,
Le formuliamo i nostri più sinceri saluti.

Written by:

Carlo Ballotta

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