Attorno alla pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ., 4 settembre 2018, n. 21598 (reperibile anche nella sezione SENTENZE per gli Abbonati PREMIUM) è stata sollevata, da osservatori attenti, una questione, partendo dal presupposto che, in genere, tale istituto operasse quale metodo di prova presumptio juris tantum, specie per le concessioni molto risalenti nel tempo, richiedendo un’eventuale valutazione sulla reale portata di questa sentenza, in qualche modo “storica”, perché parrebbe legittimare l’istituto dell’immemorabile come strumento di rimedio anche amministrativo e non solo giudiziale, quanto meno laddove afferma che il riconoscimento da parte del comune della titolarità del diritto di sepoltura privata esercitato da tempo immemorabile su aree o porzioni di edificio in un cimitero pubblico configuri una concessione amministrativa di beni soggetti al regime demaniale.
In realtà, questo assunto non contraddice impianti precedenti. In linea di massima, tale istituto (si ricordi: pre-Unitario!) ha quella natura di “presumptio juris tantum” che la dottrina (e la giurisprudenza) gli hanno costantemente riconosciuto, tanto che – di norma – l’accertamento della sussistenza del “diritto senza titolo” (ché di questo si tratta), specie quando si tratti di diritti che richiedano la sussistenza di un “titolo” (in materia di concessioni cimiteriali, si può richiamare l’art.98 d.P.R. 10 settembre 1990, n.285 e s.m. (ma anche le norne ad esso corrispondenti della previgente normazione) dove il “titolo” (regolare atto di concessione) è condizione, vorremmo dire pre-condizione, perché sussistano, e siano riconoscibili, altri diritti “a valle”, in caso di soppressione del cimitero), il cui accertamento non può sottrarsi dalla funzione giurisdizionale.
Per altro, poiché, nel passato, più o meno lontano, si sono avute situazioni in cui, per diverse motivazioni, le concessioni cimiteriali non sonio state supportate da “regolare atto di concessione”, talora qui o là alcuni comuni hanno inserito nei propri Regolamenti comunali di polizia mortuaria, un richiamo all’istituto (talora, spesso neppure conoscendone le caratterizzazioni, natura, ecc. ), con ciò introducendo un procedimento amministrativo in funzione di prevenzione del (necessario) accertamento giudiziale della sussistenza del diritto purché in assenza di “titolo”, regolamentazione (comunale) che trova oggi fondamento nella previsione dell’art. 117, comma 6, terzo periodo Cost., che qualifica il Regolamento comunale come norma di rango secondario, non solo (oggi) di derivazione da norme di rango primario, ma anche costituzionali.
Ovviamente, se ciò sia previsto (dal Regolamento, mai dalle prassi …). il relativo procedimento viene a concludersi con una atto finale (sia che esso abbia esito positivo, che negativo), atto finale che, se positivo, assume, de facto, natura (surrogatoria) di “titolo”, così da produrre gli effetti del “titolo” originariamente mancante. In questo senso, l’assunto, traibile dalla sentenza da cui si è partiti, per cui il riconoscimento da parte del Comune della titolarità del diritto di sepoltura privata esercitato da tempo immemorabile su aree o porzioni di edificio in un cimitero pubblico configuri una concessione amministrativa di beni soggetti al regime demaniale. Ne consegue che non vi sono particolari innovazioni, ma, solo, si da conto che, accertata la sussistenza del diritto, questo accertamento produce gli affetti che avrebbe prodotto il “regolare atto di concessione”, se fosse stato, come sarebbe dovuto aversi, presente fin dall’origine.
Sul tema, sarà interessante valutare quale sia l’assunto cui pervengano le SS.UU.Civ. della Corte di Cassazione, in conseguenza dell’ordinanza 10 dicembre 2019, n. 32241, anche se, qualora si abbiano presenti pronunce della giustizia amministrativa, si potrebbe osare ipotizzare un determinato orientamento.