“la concessione non è un contratto privato gestibile in piena autonomia, ma essa, al contrario, implica degli obblighi pubblici nell’interesse della collettività, a cui la società si deve attenere”.
Nella monumentale opera giuridica di Cicerone emerge un concetto, in un certo senso, conforme al diritto italiano vigente (nello jus positum: art. 824 comma 2 Cod. Civile, e art. 92 comma 4 D.P.R. n. 285/1990.
L’espressione del grande oratore ed avvocato dell’antica Roma Repubblicana, può essere accostata a Hoc monumentum heredem non sequitur espresso anche con l’acronimo H.M.H.N.S. come indicazione che il monumento funebre sarebbe diventato un bene indisponibile anche per l’erede, che pertanto non avrebbe potuto, certo, deciderne a suo piacimento. In tal modo il diritto degli dèi Mani avrebbe trovato il dovuto rispetto anche dalle generazioni future.
Ma, anche in epoche recentissime (ex multis art. 71 commi 2 e segg. R.D. n. 1880/1942, abrogato solo dal 10 febbraio 1976, con l’entrata in vigore del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria – D.P.R. n. 803/1975, poi novellato dall’attuale D.P.R. n.285/1990 che ne replica il contenuto) non è stato sempre così.
Vi proponiamo, allora, una piccola antologia di citazioni d’autore, massime di sentenze e dottrina, pazientemente collazionate dal Prof. Sergio Foà, in un parere pro veritate reso ad un Comune italiano, documento, nella sua versione integrale, liberamente rinvenibile in rete.
Appare consentaneo scrutinare la questione relativa alla trasferibilità dei diritti dei concessionari di aree cimiteriali.
A tal proposito, nonostante il diritto romano ritenesse la sepoltura, col terreno ad essa pertinente e con gli oggetti destinati alla conservazione ed all’ornamento del cadavere, res religiosa (in base al principio quidquid destinatum diis manibus, sacrum vocabitur) e come tale extra-patrimonium, giurisprudenza e dottrina coeva alla vigenza dei vecchi regolamenti di polizia mortuaria emanati, in evo post-unitario, dal Regno d’Italia, concordano nel ritenere che i diritti nascenti dalla concessione di aree cimiteriali siano «commerciabili, e perciò alienabili, prescrittibili e trasmissibili per successione», indipendentemente, peraltro, dal carattere demaniale dei cimiteri (Cons. St., sez. Interni, 14 dicembre 1937; «nel diritto vigente il sepolcro, non ancora occupato, con destinazione perpetua, da un cadavere, non è escluso dalle cose commerciabili, e perciò possono cedersi, mediante atto tra vivi, le ragioni sopra una tomba privata»: Corte App. Torino 13 novembre 1931; «i sepolcri costituiscono un bene patrimoniale giuridicamente protetto accompagnato da tutte le azioni poste dalla legge a tutela dei beni.
I poteri discrezionali dell’autorità comunale non hanno nulla a che vedere in rapporto all’alienabilità dei sepolcri. I sepolcri di famiglia sono alienabili»: Trib Palermo 25 luglio 1932; «né dai principi generali, né dalla legislazione positiva si può trarre fondato argomento per ritenere che il sepolcro sia sottratto alla regola, generale e fondamentale del nostro ordinamento, della libera disponibilità dei beni»: Cass. civ., sez. I, 6 maggio 1935; in termini Cass. civ., sez. I, 1 giugno 1936; «dal carattere reale del ius sepulcri deriva la conseguenza, concordemente ammessa, dell’alienazione del sepolcro; l’esercizio di un tale diritto va inteso in rapporto al titolo di concessione, il quale non contiene una cessione di proprietà in senso assoluto ed irrevocabile, ma costituisce un atto amministrativo, da cui derivano diritti limitati e subordinati al pubblico interesse, e che potrebbe anche essere revocato in caso di abuso (quando, ad esempio, sul sepolcro venisse fatta una illecita speculazione mediante il commercio di loculi)»: C. CATERBINI, L’esercizio del “ius sepulcri” in caso di tomba familiare o gentilizia, cit., 925; lo ius sepulcri è un vero e proprio diritto reale patrimoniale e «la commerciabilità delle res publico usui destinatae vien meno in quanto è incompatibile con tale destinazione.
Talchè sopra il cimitero possono ammettersi quei rapporti di diritto privato, che non sono incompatibili con la destinazione di esso. Anzi la concessione dello ius sepulcri non solo non è incompatibile con tale destinazione, ma entra nell’orbita di essa, si può dire che vi si immedesima»: C. FADDA, Nota ad Appello Brescia 4 ottobre 1887, cit., 429; «il diritto al sepolcro ha un contenuto reale patrimoniale, onde, in principio, costituisce un bene non sottratto al commercio»: Corte d’appello di Bologna, 17 dicembre 1936; giurisprudenza recente conferma che trattasi di diritto «alienabile, prescrivibile ed espropriabile, salvo le particolari limitazioni previste dai regolamenti comunali»: Cons. St., Sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294 e Cass., S.U., 7 ottobre 1994, n. 8197). «Peraltro, quando si tratti di sepolcri familiari o gentilizi, ammessi dalla legislazione positiva, il diritto di disposizione da parte di alcuno dei titolari, anche per la quota ideale, trova un limite necessario nel diritto degli altri, non perché in questo caso il sepolcro diventi bene per sua natura sottratto al commercio, […] ma perché deve essere rispettata la particolare destinazione che al sepolcro stesso ha dato colui che l’ha costruito» (Cass. civ., sez. I, 6 maggio 1935; in termini Cass. civ., sez. I, 1 giugno 1936).