Il convegno svoltosi sabato 29 marzo 2008 a TANEXPO 2008, dal titolo “L’organizzazione del servizio funebre. Verso un modello europeo” si è aperto con un pregevole intervento di Maria Luisa de Yzaguirre neo Presidente dell’ASCE (associazione europea dei cimiteri significativi), che ha illustrato alcune soluzioni adottate nei cimiteri di Barcellona, alla luce della grande diffusione, avuta in questi ultimi anni dalla cremazione, e in particolare della situazione che si è determinata in cui il 70% delle ceneri non resta al cimitero.
Per grande sintesi si tratta di politiche mirate a far riprendere al cimitero il ruolo di luogo di memoria storica della collettività, incentivando soluzioni di marketing cimiteriale capaci di riacquisire la sepoltura di parte delle ceneri in cimitero da parte degli aventi titolo.
Il cimitero è uno spazio per il ricordo dei singoli, che si traduce in un ricordo collettivo, a disposizione delle generazioni future. Veri e propri luoghi di pace e di sollievo nella città. Talvolta musei all’aperto. La sfida per il futuro è quella di come adattare i vecchi cimiteri all’accoglimento delle ceneri e come progettare i nuovi. Il testo in inglese della presentazione della Presidentessa dell’ASCe è scaricabile in PDF cliccando qui.
Il Coordinatore dei lavori del convegno, Pietro Innocenti, ha poi passato la parola a Daniele Fogli (Responsabile attività internazionali della SEFIT e Presidente del comitato tecnico per i cimiteri e i crematori della EFFS, la federazione europea dei servizi funerari) che collegandosi all’analisi della de Yzaguirre ha esordito manifestando di condividerla pienamente.
Ha poi evidenziato come non vi fossero, a suo dire, elementi per riconoscere un modello europeo di sviluppo del settore funerario, ma anzi dei modelli nazionali (e in taluni Paesi regionali).
Fogli ha poi richiamato l’attenzione dei presenti proprio sulla esperienza di Barcellona per ribadire i pericoli di una visione soprattutto mercantilistica dei cimiteri e del settore funerario, si rischia infatti di perdere usi, tradizioni e modalità di elaborazione del lutto consolidate, quando a prevalere è solo la logica del profitto.
Ha poi rilevato come sia difficile trovare elementi di convergenza tra i modelli dominanti in taluni paesi dell’Europa e quello in Italia.
Basti pensare che in molti Paesi europei ciò che conta è il servizio e molto meno i prodotti.
Per tutti ha citato l’esperienza olandese, con crematori che includono sale del commiato in cui il servizio è curato nei minimi particolari, ma anche l’esperienza della previdenza funeraria, molto diffusa all’estero e non in Italia.
Mentre all’estero la scelta dell’impresa funebre è fatta soprattutto per la percezione della qualità del servizio e addirittura assicurandosi (talvolta fin da bambini, come in Olanda) non solo sull’evento morte, ma anche per i costi relativi al funerale, in Italia si è distanti anni luce da questi comportamenti, quando si è costretti a vedere che la scelta dell’impresa funebre passa, spesso, attraverso pratiche illegali, come la caccia al morto (o meglio ai dolenti) dentro gli ospedali, le case di cura o di riposo.
Fogli è poi stato particolarmente critico sulle moderne costruzioni di cimiteri italiani, ma anche del Sud della Francia e in Spagna (li ha definiti scatolari, in quanto somma regolare di loculi in cui stivare feretri), in contrapposizione ai bei cimiteri paesaggistici del Nord Europa o a quelli monumentali (fra i quali gli italiani primeggiamo nel mondo, non tanto per merito dei contemporanei, bensì dei nostri padri e dei nostri nonni, che ci hanno lasciato dei veri capolavori di opere d’arte).
E’ poi intervenuto Josep Cornet, che dopo aver illustrato l’attività della IFTA (l’associazione mondiale di tanatologia), di cui è attualmente Presidente, ha sintetizzato in un breve ma interessantissimo rapporto il modello spagnolo del settore funebre e cimiteriale.
Il testo integrale (in spagnolo) della relazione di Josep Cornet sul modello funerario spagnolo si può leggere e scaricare in PDF, cliccando qui .
E’ poi stata la volta di Alcide Cerato, imprenditore funebre milanese con un passato da ciclista e ora dirigente della Federazione Italiana Ciclistica, come ha precisato nel suo intervento. Ha esordito elogiando la Spagna per la capacità di innovazione, tanto che in sue recenti realizzazioni milanesi (casa funeraria) ha preso ad esempio proprio delle soluzioni spagnole.
Ha poi tracciato un excursus della propria attività nel settore funebre e dei modi per giungere dove lui è arrivato, dei modelli funebri esteri cui si è ispirato (in particolare ha citato una sua visita a New York all’inizio della propria attività), dicendo come sia ora avvilente vedere la situazione italiana in cui la politica e le leggi arretrate hanno bloccato l’iniziativa dell’imprenditoria funebre.
Altro che la Spagna, che ha leggi che l’Italia nemmeno si sogna!
Ha poi polemizzato con Fogli, in quanto secondo Cerato il merito della qualità dei cimiteri monumentali non è italiano, ma di Napoleone, che è stato il vero fautore del cimitero monumentale.
Ha quindi esposto il suo pensiero sull’imprenditoria funebre italiana: il 95% sarà spazzata via e in non molto tempo, perché non ha la capacità di essere impresa. Sono per la maggior parte piccoli operatori funebri, che non fanno investimenti per il miglioramento qualitativo.
Invece lui è sempre andato alla ricerca dell’innovazione.
Ha poi elogiato la Lombardia per la legge regionale che, tra l’altro, consente di fare case funerarie.
Ma ora occorre una legge nazionale basata su questi principi lombardi.
Cerato ha criticato duramente il settore pubblico, nel quale ha identificato l’ing. Fogli come il campione ed il nemico dell’imprenditoria funebre privata. Ha criticato la municipalità di Genova, che è stata la prima a mettere uffici per onoranze funebri dentro gli ospedali.
Parimenti ha dato giudizi negativi sull’esperienza spagnola cimiteriale laddove riduce la durata dell’uso dei manufatti cimiteriali: “nel tempo di assegnazione di un loculo di circa 30-40 anni in Italia, gli spagnoli fanno girare 3 volte la sepoltura, guadagnando 3 volte (con il tumulo aerato NdR).
Non esente dagli strali del Cerato anche la municipalità di Milano per le scelte che sta facendo sulla fornitura di informazioni per i servizi funebri e in particolare eliminando la tipologia di servizio funebre che offriva, standardizzata. Ha poi corretto le cifre fornite dallo stesso Comune di Milano sulla diffusione della cremazione che non è oltre il 60%, ma è al 53%.
E infine non è stato tenero nemmeno con la “politica”, perché manca di buon senso e non consente la realizzazione di crematori e cimiteri da parte di privati.
Ha poi lamentato il fatto che la tanatoprassi in Italia non si riesca a fare come imprenditori funebri per l’azione di lobby dei medici, che non vorrebbero, a suo dire, lasciare che l’impresa funebre svolga un servizio che invece è svolto con profitto anche altrove nel mondo.
Ha espresso tutta la sua frustrazione per un Paese, l’Italia, che non è più capace di creare reddito e occorre prepararsi alla invasione di gruppi europei nel nostro Paese anche nel settore funerario.
Ha poi preso la parola Tino Resmini, produttore di cofani con oltre 40 anni di esperienza, che si è detto fortemente preoccupato per come si sta impoverendo il mercato dei cofani funebri in Italia.
Egli vede un futuro sempre più nero.
E’ fortemente critico con coloro che vorrebbero sostituire le bare di legno, che sono proprie della tradizione italiana con bare di cartone.
L’attuale crisi del settore dei costruttori di cofani non sta producendo razionalizzazioni, ma anzi si va verso produzioni più veloci, standardizzate, per abbattere i costi e quindi a prodotti di minor pregio estetico.
Fermiamoci, ha poi detto, e torniamo indietro ritrovando la nostra tradizione antica.
Infine è intervenuto Manuel Pilla, produttore di accessoristica funeraria in bronzo, che ha lamentato la difficoltà anche del suo settore, che spesso si trova a scontrarsi con i ritardi delle Amministrazioni comunali nel realizzare loculi.
Secondo Pilla il problema in Italia sono i Comuni e la politica che non sostiene adeguatamente gli interessi della categoria.
A Cerato ha brevemente risposto Maria Luisa De Yzaguirre chiarendo che a Barcellona le possibilità di concessione sono differenziate, a partire dai 2 anni, ad arrivare a varie decine d’anni, secondo le richieste della popolazione.
E’ poi intervenuto Daniele Fogli, che ha individuato tra quanto esposto da Cerato talune questioni su cui si può concordare e diverse altre in cui vi sono notevoli differenze. Differenze che non corrispondono al dialogo che in questi anni si è sviluppato tra le federazioni del settore funerario.
Infatti negli anni le distanze tra l’imprenditoria privata e quella pubblica si sono accorciate, nei modi di pensare, e facendo ciascuno uno sforzo e un passo indietro si possono trovare gli elementi per promuovere una posizione comune da rappresentare al mondo politico.
E’ però quanto meno strano che chi oggi chiede la normativa statale basata sulla esperienza lombarda sia stato quello che a suo tempo ha bloccato l’esperienza del regolamento di polizia mortuaria statale.
E’ sugli studi che a suo tempo si fecero al Ministero della sanità che il regolamento lombardo ha preso la luce.
Diverse sono poi le cose dette da Cerato che non corrispondono al vero.
Tra queste, ad es., Fogli cita la impossibilità di costruire e gestire cimiteri e crematori da parte di privati.
Esistono leggi italiane che lo consentono, attraverso lo strumento del project financing o della concessione di costruzione e gestione.
Certo occorrono competenze, mentalità, capacità imprenditoriali e garanzie finanziarie che non può avere un impresario che fa 60 o 100 funerali all’anno!
E’ invece concorde con Cerato laddove intravvede la possibilità che capitali esteri vengano in Italia per acquisire importanti quote del mercato funerario.
Ma Fogli ritiene che se egli fosse in un investitore straniero penserebbe ad acquisizioni non tanto di imprese funebri private, quanto di quote di imprese pubbliche, strutturalmente già con la mentalità adatta a dover rispondere ad investitori finanziari, molto più trasparenti (si pensi solo alle problematiche che ha varia parte del mercato funebre italiano abituato ad operare per quote considerevoli in “nero”).
A Tino Resmini, produttore di cofani, Fogli ha poi chiarito quelli che a suo parere sono i veri termini della questione e le vere responsabilità.
Se in Italia la mortalità è di circa 550.000 decessi annui, e circa 15 anni fa vi erano 4000 operatori funebri, vuol dire che allora ognuno svolgeva in media 135 funerali l’anno. Oggi con oltre 6000 operatori, la media di funerali è di meno di 100 per operatore.
Questo determina una compressione dei margini e quindi sia la ricerca di fare economie nei costi (con i riflessi anche e soprattutto sui costruttori di bare) ma pure la ricerca spasmodica di nuove fonti di entrata, con l’ampliamento in segmenti paralleli (marmi, case funerarie, crematori, cimiteri).
Occorre invece una segmentazione del mercato, come richiesto anche dall’Antitrust italiana.
Invece non comprende la posizione di Manuel Pilla:
Non gli risulta che i comuni italiani ritardino la realizzazione di loculi deliberatamente.
Anzi, visto che occorre dare un servizio per seppellire i deceduti, sono proprio i Comuni i primi a lamentarsi dei ritardi che spesso, per carenza di finanziamenti o per legislazioni farraginose nel settore degli appalti, inevitabilmente si hanno.
E’ poi quanto meno bizzarro che si chieda ai Comuni di realizzare loculi perché chi vende bronzi possa continuare felicemente il proprio business.
A Fogli risulta che i loculi vengano realizzati per garantire la sepoltura di feretri al momento della necessità.
E’ stata poi la volta di Josep Cornet, anche sollecitato da un intervento del pubblico a chiarire come si confrontano pubblico e privato in Spagna, in particolare per gli aspetti di tutela della concorrenza, a spiegare che nel Paese iberico la situazione di conflittualità rinvenibile dal dibattito odierno era quella esistente 30 anni fa.
Poi si sono trovate delle intese che consentono in molte grandi città la gestione con società miste.
Ad es. a Barcellona la municipalità ha il 51% del capitale e privati il 49%.
A Madrid è la stessa cosa, pur cambiando il partner privato.
Oggi in Spagna convivono le due realtà e senza particolari problemi.
Invece per quanto riguarda la legislazione di settore in Spagna è forte l’autonomia regionale e quindi la legge statale è limitata nei principi.
E’ quella regionale che invece interviene nel dettaglio.
Manuel Pilla è nuovamente intervenutoper chiarire che la responsabilità dei Comuni è anche laddove intervengono per limitare con le proprie normative l’azione degli imprenditori, ad es. prevedendo i campi a verde, prescrivendo una certa quale uniformità nell’accessoristica funebre nei loculi, ecc.
La discussione, tesa, ma fino a quel momento interessante è poi trascesa per effetto di talune considerazioni al di sopra delle righe di alcuni dei partecipanti, come una vera e propria sfida del Cerato al Fogli (che non si è tirato indietro) per un pubblico confronto su tutti gli argomenti della funeraria, o ancora su apprezzamenti poco felici del Resmini, sempre all’indirizzo del Fogli, che ha reagito alla provocazione.
Un clima da rapporti pubblico-privato che non si vedeva e sentiva più da anni.
A quel punto Pietro Innocenti, data l’ora e il clima creatosi ha pensato bene di chiudere i lavori del convegno.
Come annotazione conclusiva si può dire che, al di là dei toni accesi, forse complice il clima pre-elettorale italiano, i contenuti del dibattito sono stati interessanti. E’ stato avvertito da tutti i presenti il contrasto tra una situazione (quella spagnola, in quanto presente al convegno), in cui hanno prevalso le logiche di sistema che hanno avuto esiti positivi, e quella italiana in cui fa fatica a maturare un indirizzo in tal senso, perché ognuno è troppo legato alla difesa del proprio segmento, utilizzando a questo fine anche risorse politiche, con l’esito che il gioco è quando va bene a somma zero e molto più spesso è a somma negativa.
La responsabilità maggiore è delle intelligenze imprenditoriali che devono fare gioco di squadra.
La rappresentanza istituzionale dell’imprenditoria funeraria si articola su tre organizzazioni imprenditoriali.
Un tempo, all’epoca dei pionieri dell’associazionismo funerario, il conflitto tra i diversi soggetti nella confusa galassia del “caro estinto” presentava caratteristiche facilmente deducibili, perché si sviluppava su un unico asse legato alla natura giuridica delle aziende (pubblico contro i privati).
Oggi il quadro è ben più complesso perché le linee di tensione, secondo uno schema multipolare, si articolano ormai trasversalmente, coinvolgendo sotto diversi aspetti e prospettive tutti gli operatori, mentre è in atto una feroce lotta per l’ autoaffermazione in un mercato abbandonato, dall’inerzia del legislatore, ad una selvaggia anarchia.
Stiamo, infatti, attraversando un periodo magmatico in cui nessuno sembra ancora capace di governare i difficili processi di riqualificazione che le imprese funebri debbono affrontare per le nuove sfide di un’economia sempre più competitiva.
Il deficit di rappresentanza che affligge il settore è allora ormai un problema davvero serio perché un ambito così delicato per le sue forti implicazioni morali rischia davvero di sganciarsi dalle altre attività economiche e di piombare così in una sfrenato far west.
Manca ancora, insomma, un soggetto che sappia autorevolmente interpretare e difendere con la debita autonomia di un rapporto fiduciario affari, sentimenti ed aspettative del comparto.
L’errore, forse, consiste nel ostinarsi ad immaginare il mondo delle estreme onoranze come un blocco granitico: coeso e compatto, mentre sarebbe molto più realistico considerarlo come un insieme frammentato e caotico, per la sua cronica incapacità di ricomporre in un unico quadro di valori e regole una miriade di posizioni particolarissime e contraddittorie.
Se per assurdo si convocasse, tra tutte le agenzie italiane di onoranze funebri, una consultazione elettorale per votare un ipotetico governo del “caro estinto” Né FENIOF, né FEDERCOFIT o SEFIT raggiungerebbero la maggioranza per attuare il proprio programma di riforme.
Siamo infatti, in molti casi, dinnanzi a corporazioni deboli ed incapaci di imporre ai loro soci una disciplina universalmente accettata, proprio perché il consenso da loro raccolto è fortemente minoritario se rapportato al numero di imprese attive nel territorio nazionale.
Assisteremmo così ad ulteriori divisioni in questo già rissoso “parlamentino” con il proliferare incontrollato di nuove sigle o associazioni, magari su base locale, per tutelare nuovi interessi che ad oggi non trovano ancora cittadinanza nei progetti”stellari” delle federazioni prima elencate.
Bisogna poi considerare in questo scenario confuso come anche i tre schieramenti maggiori dovrebbero faticare non poco per mantenere ordine nelle proprie fila congenitamente anarcoidi e riottose alle regole.
Il risultato, non dissimile dalla situazione odierna, sarebbe la paralisi più completa dei poteri decisionali dove alla forza del diritto spesso si preferisce il diritto della forza.
C’è, poi, la sensazione molto forte d’ assistere ultimamente ad un inutile scontro tra gruppi dirigenti che si ciba di veleni, illazioni ed aggressioni al limite dell’insulto per nascondere la propria impotenza dinnanzi alle necessità di un radicale cambiamento.
Esiste ormai una “maggioranza silenziosa” di aziende che si sentono escluse dai processi decisionali: si tratta di imprenditori davvero sfiduciati e stanchi di sopportare vessazioni delle burocrazie ed il polemizzare inconcludente di chi dovrebbe difenderli ed è invece troppo assorbito nelle proprie personalissime guerre di potere.
Il pericolo per tantissimi operatori seri e di consolidata tradizione professionale con ditte però piccole dimensioni è, allora, lasciarsi intrappolare in una logica settaria e diventare un passivo terreno di manovra nello sconsiderato giuoco tra chi vorrebbe preservare gli antichi privilegi e quanti lavorano nell’ombra per instaurare monopoli privati sotto il controllo diretto o dissimulato di grandi gruppi finanziari.