Riportiamo il seguente articolo del 4 ottobre 2010, tratto dal blog ilpost.it. Si riferisce ad una esperienza prettamente australiana, confrontata con soluzioni appena introdotte in altri Paesi anglosassoni:
Al momento, una volta morti è molto probabile che il nostro corpo venga seppellito o cremato. Ma da quando i problemi ambientali sono per forza di cose balzati in cima alle priorità (almeno dichiarate) di aziende e governi, in molti si sono accorti che i due trattamenti dei resti di un defunto più diffusi in occidente non sono ecologicamente sostenibili. La maggior parte delle bare sono costruite con truciolati non biodegradabili e quelle biodegradibili lasciano filtrare nel terreno la formaldeide cancerogena con cui sono imbalsamati i corpi. E ogni cadavere e bara cremati alla temperatura di 850 gradi rilasciano nell’atmosfera circa 160 kg di gas serra, come stabilito da una ricerca dell’Università di Melbourne.
Per questi motivi, in molti stanno cercando metodi “verdi” per trattare i nostri resti. Time ha intervistato l’ex impresario di pompe funebri John Humphries ora direttore di Aquamation Industries, una ditta australiana nata lo scorso agosto che sembra aver trovato un modo economico per gestire i corpi a impatto zero, o quasi. La “acquamazione” funziona attraverso un processo chiamato idrolisi alcalina, in cui il corpo viene sistemato in una vasca di acciaio inossidabile che contiene una soluzione di idrossido di potassio e acqua alla temperatura di 93 gradi centigradi. Dopo quattro ore in questo stato, tutto ciò che rimane del corpo sono le ossa — a quel punto diventate molto meno rigide — che una volta ridotte in polvere vengono restituite ai familiari del defunto. Humphries specifica che il liquido rimasto non contiene DNA e la procedura sfrutta dal 5 al 10 per cento dell’energia usata nella cremazione. E alla fine del processo i residui liquidi possono essere riciclati: se il loro pH ha un valore alcalinico troppo alto si può aggiungere aceto o acido citrico e a quel punto, spiega Humphries, si possono usare anche per innaffiare le rose in giardino.
Al momento, l’unica unità funzionante di acquamazione si trova all’Eco Memorial Park sulla Gold Coast in Australia, una meta turistica che sembra un luogo insolito per un’azienda funebre all’avanguardia. Humphries dice che più di quindici nuove unità d’acquamazione sono state vendute a imprese funebri in giro per l’Australia, e saranno attive entro nove mesi. Più di sessanta persone, continua Humphries, hanno già pagato per essere acquamate, e l’azienda è stata inondata di telefonate dopo la pubblicazione di un articolo sul Sidney Morning Herald. In un sondaggio a fianco dell’articolo ben il 68 per cento delle 2.065 persone interpellate considererebbe la possibilità di essere acquamato.
L’acquamazione non è una tecnica del tutto nuova, e di certo non è l’unico tentativo di andare oltre cremazione e sepoltura. L’idrolisi alcalina — oltre a essere usata per uccidere i bovini infetti dalla mucca pazza — è lo stesso processo alla base della resomation, un metodo inizialmente usato per i corpi donati alla scienza e in seguito diventato legale in sei stati degli Stati Uniti come opzione per il trattamento dei resti di un defunto, mentre in Gran Bretagna dovrebbe essere approvato entro la fine del 2010. La “resomazione” non sembra però aver avuto molto successo: dopo averla approvata nel 2006, il New Hampshire l’ha proibita due anni dopo, senza che nessuno l’avesse mai utilizzata. La resomazione è simile all’acquamazione, ma nel suo processo la temperatura a cui viene sottoposto il corpo è di 77 gradi e la pressione per metro quadro di circa 45mila chili. Secondo Humphries il metodo di lavoro della Aquamation Industries è molto più sicuro.
L’opinione degli scienziati australiani sull’acquamazione non è unanime. C’è chi ne loda il tentativo ecologico, come lo scienziato ambientalista dell’Università di Adelaide Barry Brook, e chi, come Roger Short dell’Università dei Melbourne, ha dubbi sulla maggiore sostenibilità del sistema rispetto alla sepoltura effettuata con bare e vestiti biodegradabili. A metà strada Kevin Hartley, il portavoce della Natural Earth Burial Society dell’Australia del sud, che nonostante preferisca metodi di sepoltura tradizionali si rende conto del problema dello spazio occupato dai corpi, che l’acquamazione risolverebbe.
Ovviamente, una volta arrivata la sua ora, Humphries ha intenzione di essere acquamato. «Da quando lavoro in questo settore, penso sia un metodo piacevole per andarsene. Ma prima non ci pensavo granché. Non mi interessava cosa mi avrebbero fatto, sarei comunque stato morto».