Nella emergenza e nella frenesia dell’accavallarsi di decreti governativi, direttive, protocolli operativi ed ordinanze nell’ elenco dei lavori utili – dottori, infermieri, farmacisti, commessi di alimentari ed altri lavori- hanno totalmente dimenticato della professione di operatore funebre, nonostante che le parole morti e morte vengano ripetute spesso sui mass-media.
«Ci sentiamo come l’ultima ruota del carro, funebre… per giunta; da una parte dannatamente necessari ma dall’altra da mantenere scaramanticamente lontani” protesta con veemenza un necroforo che ci ha chiesto di mantenere l’anonimato.
“[…] Siamo preoccupati non tanto per quanto riguarda le salme già dichiarate infette: esse vanno gestite con una procedura precisa la quale ha il tagliente pregio della certezza: non si posso vestire e vengono consegnate a noi dalle aziende ospedaliere dentro un sacco, tipo body bag, noi dobbiamo applicare un lenzuolino e spargere all’interno del feretro un disinfettante; a queste operazioni di confezionamento e alla chiusura del feretro i familiari del defunto non possono assistere.
Subito dopo viene eseguito il trasporto funebre dai servizi mortuari degli ospedali al luogo di destinazione ultima (forni crematori, o più tradizionali forme di sepoltura)».
La paura degli addetti riguarda soprattutto le salme potenzialmente infette «prelevate dalle abitazioni private e dalla pubblica via, per poi procedere alla cura igienica e alla vestizione, in questo caso, invece, consentite.
Durante queste fasi abbiamo un contatto ravvicinato con la salma e con i possibili liquidi e gas che fuoriescono dalla stessa e non sappiamo se siano corpi infetti, perché nessuno ha mai eseguito loro alcun tampone»…