Sulla recente notizia della modifica al regolamento municipale di polizia mortuaria, nel Comune di Bologna, nel solco tracciato da una inevitabile pronuncia negativa del T.A.R. Emilia Romagna su ipotesi di residuale diritto di privativa sul trasporto funebre, è utile effettuare alcune considerazioni.
Bologna, in effetti, è stata inerziale nel rimuovere la (detta molto impropriamente) tassa sul morto a oltre 20 anni dalla promulgazione della L.R. n. 19/2004.
Il novello tributo a Cesare (o a Caronte???), per di più, è stato istituito (nel 2018) a legge regionale Emilia Romagna già vigente e con giurisprudenza comunemente orientata verso l’abrogazione allora implicita del T.U. sulla privativa dei trasporti funebri, per incompatibilità con le nuove norme di liberalizzazione del trasporto mortuario, che ad oggi resta pur sempre attività imprenditoriale, comunque soggetta ad autorizzazione e vigilanza comunale.
Vari T.A.R., l’Antitrust, nel lontano 1998, e la Cassazione, nel 2000, si pronunziarono già in tal senso.
Successivamente, intervennero nel tempo due diverse leggi statali a sancire espressamente il definitivo superamento del regime di privativa sui trasporti funebri.
Difficile quindi pensare che un grande Comune come Bologna non fosse a conoscenza della impossibilità di pronuncia della privativa del trasporto funebre e della connessa possibilità di imposizione del diritto fisso connesso a tale privativa.
Però, una volta decaduto il diritto di privativa, come alimentare economicamente almeno la macchina amministrativa della polizia mortuaria di un comune?
Questa domanda retorica rappresenta il dilemma che nessun Giudice potrà mai sciogliere, trattasi infatti di scelta massimamente politica e governo del Comune.
Bologna perde la “causa” avanti il G.A. perché, nell’esigere il diritto fisso, fa riferimento ad un abrogato art. 19 D.P.R. n. 285/1990, ma se invece di trarre la legittimità del c.d. diritto fisso, da un istituto oggetto di abrogazione espressa, a questo punto avesse autonomamente istituito con statuizione del Consiglio Comunale uno specifico diritto fisso sul rilascio delle relative autorizzazioni, credete Voi l’esito del processo sarebbe stato diverso, o come minimo, meno scontato?
Se non erro la scelta tutta politica, che sorge in capo ad ogni Comune, di imporre un diritto fisso non sul trasporto funebre in sé, ma come canone remunerativo di tutta l’attività istruttoria posta in essere dagli uffici di polizia mortuaria fu, in passato, avallata da diverse sentenze (T.A.R. VENETO, in particolare) con cui non si accedeva alle tesi dell’imprenditoria funebre privata, pronta ad impugnare il nuovo diritto fisso così strutturato ex art. 149 lett. c) D.Lgs n. 267/2000, senza averne capito, forse, in fondo la diversa natura.
Si sa, nel mondo della pura astrazione giuridica alle volte vale più la forma delle pur buone intenzioni…
In materia di tariffe e, in particolare, dei diritti per i trasporti funebri, trattandosi pur sempre di “tariffe” stabilite in deliberazione Comunale, merita di segnalarsi altresì la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. 5^, sentenza n. 5476 del 6 ottobre 2018.
La vicenda giudiziaria, che vide coinvolti il Comune di Montercorvino Pugliano e la società che gestiva l’impianto di cremazione, ebbe ad oggetto la richiesta di annullamento della delibera del Consiglio comunale n. 16/2017, con la quale l’ente locale aveva introdotto il diritto fisso di ingresso, che i richiedenti la cremazione non residenti nel Comune dovevano corrispondere all’Amministrazione.
La società ricorrente, già soccombente davanti al T.A.R. Campania, lamentava, tra gli altri motivi, il comportamento illegittimo del Comune per aver introdotto un diritto di trasporto, previsto dall’art. 19 D.P.R. 285/1990, in contrasto con la liberalizzazione del relativo servizio.
Anche il Consiglio di Stato ritenne di non poter accogliere la doglianza.
Il punto centrale in diritto e legittimante l’atto dell’Amministrazione comunale è la natura di tariffa dell’istituito diritto di ingresso: si tratta, infatti, di una controprestazione dovuta all’ente locale per lo svolgimento degli adempimenti amministrativi inerenti le modalità di gestione di un servizio pubblico, imposti per legge.
La previsione di un diritto di ingresso rientra, dunque, nel potere discrezionale dell’ente di istituire tariffe in relazione allo svolgimento di servizi pubblici, e, nel caso di specie, come risulta dalle memorie difensive prodotte dal Comune, ha lo scopo di assicurare la regolarità e l’efficienza del servizio di cremazione a seguito dell’incremento esponenziale dei richiedenti.
In conclusione, anche in questo caso, si tratta di corrispettivi per prestazioni di servizi.
Sentenze importanti che aiutano a chiarire il tema della autodeterminazione da parte del comune delle tariffe funebri e cimiteriali, per la valorizzazione delle spese generali sostenute dall’ente per la gestione amministrativa delle operatività cimiteriali.
Obiter dictum e del tutto spassionatamente… a latere: se non si rivede globalmente la fiscalità generale del settore funerario, in modo ragionato e consapevole, sarà inevitabile il proliferare di micro-balzelli tanto odiosi quanto indispensabili per il mantenimento della stessa funzione di polizia mortuaria.