-Occorre preliminarmente operare una distinzione di fondo nel trasporti mortuari transfrontalieri.
Se il feretro deve essere trasportato in uno dei Paesi aderenti alla Convenzione di Berlino del 10 febbraio 1937, approvata e resa esecutiva in Italia con regio decreto 1 luglio 1937, n. 1379, allora l’atto di autorizzazione per il trasporto si chiama ” Passaporto Mortuario”, con le osservanza delle prescrizioni dettate dalla Convenzione medesima, come ribadito dall’art. 27 del D.P.R. 285 /1990.
Se, invece, la bara deve essere trasportata in un Paese non firmatario di detta Convenzione, allora si parla di semplice autorizzazione all’estradizione di cadavere, come espressamente disciplinato dal successivo art. 29 dello stesso D.P.R. 285/1990, che ne elenca i documenti necessari da presentare al dirigente/ responsabile
del Servizio del Comune del luogo in cui è avvenuto il decesso dove è stato formato l’atto di morte.
– Gli Stati aderenti alla Convenzione di Berlino sono: Austria, Belgio, Cile, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Italia, Messico, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica democratica del Congo, Romania, Slovacchia, Svizzera, Turchia.
I documenti da presentare al Comune sono gli stessi previsti per i Paesi non aderenti, però non è necessario il macchinoso nulla osta all’introduzione rilasciato dalla Rappresentanza diplomatica in cui il cadavere è diretto.
– Ebbene, ove si tratti di Passaporto Mortuario, che è, comunque, rilasciato in bollo, a firma del dirigente o responsabile del servizio, su modello il più possibile conforme a quello allegato alla Convenzione, in lingua italiana ed almeno in un’altra lingua tra quelle più usate nelle relazioni diplomatiche (La convenzione, invero, richiederebbe la lingua francese), non occorrerebbe, secondo certa parte della dottrina, la legalizzazione della firma di chi rilascia il Passaporto.
Verrà data informazione al Prefetto della Provincia di frontiera attraverso la quale il feretro dovrà transitare.
Qualora, invece, si tratti di autorizzazione, pure in bollo, all’estradizione del cadavere in un Paese diverso da quelli facenti parte della Convenzione di Berlino, la firma del Dirigente/Responsabile del servizio dovrà essere legalizzata dalla Prefettura competente, salvo che lo Stato di destinazione non aderisca a Convenzioni internazionali che esentino, o riducano, dall’incombente della legalizzazione.
L’istituto della legalizzazione ha riguardo all’attestazione della legale qualità del soggetto che sottoscrive un atto e dell’autenticità della sua firma
. Attualmente, è regolato dall’art. 33 D.P.R 28 dicembre 2000, n. 445, in via generale. Con taluni Stati, sussiste una Convenzione, fatta a L’Aja il 5 ottobre 1961, che abolisce la legalizzazione, rendendo necessaria unicamente l’apposizione della cosiddette “apostille” da parte delle autorità competenti designate dallo Stato aderente per i propri atti destinati a valere al di fuori del territorio nazionale
Per l’Italia, autorità competente alla legalizzazione degli atti formati in Italia e da far valere all’estero è il Prefetto-Direttore dell’UTG. Sempre per l’Italia, autorità competente per la “apostille” è, in ogni caso, il Prefetto-Direttore dell’UTG.
Per la verifica degli stati aderenti, si può utilizzare il seguente sito www.hcch.net, ricercando la Convenzione n. 12. Con altri Stati esistono convenzioni che, addirittura, superano, per taluni atti e documenti, anche l’esigenza della formalità della “apostille”. Sono individuabili al sito www.ciec1.org.
La legalizzazione o, per i Paesi aderenti, la “apostille” della Convenzione de L’Aja del 5/10/1961, è effettuata previo deposito della firma presso l’Ufficio legalizzazioni della prefettura-UTG, che, di norma, ha luogo all’atto dell’assunzione della funzione o dell’attribuzione di un incarico o delega (art. 17-bis D.Lgs n. 165/2010) a svolgere determinate mansioni
Rispetto alla competenza nominale del sindaco, va ricordato che il rilascio del passaporto mortuario, o del semplice titolo di viaggio, rientra tra i compiti e funzioni, trasferite, in via esclusiva, dopo il DPCM 26 maggio 2000, ai soggetti di cui all’art. 107, comma 3 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., rientrando nella previsione di cui alla lettera f), compiti che non sono derogabili (comma 4 successivo).