Sintesi esemplificativa delle indicazioni ISS sul calcolo della mortalità associata al Covid-19

Riportiamo una sintesi delle indicazioni fornite dall’ISS sul sistema di calcolo della mortalità associata al Covid-19, recentemente riproposta dall’Istituto Superiore di Sanità, per rispondere ai dubbi che, periodicamente, ancora emergono sul tema.
Il Sistema di Sorveglianza dell’ISS rileva i pazienti positivi sulla base di tampone molecolare all’infezione da SARS-CoV-2 diagnosticati sul territorio italiano.
I dati vengono inviati e validati dalle 19 Regioni e dalle 2 Province Autonome al Sistema di Sorveglianza dell’ISS che produce le statistiche nazionali. Il sistema oltre a misurare l’incidenza di diffusione della malattia raccoglie anche i dati sui decessi.
Nel riportare i decessi COVID-19 sul Sistema di Sorveglianza, l’ISS suggerisce di seguire le indicazioni dell’ECDC (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) e dell’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), per identificare i decessi associati a COVID-19.
I criteri, per definire un decesso per COVID-19, comprendono:
– decesso occorso in un paziente, definibile come caso confermato microbiologicamente (tampone molecolare) di COVID-19;
– presenza di un quadro clinico e strumentale suggestivo di COVID-19;
– assenza di una chiara causa di morte diversa dal COVID-19;
– assenza di periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso.
La positività al Sars-Cov-2 non è sufficiente per considerare il decesso come dovuto al COVID-19, ma è necessaria la presenza di tutte le condizioni sopra menzionate, inclusa l’assenza di chiara altra causa di morte.
Va precisato, però, che non sono da considerarsi tra le chiare cause di morte, diverse da COVID-19, le patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo dell’infezione (per esempio cancro, patologie cardiovascolari, renali ed epatiche, demenza, patologie psichiatriche e diabete).
Sono da considerarsi cause di morte, associate a COVID-19, le complicazioni o gli esiti collegati a patologie pre-esistenti che possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo un paziente con quadro clinico compatibile con COVID-19.
Nel caso specifico, se l’infarto avviene in un paziente cardiopatico con una polmonite COVID-19, è ipotizzabile che l’infarto rappresenti una complicanza del COVID-19 e quindi il decesso deve essere classificato come dovuto a COVID-19. Se l’infarto avviene in un paziente, che non ha un quadro clinico compatibile con COVID-19, il decesso non deve essere classificato come dovuto a tale condizione.
È probabile che i dati sui decessi in Italia siano pertanto sottostimati nei mesi di marzo e aprile. In questo periodo molti pazienti sono deceduti senza essere testati e perciò le loro informazioni non sono state inserite nel Sistema di Sorveglianza.
La stima, fatta nel rapporto congiunto ISS-Istat sull’eccesso di mortalità, è che, nei mesi di marzo e aprile, i decessi legati in maniera diretta o indiretta al COVID-19 siano circa il doppio rispetto a quelli misurati nel Sistema di Sorveglianza.
Questa sottostima dei decessi si è comunque molto ridotta e quasi azzerata da maggio fino a fine estate. Nei mesi più recenti, i Sistemi di Sorveglianza stanno osservando un nuovo aumento dei decessi. A breve sarà possibile valutare un eventuale eccesso di mortalità nei mesi autunnali/invernali, tramite il confronto con i dati di mortalità Istat.
Un’analisi dei certificati di decesso, svolta congiuntamente da ISS e Istat, ha mostrato come il COVID-19 sia la causa direttamente responsabile della morte, nell’89% dei decessi raccolti nel Sistema di Sorveglianza, quindi in circa 9 casi su 10 dei deceduti censiti. Questa analisi includeva i deceduti del periodo marzo-maggio.
L’indice di letalità, espresso come il rapporto tra numero di decessi e numero di casi diagnosticati con una certa patologia, nel caso dell’infezione da SARS-CoV-2, può essere un parametro fuorviante, soprattutto quando viene utilizzato per paragonare diversi Paesi.
In particolare, i Paesi potrebbero utilizzare definizioni di casi e strategie di test differenti o conteggiare i casi in modo diverso (ad esempio, con casi lievi non testati o conteggiati).
Si segnala inoltre che il profilo dei pazienti (ad esempio età, sesso, etnia) può variare da Paese a Paese e questo potrebbe spiegare parte delle differenze. L’Italia è uno dei Paesi con più alto indice di vecchiaia e questo spiega gran parte delle differenze con gli altri Paesi europei.
Le differenze tra Paesi nell’indice di letalità possono anche essere parzialmente spiegate dalle tempistiche con cui vengono segnalati i decessi e pertanto non si può escludere che in altri Paesi la letalità possa essere sottostimata.
È da tenere anche presente che la progressiva espansione della capacità diagnostica, durante il corso dell’epidemia, ha portato ad un incremento della quota di casi asintomatici o paucisintomatici, identificati e notificati al Sistema di Sorveglianza. Questo si è tradotto in un decremento della letalità nel tempo, del quale occorre tener conto quando si interpreta il trend.
Una delle strategie più efficaci per misurare l’impatto del COVID-19 sui decessi è quello di misurare l’eccesso di mortalità, vale a dire quanti morti in più (per tutte le cause) ci sono stati nel Paese rispetto agli anni precedenti.
Questo eccesso di mortalità viene solitamente espresso come una percentuale (quanto percentualmente sono aumentati i decessi per tutte le cause nel paese rispetto agli anni precedenti).
Un recente rapporto dell’Ocse sottolinea che “L’eccesso di mortalità può fornire un’indicazione dell’impatto complessivo del COVID-19, non solo tenendo conto dei i decessi attribuiti direttamente a COVID-19, ma anche quelli che possono essere persi o indirettamente collegati, come i decessi causati da un trattamento ritardato o mancato a causa di un sistema sanitario sovraccarico“.

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