Serve davvero la visita necroscopica?

Oggi, il servizio sanitario nazionale offre – di fatto – a tutti la possibilità dell’assistenza medica, vieppiù per i decessi che avvengano in strutture ospedaliere, ma anche per i decessi in abitazione, la prestazione è erogata sia attraverso i medici di base, sia con quelli di continuità assistenziale, guardia medica, servizio 118, ecc.

E anche nei frangenti di decesso senza assistenza medica, di cui all’art. 77 del R.S.C. n.396/2000 la norma richiede, pur sempre la presenza di un medico che assista all’intervento del magistrato o dell’ufficiale di polizia giudiziaria.

Un medico che prenda atto del decesso c’è (quasi) sempre.

Eppure, nonostante vi sia già stato un medico che abbia posto diagnosi di morte e attestato il decesso di una persona, è ancora imposta la necessità che dopo un certo intervallo di tempo intervenga un altro medico ad accertare l’effettività di quanto il suo collega prima di lui ha certificato.

E’ proprio necessario il doppio controllo? C’è mai stato un caso in cui il medico necroscopo abbia sconfessato o smentito ciò che aveva certificato un altro medico in precedenza?

Qualcuno osserva che basterebbe anche un solo caso per giustificare l’esistenza stessa della funzione necroscopica, ma più spesso si eccepisce che il medico necroscopo ha anche altri compiti, oltre al puro e semplice accertamento di morte previsto dall’art. 74 del R.S.C. 396/2000 e dall’art. 4, comma 4, del D.P.R. 285/1990 (oltre che da alcune normative regionali). Vediamo allora quali possono essere.

Il Regolamento nazionale di Polizia Mortuaria, almeno, di cui al D.P.R n.285/1990 conferisce al medico necroscopo determinate responsabilità:

– all’art. 1, comma 4, la denuncia della presunta causa di morte per i casi (rarissimi, ormai) di decesso senza assistenza medica;

– all’art. 5, comma 2, l’esame del materiale rinvenuto in caso di scoperta di parti di cadavere, resti mortali o ossa umane

– certificazione che escluda il sospetto che la morte sia dovuta a reato, ex art. 74 D.P.R. n. 396/2000, in primis, ma anche ai fini dell’imbalsamazione (art. 46) o della cremazione (art. 79) e soprattutto art. 3 L. 30 marzo 2001 n. 130.

– Riduzione o prolungamento del periodo di osservazione del cadavere;

– Disposizioni riguardanti il confezionamento del feretro nei casi di decesso dovuto a malattia infettiva-diffusiva di cui al D.M. 15 dicembre 1990 (l’art. 11 ne assegnerebbe nominalmente la competenza al coordinatore sanitario, per altro profilo professionale abrogato nell’anno 1993) ma in alcune norme regionali la funzione è affidata alla discrezione del medico necroscopo).

Ora, in questa prospettiva di perseguire l’obiettivo strategico della semplificazione nelle procedure obsolete, eliminando eventualmente un passaggio, se riconosciuto non indispensabile, ma addirittura ultroneo, ci domandiamo: “Dette incombenze non potrebbero sorgere in capo al medico curante o di continuità assistenziale, presupponendo naturalmente che questi abbiano in materia le stesse conoscenze del medico necroscopo”?

Peraltro una “deroga” al generalizzato intervento del medico necroscopo già è stata introdotta dall’art. 6, comma 2, del Decreto 22 agosto 1994, n. 582 “Regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte” in materia di prelievo di organi e tessuti a scopo di trapianto così come modificato, e integrato dal D.M. 11 aprile 2008, attuativi della L.578/1993.

Ma a tutt’oggi, e chissà per quanto ancora, l’accertamento di morte, per fortuna è ben presente nel nostro ordinamento, quindi vale la pena esaminare le questioni applicative correlate a questo tassativo adempimento medico-legale.

L’accertamento di morte è oggetto di diverse interpretazioni e comportamenti difformi, anche nel momento stesso in cui si concretizza, con il rilascio della certificazione da parte del medico accertatore, in particolare riguardo ai contenuti minimi (principio di non eccedenza!) del certificato stesso.

Dal versante operativo dell’Ufficiale dello stato civile, chiamato al perfezionamento dell’autorizzazione all’inumazione o, separatamente, dell’autorizzazione alla tumulazione, le preoccupazioni non possono non essere quelle che dal certificato del medico necroscopo emergano gli elementi minimi i quali sono funzionali a questo fine.
Specie se consideriamo come, a rigore (ma, a volte, accade) la denuncia delle cause di morte (art. 103, comma 1, lett. a) r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 e art. 1 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, pur sempre transitando dallo Stato Civile, per ragioni squisitamente organizzative, anche se è procedimento avulso dal dettato del DPR n. 396/2000, e venga consegnata in un secondo momento (entro le 24 ore dall’accertamento della morte), diventando, a certe condizioni, rilevante il momento e la causa della morte, spetti infatti segnatamente al necroscopo (ma anche a qualunque altro sanitario nell’esercizio delle sue funzioni ex Art. 365 Cod. Penale) segnalare eventuali indizi di morte violenta o, peggio ancora dovuta a reato ex Art. 74 comma 2 D.P.R. n. 396/2000.

Sia dal D.P.R. n.285/1990 sia dalle normative regionali la gestione della funzione necroscopica è affidata alle unità sanitarie locali. Ne deriva uno spettro di orientamenti e di soluzioni, davvero notevole e variegato.

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Carlo Ballotta

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