Sentenze Corte Conti sez. Piemonte in materia di camere mortuarie

Si riporta di seguito un estratto dalla Relazione svolta dal Presidente Antonio D’Aversa per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 della CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PIEMONTE, per la parte che riguarda sentenze concerneti le camere mortuarie.

2) Sentenze sulle camere mortuarie.

Vari procedimenti sono stati trattati dinanzi questa Corte che hanno avuto ad oggetto numerosi illeciti ruotanti, comunque, intorno agli obitori e relativi al fenomeno c.d. del racket del “caro estinto”. In tali casi, si è reso necessario valutare se, di volta in volta, si era verificata una semplice offerta in segno di gratitudine da parte dei congiunti (nonostante che in molte strutture ospedaliere fossero impartiti e pubblicizzati divieti di accettazione di tali erogazioni) o se, invece si fosse in presenza di un sistema tangentizio organizzato da agenzie funebri con la complicità di dipendenti di enti ospedalieri. Caso esemplare è quello emerso con le sentenze nr. 2149 e 2150 del 2004 del G.U.P. del Tribunale di Torino pronunciate a seguito di rito abbreviato, ove sono stati condannati alcuni infermieri in servizio presso l’Ospedale S. Giovanni Battista di Torino “Le Molinette” per i reati di associazione a delinquere, corruzione continuata e atti contrari ai doveri d’ufficio in quanto ritenuti colpevoli di concorso in corruzione continuata e atti contrari ai doveri d’ufficio perché, in quanto addetti alla sala mortuaria del nosocomio, ricevevano in più occasioni delle somme di denaro, per aver segnalato ad imprese di onoranze funebri il decesso di persone giunte già cadaveri presso la sala mortuaria dell’Ospedale, in modo tale da consentire alle ditte di contattare immediatamente i parenti delle persone decedute, o per aver comunicato direttamente ai parenti di deceduti i nominativi delle imprese cui affidare le onoranze funebri, nonché di aver ricevuto somme di denaro, dalle stesse ditte per aver effettuato la preparazione della salma ed eseguito la vestizione dei cadaveri. I risultati ai quali è giunta la magistratura ordinaria sono stati possibili a seguito di ampie indagini penali, le quali, dopo mesi di intercettazioni telefoniche ed ambientali, avevano portato agli arresti di personale infermieristico in servizio presso diversi Ospedali della città, nonché di titolari di imprese di onoranze funebri; le notizie relative alla vicenda sopra tratteggiata, sono state oggetto di numerosi articoli di stampa e servizi giornalistici televisivi, tenuto conto che la fattispecie delittuosa ha interessato molte strutture sanitarie della città.

Ciò premesso, la Procura Regionale, ravvisando l’esistenza di profili di responsabilità amministrativa a carico dei dipendenti ospedalieri , per il danno all’immagine derivante dalla loro condotta illecita e senza dimenticare di sottolineare che, da parte loro, gli Organi direttivi dell’Ospedale si erano attivati tempestivamente denunciando i fatti alla Procura della Repubblica, ha individuato come autori del danno all’immagine gli infermieri chiamati in giudizio Nel merito la Procura regionale aveva ricordato che gli infermieri in questione avevano percepito illecitamente, come sopra descritto, somme di denaro da alcune imprese di onoranze funebri, a fronte del compimento di atti contrari ai propri doveri d’ufficio e di atti, invece, rientranti nelle proprie attribuzioni.

Il Collegio, nel merito, dopo aver sottolineato l’esistenza dei presupposti dell’azione di responsabilità amministrativa, ha respinto l’eccezione di difetto di prova del danno all’immagine, sollevata dalla difesa osservando che, secondo i più recenti indirizzi della giurisprudenza contabile, il concretizzarsi di tale pregiudizio è legato alla lesione di quegli interessi “apatrimoniali” correlati alla funzione pubblica esercitata e che traggono la loro tutela, ed il loro immanente presidio, nell’articolo 97 della Costituzione, in diretta connessione con l’articolo 2 della medesima norma primaria; da questo punto di vista, anzi, va riaffermato il generale dovere che tutti i cittadini hanno di essere “fedeli alla Repubblica e di osservarne le Leggi” nonché quello, proprio dei soli dipendenti pubblici, di “adempiere le pubbliche funzioni con disciplina ed onore”, ex articolo 54 della Costituzione, norma in larga parte teleologicamente orientata alla tutela dell’immagine e del prestigio della Pubblica Amministrazione.

In tale quadro si colloca, inoltre, la Legge nr. 150 del 2000 sulla cd. comunicazione istituzionale, che, come noto, obbliga, i pubblici dipendenti ad impegnarsi affinché il valore di un’Amministrazione si riverberi effettivamente all’esterno, al fine di fornire un’immagine positiva e specchiata dell’Ente pubblico di fronte alla collettività.

Se questo è un dovere per l’Amministrazione, non può che configurare, di riflesso, un diritto della medesima, del quale non può non garantirsi l’integrità, o in altri termini un interesse della medesima, ad essa appartenente ed economicamente valutabile, meritevole di tutela, anche di tipo patrimoniale, protetto dall’ordinamento ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione. (ex multis Cassazione, I Sezione Civile, Sentenza nr. 7642 del 1991 e nr. 12951 del 1992, III Sezione Civile, Sentenza nr. 2367 del 2000 e nr. 12929 del 2007).

E quando sia accertato che la lesione di siffatto interesse è stata perpetrata da un soggetto legato all’Amministrazione da un rapporto d’impiego, come nel caso presente, lo schema applicabile rimane quello della responsabilità erariale avanti alla Corte dei Conti, notoriamente connotato da piena autonomia rispetto al giudizio penale e civile; la collocazione del danno all’immagine come sopra definito, rimane, quindi, interna alla sfera del danno patrimoniale, nei termini più volte espressi dalle Sentenze delle SS.UU. della Corte di Cassazione nn.rr. 5668 del 1997, 744 del 1999, 98 del 2000, 10730 del 2003 e 4582 del 2006, nonché dalla Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 10/QM/2003, e cioè classificabile “apatrimoniale” solo perché non cagionato ad un bene materiale, ma patrimoniale nel senso di essere stato arrecato ad un interesse giuridicamente rilevante e suscettibile di valutazione economica.

In tale prospettiva, cade opportuno sottolineare che la giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa Corte, avallata, recentemente anche dalla Corte di legittimità (Cassazione III Sezione Civile, Sentenza nr. 12929 del 2007) ha precisato che il danno all’immagine non si identifica o non si verifica soltanto quando, per ripristinarlo, l’Amministrazione pubblica sostiene delle spese; in realtà tale tipo di pregiudizio si configura e si concreta anche nel caso in cui la rottura di quella aspettativa di legalità, imparzialità e correttezza che il cittadino si attende dall’apparato pubblico viene spezzata da illecito comportamento dei suoi agenti. L’essenza ed il nucleo centrale di detto danno non si palesano, quindi solo in relazione con la spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso, in quanto la risarcibilità di un simile pregiudizio deve essere vista come lesione ideale, con valore da determinarsi secondo l’apprezzamento del Giudice, ai sensi dell’articolo 1226 del Codice Civile.

Di conseguenza gli esborsi eventualmente sostenuti per riparare tale danno si pongono solamente come uno dei mezzi di prova utilizzabili a sostegno della domanda di risarcimento. Con tale motivazione questa Corte per il Piemonte, ha pronunciato la condanna al risarcimento del danno.

Proprio per stroncare tali illeciti traffici sono state installate delle microcamere in vari nosocomi. In uno di questi, cioè nell’ospedale di S Luca furono occasionalmente filmati due dipendenti mentre intrattenevano rapporti sessuali nei locali di pertinenza delle camere mortuarie: tali rapporti avevano carattere di continuità, come attestato anche da intercettazioni telefoniche e avvenivano anche con altre due persone, sempre all’interno del complesso dei locali della camera mortuaria.

In sede penale, per tali fatti, i due convenuti sono stati assolti dal reato di “atti osceni” (art. 527 c.p.) in quanto il giudice penale aveva ritenuto che l’anzidetto luogo, per quanto definito “improprio” dal Giudice stesso, non fosse pubblico o comunque aperto o esposto al pubblico.

In sede disciplinare, è stata irrogata ad entrambi i soggetti la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per dieci giorni in quanto il comportamento, pur non essendo penalmente perseguibile, costituiva, secondo l’Amministrazione, una grave violazione dei doveri del dipendente, anche alla luce del luogo in cui si erano tenuti, che denota, tra l’altro, mancanza di rispetto e di pietas per i defunti. Lamentava inoltre l’Amministrazione che da tale condotta era derivato un gravissimo danno all’immagine aziendale, trattandosi di un fatto “assolutamente deplorevole”, tenuto anche conto “della intenzionalità del comportamento e della rilevanza degli obblighi violati”.

In proposito la Sezione, ha ravvisato, da parte sua, una responsabilità solidale dei due convenuti per aver arrecato al “San Luigi” un “rilevantissimo danno all’immagine” in quanto hanno dolosamente violato gli obblighi di servizio contravvenendo alle regole di rettitudine, buon andamento, moralità, igiene, che informano le prestazioni lavorative del personale del Comparto Sanità, previste tanto dalla normativa generale sul pubblico impiego, quanto dalla contrattazione collettiva e dalle discipline interne delle singole strutture ospedaliere. I due, con una allarmante disinvoltura avevano dato luogo a condotte materiali riprovevoli nei luoghi di lavoro e durante l’orario di servizio, mostrando così un assoluto disprezzo per l’osservanza dei doveri e degli obblighi previsti anche dal “Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni”, art. 28, C.C.N.L. Comparto Sanità – Personale dei livelli – 1.09.1995, parte normativa 1994/1997).

Gli interessati negavano l’esistenza stessa del danno all’immagine patito dall’ospedale pubblico che, al contrario, sarebbe stato arrecato non della loro condotta, bensì della “fuga di notizie avvenuta solo per l’apposizione di microcamere, da parte della polizia giudiziaria, in ambienti inaccessibili a terzi e dell’abuso del diritto di cronaca, connesso all’arbitraria ed equivoca diffusione della notizia.

La sentenza ha respinto le argomentazioni difensive affermando che non poteva negarsi che gli episodi in discorso avevano causato una significativa lesione all’immagine della struttura sanitaria pubblica in quanto i rapporti in questione erano stati praticati nel luogo di lavoro, e il luogo di lavoro era una struttura dell’amministrazione pubblica, e la struttura pubblica era un ospedale, e i locali utilizzati per le pratiche sessuali erano addirittura quelli di pertinenza delle camere mortuarie: per tali ragioni la questione esulava dalla sfera privata e riservata degli “adulti consenzienti” ma, inevitabilmente, irrompeva nella sfera giuridica del pubblico interesse.

Oltre ledere l’immagine di un luogo di cura, essi sono stati percepiti come indecorosi e non consoni in base all’attuale “comune sentire”, di cui il Giudice deve farsi interprete; inoltre acquistano ulteriore e speciale connotazione lesiva, di particolare gravità, venendo ad offendere oltre l’identità pubblica, anche, nel particolare contesto, il comune senso di devozione verso i defunti che appartiene ad ogni civiltà, e rappresenta una costante manifestazione, sia religiosa, sia laica, di ogni cultura.

La sentenza, poi, ha posto in rilievo che questa esigenza di “rispetto”, riguarda non solo i defunti, ma, soprattutto, i loro superstiti, e riceve adeguata tutela anche nel vigente ordinamento giuridico positivo: è sufficiente richiamare la rilevanza attribuita al sentimento di “pietà dei defunti” dal Codice Penale che punisce, tra gli altri, i delitti di violazione di sepolcro, vilipendio delle tombe, turbamento di un funerale o servizio funebre, vilipendio di cadavere etc.. La legge si fa quindi interprete di una specifica e diffusa sensibilità sul tema, riconoscendo meritevole di tutela penale il diritto al “rispetto” sia dei defunti, sia dei luoghi in cui essi riposano, ovviamente anche nell’interesse dei loro superstiti gettando, in tale circostanza, senz’altro discredito sul “San Luigi” (in particolare) e sul servizio sanitario pubblico (in generale).

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