Quasi tutte le Regioni, in applicazione del nuovo art. 117 Cost. (potestà legislativa concorrente), hanno avviato un processo di caotiche riforme, mirato a rimuovere, in parte, l’orientamento, molto rigido e dirigista del vigente Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria (D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285), in tema di trasporti “a cassa aperta” di cui all’art. 17, creando però qualche nuova e diversa complicazione.
Muovendo dall’assunto che il dettato costituzionale, come novellato dalla Legge di revisione costituzionale n. 3/2001, legittimi le Regioni a produrre una propria disciplina legislativa e regolamentare in materia di tutela della salute pubblica: umana e veterinaria, molti Legislatori Regionali hanno ritenuto opportuno inserire nei – a questo punto – propri ed autonomi, ordinamenti funerari, specifiche disposizioni, che fornissero una valida risposta ad una istanza emergente nella società italiana.
Si tratta della facoltà di consentire, su semplice richiesta dei familiari, e, quindi con una procedura molto snella e sburocratizzata, il trasferimento della persona deceduta in luogo diverso da quello di morte, per compiere l’osservazione (cioè la veglia funebre, sostanzialmente, almeno per i dolenti) e tenere i riti del commiato in un ambiente ritenuto più acconcio, più spesso la casa funeraria, ma pure la stessa abitazione del de cuius (anche se quest’ultima non tutte le Regioni contemplano e prevedono).
Unica condizione tecnica, assieme alla volontà dei congiunti (e come formalizzarla, poi, in un atto per lo meno scritto?) per permettere questo trasferimento è, di norma, un’attestazione di un sanitario che, posta diagnosi di morte, accerti come questa traslazione possa avvenire senza pregiudizio per la salute pubblica (!!!) e, naturalmente, non vi sia l’interessamento in corso dell’autorità giudiziaria, escludendo, così, la morte violenta o, peggio ancora, dovuta a reato.
Ad un’attenta analisi, si evidenzia una notevole responsabilità, per il medico sopravvenuto (di medicina generale, di continuità assistenziale del servizio 118…).
Introduciamoci, così, in un istituto per certi aspetti innovativo e ancora problematico: il cosiddetto trasporto “a cassa aperta”, ovvero quello eseguito con modalità tali da consentire l’eventuale manifestarsi di, ancorché flebili, segni di vita.
Per definire il procedimento, e regolare compiutamente questa piccola rivoluzione, le prime Regioni, che l’hanno sperimentata con successo (es. Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, ed a cascata molte altre), hanno creato una (forse) artificiosa distinzione concettuale e semantica tra due parole spesso impiegate in modo promiscuo nell’esprimersi quotidiano: i termini linguistici: “salma” e “cadavere”. Si definiscono, quindi, come:
- salma: il corpo umano dal momento del decesso sino all’accertamento di morte (tramite visita del medico necroscopo),
- cadavere: il corpo umano dall’accertamento di morte in poi.
Allora, a quale fine questo sottile discrimen funzionale? È chiaro: allo scopo di delimitare, fissando una sorta di dies ad quem, il lasso temporale, in cui il trasferimento possa essere espletato, con sola autorizzazione del medico, ovvero nel periodo precedente la visita necroscopica, cioè nel preciso momento in cui si ha la “salma”.
Se, invece, il trasporto avviene dopo l’accertamento di morte, ovvero quando si ha il “cadavere”, il prefato trasporto rimarrebbe di competenza autorizzatoria del Comune, secondo il collaudato schema del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
In quest’ultimo caso, infatti, il trasporto del feretro dovrebbe avvenire “a cassa chiusa”, con suggelli e relativa attestazione di garanzia Paragrafo 9.7 Circolare Ministero Salute 24 giugno 1993 n. 24), la quale, sempre più spesso, si risolve in un’improbabile autocertificazione.
La realtà, però, sovente si rivela subdola ed ingannatrice, o, comunque, molto diversa da quella che il Legislatore, in questo caso regionale, si sarebbe potuto ragionevolmente prefigurare.
Sin da subito si è riscontrato che non infrequentemente (anzi, ormai è quasi la norma, data la prevalente ospedalizzazione della morte) la persona deceda presso strutture ospedaliere, le quali provvedono sollecitamente all’accertamento necroscopico, anche per via strumentale, con l’effetto involontario e…perverso che subito la “salma” divenga “cadavere”, precludendo, così la possibilità del trasferimento “a cassa aperta” come desiderato, invece, dai familiari.
Per ovviare a queste incongruenze tra il dettato normativo, la sua essenza, le istanze dei familiari, e i riflessi concreti, nel diritto funerario, realmente ottenuti, le Regioni interessate, in sede di riesame, hanno adottato rimedi e soluzioni diverse, seguendo differenti filosofie.
La Regione Lombardia, (la prima – forse – a capire il bug interpretativo) ha emanato una circolare (n. 21/SAN del 30.5.2005), che così recita:
“Il trasporto di salma dal luogo di decesso al luogo della veglia funebre (art. 41, commi 5 e 6 Reg. Reg. n. 6/2004) può essere effettuato soltanto entro il territorio regionale ed indipendentemente dalla circostanza che sia o meno intervenuto l’accertamento di morte, purché si verifichi entro la durata del periodo di osservazione”.
La circolare smentisce, di fatto, il testo regolamentare assunto, sua sponte, dalla Regione stessa; però sul tavolo resta un interrogativo di teoria generale del diritto: può una semplice circolare smentire una legge, ancorché regionale? Secondo il principio di gerarchia tra le fonti, naturalmente NO!
Non sarebbe stato, forse, più consentaneo e “legale” modificare la norma così ambigua, eliminando quella distinzione cavillosa, che si è rivelata inutile e controproducente?
Anche la Regione Emilia-Romagna si è trovata nella medesima situazione di potenziale stallo, ma ha reagito prontamente, non rimuovendo il distinguo specioso, bensì veicolando, con atto solo amministrativo, una ulteriore innovazione nel proprio sistema funerario, che ci lascia, invero, qualche dubbio e perplessità.
Con determina n. 4693 del 29.5.2009 che integra ed aggiorna la precedente determina 6 ottobre 2004, n.13871, così, si è scelto di creare, di fatto, un modello ibrido: il trasporto del cadavere “a cassa aperta”.
Questa curiosa e contraddittoria fattispecie, testè delineata e tesa garantire, comunque, ai familiari richiedenti la possibilità di svolgere le esequie secondo il loro volere, giunge, persino ad acconsentire, almeno adesso, anche il trasferimento del proprio congiunto deceduto presso l’abitazione privata, destinazione, quest’ultima, che la legge regionale n. 19/2004, invero, non ammetterebbe.
Ma pure questa ulteriore novella ha rivelato da subito i propri limiti applicativi.
Per lasciare i familiari liberi di trasferire, in un ambito ritenuto più appropriato e consono all’officio delle esequie, il proprio congiunto deceduto, è necessario ottenere l’autorizzazione al trasporto di “cadavere” da parte degli uffici comunali preposti, quando sia già stato eseguito l’accertamento di morte (quindi si è appunto in presenza di cadavere). Risulta, però, non sempre possibile conciliare l’orario di apertura degli uffici comunali con l’imprevedibilità del momento del decesso delle persone e delle conseguenti istanze di trasferimento dei familiari, vieppiù in prossimità dei giorni festivi o di ordinaria chiusura dei plessi comunali preposti alle autorizzazioni di polizia mortuaria, secondo il regolamento di giunta di cui agli art. 48 comma 3 e 89 D.Lgs n. 267/2000, per l’organizzazione generale della macchina comunale, nella sua struttura operativa.