Sanzione ex Art. 358 Regio Decreto n. 1265/1934 e feretri non a norma

Secondo un’antica, tenace, concezione le norme giuridiche si caratterizzerebbero per il fatto di esser suscettibili di attuazione forzata o sarebbero, comunque, garantite dalla predisposizione per l’ipotesi di trasgressione di conseguenza in danno del trasgressore chiamata: “sanzione” Una norma non dotata di questo deterrente è definita “norma minus quam perfaecta“.

L’art.16 del D.Lgs. 22 maggio 1999, n.196, ha novellato il secondo comma dell’art. 358 del RD 27 luglio 1934, n.1265, elevando l’importo della P5280080sanzione amministrativa ivi contemplata per i contravventori alle disposizioni regolamentari.
Oggetto di questo saggio, per brevità, saranno solo le norme nazionali (Art. 107 DPR 285/1990 e di conseguenza Art. 358 Regio Decreto 1265/1934) anche se non mancano esperienze ancora in fieri a livello locale, La regione Lombardia con l’Art. 10 bis della Legge n.6 8 febbraio 2005, per esempio, si è dotata di un proprio sistema sanzionatorio per reprimere possibili irregolarità nell’ambito dei servizi funebri, necroscopici e cimiteriali ed anche l’Emilia Romagna con l’Art. 7 comma 2 lettera d) della Legge Regionale 29 luglio 2004 n. 19 sembra aver intrapreso la stessa direzione, non dobbiamo poi dimenticare il potere sanzionatorio dei regolamenti comunali introdotto con l’Art. 16 della Legge 16 gennaio 2003 n. 3, il quale è intervenuto sul Testo Unico Ordinamento Enti Locali aggiungendovi l’Art. 7-bis.
Tra le violazioni trasformate in illecito amministrativo dalla legge n. 689 del 24 Dicembre 1981 rientrano anche quelle previste dall’art. 358 del RD 27 luglio 1934, n. 1265 cui lo stesso Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria rinvia. La depenalizzazione ha il fine di trasformare gli illeciti penali in illeciti amministrativi (modello parapenalistico), da questa scelta del Legislatore consegue sia l’attribuzione della dell’accertamento ad un organo amministrativo: sia la sostituzione della sanzione penale con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro.

Tale sanzione è oggi compresa fra un minimo di tre milioni ed un massimo di diciottomilioni di lire, dobbiamo poi considerare il Decreto Legislativo 24 giugno 1998, n. 213 sull’introduzione dell’Euro con relativa conversione della Lira nel nuovo conio, pertanto la “forchetta” con i nuovi importi dal 1 gennaio 2002 è da 1.549 a 9.296 Euro.

La cifra da versare, è calcolata, nella misura più favorevole per chi abbia commesso l’infrazione, tra il doppio del minimo ed il terzo del massimo: in entrambi i casi si hanno Euro 3098.76.
La sanzione amministrativa prevista dall’art. 358 cit. si configura come residuale, in quanto risulta applicabile solamente alle violazioni regolamentari che non costituiscano reato ed alle trasgressioni a norme regolamentari non edittali, ossia per le quali non sia prestabilita una specifica punizione pecuniaria.

Trattandosi di sanzione amministrativa pecuniaria, non occorre alcuna segnalazione all’autorità giudiziaria, ma il comune deve provvedere ad irrogarla direttamente (con le procedura della L. 24/11/1981, n. 689) essa può essere obalata in via breve con il pagamento di 3.098,76 Euro.
Attenzione:l’eventuale mancata contestazione della sanzione determina, quanto previsto dall’art. 93 D. Lgs. 18/8/2000, n. 267 e succ. modif., con conseguente obbligo di immediata segnalazione alla Corte dei Conti (anche qui, l’omissione o il ritardo nella segnalazione determina solidarietà nella responsabilità patrimoniale).

A introitare la somma è il comune di decesso che autorizza il trasporto, ai sensi del combinato disposto tra gli Artt. 26 comma1 e 34 comma 1, senza dimenticare il paragrafo 5. 2 Circ.Min. n.24/1993, perché la corretta predisposizione e chiusura della cassa è condicio sine qua non per espletare il trasporto funebre di cui agli Artt. 23 e seguenti DPR 285/1990, anche se materialmente l’apposizione del coperchio (con o senza la saldatura del nastro metallico) avverrà in un comune intermedio (Art. 24 comma 3) al quale deve pur sempre esser data comunicazione del decreto di trasporto e delle eventuali istruzioni operative in esso contenute.

Difatti il contenuto dell’autorizzazione al trasporto funebre è non solo – genericamente – il trasporto, quanto “quel particolare trasporto inteso nella sua unicità”, con l’individuazione sia dello “oggetto” del trasporto (le generalità del defunto), sia del luogo di partenza, del momento in cui esso inizia, del mezzo impiegato (art. 20 DPR 285/1990), della tipologia di cofano impiegato sia dell’addetto al trasporto della salma, assumendo questi l’officio di incaricato di pubblico servizio (art. 358 CP e punto 5.4) circolare Ministero della sanità n. 24 del 24/6/1993).

  • Cofani con spessore inferiore al minimo di legge, o, che, per converso, eccedano la misura massima consentita ai sensi del paragrafo 9.1 Circ. Min. n.24 del 24 giugno 1993,
  • il ricorso a materiali non biodegradabili nell’ipotesi di inumazione (compresa la mancata “neutralizzazione” della cassa di zinco ex Art. 75 comma 2 DPR 25/1990 attraverso l’apertura di squarci sul coperchio)
  • l’assenza della prescritta cassa metallica (o di equivalente dispositivo ex D.M. 7 febbraio 2007 e D.M. 28 Giugno 2007) quando obbligatoria assieme ai suoi ausili meccanici o bio-chimici (reggette, valvola depuratrice, strato assorbente nell’intercapedine tra i due cofani),

determinano la non ottemperanza rispettivamente all’articolo 30, 75 o 77 del D.P.R. 285/90; detti comportamenti antigiuridici sono colpibili con sanzione monetaria pari a Euro 3.098,76, come agevolmente dimostrato in precedenza.

E’, infatti, opportuno che i cofani destinati all’inumazione o alla cremazione vengano realizzati con spessori minimi consentiti e con essenze lignee tenere, facilmente degradabili, anche considerando l’Art. 8 della Legge 30 marzo 2001 n. 130 (norme purtroppo ancora inattuate per favorire bare ecologiche da avviare ad incinerazione) e l’Art. 75 comma 1 DPR 285/1990, con cui si vieta l’immissione nel ciclo dei campi di terra di materiali non biodegradabili, essendo il fine ultimo dell’inumazione proprio la mineralizzazione dei cadaveri, sino alla raccolta delle ossa, ai sensi del combinato disposto tra gli Art. 57 commi 5 e 6, 67, 75 comma 1, 82 commi 2 e 3, 85, comma 1 DPR 285/1990.

Nell’impianto normativo del DPR 285/1990 salvo il frangente specifico di trasgressione dell’ordinanza sindacale, in genere, la vigilanza sul trasporto funebre è affidata alla ASL competente per territorio, che attraverso i propri servizi ispettivi (vigilanza sanitaria) accerta l’infrazione ed eleva la sanzione, ai sensi dell’articolo 16 comma 2 del D.P.R. 285/1990.
Parte della dottrina intende il trasporto funebre nella sua accezione più ampia (e non come mero trasferimento): preparazione della bara, incassamento del cadavere, chiusura della cassa, movimentazione della stessa, carico sull’autofunebre sino all’accettazione in cimitero.
L’accertamento dell’infrazione, ma non l’applicazione della relativa sanzione, può avvenire anche a mezzo del custode del cimitero, che segnala la violazione, per via gerarchica, all’ASL del proprio distretto.

Questa fase nel processo sanzionatorio può esser svolta pure dalla polizia municipale, ove fosse stata chiamata per acclarare l’infrazione alla partenza del corteo funebre o durante il tragitto, essa assolve, così, le stessa funzioni di polizia giudiziaria.
Comminare le sanzioni è però prerogativa dell’Autorità Sanitaria, ove, ovviamente non sia intervenuta apposita legge regionale per definire una diverso conferimento di ruoli e responsabilità nell’ambito della polizia mortuaria (Si pensi alle recenti leggi regionali di Emilia Romagna e Lombardia dove sorveglianza e supervisione su trasporti funebri e cimiteri sono demandate al comune che si avvale dell’AUSL solo per gli aspetti igienico-sanitari.

Si rammenta infine che il Sindaco è l’autorità sanitaria locale ex Legge 833/1978, Decreto Legislativo 112/1998, Decreto Legislativo 267/2000.
In proposito la normativa si sta evolvendo verso l’eliminazione del doppio controllo (in partenza e all’arrivo) purché siano adottate precise cautele. Cosicché la rispondenza del feretro alle prescrizioni stabilite dall’art. 30 del D.P.R. 285/1990, nonché, in caso di decesso dovuto a malattie infettive-diffusive, quelle degli Artt. 18 e 25, e infine l’avvenuto trattamento antiputrefattivo, è attestato dal personale a ciò delegato dall’U.S.L. del luogo di partenza, unitamente al riconoscimento del cadavere.
Prima di trasbordare la cassa sull’autofunebre, a garanzia della integrità del feretro e del suo contenuto, vi sarà impresso un sigillo, così, recita il par. 9.7 della circolare n. 24/93 del Min. Sanità. Il servizio di custodia del cimitero di arrivo valuterà se il sigillo sia intatto e la corrispondenza di questo con quello stampigliato sulla certificazione di cui sopra.

Solo nel caso di constatata effrazione al sigillo dovrà redigersi processo verbale. L’apposizione del sigillo con ceralacca è una prassi, forse un po’ vetusta, ma non eliminabile in quanto prova dell’autenticità e corrispondenza del verbale redatto dall’ASL.

Trattandosi di un compito di vigilanza sanitaria tale esame sul feretro non può essere eseguito da altri soggetti, né trova fondamento il ricorso a c.d. autocertificazioni (escluse dall’art. 49 DPR 28/12/2000, n. 445).

I riscontri attribuiti dal paragrafo 9.7 della circolare n. 24/93 del Ministero della Sanità all’autorità sanitaria rientrano nell’orbita dei compiti propri dell’AUSL, ex Art. 49 DPR 445/2000 per l’intrinseca natura sanitaria e di ente pubblico che la stessa possiede ed in regime di DPR 10 settembre 1990 n. 285 non sono surrogabili da soggetti terzi, i quali, altrimenti incorrerebbero nel reato di cui all’Art. 347 Codice Penale (usurpazione di funzioni pubbliche).
Essi sono:

1. identità del cadavere ;
2. accertamento dell’avvenuto trattamento conservativo di cui all’Art. 32 ;
3. rispondenza del cofano alle prescrizioni stabilite dall’art. 30 a seconda che :
– il feretro effettui un tragitto superiore a 100 km (ososti più giorni in camera ardente o camera mortuaria del cimitero prima di sepoltura o cremazione)
– il feretro venga tumulato o estradato.
– si sia in presenza di morto di malattia infettivo diffusiva o di cadavere portatore di radioattività., nel primo caso (cadavere infetto) si debbono seguire gli Artt. 18 e 25.

Alle volte soprattutto nei trasporti funebri di lunda distanza si assiste a bizzarre richieste, come l’apertura della cassa per un ultimo saluto al de cZincouius. Dopo il periodo d’osservazione (ed a maggior ragione se sono già trascorsi diversi giorni dalla morte) i cadaveri vanno trasportati solo a cassa chiusa e l’assetto del feretro non può esser manomesso (se non su istanza dell’autorità sanitaria quella giudiziaria, militare…) nè il Ministero della Sanità ha autorizzato, ai sensi dell’art. 31 del DPR 285/1990 materiali diversi dallo zinco, dal piombo o dalla plastica biodegradabile e nella fattispecie l’uso di oblò ricavato all’altezza del viso del defunto, magari da rimuovere prima della sepoltura. La legge è chiara: nell’involucro ermetico (rigido se di lamiera, flessibile se di plastica) non deve esserci soluzione di continuità, altrimenti si verificherebbe la fuoriuscita di miasmi e liquidi postmortali.

Il coperchio della cassa, così come richiesto all’art. 30/7 del DPR 285/90 deve essere in un sol pezzo nel senso della lunghezza (anche se sono consentite più tavole, saldamente congiunte fra loro). Anzi, lo spirito della Legge (paragrafo 16 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24) sembra preferire decisamente una cassa di zinco “monoscocca”, ricavata da un unico pezzo di lamiera, così da limitare le giunture al solo labbro perimetrale di contatto tra vasca e coperchio; ammettendo come eccezione il ricorso a due nastri metallici congiunti attraverso saldatura solo per i feretri “fuori misura”. L’ASL di arrivo che acclari la violazione dovrà procedere alla sanzione nei confronti del soggetto inadempiente: l’ASL di partenza, o l’Autorità Sanitaria Locale del Paese non aderente alla Convenzione di Berlino che l’ha sottoscritta in base all’art. 28/1 lettera a) e disporre il ripristino delle condizioni di impermeabilità.

L’ ipotesi di sanzionare l’Autorità Sanitaria Straniera è, sinceramente, sì suggestiva, ma abbastanza inverosimile almeno se assumiamo come valido il principio di sovranità tra i vari Stati nazionali, anche se condicio sine qua non per l’introduzione di un feretro in Italia è, oltre al titolo di accoglimento (in cimitero, al crematorio…) proprio la certificazione sul pieno rispetto del DPR 10 settembre 1990 n. 285, a prescindere dalla legislazione estera.

Nel caso di trasporti di salme da o per uno degli Stati aderenti alla Convenzione di Berlino ci si rifà all’osservanza delle prescrizioni sanitarie previste in detta Convenzione. Le norme violate sono quelle di cui all’art. 30 del DPR 285/90. Per le sanzioni si rimanda sempre all’art. 107 del DPR 285/90.

Se, invece, si dovesse ritenere dette verifiche più attratte nel novero di attività proprie della polizia mortuaria comunale, la titolarità di questa funzione sorgerebbe in capo al Sindaco e questi la dovrebbe regolare attraverso apposita ordinanza.

In ultima analisi, dunque, autorevoli chiosatori ascrivono tali controlli tecnici al complesso di atti, adempimenti ed incombenze che contraddistinguono il trasporto funebre; esso, come noto, viene normato dal regolamento di polizia mortuaria nazionale, comunale e/o da ordinanza del Sindaco, quindi essendo il servizio di trasporto funebre riconducibile all’azione di polizia mortuaria comunale, ai sensi degli artt. 16, 19, 22 e 24 del DPR 285/90, dovrebbe essere quest’ultimo soggetto istituzionale ad individuare i modi di esecuzione delle verifiche anzidette.
In una visione sistemica ed organicistica del nostro ordinamento di polizia mortuaria le USL possono essere qualificate come enti strumentali ed “interfacce istruttorie” rispetto alla potestà ordinatoria e regolamentare del Sindaco e del Comune, alla cui formazione della volontà esse certo contribuiscono emanando i pareri previsti dalla legge (Si pensi a tutte le autorizzazioni del DPR 285/90 in cui è necessario il parere dell’AUSL come tumulazioni privilegiate, procedure di deroga ex Art. 106, soppressione dei cimiteri…)
È pertanto da escludere una potestà diretta ad emettere provvedimenti deliberativi in merito, essendo essi viziati in origine da eccesso di potere, poiché il potere di normazione spetta unicamente dal Comune (attraverso regolamento) e dal Sindaco (con ordinanza). (si veda Consiglio di Stato Sez. V, 25/10/1974 n. 436).

Sulla scelta del personale delegabile da parte dell’AUSL per la effettuazione del check-up e delle certificazioni di cui al punto 9.7 della citata circolare n. 24/93 del Ministero della Sanità è l’ASL a provvedere, in genere scegliendolo all’interno dl proprio organigramma.

Non sono consentite situazioni nelle quali il conflitto di interessi possa prevalere sul rispetto della normativa.

In altri termini non possono sussistere fattispecie paradossali di sovrapposizione tra controllore-controllato, laddove l’AUSL intenda trasferire le attribuzioni previsti dal paragrafo 9.7 della circolare n. 24/93 del Ministero della Sanità a personale esterno alla sua organizzazione.

Si giunge, così, a questa conclusione: nell’assetto nazionale dei servizi funebri, necroscopici e cimiteriali conosciuti con il termine generico di “polizia mortuaria” le singole imprese funebri, anche a se “delegate” dall’AUSL, non hanno titolo ad esercitare mansioni pubbliche a meno che siano P5280083intervenute riforme regionali in forza delle quali le imprese di estreme onoranze lavorino su autorizzazione del comune quali agenti incaricati di pubblico servizio, caratteristica funzionale che non è più limitata al solo trasporto funebre [11], come, invece, risulterebbe dal paragrafo 5.4 della Circ. Min. n. 24 del 24 giugno 1993, e si estende a tutti i momenti dell’evento funerale.

Naturalmente sul cofano e sul suoi titoli di viaggio (decreto di trasporto, verbale di corretta chiusura…) non dovrà più esser impresso il sigillo dell’AUSL, ma come specificato, ad esempio, dalla determina del responsabile servizio sanità pubblica regione Emilia Romagna n. 13871 del 6 ottobre 2004 Il timbro utilizzato per sigillare il feretro deve riportare almeno il nome del Comune che autorizza l’esercente dell’attività funebre, ai sensi della legge regionale in questione e il numero identificativo dell’autorizzazione stessa.
Non è ancora stato chiarito per quanto tempo dovrà esser conservato agli atti del cimitero il verbale [12] recante l’attestazione sul confezionamento del feretro, anche perché esso esaurirebbe il suo scopo dopo il periodo legale di sepoltura, almeno per l’inumazione quando ai sensi della Circ.Min. 31 luglio 1998 n. 10 e della risoluzione ministeriale p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004 invece dell’originaria cassa è sufficiente un contenitore più “leggero”, per interrare o cremare il resto mortale. Più complicata è la ri-tumulazione, perché potrebbe presupporre anche il cosiddetto “avvolgimento” ex paragrafo 6 Circ.Min. n.10/1998.

Di sicuro, allora, per i defunti sepolti in campo di terra il verbale sul corretto confezionamento del feretro dovrà rimanere disponibile almeno sino all’esumazione, quindi per tutto il periodo di sepoltura legale per valutare l’effettiva biodegradabilità della cassa
in realtà come tutta la documentazione cimiteriale il periodo di mantenimento in archivio dovrebbe esser quello stabilito dal DPR 30 settembre 1969 n.1409 ed è fissato ordinariamente in 40 anni.

Si specifica, poi, come l’uso del manufatto plastico impermeabilizzante sia limitato ai trasporti nazionali da comune a comune, secondo la stessa formulazione dell’Art. 31, non è, quindi, legale vicariare le fasce metalliche con la valvola depuratrice nei trasporti internazionali di cui all’Art. 27 DPR 285/1990, ciò in quanto l’impiego delle reggette è espressamente previsto dal comma 2 dell’art. 3 del RD 1/7/37 n. 1379 (convenzione di Berlino del 10 febbraio 1937), che all’art. 10 pone come condizioni minimali. Quanto specificato dalla C.M. Sanità n. 24/93 al paragrafo 9.2 vale per l’Italia e per i Paesi non firmatari dell’accordo di Berlino. Essendo le prescrizioni della convenzione di Berlino minimali (spessori del legno, distanza fra le viti, ecc.) è possibile utilizzare fra lo zinco e la cassa di legno materassini assorbenti (di spessore non inferiore a 5 cm., raggiungibili anche cumulativamente), addizionati con una sostanza antisettica.

L’allora Ministero della Sanità, oggi Dicastero della Salute, nell’autorizzare l’adozione di involucri flessibili alternativi alla cassa di lamiera per ottenere la perfetta, anche se limitata nel tempo, impermeabilità a gas e liquidi post mortali richiamava l’attenzione ditta produttrice del manufatto circa le informazioni sulla reale biodegradabilità della sostanza plastica di cui consta il barriera da fornire al ministero entro due anni da decreto.
Questa disposizione era rafforzata anche da alcune norme di livello locale, come accade con il Decreto Dirigenziale n.2006 del 29 settembre 2001 emanato dalla regione Liguria che introduceva l’obbligo per i comuni di partenza e di seppellimento di annotare l’impiego del sistema di contenimento realizzato con polimero Mater Bi nei registri cimiteriali previa segnalazione dei titolari dei servizi di onoranze funebri.
Le imprese funebri rispondono dell’uso di prodotti similari ma non autorizzati ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 285, soprattutto laddove siano gli stessi necrofori della ditta stessa a redigere il verbale di chiusura della cassa.

Si rileva una possibile criticità qualora l’incaricato del trasporto dovesse firmare l’attestazione senza aver materialmente proceduto alla chiusura della bara, perché, magari, sono altri necrofori ad averla compiuta dopo aver predisposto il cofano con tutti i dispositivi (esempio: reggette, valvola depuratrice, controcassa di lamiera…) richiesti dalla Legge in rapporto alla forma di sepoltura prescelta per il defunto in questione.

Questa responsabilità, come acutamente osservato nel saggio di Massimo Cavallotti intitolato “Decreto Dirigenziale della Regione Liguria per l’utilizzo vasca di zincodi materiali diversi da quelli dell’Art. 30 DPR 285/90″ in caso di mancata decomposizione del cadavere inumato può essere sinonimo di consegna al cliente di un bene per origine e qualità diverso da quella dichiarata e costituire, al di là della non corrispondenza con il dettato dell’Art. 75 [20] DPR 285/90, il reato di frode nel-
l’esercizio del commercio (515 c.p.) Nella definizione di Imprenditore contenuta nel Codice Civile è, infatti, insita l’obbligatoria conoscenza della normativa che disciplina il settore in cui si opera. L’errato confezionamento di una cassa da tumulazione comporta un evento drammatico immediatamente percepibile (ovvero già dopo pochissimo tempo dopo la sepoltura): lo “scoppio” del feretro. Per i feretri tumulati, però, eventuali irregolarità relative alla tenuta stagna sono più difficili da individuare siccome a volte, il feretro è interessato da fenomeni percolativi anche se si sono rispettate tutte le prescrizioni di Legge ed il “rifascio”proprio perché esterno non permette di esaminare spessori e qualità del nastro metallico o della saldatura.
Inoltre l’utilizzo reiterato, e non occasionale, di un prodotto idoneo a determinare in un determinato segmento del mercato un pregiudizio verso un altro manufatto invece omologato e quindi regolare costituisce concorrenza sleale a norma dell’art. 2598 C.C.. Infatti la Suprema Corte ha già ritenuto che la violazione di norme penali, fiscali ed amministrative ben costituisce di per sé l’elemento sufficiente a caratterizzare l’atto di concorrenza sleale.

Se il confezionamento del feretro è una fase propria del trasporto funebre non possiamo non considerare la fattispecie del trasporto “a cassa aperta”.

Esso, in esclusivo regime di DPR 10 settembre 1990 n. 285 è ammesso (Art. 17 DPR 10 settembre 1990, n. 285) solo quando esso debba avvenire prima del periodo di osservazione (o durante il suo decorso), come nel caso del trasporto del cadavere deceduto sulla pubblica via o in altro luogo pubblico o in abitazione inadatta e pericolosa al deposito di osservazione comunale, secondo autorevoli commentatori sconta l’ulteriore limite della territorialità, non potendo eccedere i confini del comune di decesso.

In tutti i casi in cui il trasporto abbia luogo dopo il periodo di osservazione, esso deve necessariamente avvenire nel rispetto dell’art. 30 e quindi sempre a cassa chiusa (anche se la cassa di fatto corrisponde alle caratteristiche costruttive dell’Art. 75), prescrizione che va osservata anche per i trasporti che abbiano luogo all’interno del territorio comunale una volta compiuto il periodo di osservazione. Il trasporto funebre in altro comune eventualmente effettuato in violazione dell’art. 30 costituisce sempre infrazione sanzionata a termini dell’art. 358, comma 2 TULLSS quale modificato dall’art. 16 D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 196. Competente all’accertamento dell’infrazione e all’applicazione della sanzione è l’ASL (art. 16, comma 2 DPR 285) e i proventi spettano al comune da cui prende avvio il trasporto illegittimo, quale titolare della funzione (anche se vi sia solidarietà tra chi abbia effettuato il trasporto in violazione e organi comunali che abbiano eventualmente autorizzato l’infrazione).

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Carlo Ballotta

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6 thoughts on “Sanzione ex Art. 358 Regio Decreto n. 1265/1934 e feretri non a norma

  1. X Novella,

    Il turno di rotazione in campo di terra per i feretri da inumare è fissato ordinariamente in 10 anni ex Art. 82 comma 1 DPR n. 285/1990, oggi dopo il DPCM 26 maggio 2000 l’abbreviazione o l’estenzione di quest’ultimo per un periodo superiore sono demandati alla Regione, sempre che quest’ultima con subdelega di cui all’Art. 13 comma 1 D.LGS n. 267/2000 abbia trasferito ai comuni questa potestà.

    Ai sensi dell’Art. 86 comma 3 DPR n. 285/1990 l’interro per feretri provenienti da estumulazione con durata superiore ai 20 anni è di anni 5, ulteriormente comprimibili, se ad esempio si usano sostanze biodegradanti da immettere nella fossa, secondo il disposto della Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10.

    Se ci rifacciamo all’interpretazione letterale del DPR 10 settembre 1990 n. 285 (Art. 75 comma 2) sul feretro confezionato, per diverse ragioni, con la doppia cassa lignea e metallica, prima dell’inumazione, debbon esser praticati squarci e tagli all’altezza del coperchio al fine di consentire l’attivarsi dei normali processi di scheletrizzazione altrimenti inibiti dal cofano di zinco a tenuta stagna. Per questa operazione il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria non richiede espressamente la supervisione da parte di personale sanitario, necessario invece per esumazioni straordinarie ed estumulazioni (Art. 83, 86 comma 5 ed 88).

  2. In caso di estumulazione per rinuncia della concessione, la cassa va inumata perchè sono comunque passati pochi anni del decesso (penso che debba permanere in terra almeno per 15 anni in questo caso) Ma potrei sbagliare.
    In questo caso pensavo di praticare la stessa soluzione prevista per le salme che arrivano dall’estero con lo zinco, cioè provvedere con aperture o tagli.
    Ho visto che su alcuni regolamenti comunali qui limitrofi, vi è scritto che questo è uno dei pochi casi in cui comunque va chiesto l’intervento del personale ASL. (Nella regione Lombardia, non è più previsto per le estumulazioni o esumazioni ordinarie, nè per le estumulazioni straordinarie)
    Non sono sicura però che questi regolamenti siano esatti, altrimenti andrebbe richiesto l’intervento ASL anche in caso di salme da inumare provenienti dall’estero???
    Il mio regolamento tace.
    Che fare, serve l’ASL o no?

  3. Spesso si dibatte ancora sulla competenza territoriale nell’elevare e riscuotere eventuali sanzioni per i trasporti funebri non a norma.

    La riflessione degli studiosi sul fenomeno giuridico della polizia mortuaria si attesta ormai all’unanimità si questa posizione: mentre l’erogazione delle sanzioni, anche ai sensi dell’Art. 17 DPR 285/90 è, di solito, compito delle AUSL, poiché sono esse a vigilare sui trasporti stessi la legittimazione su base distrettuale e, quindi, “geografica” ai introitare le corrispondenti somme sorge “a monte” ovvero in capo al comune di decesso da cui, ad esempio, dovesse partire il corteo funebre senza il necessario decreto di trasporto (anche se vi sia solidarietà tra chi abbia effettuato il trasporto in violazione e organi comunali che abbiano eventualmente autorizzato l’infrazione) in analogia con tutto l’ordinamento nazionale di polizia mortuaria che individua nel comune di decesso il soggetto legittimato ad formalizzare ed espletare tutti i passaggi amministrativi dell’evento funerale.

    In effetti il collegamento tra autorità deputata ad emettere atti concernenti la destinazione prima della salma e poi del cadavere ed il luogo dove si è consumato il decesso è contemplato anche dagli Artt. 24, 26, 27 29 DPR 285/90 laddove, ad esempio, con l’Art. 26 si stabilisce che sia il sindaco del comune di decesso a rilasciare con un unico decreto l’autorizzazione ad trasporto del feretro da comune a comune per la cremazione ed il successivo trasferimento delle ceneri.

    Nessun trasporto funebre, infatti, può mai muovere dal luogo in cui trovasi la salma o il cadavere senza che sia rilasciato all’incaricato del trasporto il relativo decreto di trasporto.

    L’autorizzazione al trasporto di cui all’art. 23 DPR 10 settembre 1990, n. 285 costituisce un provvedimento amministrativo di autorizzazione con cui si conclude il relativo iter, che va avviato con apposita domanda. Trattandosi di procedimento amministrativo, l’istanza va prodotta dalla parte che ha interesse alla conclusione dello stesso, quindi dai famigliari o chi dispone delle esequie, oppure da persona da questi incaricata, che così viene a svolgere la funzione di intermediazione.

    Dal momento che l’autorizzazione al trasporto funebre, quale provvedimento amministrativo a carattere autorizzatorio, non subisce condizioni ostative di sorta (tutti i feretri, infatti sono sempre trasportabili) l’istruttoria non va oltre alla valutazione di requisiti meramente formali.

    L’autorizzazione al trasporto funebre ha la caratteristica di autorizzazione particolare, singolare in quanto essa è richiesta per il singolo trasporto del singolo cadavere, mentre in via generale ai sensi dell’Art. 22 DPR 285/90 è il sindaco attraverso apposita ordinanza a disciplinare tempistica, modalità, percorsi consentiti e zone di sosta per i trasporti funebri.

    L’attività di trasporto funebre, non necessariamente connessa giuridicamente a quella di onoranze funebri, ma frequentemente esercitata dalle stesse imprese di servizi funerari, richiede la disponibilità di mezzi riconosciuti idonei a termini dell’art. 20 DPR 10 settembre 1990, n. 285, e delle rimesse che devono rispettare i requisiti di cui al successivo art. 21 stesso DPR 10 settembre 1990, n. 285.

    Ogni singolo trasporto, che avvenga all’interno del territorio comunale o interessando comuni diversi, è soggetto all’autorizzazione comunale secondo quanto previsto dall’art. 23 DPR 10 settembre 1990, n. 285.

    La regione Lombardia con la Legge Regionale n. 6 dell’8 febbraio 2005 ha dotato la Legge Regionale n. 22 del 18 novembre 2003 ora confluita nel Testo Unico Leggi Sanitarie Regionali, in materia di servizi necroscopici, funebri e cimiteriali di un proprio ed autonomo sistema sanzionatorio, L’Art. 6 della suddetta legge n6/05 che aggiunge l’Art. 10 bis alla Legge n.22/03 prevede che i proventi dell’attività sanzionatoria confluiscano nel bilancio dell’ente preposto alla loro applicazione.

    Questa formulazione ci pare del tutto coerente con l’impostazione complessiva della Legge Regionale n. 22 del 18 novembre 2003, poiché ai sensi dell’Art.6 comma 4 la supervisione sui trasporti funebri spetta al comune, esso si avvale dell’AUSL per i soli aspetti igienico sanitari.

    Cosicché essendo riconducibile il servizio di trasporto funebre al Comune, anche ai sensi degli Artt 35, 39, 40 e 41 del regolamento regionale n. 6 del 27 ottobre 2004 non potrà che essere quest’ultimo ad individuare i modi di esecuzione delle verifiche.

    Poiché i controlli sui cortei funebri sono assorbite nella sfera delle funzioni proprie della polizia mortuaria comunale, la responsabilità in proposito è in capo al Sindaco e questi estrinseca il proprio potere di regolazione regola attraverso un’ ordinanza.

    In ultima analisi, anche dove sia ancora in vigore il solo DPR 285/90 c’è chi vede come tali accertamenti siano più attratte nel complesso di attività che contraddistinguono il trasporto funebre che, come noto, viene anch’esso normato dal regolamento di polizia mortuaria nazionale, comunale e/o da ordinanza del Sindaco. Già altre autonomie locali, pur all’interno del quadro normativo rappresentato dal DPR 285/90 sono intervenute in questo senso.

  4. E’ tutto regolato dall’ordinanaza con cui di disciplinano le operazioni cimiteriali, nella fattispecie la ESTUMULAZIONI straordinarie.

    In dottrina sussistono pareri difformi.

    Lo scoppio del feretro può esswer cagiunato da molti fattori (cattivo confezionamento dfello stesso, forti escursioni termiche, corrosione della lamiera zincata a causa dell’acidità dei liquidi cadaverici o di scariche elettrostatiche che si propagano sul piano d’appoggio della nicchia muraria….)
    In ogni caso (e con la debita cautela) il rifascio del feretro è a carico dei famigliari aventi titolo o del concessionario.

    Più difficile è l’imputazione degli oneri relativi al risanamento del loculo: se esso è stato dato in concessione spetta al concessionario solo la manutenzione ordinaria ed Art. 63 DPR 285/1990, altrimenti debbono provvedere i soggetti di cui sopra.

    Se la sanificazione della cella muraria è considerata manutenzione straordinaria essa compete al comune i quale provvederà con propri uomini e mezzi.

    Se il fenomeno percolativo (ma ciò è difficile da stabilire a posteriori) è dovuto ad incuria o negligenza di chi ha preparato la cassa scattano le sanzioni amministrative di cui si parla nell’artitoco da Lei citato.

  5. Mi scuso ma ho scritto E-mail errata, ripropongo la domanda.
    A chi spettano le spese in caso di riesumazione per lo scoppio della bara del defunto?
    Il comune mi dice che spettano per intero ai familiari, questo episodio è accaduto a un mio caro congiunto dopo 5 anni e mezzo dalla sepoltura.
    Attendo una risposta chiara e precisa, premetto che il morto in questione è deceduto nell’arco di 2 giorni a causa di un’embolia polmonare e quindi non ci sono periodi lunghi di somministrazione di farmaci poichè sono al corrente che anche questi possono influire nello spiacevole evento.
    Distinti saluti e grazie.

  6. Le grande e disordinata rivoluzione nella polizia mortuaria italiana è imputabile a tre fattori “politici”:

    1) pressione “lobbystica” del fronte cremazionista per ottenere l’attuazione della Legge 30 marzo 2001 n. 130, culminata poi, con il DPR 24 gennaio 2004.

    2) forti interessi da parte dell’imprenditoria funebre privata per aprire proprie sale del commiato (constatato il fallimento del DPR 14 gennaio 1997 su servizi mortuari ospedalieri)

    3) progressivo disimpegno (con un certo… snobismo) dell’ASL dalle attività di vigilanza e controllo.

    La mancanza del vigile sanitario che ai sensi del paragrafo 9.7 Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24 redigeva il verbale sul corretto confezionamento della cassa, appunendo il sigillo di cera lacca è stata, forse, la peggior controriforma, perchè abroga una figura terza

    Per ovvie ragioni non dovrevvero esser permesse situazioni nelle quali il conflitto di interessi possa prevalere sul rispetto della normativa. In altri termini non possono (o potrebbero???) sussistere situazioni di controllore-controllato, laddove l’AUSL intenda delegare i compiti previsti dal paragrafo 9.7 della circolare n. 24/93 del Ministero della Sanità a personale esterno alla sua organizzazione.

    La certificazione dell’USL di cui al paragrafo 9.7 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24, tra l’atro, ai sensi dell’Art. 49 DPR n.4445/2000, in quanto atti di medicina pubblica, non dovrebbero esser surrogabili da terzi.

    Laddove sia in pieno vigore il DPR 10 settembre 1990 n. 285 È pertanto da escludere che singole imprese funebri, anche a ciò “delegate” dall’A. USL, abbiano titolo a svolgere funzioni pubbliche.

    Il servizio di custodia del cimitero di arrivo legittimamente potrà considerare non regolare l’assenza del sigillo dell’ASL di partenza sul feretro e pretendere di effettuare ulteriori controlli, con possibile disappunto da parte dei familiari interessati, anche se, oggettivamente aprire la cassa in cimitero, per valutare spessore delle assi e dispositivi interni, è operazione davvero sgradevole e richiederebbe un’ulteriore autorizzazione ad hoc.

    Un cattivo confezionamento della cassa può condurre:

    1) nella tumulazione al il repentino scoppio del feretro con grande sgomento per i dolenti stessi e notevoli spese per rifascio e sanificazione del tumulo.

    2) nell’inumazione a riflessi perversi sulla gestione futura, perchè gli indecomposti e gli eventuali rifiuti da smaltire rappresentano un’onere aggiuntivo rispetto alle normali spese di gestione.

    Lo stesso trasporto può avvenire in situazioni potenzialmente ad alto rischio biologico, ad esempio nei trasferimenti da comune a comune sotto i 100 km, perchè la sola cassa di legno da 25 mm di cui all’Art.30 comma 13 DPR 285/1990, se non abbinata ad un meccanismo impermeabilizzante non è idonea a trattenere eventuali miasmi o percolazioni ed i cadaveri già poche ore dopo l’avvenuto decesso risaciano liquami maleodoranti.

    Il DPR 285/90, con l’Articolo 30, fissa precisi criteri costruttivi in merito alle bare predisposte per:

    Tumulazione (Art. 77 DPR 285/1990)
    Traduzione di cadaveri da e verso l’estero (eccetto i casi previsti dalla convenzione di Berlino) (Artt. 29 e 29 DPR 285/1990)
    Trasferimenti oltre i 100 Km (Art. 30 DPR 285/1990)
    Trasporto e sepoltura di infetti (Art. 18 e 25 DPR 285/1990)
    ovvero per tutti quei feretri confezionali con doppia cassa lignea e metallica, cui si debbono aggiungere particolari dispositivi meccanici, quali reggette, valvola depuratrice a depressione, e chimico-fisici, come strato di torba, segatura o polvere assorbente biodegradabile, da sistemare nell’intercapedine, tra cassa di legno e vasca zincata, per il contenimento di eventuali percolazioni cadaveriche gassose o liquide.

    La legge fissa, poi, spessori piuttosto generosi per le tavole di legno massiccio (di un solo pezzo nel senso della lunghezza) che costituiscono la cassa e per lo stesso nastro di zinco o piombo, mentre il coperchio[1] di lamiera deve esser assicurato alla vasca metallica tramite saldatura continua, estesa lungo tutto il labbro perimetrale di contatto tra i due elementi da unire, così da garantire, nel tempo, la perfetta ermeticità della bara.

    Per i cofani destinati a cremazione o inumazione (con trasporto, per entrambi, sotto i 100 KM), invece, la legge prescrive parametri costruttivi da cui derivano casse capaci di reggere solo, e limitatamente[2] al periodo in cui esse debbono esser movimentate, l’affaticamento meccanico dovuto al peso inerte del cadavere.

    Non è, infatti, prevista, né tanto meno imposta, nessuna soluzione tecnica per il trattenimento, anche solo temporaneo, dei miasmi cadaverici all’interno del feretro.

    La Stessa chiusura[3] della cassa da effettuare in tempi rapidi, una volta decorso il periodo d’osservazione, per imprescindibili ragioni di igiene, di cui si parla al paragrafo 9, punto 6 della Circolare n. 24 del 24/06/93 ne feretri costituiti dalla sola cassa lignea è una misura del tutto inadeguata, perché il coperchio, ancorché apposto e vitato, non isola il cadavere dall’ambiente esterno.

    Tuttavia, anche i corpi esanimi racchiusi nella semplice cassa di legno sono soggetti a perfusione di liquami, spesso accompagnati da fetide esalazioni maleodoranti.

    Il DPR 285/90 sembra non considerare questa possibilità, invece così drammaticamente reale, perchè nulla dispone a tale proposito.

    Altissimo, allora, per i necrofori, è il pericolo di contaminazione di contaminazione, quando essi entrano, anche accidentalmente, a contatto con gli umori emessi dai cadaveri, durante il trasporto e la sepoltura dei feretri realizzati con solo legno.

    Certo, l’industria funeraria, da diverso tempo, propone involucri plastici (in materia biodegradabile) ad effetto impermeabilizzante, oppure cassoni[4] esterni muniti di guarnizioni a tenuta stagna, con cui rivestire le bare lignee durante la loro movimentazione.

    Ci sarebbero anche particolari materassini da collocare sotto la schiena del cadavere per impermeabilizzare almeno il fondo, siccome le esalazioni ammorbanti continuerebbero a sprigionarsi liberamente, grazie ai giochi millimetrici pur sempre presenti, tra cassa e coperchio, ma il problema reale è che l’adozione di questi accorgimenti, per altro molto utili, è demandata alla discrezionalità dei singoli operatori, quando il comune, con apposita norma regolamentare, non sia intervenuto per sanare questa lacuna del regolamento nazionale di polizia mortuaria.

    In un sistema legislativo, come il nostro, dove la materia sanitaria è anche di competenza regionale, con legislazione di tipo concorrente, potrebbero esser le regioni a definire misure di salvaguardia per la salute pubblica e dei necrofori, quando si debba trasportare un cadavere entro la sola cassa lignea.

    Ci sarebbe, però, un rischio da valutare attentamente prima di intraprendere un’azione legislativa a livello di enti locali: 20 Leggi regionali che definisco standards e requisiti tecnici, per la produzione di casse mortuarie, profondamente difformi e contraddittori tra loro, ingenererebbero il caos più completo nel comparto funerario italiano.

    ——————————

    [1] Anche il coperchio della cassa lignea deve esser unito alla cassa con viti collocate con distanza piuttosto ravvicinata tra loro, proprio per offrire maggiore resistenza meccanica ad eventuali rigonfiamenti dell’involucro zincato, a causa della pressione originata dai gas putrefattivi.

    [2] Una delle condizioni fondamentali per la mineralizzazione certa dei cadaveri è che la cassa, dopo qualche tempo dalla sepoltura, si “sfasci”, permettendo il libero passaggio di liquidi e gas negli strati di terreno circostanti.

    [3] La scelta linguistica del legislatore è sintomatica: infatti nel testo della Circolare si parla di saldatura della cassa metallica: ovvero dell’unica chiusura capace di garantire davvero l’impermeabilità.

    [4] Il ricorso a tali dispositivi è contemplato espressamente dalla Circolare Ministero della Sanità n.24 del 24/06/93.

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