La conduzione del deposito d’osservazione oppure anche obitoriale, è costituita da diversi procedimenti, alcuni dei quali, di stretta prerogativa medico-legale (come l’accertamento necroscopico ex art. 4 D.P.R. 285/1990), vengono esplicati da personale dipendente dell’Autorità Sanitaria (medici incaricati) e altri dal Comune (infermieri) o in taluni casi da personale della Medicina Legale; altri momenti (meno nobili?) quali la movimentazione della salma e dei vari materiali (anche rifiuti a rischio infettivo) vengono completati dagli operatori obitoriali o da altri soggetti che a vario titolo possano operare nella struttura (quali ad es. operatori di impresa funebre).
Qui, per brevità espositiva si richiama la recente nota di p.g. 175158 del 13 marzo 2018 della Regione Emilia-Romagna (emanata datata ante pandemia da CoVid-19), secondo la quale il personale della struttura sanitaria si limiterà ad eseguire le funzioni di propria competenza, nel cui novero NON sono previste la vestizione e la tanatocosmesi della salma (atti non inclusi nei L.E.A. di cui al D.P.C.M. 12/01/2017, né in altri provvedimenti amministrativi emanati dai diversi livelli di governo, centrale o periferico), mentre l’incarico della vestizione del deceduto e del confezionamento del feretro spetta all’impresa di onoranze funebri, preventivamente a ciò demandata dagli aventi causa del de cuius attraverso rapporto giuridico instauratosi ex art. 1703 Cod. Civile.
La struttura sanitaria dovrà conservare in capo a sé solo la responsabilità della manipolazione della vestizione di cadaveri deceduti a causa di malattie infettivo-diffusive (prima quelle elencate ex D.M. 15/12/1990, ora con l’aggiunta delle disposizioni previste in situazione di Covid-19).
Infatti, ai sensi dell’art. 9 della L.R. 19/2014, nel caso in cui la morte sia dovuta a malattia infettiva e diffusiva, dovranno essere adottate le indicazioni, a discrezione del medico necroscopo, dell’Azienda sanitaria preposta, a tutela della salute pubblica.
Se in Regione Emilia Romagna questo è il modo di fare, in Piemonte le cose vanno diversamente.
Si richiama un’altra disposizione regionale, ossia, l’art. 8, comma 10 Decreto del Presidente della Giunta regionale n. 7/R dell’8 agosto 2012 (Regione Piemonte), cioè l’unica ad ora ad aver, seppur a sproposito, legiferato sulla materia, seppur con norma di rango regolamentare.
Il predetto art. 8, comma 10 ammette, infatti, limitatamente ai casi di decessi in strutture sanitarie o di ricovero, che i nosocomi possano provvedere (con il consenso dei familiari) alla vestizione e composizione del defunto, tra l’altro a titolo oneroso, affidando all’A.S.L. la deliberazione della misura del corrispettivo di un tale servizio.
A parte il fatto che se si tratta di istituti pubblici o accreditati, una tale declaratoria tariffaria competerebbe, di norma, alla Giunta regionale, non si vede come un soggetto terzo possa stabilire la misura di un tale prezzo quando si tratti di strutture private.
Occorre anche considerare come, sempre dal Legislatore Piemontese, siano state obliterate le disposizioni del R.D. 30/9/1938, n. 1631, i cui requisiti sono stati successivamente integrati, in epoca repubblicana, dalla L. 12/2/1968, n. 132, che, all’art. 19, lett. m), ragiona esplicitamente sulla necessità di apparecchiare una sala mortuaria, all’uopo attrezzata, con idoneo personale sanitario ad essa applicato.
Le caratteristiche tecniche, quanto alla cosiddetta “sala mortuaria” contemplate per gli ospedali sono state, poi, estese e ridefinite per le case di cura private (D.M. 5/8/1977), in attuazione dell’art. 51 citata L. 12/2/1969, n. 132, con cui si subordina l’autorizzazione all’apertura delle case di cura private, che operino in regime di ricovero, da parte delle Regioni al possesso di specifici servizi e qualità, tra cui un servizio mortuario (art. 16, comma 2, lett.) i).
Esso deve rispondere ad alcune condizioni di esercizio (art. 25, comma 1, lett. e), poiché si statuisce che consti di locali esclusi alla vista dei degenti e dei visitatori, con separato accesso dall’esterno, deputati all’osservazione, al deposito ed alla esposizione delle salme, nonché predisposti, a loro volta, ad eventuali riscontri diagnostici anatomo-patologici, ai sensi della L. 15/2/1961, n. 83.
Situazione analoga, a quella delle case di cura private, si ha per le residenze sanitarie assistenziali (R.S.A.), istituite dall’art. 20, comma 1 L. 11/3/1988, n. 67, per le quali con il D.P.C.M. 22/12/ 1989 sono state dettate le prescrizioni sulle tipologie e sulle dotazioni minime, anche dimensionali, individuate in apposito Allegato A, nel quale si precisa (Criterio 9) l’esigenza dell’articolazione nelle strutture delle R.S.A. di determinati servizi e, nello specifico, tra gli ambienti ausiliari, in quanto in funzione dell’intera R.S.A., figura la camera mortuaria.
Le norme sopra richiamate, tutt’oggi vigenti, vanno valutate, attualmente, alla luce sia del D.P.R. 14/1/1997, sia del sullodato D.P.C.M. 12/1/2017 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”; evidentemente Emilia-Romagna e Piemonte divergono, pure pesantemente, sull’interpretazione fondamentale, a questo punto, di tale corpus giuridico di riferimento, quanto meno, nazionale.
Da detto quadro normativo discende che nel caso di decesso in queste luoghi di cura, le funzioni di osservazione e, successivamente, di custodia temporanea della salma, nonché i trattamenti necessari sulla stessa (eventuale ricomposizione, imbellettamento del cadavere, vestizione, collocamento nel feretro …) costituiscono servizi propri della struttura al pari dell’allestimento e funzionamento della camera ardente dove prestare le estreme onoranze al feretro, nelle quali rientrano, tra l’altro, a pieno titolo, la celebrazione di eventuali riti religiosi o laici di commiato richiesti dalla famiglia.
La conseguenza è facilmente immaginabile.
Diventa, dunque, arduo annoverare la vestizione e la ricomposizione del defunto o il suo incassamento nella bara tra le prestazioni eventuali e da erogare a titolo oneroso, siccome esse sono proprie, e per così dire “istituzionali” e, quindi, dovute, da parte delle strutture sanitarie e di ricovero, mentre l’obbligo per gli operatori del servizio mortuario sanitario di procedere d’ufficio può, semmai, cedere solo di fronte alla volontà sovrana, manifestata dei familiari, di pensarci direttamente, laddove questa facoltà, invero scarsamente praticata (ma si pensi al precetto del lavacro mortuario nelle religioni non cattoliche), per ragioni organizzative e di ordine pubblico, sia consentita dalla direzione del nosocomio.