Morte e dintorni

Abbiamo trovato sul web questa interessante lettera e le risposte date da Pier Luigi Leoni (P) e Franco Raimondo Barbabella (F). La lettera è stata pubblicata nella rubrica Diciamocelo n^11. 12 novembre di www.orvietosi.it

Morte e dintorni

L’impiegato dell’agenzia funebre arriva e sbriga ogni cosa con efficienza e rapidità. S’incarica persino di dare per primo la notizia al parroco che dovrà celebrare i funerali di un suo parrocchiano. Il dolore è attutito, il lutto viene gestito quasi come una qualsiasi operazione commerciale. Il “tutto compreso” toglie alla famiglia affranta ogni disturbo ma anche ogni percezione profonda della realtà. Del resto, come è noto, la morte è oggi forse l’ultimo dei tabù che si esorcizza come si può, tanto che le festività del primo e del due di novembre, legate appunto alla festività di tutti i santi e alla commemorazione dei defunti, viene sepolta (è il caso di dire) da una frenesia festaiola come quella di hallowe’en o dai riti collettivi nei cimiteri che si trasformano in affari per la vendita di fiori. (Caterina Maniaci)

P. La Chiesa cattolica è intervenuta quest’anno per contrastare il fenomeno descritto nel brano riportato. Il Papa ha voluto ricordare che i cimiteri “costituiscono una specie di assemblea nella quale i vivi incontrano i propri defunti e con loro rinsaldano i vincoli di una comunione che la morte non ha potuto interrompere”. La Chiesa, con apposito documento, ha disposto che i parroci o chi per loro (diaconi o laici preparati) raggiungano subito la famiglia del defunto e, al cospetto della salma, guidino la recitazione delle preghiere. Altrettanto dicasi per la chiusura della bara, momento che deve essere accompagnato da apposite preghiere. Quanto alla cremazione (sempre più praticata, soprattutto per sottrarsi alla speculazione che le amministrazioni comunali spudoratamente praticano sulle aree e sui loculi cimiteriali) la Chiesa diventa sempre più possibilista, anche se conferma che “la sepoltura rimane la forma più idonea a esprimere la fede nella resurrezione”, e si oppone alla dispersione delle ceneri. Con tutto il rispetto per le doverose prese di posizione della Chiesa, rimango del parere di Blaise Pascal, secondo il quale gli esseri umani hanno tanto paura della morte che cercano in tutti i modi di pensarci il meno possibile. Lui proponeva come rimedio la fede nella vita eterna e forse avrebbe gradito che la Chiesa si preoccupasse di sostenere, con la parola e con l’esempio, soprattutto quella fede. Spesso si occupa di altro.

F. Quella di come contrastare il commercio legato a luoghi o avvenimenti con veste sacrale è una vecchia interessante questione, non a caso mai risolta. In tutte le società si è fatto commercio anche dove e quando non si doveva fare, e bisogna dare atto alle chiese che fanno il loro dovere se e quando richiamano al rispetto delle cose sacre (la vita, i luoghi di culto, le cerimonie, i funerali, i cimiteri). Ma di più non possono. Così, quando il costume cambia (lentamente), anche le chiese prima o poi si adeguano (più lentamente). Il discorso su come la contemporaneità esorcizza la morte è ancor più interessante. Catherine Mayer, direttrice di “Time Europe”, ha pubblicato da poco un libro dal titolo inequivoco, “Amortalità”, in cui si condensa il suo contenuto: lo studio dei comportamenti che tendono ad ingannare la signora con la falce, adottati da coloro che coltivano l’eterno sogno dell’eterna giovinezza (appunto a-mortali, non certo immortali), diciamo i seguaci (quasi tutti inconsapevoli) di Dorian Gray. Ma la stessa Mayer riconosce poi che accanto alla “cattiva amortalità” c’è anche una “buona amortalità”, quella di chi non è fissato con l’eterna giovinezza ma non di meno cerca di mantenersi impegnato e vitale, se non altro per non pesare troppo sugli altri.

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