Consultando e compulsando, per l’ennesima volta, il regolamento nazionale di polizia mortuaria, ci siamo accorti di una piccola lacuna, davvero minima ed al limite del caso di scuola, su cui, però, vorremmo indagare.
Quasi sempre nei recuperi sul luogo di incidenti stradali ovvero nella raccolta di salme rinvenute su pubblica via da trasferire presso l’obitorio/deposito d’osservazione, si utilizzano cassoni[1] realizzati con materiale impermeabile e facilmente disinfettabile (plastica rigida, o acciaio inossidabile) di solito muniti di guarnizioni, così da garantire l’ermeticità a fronte di possibili percolazioni o esalazioni cadaveriche, assai insalubri.
La disciplina, cui è sottoposta questa fattispecie, è alquanto particolare, infatti, quasi sempre, la diagnosi di morte è posta dal medico del pronto intervento presente sull’ambulanza e poi non è il Comune, cui compete di norma la regolamentazione dei trasporti funebri, ma la stessa pubblica autorità, accorsa sul luogo del sinistro, a disporre ed autorizzare il trasferimento di tali salme presso l’obitorio/deposito d’osservazione, dopo l’effettuazione dei necessari rilevamenti sulla dinamica del fatto.
Spesso, poi, la spoglia (o presunto tale, perché non è ancora trascorso il periodo d’osservazione) prima di esser deposta nel contenitore di cui sopra è avvolta in un particolare sacco, il c.d. body bag, costruito in modo da reggere lo sforzo meccanico dovuto al peso che dovrà reggere e così da assicurare il perfetto trattenimento di eventuali umori o composti aeriformi rilasciati dal cadavere, almeno sul fondo.
Il comune denominatore di questi due manufatti è l’assoluta impermeabilità alle emissioni postmortali, tant’è vero che quando per il recupero si ricorre ad una normale bara si raccomanda di usare:
- Un cofano da tumulazione (con controcassa zincata, ma non saldata, a questo punto)
- Una semplice cassa lignea foderata all’interno con dispositivo plastico ad effetto impermeabilizzante.
Ambedue questi sistemi, però, potrebbero ostacolare o impedire il manifestarsi di eventuali funzioni vitali, come, ad esempio, il respiro.
Certo la distanza del trasferimento o la particolare condizione in cui la salma versa (perfusione di umori corporei, emorralgie, distacco di parti anatomiche dovuti a profonde lesioni o interventi demolitori…) inducono ad adottare soluzioni volte a garantire il perfetto isolamento del corpo privo di vita dall’ambiente esterno, ma c’è un problema ineludibile, non solo di forma: se non è ancora trascorso completamente il periodo d’osservazione non c’è ancora la certezza che quel corpo sia davvero cadavere.
Il D.P.R. n. 285/1990 al capo II (art. 17) è categorico: prima di detto periodo d’osservazione non si deve porre in essere nessuna condizione volta ad impedire eventuali manifestazioni di vita, le deroghe a questo principio sono ben determinate.
Il periodo d’osservazione, in effetti, subisce una riduzione su se:
- Il medico necroscopo ha già accertato la morte mediante l’ausilio di un elettrocardiografo (in questo frangente la visita necroscopica può tenersi anche prima delle 15 ore dal decesso)
- Il cadavere presenta segni di maciullamento maciullato o è decapitato
- Il cadavere mostra incontrovertibili segni di putrefazione.
- la morte è stata causata da conclamata malattia infettivo-diffusiva , quindi vi sia il rischio concreto di epidemia (occorre parere favorevole dell’unità sanitaria locale)
Salvo questi casi molto particolari prima delle 24 ore dal decesso la salma deve esser trasportata a “cassa aperta” per permettere la manifestazione di eventuali segni di vita.
E allora per quale motivo nel recupero salme in occasioni di incidente mortale sul pubblica via, come abbiamo agevolmente dimostrato prima, si segue una diversa procedura?
L’unica soluzione sarebbe la diretta presenza del medico necroscopo munito di elettrocardiografo durante le stesse fasi del recupero.
Certo, la morte apparente, grazie ai progressi enormi della medicina, è argomento macabro e fantastico forse da confinare oramai nei racconti del terrore ottocenteschi, ma il dubbio, ameno in teoria, rimane.
[1] Si veda per maggior dettagli la circolare 24.06.93 n.24, paragrafo 5 punto 5.3