L’ammissibilità dell’esercizio del trasporto funebre con diritto di privativa è stata, espressamente, abrogata

L’art. 37, comma 1, lett. a) D. Lgs. 23 dicembre 2022m n, 201 “ Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, emanato in attuazione dell’articolo 8, comma 2, lettere a), b), c), d), e), l), m), n), o), q), r), s), t) e v), della legge 5 agosto 2022, n. 118, ha disposto, tra le altre (alcune abrogazioni sono correlata ad una “riscrittura” di alcune disposizioni) e con effetto dal 31 dicembre 2022 (sic!), l’abrogazione dell’art. 1, comma 1, n. 8) del R. D. 15 ottobre 1925, n. 2578 e s.m. [1], cioè di un istituto la cui ammissibilità è (ormai, era) considerata anche all’art. 19, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Non pochi potrebbero stupirsi di queste considerazioni, così come del titolo, dal momento che da tempo questo istituto veniva dato quale superato (anche se non dalla giurisprudenza, in particolare amministrativa, ma si veda altresì l’importante pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. I civ., 6 giugno 2005, n. 11726). Appare utile ed opportuno procedere per gradi, fermandoci ad alcuni aspetti.
Molti ricorderanno la segnalazione consultiva (indirizzata al Ministero della sanità ed ad alcuni (4) sindaci) dell’A.G.C.M. del 14 luglio 1998 (pubblicata sul relativo Bollettino n. 27 del 20 luglio 1998), che si concludeva con …”l’Autorità auspica pertanto una rapida rimozione delle esclusive comunali per il trasporto funebre e l’introduzione di norme volte a garantire un’effettiva concorrenza nella prestazione dei servizi di onoranze funebri, sottolineando come “auspicare” non significhi “disporre”, ma proporre che chi ne abbia il potere modifichi norme che si ritengano non più coerenti.
Dietro a queste considerazioni stavano percorsi logichi che si fondavano, grosso modo, sull’assunto per cui l’art. 22, comma, 2, della L. 8 giugno 1990, n. 142 (anche questa abrogata, dovendosi oggi fare riferimento al T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.), nel rinviare a norma di legge l’individuazione dei casi in cui i Comuni e le Province possono istituire il servizio pubblico in regime di privativa, avrebbe caducato tale ammissibilità, impostazione che palesemente non teneva conto del fatto che il sopracitato testo unico R. D. 15 ottobre 1925, n. 2578 e s.m. altro non era se non norma di legge.

Un “passaggio” successivo si è avuto con l’art. 123, comma 3 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. (che recitava: “3. Le norme del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, si applicano fino all’adeguamento delle aziende speciali alla disciplina del presente testo unico; si applicano altresì per l’esercizio del diritto di riscatto relativo ai rapporti in corso di esecuzione”), che da un lato confermava la vigenza del predetto testo unico e, dall’altro, preconizzava una sua abrogazione (o, se lo si voglia) la cessazione della sua applicabilità). Si tratta di norma successivamente abrogata, espressamente, dall’art. 35, comma 12, lett. g) L. 28 dicembre 2001, n. 448 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002”, che alcuni hanno interpretato come abrogativa del R. D. 15 ottobre 1925, n. 2578 e s.m.
Da queste poche note, emerge quanto sia, o possa essere, difficile l’attività interpretativa delle norme (attività che, oltretutto, comporta anche il dovere tenere conto del grado delle norme, avendo sempre ben chiara la differenza tra norme di rango primario e norme di rango secondario, regolamentari), tanto più che in sede interpretativa è abbastanza comprensibile e fisiologico che ciascun interprete subisca, anche quando non lo voglia, il pregiudizio derivante dal proprio bagaglio culturale ed esperienziale, dato che nessuno ha omni-conoscenza, ma conta su livelli di conoscenza più o meno ampi.
Ciò è ancora maggiormente vero quanto più cresca il livello di specializzazione (in moltissimi ambiti i livelli di specializzazione tendono sempre più a crescere, differenziarsi, puntualizzarsi così da “comprimere” le visioni maggiormente ampie, in altre parole si stanno perdendo vieppiù le visioni complessive, di quadro), dato che quest’ultima porta proprio a formare condizionamenti culturali che possono incidere, anche fortemente, sull’interpretazione e sulle conclusioni cui questa pervenga.
Conclusioni che, in certe occasioni, sonno non solo incoerenti, ma altresì in contrasto con la c.d. “volontà del legislatore” (e non mancano neppure casi in cui il “legislatore” non sa quello che fa, nel senso che non dispone sempre di quegli elementi, fattori di conoscenza della materia che sarebbero richiesti per un’impostazione di ordine generale, trovandosi spesso privo dei supporti tecnico-giuridici di cui potrebbe valersi).

Almeno con il citato inizialmente art. 37, comma 1, lett. a) D. Lgs. 23 dicembre 2022. m- 201 è stata scelta la “strada maestra” dell’abrogazione esplicita (sempre apprezzabile).
A questo punto può anche porsi la questione circa quali siano gli effetti di quest’abrogazione, esplicita, sul (non modificato) art. 19, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
In disparte la possibilità (sarebbe un’altra “strada maestra”) di modificare le norme in senso di riformularne di maggiore attualità (e qui andrebbe sollevata l’ulteriore questione di quanto meriti una norma di rango primario, preferibilmente in contesti afferenti all’art. 117, comma 2 Cost., anche se ciò attenga a valutazioni di merito) e quanto attenga alle norme di rango secondario, e per queste ultime tenendo presenti le disposizioni dell’art. 117, comma 6 Cost.), non si può sottrarci dal considerare come le disposizioni dell’art. 19 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (considerato nel suo insieme), si collochino in un contesto in cui viene richiesta un’attività amministrativa specifica alla pubblica amministrazione, attività che ha dei costi che non possono essere sottovalutati ricorrendo alla formula, ormai molto trendly e di largo utilizzo (vi ha fatto ricorso anche il citato D. Lgs. 23 dicembre 2022, n. 301, all’art. 38), formula denominata “Clausola di invarianza finanziaria” in quanto l’esercizio di una qualche attività, quale essa sia, comporta costi, e non sempre le risorse a disposizioni sono atte a supportarli.
Sarebbe sostenibile l’ipotesi per cui un operatore economico assicuri le prestazioni e servizi propri senza che vi sia coerentemente adeguata copertura dei costi per effettuarle, incluso un corretto utile d’impresa?
Se dall’operatore economico si passa alla pubblica amministrazione, questo potrebbe sussistere solo nella misura in cui quest’ultima sia provveduta di adeguate risorse per assolvere alle proprie funzioni, cosa che altro non significa che la collettività, attraverso la c.d. fiscalità generale, si assume l’onere di prestazioni che sono fruite da singoli soggetti, che magari non si trovano (anzi!) nelle condizioni dell’art. 26, comma 3 stesso D. Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, per rimanere sul tema. Per non dimenticare, ed a maggiore ragione, l’art. 149, comma 4, lett. f) T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.


[1] R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 e s.m.”Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Provincie” –
Art. 1 (Art. 1 della legge 29 marzo 1903, n. 103, e art. 1 del R. decreto 30 dicembre 1923, n. 3047) – Comma 1 I comuni possono assumere, nei modi stabiliti dal presente testo unico, l’impianto e l’esercizio diretto dei pubblici servizi e segnatamente di quelli relativi agli oggetti seguenti: … (omissis) …
8° trasporti funebri, anche con diritto di privativa, eccettuati i trasporti dei soci di congregazioni, confraternite ed altre associazioni costituite a tal fine e riconosciute come enti morali; … (omissis) ….

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Sereno Scolaro

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7 thoughts on “L’ammissibilità dell’esercizio del trasporto funebre con diritto di privativa è stata, espressamente, abrogata

  1. E’ comprensibile un’esigenza di uniformità, almeno tendenziale. Necroforo ha già formulato osservazioni che condivido, ma vorrei ribadire (in quanto già fatto) il richiamo all’art. 26 D.Lgs. 23/12/2022, n. 301 (e, prima di questo, all’art. 117 T.U.E.L.), richiamo che, come sotto gli occhi di tutti, non è sufficiente.

  2. Secondo alcuni l’abrogazione espressa dell’istituto “privativa sul trasporto mortuario” risalirebbe addirittura almeno al 1/1/2002, data di entrata in vigore dell’ art. 35 comma 12, lett. g) L. 28/12/2001, n. 448 “Legge Finanziaria”. Chiedo, allora, io per primo lumi sull’accaduto, perchè debbo veramente essermi perso da qualche parte…nel tempo che scandisce la vigenza di una – detto molto “genericamente” -norma, nell’ordinamento giuridico italiano.
    Non sapevo di una quanto meno strana reviviscenza del monopolio municipale sul trasporto funebre, o delle fonti (Testi Unici assunzione servizi pubblici locali in regime di privativa) da cui esso avrebbe tratto legittimità.
    Più facile – secondo una mia opinabilissima idea – che si confonda indebitamente il vecchio diritto di privativa, oggi effettivamente… “abrogato per la seconda volta” con il diritto fisso istituito dal Comune (e di competenza, nell’incasso del relativo erario) sul rilascio dell’autorizzazione al trasporto. Le due somme dovute sempre al Comune come diritto comunale (prima di privativa ora “fisso” avevano hanno una diversa ragione, natura e funzione quanto meno storica e politica. Si dirà…sì. alla fine sempre tasse comunali sono, anzi il balzello sul morto è uno di quei classici adempimenti che da tempo inveterato finiscono sotto attacco da parte della stampa e di larga parte dell’imprenditoria funebre italiana. Invito, a questo punto chi abbia certo maggiore cognizione sulla materia rispetto allo scrivente necroforo, a vergare giusto due righe o poco più, per spiegarci per bene come mai il legislatore abbia voluto rimarcare la propria volontà di considerare abolita per esplicita previsione la privativa comunale, lasciando invece proliferare liberi i c.d. “diritti fissi” di istruttoria, che ad onor del vero servono tanto al bilancio dell’Ente Locale per alimentare il circuito amministrativo della polizia mortuaria e la macchina della gestione cimiteriale qualunque sia la forma in cui questi due servizi necessari ed indifferibili per ciascun Comune siano garantiti ed assicurati alla cittadinanza tutta.

    1. E’ corretto il richiamo all’art. 35, comma 12, lett. g) L:28/12/2001, n. 445: non ha caso nell’articolo in commento si indicava “espressamente” per il fatto che allora l’effetto abrogativo era desumibile in via interpretativa, mentre ora vi è l’affermazione inequivoca, richiamando, tra le norme abrogate, proprio quella introdotta nel 1925. Ma occorre distinguere tra l’originaria facoltà di esercizio dell’attività di trasporto funebre “con diritto di privativa” e la legittimazione in capo ai comuni di prevedere corrispettivi per l’attività istruttoria nel rilascio delle autorizzazioni al trasporto. La confusione tra ex privativa, diritti fissi e la remunarazione di prestazioni può essere fuorviante. Sull’ultima di queste 2 fattispecie, ricordo l’art. 26 D. Lgs. 23/12/2022, n. 201 (che ha oltretutto anche il vizio di essere stato pubblicato a ridosso della sua entrata in vigore, accanto a tutti gli aspetti controversi e/o controvertibili che riguardano i servizi pubblici locali).

      1. sarebbe quantomeno legittimo quantizzare tali diritti in modo da risultare uguali per tutti i cittadini italiani e non come accade che succede che in un paese non si paga niente e in quello accanto cifre assurde.
        saluti

        1. X Giuseppe,

          approfitto della Sua vena provocatoriamente polemica per accendere ancor di più il dibattito, con ulteriore benzina 100 ottani sul fuoco. Il paradosso che tutti noi viviamo (ed io a dispetto di molte illazioni non percepisco lo stipendio da una P.A., bensì da un soggetto economico di diritto PRIVATO, squisitamente privato!) si chiama micro federalismo fiscale in miniatura. Senza una visione di insieme del fenomeno funerario si rischiano queste aberrazioni amministrative e tributarie. Per legge ogni comune può istituire l’esazione di un diritto fisso remunerativo per istruttoria e rilascio autorizzazioni, licenze, permessi….Attenzione la scelta è del tutto politica. Il Consiglio Comunale statuisce di tariffare le aut. di polizia mortuaria e la Giunta…esegue emanando apposita declaratoria. Per la finanza locale la polizia mortuaria è uno scrigno cui attingere, perchè le aut. sono tante e variegate e le attività funerarie sono comunque soggette tutte a regime autorizzatorio, quindi sono parimenti tutte facilmente “COLPIBILI” dalla fiscalità comunale. Quando un Comune imposta la sua “Legge Finanziaria” attua la sua politica di bilancio; ed è inutile negare come spesso e volentieri gli enti locali applichino FEROCISSIMI diritti fissi, trattasi indubbiamente di risorsa importante e CERTA per l’erario comunale. La Sua proposta di una tariffa standard – se ben calibrata – personalmente mi troverebbe d’accordo anche solo per eliminare certe fastidiose sproporzioni dovute a certi eccessi fiscali all’italiana, spesso territori confinanti. Come prima quantificarla e poi calcolarla, però? Quanto costa al Comune di x la produzione di un servizio di polizia mortuaria come ad es. formazione e rilascio di…passaporto mortuario. Volutamente indico un atto abbastanza complicato (almeno per me, quando mi dimentico dei paesi aderenti o no all’accordo di Berlino). Il lavoro comunque va prestato e pagato, anche perchè – altrimenti – le scartoffie e gli incartamenti non procedono. Rimane quel quid di vago ed indefinito, quel margine di si spera responsabile discrezionalità che la Legge, nella sua posizione di neutra supremazia affida ad i nostri amministratori, affinchè promuovano e tutelino il benessere della comunità cittadina che rappresentano. Certi Comuni, con ogni evidenza sulla polizia mortuaria fanno…”CASSA”, altri sembrano meno esosi. Ripeto è il federalismo anarchico da medioevo…postmoderno, sballatissimo. Detto senza arzigogoli mentali: il localismi esasperati andrebbero temperati e mitigati con ragionevolezza, specie in un Paese come l’Italia ad alto tasso di campanilismo.

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