Infiltrazioni malavitose nelle pompe funebri foggiane

Riportiamo l’articolo “Mafia, il becchino parlò giorni dopo scomparve ” pubblicato su www.lagazzettadelmezzogiorno.it il 1 maggio 2009 in quanto è una testimonianza durissima di infiltrazioni malavitose nel settore delle pompe funebri.

Mafia, il becchino parlò giorni dopo scomparve

FOGGIA – Fu estromesso dal ricco affare delle onoranze funebri e l’ordine arrivò da suo zio, il capo mafia Roberto Sinesi dal quale temeva d’essere ucciso, tanto da rivelare ad un poliziotto: «se mi succede qualcosa il colpevole sarà lui». Le confidenze rese alla squadra mobile pochi giorni prima di essere ucciso dal giovane becchino Giuseppe Scopece, scomparso il 6 novembre 2006 vittima della lupara bianca, entrano nel processo «Osiride» alla presunta mafia del caro estinto che pretendeva un pizzo di 500 euro dalle imprese di pompe funebri per ogni funerale celebrato in città. Tra i 20 imputati in attesa di giudizio davanti ai giudici della prima sezione penale c’è anche Roberto Sinesi , 47 anni, becchino, detenuto, accusato di mafia, estorsione, corruzione e violazione della sorveglianza speciale: è ritenuto al vertice del racket dei funerali e si dichiara innocente.

Lupara bianca Giuseppe Scopece, becchino di 34 anni, soprannominato «Scannagatt», condannato per mafia negli anni Novanta quale fedelissimo dello zio Roberto Sinesi, sparì il pomeriggio del 6 novembre del 2006. Uscì dalla sua ditta «Global service» di via Lucera – si occupava del disbrigo di pratiche per i funerali e celebrava anche alcuni funerali – con il furgone e da quel momento di lui si persero le tracce. L’omicidio di Giuseppe Scopece non è tra i capi d’imputazione contestati dalla Direzione distrettuale antimafia nel processo Osiride, ma della sua scomparsa si è parlato nel corso delle udienze per dimostrare – nell’ottica accusatoria – la spartizione tra i boss foggiani del ricco affare dei funerali.
Era un confidente Il sostituto commissario Vincenzo Ponzo, che dirige la sezione criminalità organizzata della squadra mobile, il 10 novembre 2006 (4 giorni dopo la scomparsa di Scopece) scrisse una relazione di servizio sulle confidenze ricevute da Scopece il 31 ottobre precedente. Al termine di una «battaglia» procedurale tra il pm della Dda Francesco Cavone e l’avv. Ettore Censano, difensore di Sinesi che si opponeva a che il poliziotto riferisse delle confidenze ricevute da Scopece, i giudici hanno ammesso le domande dell’accusa. «Scopece era un mio confidente da qualche anno: lo divenne dopo la sua scarcerazione dopo una condanna per mafia durante la quale era stato in cella con Sinesi» ha detto il sostituto commissario Ponzo.
Contrasti tra becchini Il poliziotto ha aggiunto che il 31 ottobre 2006 (6 giorni prima della scomparsa) convocò in Questura Scopece per un interrogatorio formale sul settore delle pompe funebri in città. Una volta chiuso il verbale nel quale Scopece non disse nulla di interessante a fini investigativi, il giovane becchino – ha spiegato il poliziotto – gli parlò in maniera confidenziale. «Mi esternò le sue preoccupazioni sull’andamento delle agenzie di onoranze funebri in città. Mi disse che lui si era prodigato negli anni e si era interessato a incrementare gli introiti, aprendo l’agenzia di pompe funebri “Angeli”» (di cui è socio Sinesi) «e la “Global service” che si occupava del disbrigo delle pratiche per i funerali. La situazione cambiò tra il febbraio e il marzo 2006 quando furono scarcerati Roberto Sinesi e Raffaele Tolonese » (quest’ultimo, pure becchino e ritenuto al vertice del racket dei funerali, è stato condannato a 7 anni per associazione per delinquere ed estorsione nel processo abbreviato «Osiride»).
La riunione «Scopece, sei giorni prima di sparire, mi raccontò» ha proseguito il sostituto commissario Ponzo «che dopo la scarcerazione di Sinesi e Tolonese c’era stata una riunione alla quale anche lui prese parte. L’incontro fu voluto da Sinesi per stabilire i parametri per suddividere gli introiti del settore delle onoranze funebri, e Scopece fu quasi estromesso. E questo nonostante lui nel corso degli anni avesse portato soldi nelle casse dell’organizzazione criminale. Non solo non gli era stato detto grazie, ma era stato anche estromesso. Scopece mi riferì del risentimento che Sinesi nutriva nei suoi confronti perchè non si era allineato ai suoi voleri».
«Problema di famiglia» Stando al racconto del poliziotto (ha deciso di rivelare il nome del confidente perchè è morto), Scopece gli riferì che quei contrasti erano sorti qualche anno prima del 2006. C’era stata una violenta discussione tra lo stesso Scopece e Antonello Francavilla (genero di Roberto Sinesi) sulla gestione della cooperativa «Angeli», in cui Francavilla voleva entrare. «Il problema era stato ripreso da Sinesi una volta scarcerato e questo contrasto» si legge nella relazione a firma del sostituto commissario Ponzo sulla confidenze ricevute da Scopece «era a conoscenza di molte persone e veniva spiegato da Sinesi come “un problema di famiglia” per non dare spazio ad eventuali spiegazioni».
«Se mi succede…» E che Scopece temesse d’essere ucciso – quando si confidava con il poliziotto sei giorni prima della sua scomparsa – lo dimostrano le ultime parole affidate all’investigatore. «Quando gli chiesi se si sentiva tranquillo o se qualcuno poteva fargli qualche dispetto al suo furgone come successo ad altri necrofori, Scopece mi disse: “se succede una qualsiasi cosa a lui”, cioè Sinesi, “è indubbio che la colpa sarà data a me. Ma se succede qualcosa a me, il colpevole sarà lui”». In quella circostanza Scopece riferì al poliziotto che se la situazione si fosse aggravato, lui si sarebbe allontanato da Foggia. Non fece in tempo: il 6 novembre 2006 fu attirato in trappola e ucciso. Il suo cadavere non è stato mai rinvenuto.

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