Il trattamento antiputrefattivo ex Artt. 32 e 48 DPR 285/1990

ImageAllo stato della legislazione nazionale vigente (DPR 10 Settembre 1990 n. 285) la cosidetta puntura antiputrefattiva è obbligatoria, anche alla luce della circolare 24/93 del Ministero della Sanità, in forza degli Artt. 32 e 48 del D.P.R. 285/90.

Il regolamento concede solo alcuni accenni all’imbalsamazione (Art. 46 DPR. 285/90), come metodo alternativo alla puntura, ma del tutto facoltativo (occorre un atto di disposizione in tal senso, da parte del de cuius o dei suoi famigliari) e non imponibile d’ufficio dall’Autorità Sanitaria senza indicare modalità e tempi per una corretta procedura d’attuazione.

Non comporta alcun tipo di problema il fatto di porre a carico dei familiari l’onere economico del trattamento antiputrefattivo, se la siringazione cavitaria non è considerata un servizio necroscopico in termini di medicina e sanità pubblica (sulla gratuità o meno di queste prestazioni si potrebbe discutere a lungo, e per maggiori dettagli si rinvia agli articoli Servizi Necrscopici in Lombardia parti I e II)

Appare invece alquanto discutibile che tale trattamento venga svolto dal personale dipendente dall’impresa se non è intervenuta a tal proposito una riforma regionale sull’assetto della polizia mortuaria. Infatti l’art.48 dispone che il coordinatore sanitario possa delegare tale operazione ad “altro personale tecnico”. Con questa locuzione dovrebbe intendersi il vigile sanitario o altro personale appartenente al medesimo ufficio.

L’iniezione viene praticata, con una sonda monouso, nella cavità addominale.

La siringa è precaricata con una certa pressione, così da poter vincere la resistenza del cadavere, dovuta alla rigidità mortale
Viscere e parti molli, in effetti, sono le componenti dell’organismo più soggette ai fenomeni putrefattivi. Non a caso, il primo segno evidente e certo della decomposizione è la comparsa, all’altezza del fegato, di un’estesa chiazza dalla tonalità verdastra.

La siringazione cavitaria potrebbe esser effettuata ad esempio dall’addetto al trasporto solo se quest’ultimo operasse in qualità di incaricato di pubblico servizio pur essendo soggetto esterno alla sua struttura dalla Regione. Ma occorrerebbe pur sempre una norma di diritto positivo per specificare questa nuova funzione

Se è stabilita una tariffa chi pratica la puntura conservativa ha titolo per esigere il pagamento del corrispettivo fissato dalla declaratoria

De Iure condendo, si ritiene che la sostanza (formalina) introdotta nelle cavità corporee della salma debba essere sostituita da altra con azione inizialmente antiputrefattiva e successivamente favorente la scheletrizzazione del cadavere, così come auspicato anche dalla Regione Lombardia con la circolare 7 maggio 2005 n.21/San

Una delle concause che hanno determinato il fenomeno delle cosiddette “salme inconsunte” è proprio l’effetto della formalina.

Diverse regioni tra le quali: Lombardia (Circolare 26 giugno 2000 n. 32, paragrafo 7 Circolare 30 maggio 2005 n. 21), Emilia Romagna (Art. 10 comma 10 Legge Regionale 29 luglio 2004 n. 19) Piemonte (Deliberazione della Giunta Regionale Piemonte 24 febbraio 2003, n. 25-8503) Liguria (Deliberazione della Giunta Regionale 14 marzo 2006, n. 225) Toscana (Art. 3 comma 3 Legge Regionale 4 aprile 2007 n. 18) Umbria (Deliberazione Giunta Regionale 21 giugno 2006 n. 1066) per i trasporti funebri svolgentesi interamente entro il territorio regionale disapplicano l’istituto di cui agli Artt. 32 e 48 DPR 285/1990 (ossia la tassatività della siringazione cavitaria se ricorrono le fattispecie di cui all’Art. 32 citato) affidandosi, più genericamente alla discrezionalità del medico necroscopo.

Ad esser abrogata, quindi, non è la puntura conservativa in quanto tale, ma la sua obbligatorietà quando si verifichino le condizioni di cui all’Art. 32 DPR 285/1990, poichè si è introdotto il criterio della prudente valutazione caso per caso.

casket1E’da valutarsi se per i trasporti extraregionali tra due regioni che abbiano entrambe adottato lo stesso provvedimento in tema di siringazione cavitaria se sussista una sorta di proprietà transitiva, oppure debba prevalere comunque la normativa statale quando vi siano rapporti di extraterritorialità tout court.

Ovviamente per i trasporti da o verso l’Estero valgono solo il DPR 285/1990 (Art. 28 e 29) ed ancor di più le norme di diritto internazionale (Convenzione di Berlino 10 febbraio 1937 recepita con Regio Decreto 1 luglio 1937 n.1379) o Covenzione 28.4.1938 tra la Santa Sede e l’Italia, approvata e resa esecutiva con Regio Decreto 16.6.1938 n° 1055 (D.P.R. 10.9.1990 n° 285, art.27 comma 4).
In particolari frangenti, allora, il medico necroscopo può rilevare la necessità di eseguire la siringazione cavitaria per rallentare o inibire i processi della decomposizione cadaverica, si pensi ad esempio all’esposizione di una salma “a cassa aperta” in luogo pubblico per le 48 ore successive al decesso (è l’evenienza dei funerali solenni di persone particolarmente importanti e note, come artisti, uomini politici, capi di stato o religiosi in cui grandi folle visitano la camera ardente.

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Carlo Ballotta

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32 thoughts on “Il trattamento antiputrefattivo ex Artt. 32 e 48 DPR 285/1990

  1. Buonasera. Volevo fare una domanda riguardo la legalità dei trattamenti sulle salme a scopo conservativo. Dopo una visita turistica al cimitero dei Cappuccini di Palermo, sono rimasta talmente affascinata dalla “mummia” della piccola Rosalia Lombardo, ancora perfettamente conservata, tanto da voler scrivere un racconto ispirato alla sua storia ma ambientato ai giorni nostri. Mi chiedevo però se fosse possibile, secondo la legge italiana odierna, trattare la salma in modo da permettere la sua conservazione permanente e impedire il suo ritorno in polvere, così come è stato fatto quasi cento anni fa per la piccola Rosalia. Sebbene gli articoli 46 e 47 del DPR 285/90 parlino di “imbalsamazione”, non riesco a capire esattamente cosa si intende con questo termine. E qualora l’imbalsamazione perpetua fosse possibile, è il solo medico necroscopo a effettuarla? Grazie, Marisa.

  2. In questo breve studio cercheremo di concentrarci sull’unico trattamento conservativo, anche se di natura palliativa, specificamente contemplato dall’attuale disciplina di polizia mortuaria: ossia la siringazione del cadavere con 500 c.c. di formalina, soprattutto in prospettiva dell’attesa riforma che introdurrà, anche in Italia, nuovi e più complessi interventi antiputrefattivi come la tanatoprassi e l’imbalsamazione oggi lacunosamente regolata dagli Artt. 46 e 47 DPR 10 settembre 1990 n. 285.

    Un vasto fronte, composto d’esperti ed addetti ai lavori, sembra schierarsi apertamente contro il ricorso alla formaldeide per i trattamenti conservativi disposti dal nostro ordinamento sanitario, quando si tratti di tutelare l’igiene pubblica e la salute stessa degli operatori che attendono al trasporto delle salme.

    E’, senza dubbio, utile un breve riassunto della normativa in questione, prima di addentrarci nell’esame più approfondito del problema.

    L’art. 32 del vigente regolamento di polizia mortuaria prescrive tassativamente alcuni comportamenti igienici, da osservarsi nel trasporto dei cadaveri.

    Nei mesi primaverili o estivi, infatti, sino ai primi giorni dell’autunno, quando il rischio di giornate roventi è ancora in agguato, per le salme destinate al trasferimento da comune ad altro comune, oppure in partenza verso l’estero o, ancora, provenienti da un paese straniero, le norme nazionali di polizia mortuaria impongono di praticare sul cadavere la siringazione cavitaria, ossia l’introduzione nelle cavità addominali (in corrispondenza delle viscere) di 500 c.c. d’aldeide formica, ovviamente quando sia trascorso il periodo d’osservazione e non vi sia più dubbio alcuno sulla constatazione di morte effettiva (Art. 8 DPR n. 285/1990).

    Tale trattamento antiputrefattivo sarà eseguito anche in caso la destinazione finale del feretro sia raggiunta dopo 24 ore di tempo, oppure quando siano già trascorse 48 ore dal decesso, prima del trasferimento dello stesso alla sepoltura.

    E’utile esaminare poi un altro passaggio fondamentale nello sviluppo logico del regolamento: l’articolo 30, dedicato interamente alle modalità in cui il trasporto funebre debba esser svolto precisa, come la doppia cassa (cofano di legno robusto abbinato a vasca zincata[1] munita di coperchio, fissato con saldatura a tenuta stagna per il transito da comune a comune sia da ritenersi obbligatoria solo per i tragitti che superino i 100 Kilometri.

    Nell’ipotesi di un corteo funebre che parta, in un giorno di caldo estivo, verso una meta, distante meno di 100 kilometri, il rivestimento zincato della cassa non sarebbe dunque necessario ed i miasmi della decomposizione incipiente, ed accelerata dalle alte temperature, verrebbero contrastati solo dall’azione periossidante del formolo iniettato nella salma.

    Chiediamoci allora quale potrebbe esser la conseguenza se la formaldeide, o altro analogo prodotto antiputrefattivo fossero completamente banditi dalla nuova normativa funeraria.

    Una regola assai conosciuta in ambito medico-legale istituisce una precisa relazione tra ambiente esterno e processi degenerativi della materia organica.

    Secondo quest’equazione l’esposizione di un cadavere agli agenti atmosferici, in una sola ora d’estate, corrisponde all’abbandono dello stesso all’aggressione ossidativa dell’aria e dei suoi batteri nell’arco di un’intera settimana.

    Non è quindi azzardato pensare che, nel tempo necessario a percorrere i 100 Km scarsi fissati dalla legge, potrebbe già essere iniziata la fase enfisematosa della putrefazione cadaverica, con la conseguente produzione di una notevole quantità di gas.

    Quando venisse a mancare l’effetto inibitore della formaldeide verso i processi putrefattivi assieme al contenimento, anche meccanico, che la lamiera zincata, per definizione impermeabile a liquidi e gas, potrebbe garantire, i nauseabondi composti aeriformi, sprigionati dal cadavere, sarebbero completamente liberi di fuoriuscire dalla cassa e diffondersi nell’ambiente circostante con grave pregiudizio per l’incolumità stessa di dolenti e necrofori.

    Nei feretri destinati ad inumazione o cremazione, quando il loro trasferimento sia inferiore alla distanza di 100 KM, l’ordinamento nazionale di polizia mortuaria non contempla ancora espressamente nessun dispositivo o diaframma impermeabile per isolare cadavere e relativi miasmi dall’ambiente esterno.

    Sulla base di queste indicazioni, da più parti, si auspica il divieto di ricorre alla siringazione cavitaria, proprio perché le operazioni di tanatoprassi, da sole, sarebbero in grado di arrestare per diverso tempo i processi degenerativi post mortali, assicurando condizioni di massima igiene durante il trasporto del feretro, la veglia funebre e la celebrazione delle esequie.

    Nei paesi anglosassoni ed anche in Francia, dove risiedono le più prestigiose scuole di tanatoprassi, però, i maestri di quest’affascinante arte mortuaria continuano a consigliare l’uso di una soluzione, benchè molto annacquata, di aldeide formica da iniettare nei cadaveri.

    Altri composti meno tossici, infatti, non hanno ancora raggiunto il livello d’assoluta affidabilità che tutti riconoscono alla formalina.

    Siringazione cavitaria e trattamenti conservativi, quindi, prevederebbero, pur sempre, l’impiego del formolo e dei suoi stretti derivati.

    Non si capisce allora come mai l’aldeide formica per la siringazione cavitaria sia cancerogena, mentre la stessa formaldeide, indicata per la tanatoprassi, sia completamente innocua.

    Bisogna poi esaminare un’altra questione, prima di archiviare troppo precipitosamente la funzione igienizzante dell’aldeide formica.

    La puntura conservativa in Italia è imposta per legge, ovvero quando ricorrano determinate circostanze (mesi estivi o trasporti particolarmente lunghi) il personale a ciò delegato dall’autorità sanitaria, quindi, agisce d’ufficio senza il bisogno di ottenere il consenso dei dolenti.

    Per la tanatoprassi, invece, non sussisterebbe alcun vincolo d’obbligatorietà, siccome si tratterebbe di un’operazione sulla salma del tutto facoltativa, anche perché contraria a diverse confessioni religiose.

    Solo in occasione di trasporto internazionale potrebbe esser ingiunta, in quanto diversi stati (il Canada, ad esempio) per accogliere il rimpatrio di un cadavere pretendono che lo stesso sia stato sottoposto a trattamenti conservativi.

    Poniamo un’ ipotesi tutt’altro che peregrina o fantascientifica

    Nel torrido mese di luglio, con temperature oltre i 30 gradi centigradi, un’impresa è incaricata di un trasporto funebre di notevole distanza, anche se rimane, in ogni caso, entro i confini nazionali.

    Se decade il dovere di iniettare formaldeide nella cavità corporee della salma e, per motivi ideologici, o semplicemente economici, la famiglia non richiede l’intervento del tanatoprattore, i necrofori dovranno rassegnarsi alla poco piacevole idea di viaggiare magari per un’intera giornata, in compagnia di un feretro, già, dopo poche ore dal suo confezionamento, fradicio di liquami e rigonfio di maleodoranti vapori cadaverici.

    Si deve poi valutare il rischio, sempre presente, nonostante l’azione della valvola depuratrice, di un’improvvisa rottura della lamiera zincata con relativa perdita di liquidi organici fuori della vasca metallica.

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    [1] se lo zinco è a diretto contato con la salma occorrono anche reggette o valvola a depressione oppure, in alternativa, altro sistema idoneo a neutralizzare i miasmi

  3. Quasi essuna impresa funebre sembra interessarsi dell’ultima fase nella vita di un prodotto funerario, quando un feretro (cadavere + cassa) degrada a rifiuto cimiteriale (assi lignee, rottami di metallo, lacerti di stoffa…) e resto mortale. Nemmeno un costruttore parla apertamente della fase finale nel ciclo di vita di un prodotto, quando esso da bene di consumo diventa rifiuto cimiteriale ai sensi del DPR 15 luglio 2003 n. 254 con relativa spesa di smaltimento.

    Sembrerò empio e quasi blasfemo, ma ribadisco una verità scomoda e per nulla poetica: i cimiteri sono speciali “DISCARICHE” dove si neutralizza la potenziale pericolosità dei cadaveri attraverso un graduale processo di degradazione della materia organica (si tratta delle cosidette “parti molli” di cui alla Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10) nelle sue componenti più semplici, cioè i minerali. Ecco perchè si parla di mineralizzazione dei corpi ormai privi di vita.

    Il Legislatore enuncia il principio di “CIMITERO a ROTAZIONE” attraverso il combinato disposto tra gli Artt. 57 comma 5; 60 comma 2; 68 comma 1; 71, 75 commi 1, 2, 9; 82; 85; 86 comma 2 ed indirettamente 87 DPR 10 settembre 1990 n. 285.

    L’Attività cimiteriale è volta alla distruzione controllata dei cadaveri sino alla raccolta delle ossa nell’ ossario comune di cui all’Art. 67 DPR n.285/1990 o alla cremazione delle stesse ai sensi della Circ.Min. 31 luglio 1998 n. 10.

    I morti si debbono scheletrizzare nei modi previsti dalla Legge ed in tempi certi, ovvero quando sia decorso il periodo legale di sepoltura (ordinariamente 10 anni per l’inumazione e 20 anni per la tumulazione), altrimenti gli spazi sepolcrali giungeranno drammaticamente al collasso per la cronica mancanza di posti feretro.

    In una situazione vicina al punto di non ritorno, perchè gli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo intasano i nostri cimiteri e non si decompongono nemmeno se addizionati con sostanze biodegradanti pensare di trattare tutti i defunti con un balsamo conservante (formaldeide o quant’altro) per soli fini estetici è una pura follia e tra l’altro integrerebbe la fattispecie di reato di cui all’Art 410 Codice Penale (vilipendio di cadavere).

    Nell’esperienza italiana l’imbalsamazione, ancorchè indiretta ed involontaria è realizzata con l’ambiente stagno (loculo + cassa di zinco saldata) in cui, al momento del funerale, il defunto viene racchiuso.

    Sul totale delle estumulazioni l’incidenza degli inconsunti è spaventosa, siamo ben oltre il 90%, gli indecomposti sono refrattari a qualunque azione disgregativa dei loro tessuti figuriamoci quale sarebbe il perverso risultato se tutti i morti fossero sottoposti a tanatoprassi.

    Laddove si pratica la tanatoprassi (quella vera!!!) sussistono differenti tecniche di sepoltura come:

    1) cremazione molto diffusa (oltre il 70% come accade in Gran Bretagna)
    2) Loculi areati (Spagna, Francia, USA…)
    3) inumazione in area data in concessione per tempi lunghissimi (succede, ad esempio, nei Paesi di cultura anglosassone, dove la densità abitativa non raggiunge i livelli italiani e, quindi, non si pone il problema del sovraffollamento).

    La tanatoprassi abbinata alla tumulazione stagna (cioè la forma di sepoltura più diffusa) produrrebbe effetti mostruosi, con un impatto difficilmente calcolabile.

  4. Caro Carlo E’ d’uopo togliersi il cappello di fronte a tanta competenza. E’ altresi’ fonte di tristezza notare che l’Italia dopo aver dato i natali a personalità illustri nel campo del trattamento salme (uno per tutti Alfredo Salafia) abbia perso questo primato a vantaggio di nazioni come gli Stati Uniti o la Francia che hanno un concetto di servizio funebre molto diverso rispetto al nostro. Tutte le sperimentazioni del Biozero sono state sostenute in Spagna dove abbiamo sottoposto delle salme al trattamento di tanatoprassi esattamente come lo intendi Tu. Nella prospettiva di dare alla professione una valenza di qualità e di attenzione per l’ambiente sempre più impellente per uniformarsi alla normativa Europea, ci pare assurdo continuare ad utilizzare formaldeide che fissa i tessuti impedendo di fatto la putrefazione ed accentuando il fenomeno degli indecomposti, e dall’altro sottoponendo gli operatori all’utilizzo di una sostanza cancerogena. Come realtà commerciale produttiva sentiamo crescere nel mercato e presso gli operatori l’esigenza di conoscere trattamenti della salma che vadano al di là della semplice iniezione conservativa per evitare l’esplosione della cassa ma volti ad assicurare una maggiore qualità del servizio. Sarebbe interessante aprire un dibattito a riguardo.

  5. Storicamente, nella legislazione italiana, la cosiddetta siringazione cavitaria (altrimenti conosciuta come puntura conservativa) nasce non per motivi estetici, ma per tutelare la salute pubblica durante i trasporti funebri. Nell’esperienza post-unitaria (il primo riferimento ad un corpus normativo, seppur a livello comunale, di polizia mortuaria risale al Regio Decreto Regio Decreto 8 giugno 1865 n. 2322) che molto risentiva dell’influenza “igienista” tipica del XIX SEcolo, importata dalla Rivoluzione Francese (si pensi all’Editto Napoleonico di Saint Cloud) i funerali erano visti come una pratica insana ed ammorbante, a motivo delle fetide esalazioni cadaveriche.

    Il legislatore, allora, prescrivendo, in determinati frangenti, l’obbligatorietà della siringazione cavitaria, vuole tutelare l’igiene pubblica contro il famigerato “scoppio del feretro” durante la movimentazione delle casse mortuarie. Si teme, quindi, il fenomeno percolativo, ossia la perfusione all’esterno della bara di liquaqmi cadaverici. Certo, all’epoca i trasporti erano lenti, richiedevano anche diversi giorni, e gli spostamenti erano effettuati su strade impervie ed accidentate, mentre le bare non garantivano gli stessi standard qualitativi di oggi (spessori, materiali di costruzione…).

    La ratio di questa norma è presente anche nella Convenzione di Berlino (10 febbraio 1937 recepita nell’Ordinamento Italiano con Regio Decreto n.1379/1937). Per la legge italiana (Art. 337 Regio Decreto n.1265/1934) la sepoltura, a sistema di inumazione in campo comune, deve avvenire nel cimitero (di cui ogni comune deve dotarsi) del comune di decesso. Il trasporto funebre da comune a comune è visto con diffidenza, tant’è vero che gli Artt. 30 e 32 DPR n.285/1990 prevedono una duplice protezione: la cassa di legno e metallo, nonchè, nei mesi tardo primaverili ed estivi il trattamento antiputrefattivo.

    Chi scrive il regolamento nazionale di polizia mortuaria, anche nel non lontanissimo 1990 (il DPR n.285 è del 10 settembre 1990 ed entra in vigore il 27 ottobre dello stesso anno) ha il terrore che durante il trasporto, anche se la cassa a tenuta stagna è stata confezionata con il nastro metallico, le saldature cedano sotto la pressione dei gas putrefattivi, liberando, così, all’esterno della cassa i miasmi malsani della decomposizione.

    La paura è tale e tanta che il legislatore (anche quello internazionale) impone la cerchiatura del feretro con liste di metallo (volgarmente chiamate anche “reggette”.

    I Metodi attualmente praticati per ottenere una temporanea o definitiva conservazione delle spoglie prevedono ancora interventi essenzialmente invasivi su interiora e cavità corporee.

    Queste pratiche cruente impongono sempre il ricorso ad aghi e sonde per rimuovere le sostanze liquide o aeriformi che, dopo il decesso, ristagnano nell’organismo, provocando fenomeni degenerativi a carico dei tessuti. Una volta cessata ogni manifestazione di vita, infatti, hanno inizio i tumultuosi processi autolitici che conducono, rapidamente, il cadavere allo stadio putrefattivo.

    Quando termina definitivamente la respirazione, in breve si esaurisce anche l’apporto d’ossigeno, indispensabile per la sopravvivenza delle stesse cellule.

    Entrano, allora, in azione particolari germi anaerobi, capaci di aggredire e distruggere la materia organica.

    Questi microrganismi generano anche, attraverso complesse reazioni chimiche, una singolare trasformazione cromatica: le molecole d’emoglobina contenute nel sangue, infatti, divengono instabili e si uniscono ai residui solforosi, conferendo alla pelle una sgradevole tonalità verdastra.

    I composti cui si ricorre, per arrestare, o semplicemente rallentare, la decomposizione, per una maggiore efficacia, debbono allora essere necessariamente iniettati nella salma.

    Le operazioni di tanatoprassi riescono anche a ridurre notevolmente la produzione di quelle esalazioni acri e pungenti, connesse alle trasformazioni postmortali, che si sviluppano anche nelle immediate ore dopo il decesso, rendendo particolarmente disagevole la veglia, o il raccoglimento, dei dolenti attorno al defunto.

    I buoni risultati del trattamento sono strettamente legati alla tempestività con cui le azioni di natura estetica vengono poste in atto.

    La soluzione ottimale sarebbe procedere, almeno con i primi interventi, non oltre le 8 [ Bisogna rilevare una prima criticità, legata alla tempistica prevista dal DPR 285/90 per l’accertamento del decesso: il medico necroscopo, infatti, interviene, di norma, non prima delle 15 ore. Il ricorso all’elettrocardiografo, allora, per abbreviare il periodo d’osservazione parrebbe l’unica soluzione praticabile senza scardinare l’impianto stesso del regolamento di polizia mortuaria ] o 10 ore dopo la morte, quando, naturalmente, il medico necroscopo, abbia accertato l’effettiva cessazione della vita, siccome, in ogni caso, si ricorre a tecniche e strumenti chirurgici.

    Come si è visto, il sangue è il principale vettore attraverso cui si diffondono, in tutto il corpo, i germi responsabili della putrefazione.

    L’aspirazione di tutto il fluido ematico dal comparto artero-venoso si rende, quindi, indispensabile per garantire una dignitosa conservazione delle spoglie.

    Una prassi, ancora in uso in diversi paesi, raccomanda che l’imbalsamazione sia effettuata con numerose iniezioni sottocutanee di formaldeide, così da raggiungere anche le zone più periferiche o interne dell’organismo.

    La scuola americana di tanatoprassi ha, invece, elaborato, con l’aiuto della più avanzata medicina legale, un meticoloso sistema, certamente più vantaggioso e sicuro, che rapidamente si è diffuso in tutta Europa.

    Ogni azione, tale da comportare un diretto contatto con le spoglie, deve sempre essere preceduta da un’accurata pulizia del cadavere con antisettici, anche per non incorrere nel potenziale pericolo d’infezioni.

    Una corretta procedura preliminare è importante anche per il successivo svolgimento dei passaggi che consentiranno una soddisfacente presentazione estetica della salma.

    Una scrupolosa disinfezione è una misura di sicurezza, contro i reali rischi di contagio, che nessun operatore funebre può permettersi per ignorare.

    È cruciale che il disinfettante usato debba assicurare la necessaria potenza battericida, ma sia, allo stesso tempo, in grado di ritardare completamente, o contenere, l’irritazione dei tessuti cutanei; mentre di pari importanza sarà il suo potere di neutralizzare i cattivi odori.

    Se è già sopravvenuta la rigidità cadaverica, si dovrà ricorrere alle diverse tecniche di manipolazione degli arti, studiate proprio per rompere, o, quantomeno, gestire la progressiva perdita d’elasticità che si registra a carico delle articolazioni.

    Sarà così possibile contenere e ridurre quei fenomeni che complicano notevolmente la composizione delle spoglie e lo stesso trattamento conservativo.

    Il rigor mortis, infatti, rappresenta un notevole ostacolo per la preparazione anatomica del cadavere.

    La prima fase, assieme alla suturazione delle zone perfusive (i vari orifizi) prevede l’individuazione dei vasi sanguigni che debbono essere portati in superficie.

    Si procede poi con l’incanulazione della giugulare o dell’arteria femorale per il completo drenaggio del sangue, mentre s’incidono le carotidi attraverso cui la sostanza conservante, in un secondo momento, penetrerà in tutto l’organismo ormai morto.

    Grazie ad una metodica iniettiva si sostituisce, così, il sangue in tutto il sistema circolatorio. L’introduzione costante e a bassa pressione dei liquidi d’imbalsamazione, con un parallelo deflusso dei liquami interni, è fondamentale per evitare disgustose deformazioni del corpo come afflosciamenti improvvisi o rapide tumefazioni.

    Tali composti hanno un’azione antisettica, rendono un colore naturale alla cute e donano al defunto un aspetto più simile a quello che aveva in vita, cancellando gli orribili segni dell’agonia.

    Alle volte i grumi che si formano post mortem possono condurre ad un’insufficiente distribuzione, attraverso il corpo, dei prodotti chimici per l’imbalsamazione.

    A questi inconvenienti si ovvia con uno specifico e preventivo lavaggio di vene ed arterie, ad una certa pressione, per distruggere i coaguli, mentre, nei casi più difficili, bisogna incidere il vaso sanguigno ostruito per asportare meccanicamente l’ostacolo.

    Anche quando si sia rimosso completamente tutto il sangue, parti molli ed organi interni continuerebbero a secernere umori acquei e putrescenti, soprattutto nella regione addominale.

    La siringazione cavitaria che completa l’imbalsamazione, allora, dovrebbe essere eseguita appena possibile, dopo che l’iniezione arteriosa del liquido d’imbalsamazione sia stata completata con successo. Con un ago di notevoli dimensioni il “tre quarti”, spesso definito nel gergo della tanatoprassi d’oltreoceano “ la spada dell’imbalsamatore”, si perfora l’addome.

    Prima si aspirano tutti i liquami dalle anse intestinali, poi si provvede a riempire la cavità con una sostanza periossidante, come potrebbe essere la stessa aldeide formica, meglio conosciuta con il nome commerciale di formalina.

    Non bisogna mai affrettare i tempi in questo delicato lavoro. Un’eccessiva fretta potrebbe, in effetti, condurre al rigonfiamento nel viso del defunto, danno che sarebbe impossibile riparare, con grave spregio per la memoria stessa della persona scomparsa.

    Bisogna poi asportare tutta l’aria residua che permane nei polmoni, poi con una sonda flessibile, attraverso la trachea ed i bronchi, si raggiunge la gabbia toracica, inserendo una quantità sufficiente di balsamo conservante, tale da rendere inoffensiva la presenza d’eventuali batteri nel sistema respiratorio.

    Dal momento in cui il defunto è esposto per la veglia nella camera ardente, è opportuno, da parte dell’operatore, un frequente controllo delle regioni addominali e toraciche per ravvisare tutti i possibili segni di distensione o rigonfiamento causati dall’accumulazione gassosa all’interno del cadavere.

    La pressione che si forma, soprattutto a livello intestinale, può essere alleviata con un sapiente massaggio sull’addome ed aprendo gli sfinteri del basso ventre (un operazione così imbarazzante, naturalmente, va eseguita lontano dagli angosciati sguardi dei famigliari).

    La bocca è il punto focale su cui, durante tutta la veglia funebre, si concentra l’attenzione dei dolenti, quando il defunto è già stato deposto nella cassa.

    I tratti del viso e l’espressione della bocca determinano il modo con cui i parenti dei defunti percepiscono il corpo del loro caro, che riposa in un pregiato cofano. Di conseguenza, il cavo orale dei cadaveri, prima dell’esposizione, dovrebbe essere attentamente chiuso e completamente incerato.

    Un leggero rivestimento di cera, con funzione ammorbidente, dovrebbe, dunque, applicarsi sia al labbro superiore, ma anche più basso, nelle aree vicine alla bocca, per evitare screpolature e sfaldamenti della cute. Una pratica, fortemente caldeggiata dalla scuola americana, prevede la cucitura delle labbra con un filo trasparente e la lieve applicazione di un lucido per donare alla bocca un colore omogeneo.

    Un simile metodo suscita tuttavia qualche perplessità per la scabrosità dell’operazione. Molto più gestibile, invece, è un sistema più tradizionale, come l’utilizzo della colla [ L’argomento è al centro di un vivace dibattito tra gli stessi tanatoprattori, alcuni preferiscono la colla, altri invece, la cucitura ].

    Un sottile strato d’adesivo produce gli stessi effetti estetici, senza dover incidere o perforare le labbra, occorre però una buona manualità per scongiurare il rischio di possibili ed ineleganti sbavature.

    Il tanatoprattore dovrà poi premurarsi di rimuovere tutte le setole o la peluria visibili da naso ed orecchi. Si dovranno poi tamponare le narici in profondità con cotone ed evitare così la sgradevole eventualità, soprattutto nei mesi estivi, d’insetti che s’insinuino nelle cavità nasali.

    Sarà opportuno ripetere la stessa operazione per i padiglioni auricolari.

    Il tipo di cotone usato dovrebbe essere imbevuto con un insetticida liquido.

    Il tampone sarà inserito abbastanza in profondità in modo da renderlo invisibile agli occhi dei visitatori.

    Un leggero maquillage, associato a creme idratanti, conferisce senza dubbio al volto un aspetto più sereno contrastando l’essiccamento da evaporazione.

    A volte si sarebbe tentati di ricorrere ad un uso più marcato del “make-up” stendendo un velo più consistente di cipria o phard. Spesso, però, il risultato è abbastanza deludente ed incontra la stessa opposizione dei dolenti, perché il viso del defunto verrebbe oltremodo appesantito dalla spessa“maschera” dei cosmetici applicati.

    È assai frequente uno spiacevole fenomeno a carico delle mani.

    La pelle che avvolge polpastrelli e falangi tende a ritrarsi, lasciando scoperta una buona porzione delle unghie.

    Le dita assumono così un aspetto trascurato, mentre macchie livide si formano alle loro sommità. Il sangue, infatti, tende per gravità a depositarsi nelle zone più basse e ristagna lungo i capillari più periferici che irrorano gli arti.

    Un sapiente massaggio sui polpastrelli del defunto favorirà, senza dubbio, l’azione del liquido conservante, permettendogli di diffondersi sino all’ estremità delle mani e contrastare così le ipostasi [ Sono le macchie livide che si formano a causa del ristagno del sangue ].

  6. Caro Carlo, rispondiamo al Tuo prezioso contributo prendendolo, come Tu stesso dici, come una simpatica provocazione.Il Sublimato corrosivo (chimicamente cloruro mercurico), presenta rischi forse ancora superiori a quelli della formalina sia per gli operatori che per l’ambiente ed il fenolo non è certo più amichevole. Il vero cambiamento è offerto da prodotti che abbiano un’efficacia in tempi e modi dichiarati, che siano stati sottoposti a test di studio rigorosi (Tipo Università degli Studi di Milano) e che abbiano impatto ambientale e tossicologico quasi nullo. ulteriori info http://www.roadmaster.it/pdf/biozero2010.pdf.Gradiremo approfondire un confronto con le Tue ampie conoscenze del settore che ci permetta di migliorare sempre più le caratteristiche della ns offerta a supporto dei professionisti del settore funerario

  7. Lancio la solita provocazione sadica da necrofilo impenitente; perchè non sostituiamo l’odiata formalina (che tra tutti gli antiputrefattivi rimane il N.1) con una bella iniezione nel torace e nelle cavità addominali del cadavere, di almeno un litro di soluzione di sublimato corrosivo al 3 per mille o di acido fenico al 5 per cento, così, almeno recita l’Art. 8 del REgio Decreto 16 giugno 1938, n. 1055 (Trasporti funebri tra Stato del Vaticano e Stato Italiano).

    I tanatoprattori, acora oggi, per “siringare” i cadaveri da sottoporre a trattamento conservativo usano pur sempre una soluzione acquosa a base di formaldeide (= formalina!) da introdurre non solo nella cavità addominale, ma anche in tutto in circuito artero-venoso.

  8. Il prodotto detto […… eliminato riferimento dalla redazione] è una grande Bufala, è semplicemente acqua e sale e non serve a nulla stanno provando a entrare nel settore sostituendosi alla formalina che viene sempre di più sconsigliata per la sua pericolosità ma in verità i veri prodotti che sostituiscono la formalina sono altri e sono validi sul serio.

    State attenti a chi cerca solo di inserirsi in un settore di cui non ne sanno nulla…

  9. La nota della Regione Lombardia sull’autorizzazione all’utilizzo del Biozero al posto della formalina nei casi previsti dalla vigente normativa funebre è H1 2008.00.12161 del 20.03.2008.
    In data 3 dic. 2009 con protocollo 43240 db2001 anche la Regione Piemonte ha autorizzato l’utilizzo del Biozero.

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