Austria, Belgio, Egitto, Francia, Germania, Italia, Messico, Portogallo, Repubblica ceca, Repubblica democratica del Congo, Romania, Slovacchia, Svizzera, Turchia.
Ecco i Paesi attualmente firmatari dell’accordo di Berlino sui trasporti funebri internazionali.
Ad oggi l’Italia non aderisce ancora all’accordo di Strasburgo sempre in materia funeraria.
Come ci ricorda la stessa circ. min. Sanità n. 24/1993, atto di carattere istruttivo ed esplicativo, le norme procedimentali e tecniche contenute nella Convenzione di Berlino non si applicano ai trasferimenti transfrontalieri di ceneri o ossa (il legislatore di quell’epoca ormai lontana qui usa impropriamente la formula linguistica più vaga di spoglie/resti mortali, comunque sempre completamente mineralizzati).
Ne consegue che tra Paesi firmatari dell’Accordo il trasporto sarà “libero”, nel senso di svincolato dal protocollo igienico-sanitario della Convenzione stessa, anche se pur sempre subordinato nel suo nell’espletamento alla consueta e propedeutica autorizzazione amministrativa comunale (soggetta alle postille?)
Il regolamento nazionale di polizia mortuaria è su questo punto inderogabile ed intangibile da eventuali ed inopportune riforme affrettate su scala locale. Il D.P.R. n. 285/1990 affronta questo delicato tema nel dettaglio, ma con un solo, vero art. omnicomprensivo.
In effetti, l’art. 27 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 considera unitariamente due distinte fattispecie: l’estradizione e l’introduzione delle salme.
Questa scelta nella redazione finale del testo rinviene la propria ragione d’essere e legittimazione giuridica nel fatto che l’Accordo, stretto a Berlino il 10 febbraio 1937, fonte di diritto pattizio sovranazionale, stabilisce prescrizioni uniformi per il confezionamento del feretro; in partenza o in arrivo.
Il loro integrale rispetto è presupposto fondativo per il rilascio di un “titolo” di viaggio, denominato “laissez passer mortuaire” (italianizzato in “passaporto mortuario”). A in quel momento storico, infatti, era la lingua francese l’idioma più diffuso nelle relazioni internazionali e diplomatiche.
Così, la presenza di tale “titolo” comprova, oltre alla fondamentale identità del de cuius per l’ultimo viaggio, anche l’avvenuta verifica di una scrupolosa e puntuale osservanza verso gli obblighi “prestazionali” cui il cofano, una volta debitamente sigillato debba, poi rispondere, in maniera definitiva.
Sotto il profilo della procedura amministrativa e del timing dei relativi atti in sequenza, si tratta di una situazione del tutto diversa e per certi versi opposta, in confronto all’ordinario trasporto che avvenga all’interno del Comune, oppure da un Comune ad altro (nell’ambito del territorio nazionale).
In questo caso, decisamente più comune, l’autorizzazione al trasporto costituisce un “titolo” che è indipendente dalle prescrizioni emanate dall’Autorità Sanitaria cui caso per caso, debba nell’eventualità ottemperarsi.
Le sempre possibili istruzioni emanate da quest’ultima, piuttosto si collocano nella fase di esecuzione di quanto oggetto dell’autorizzazione al trasporto, ossia la movimentazione di un defunto entro idonea cassa, all’uopo chiusa.
Detti atti prodromici al trasporto stesso si traducono nel processo verbale relativo alla c. d. “verifica del feretro” generalmente formato e stilato al momento della chiusura dello stesso, e connesso – di conseguenza – alla partenza del corteo funebre.
Il “laissez passer mortuaire”, invece, si perfeziona proprio in fase successiva all’esecuzione di ogni disposizione igienico sanitaria impartita dalla locale A.USL (o comunque denominata).
Assume così, in qualche modo, anche una natura, oltreché autorizzatoria, pure di ordine certificativo circa l’avvenuto confezionamento del feretro, in conformità alle prescrizioni statuite nell’Accordo medesimo. Tali precauzioni sono ad ampio spettro. Forse la reale pericolosità di un qualunque trasporto funebre, anche se dovesse varcare i confini nazionali, è -da sempre – sopravvalutata, con norme ad hoc vetuste ed ormai anacronistiche.
La Convenzione di Berlino, tuttavia, vanta anche qualche punto di ragionevole snellimento procedimentale, quando ad esempio ci evita di produrre agli atti il tedioso nulla osta preventivo da parte delle Autorità Estere, come appunto accade per l’estradizione.
Per il cittadino, sovente assistito da impresa funebre di fiducia, le prescrizioni, e le procedure, sancite dall’Accordo in Italia almeno, si sviluppano in questi pochi ed essenziali passaggi di burocrazia funeraria, attraverso il preposto ufficio di polizia mortuaria:
a) istanza di rilascio del provvedimento amministrativo di autorizzazione (“laissez passer mortuaire”, detto anche “passaporto mortuario”) diretta all’autorità competente (dopo il DPCM 26 maggio 2000 di devoluzione agli enti locali delle funzioni di polizia mortuaria prima prefettizie o addirittura ministeriali si propende per l’individuazione della figura deputata ad adottare l’atto e firmarlo nella persona (dirigente) di cui all’art. 107 comma 3 lett. f) D.Lgs n. 267/2000;
b) estratto per riassunto dell’atto di morte (incidentalmente, va ricordato come con la circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, Punti 8.2) e 8.3), si sia data l’indicazione per cui tale estratto per riassunto dovesse essere soggetto all’imposta di bollo, trascurando che con l’art. 7, comma 5 legge 29 dicembre 1990, n. 405 (successivamente ripreso in Nota n. 2, lett. c) all’art. 4 Tariffa, Parte 1^ allegato A) al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e succ. modif. dal d. m. (Finanze) 20 agosto 1992) era stata introdotta l’esenzione dall’imposta di bollo per i certificati ed estratti dai registri dello stato civile (ora, si veda l’art. 14 Tabella, Allegato B al medesimo D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e succ. modif.). Se ne da conto, in quanto le precedenti indicazioni ministeriali sono, a volte, riprese del tutto acriticamente anche da quale Regione.
c) certificazione dell’A.USL attestante l’avvenuta osservanza delle disposizioni previste dall’Accordo nonché di quelle dell’art. 32 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (c. d. trattamento antiputrefattivo). La competenza a rilasciare tale certificazione è dell’ASL e non è sostituibile, sia in relazione all’art. 2 dell’Accordo, all’art. 48 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, nonché e soprattutto dell’art. 49 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
d) autorizzazione all’inumazione, oppure autorizzazione alla tumulazione, rilasciata ai sensi dell’art. 74 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e succ. modif., oppure autorizzazione alla cremazione rilasciata (nominalmente) ancora a sensi dell’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 oppure – ed è molto più facile – dell’art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, a seconda della Regione, per il rinvio di cui all’art. 74, comma 3 citato D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e succ. modif.
Si rappresenta che tale ultima ipotesi appaia molto accademica e di scuola, essendo alquanto più semplice dar luogo a cremazione in Italia, secondo la nostra Legge (compresa quella sul diritto internazionale privato n.218/1995), e, successivamente, effettuare un mero trasporto delle ceneri raccolte in urna.
Si rimarca l’inidoneità assoluta dell’autorizzazione alla cremazione rilasciata a termini dell’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 oppure, in relazione alla Regione, dell’art. 3 l. 30 marzo 2001, n. 130, ai fini di una cremazione che debba, astrattamente, eseguirsi all’estero, cioè in una realtà geografica dove la normativa dello Stato italiano non può più produrre effetti di sorta.
Sia la domanda che l’autorizzazione al trasporto (“laissez passer mortuaire”, detto anche “passaporto mortuario”) sono, come è normale, soggetti all’imposta di bollo fin dall’origine secondo le previsioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e succ. modif.
È legittimo imporre un diritto fisso di istruttoria, magari con un certo aggravamento nella modulazione della declaratoria sulle somme di denaro richieste, vista una certa complessità dell’atto de quo.
Si pensi, ad esempio, alla traduzione dei dati – non solo anagrafici – contenuti nel documento di viaggio.
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