Il trasporto di salme “a cassa aperta” dal deposito d’osservazione istituzionale a domicili privati: normative regionali e nazionali a confronto

Premessa:
tutto lo sviluppo logico-argomentativo di quest’articolo è giocato sulla differenza sostanziale tra i concetti di salma e cadavere.
Salma è il corpo umano privo di vita prima del definitivo accertamento del decesso, cadavere è il corpo umano primo di vita, quando sia completamente decorso il periodo d’osservazione e sia stato fugato il sospetto di morte apparente.

Vagando sul web, ci siamo imbattuti in un forum, dedicato alla polizia mortuaria, da cui spiccava questo interessante quesito:

Il Sig. XYZ decede, causa sinistro stradale, su pubblica via.
Le forze dell’ordine, intervenute sul luogo del sinistro, ne dispongono, ex paragrafo 5 circolare n. 24 del 24/06/1993, la rimozione ed il trasporto al più vicino obitorio/deposito d’osservazione.
La famiglia, terminati gli accertamenti di natura medico-legale, chiede al Comune [1] di trasferire “a cassa aperta” la salma presso lo stesso domicilio del de cuius, per allestire lì la camera ardente e svolgere al riparo delle mura domestiche la dolorosa veglia funebre.
Secondo questa richiesta la salma avrebbe stazionato due giorni presso un domicilio privato, prima di esser avviata alla sua destinazione finale.
In un primo tempo sembrava ci fosse, da parte delle autorità preposte al rilascio di quest’autorizzazione al trasporto, un parere favorevole, poi, però, l’A.USL competente per territorio, dopo un’ulteriore valutazione della fattispecie, si è opposta, siccome la salma accusava nella testa una profonda ferita lacero-contusa.

A chi spetta, allora, agli effetti pratici, il rilascio del permesso per spostare una salma? Al Comune oppure all’A.USL?
Mossi da puro spirito speculativo cerchiamo di studiare una possibile soluzione a questo caso, per nulla solo teorico o “di scuola”, siccome un problema simile può davvero capitare a qualche municipalità o impresa funebre.
Ci sono molti “se” e moltissimi “ma” da considerare preliminarmente, prima di offrire una risposta ragionevole a questa domanda.

In via propedeutica bisogna chiarire i seguenti punti:

Il Sindaco (da intendersi non in senso fisico, ma come autorità comunale) del Comune di decesso è tenuto, ai sensi dell’art. 34 comma 1 del D.P.R. n.285/1990, ad autorizzare il trasporto funebre dal deposito di osservazione o dall’obitorio (anche se situato fuori del proprio Comune) al luogo di sepoltura.

Il trasporto dei cadaveri si esegue, ai sensi dell’art. 19, comma 1, del D.P.R. n.285/1990, unicamente a mezzo di carro funebre avente i requisiti di cui all’art. 20 del richiamato D.P.R. 285/90.

Il trasporto di salme, per cui l’autorità pubblica abbia disposto la rimozione ai sensi del paragrafo 5.2 della circolare ministeriale n. 24 del 24/06/93, può avvenire anche a mezzo di un contenitore rigido di materiale impermeabile [2], facilmente disinfettabile e lavabile.
In alternativa è consentita per tali trasporti l’utilizzo delle normali casse di legno, purché il corpo della persona deceduta venga avvolto in contenitori flessibili realizzati con plastica biodegradabile tali, però, da garantire, per un certo tempo, la perfetta ermeticità, almeno del fondo, a fluidi ed esalazioni “post mortali”.

In effetti, prima del completo decorso del periodo d’osservazione, le salme debbono esser movimentate solo a “cassa aperta” e con tutte le cautele dell’Art. 17, per non ostacolare o inibire eventuali manifestazioni di vita.
Dopo il periodo d’osservazione, invece, i cadaveri debbono esser spostati solo a cassa chiusa, con il feretro confezionato in base al tipo di sepoltura prescelta. Solo i pubblici poteri, in particolari frangenti, possono ordinare la riapertura della bara.

Gli infetti, invece, possono esser trasportati, ai sensi dell’Art 25, solo a cassa chiusa, con le precauzioni stabilite dagli articoli 30, 31, 18 e 32.
La bara, composta da duplice cassa, deve esser sigillata a fuoco o con altro metodo equivalente tale da assicurare la perfetta impermeabilità del contenitore.
C’è, però, da sottolineare una prima ed importante eccezione a questi precetti di ordine igienico: in Lombardia, almeno, in forza della disposizione Giunta Regionale – Sanità – P. 27/02/2002 13.52 H1.2002.0012641 – le salme di persone decedute per febbri emorragiche virali, vaiolo, colera, peste, difterite, lebbra, tubercolosi, tularemia debbono trascorrere il periodo d’osservazione necessariamente presso la camera mortuaria cimiteriale o di strutture sanitarie, quindi, almeno entro i confini lombardi, non è sempre vero che il trasporto di infetti debba avvenire solo a cassa ermeticamente chiusa.

Il periodo d’osservazione deve esser necessariamente svolto:

1. Nel deposito d’osservazione comunale per le salme di persone morte in abitazioni inadatte o pericolose, in luogo pubblico, o, ancora ignote, per le quali debba farsi esposizione al pubblico per il riconoscimento.
2. Nei locali del servizio mortuario ospedaliero, ai sensi del D.P.R. 14 gennaio 1997, per le salme di persone decedute in istituti sanitari.
3. Presso il domicilio privato in cui il de cuius si trovava al momento della morte, se quest’abitazione non è inadatta, o non è pericoloso mantenere la salma al suo interno nelle ore [3] successive al trapasso.

Naturalmente, per ponderare correttamente queste eventualità, occorre un pronunciamento dell’autorità sanitaria; tuttavia, la formale autorizzazione al trasporto è sempre rilasciata dal Comune (Il trasporto del cadavere nell’ambito del Comune da un’abitazione ad un’altra è subordinato ad un provvedimento di autorizzazione del sindaco – nota Min. grazia e giustizia 31.3.89).
Il D.P.R. n. 285/1990 è abbastanza rigido nell’indicare i luoghi deputati a fungere da deposito d’osservazione.
Ogni altro ambiente o locale per esser adibito a deposito d’osservazione, diverso da quelli prima elencati, deve sempre esser individuato espressamente dell’autorità amministrativa (il comune) nel regolamento cittadino di polizia mortuaria oppure, ancor meglio, nell’ordinanza sindacale in cui si normano i trasporti funebri: è il caso dei luoghi (chiese, sedi di partiti, associazioni) straordinariamente preposti all’accoglimento di salme per il tributo di particolari onoranze civili o religiose.

Per queste speciali circostanze serve, comunque, una doppia perizia da parte dell’A.USL (essa, infatti, secondo il D.P.R. n. 285/90 vigila sui trasporti funebri) volta a:

• Accertare l’idoneità, sul versante igienico, del luogo prescelto in cui trasferire la salma a cassa aperta.
• Escludere la morte in seguito a malattia infettivo diffusiva o l’intrinseca pericolosità della salma nel rimanere esposta per diverso tempo in quella camera ardente ricavata all’interno di chiese, sedi di associazioni, partiti politici, uffici pubblici.

Sono però, nel frattempo, intervenute diverse leggi regionali dirette a riformare profondamente l’ordinamento di polizia nazionale, quanto meno nei limiti territoriali in cui questi atti normativi sono in vigore.

In questo breve studio considereremo come nostri paradigmi di riferimento le legislazioni regionali, in ambito di servizi necroscopici, funebri e cimiteriali, non più recentemente approvate da Lombardia ed Emilia Romagna; si tratta infatti dei due principali prototipi di novelle legislative cui molti altri enti territoriali si sono, poi, ispirati.

In regime di D.P.R. 285/1990 sarebbe stato pressoché impossibile, salvo ricorrere ad espedienti “border line”, al limite della legalità sostanziale, trasferire una salma di una persona presso il domicilio dove essa abitò o a cui era legata da vincoli di natura morale o affettiva.

Il regolamento n. 6 del 27 ottobre 2004, approvato dalla regione Lombardia, in attuazione, ora, del T.U. n. 33/2009 al comma 5 dell’Art. 41 è, invece, molto chiaro a tale proposito: su richiesta dei famigliari la salma, per lo svolgimento del periodo d’osservazione, può esser trasportata dal luogo di decesso:

• alla sala del commiato (= casa funeraria);
• alla camera mortuaria di struttura sanitaria;
• all’obitorio o deposito di osservazione del comune;
• alla abitazione propria o dei familiari.

La regione Emilia Romagna ha, invece, seguito un criterio più restrittivo che emerge chiaramente dal comma 6 Art. 10 Legge Regionale n. 19 del 29 luglio 2004 ed, in subordine, nella determina n. 13871 del 6 ottobre 2004, da cui si evince che le salme possono esser trasportate solo verso:

a) depositi di osservazione, obitori comunali, aventi le caratteristiche di cui agli articoli 12 e seguenti del D.P.R. 285/90;
b) servizio mortuario di strutture sanitarie pubbliche o private accreditate;
c) strutture per il commiato di cui all’articolo 14/2 della L.R. 19/04 (ovvero sale del commiato attrezzate e autorizzate anche per la custodia e l’esposizione delle salme).

Il trasporto di una salma, quindi, in luogo diverso da quelli sopra indicati non è consentito.
È possibile solo come feretro, ossia “a cassa chiusa”, dopo che si sia effettuato l’accertamento di morte, seguendo tutte le normative autorizzatorie previste per il trasporto di cadavere.
Ci si riferisce pertanto all’allestimento di camere ardenti presso sedi di partiti, sindacati, chiese, templi non cattolici, o ancora alla situazione di trasporto del feretro per la partenza del funerale da abitazione privata o da altro luogo autorizzato.
Così, ricapitolando, il trasporto a cassa aperta dal luogo di decesso o in cui la salma si trova, verso un’ipotetica abitazione del de cuius, in Lombardia sarebbe stato possibile, in Emilia Romagna, in un primo momento no!
Qui il condizionale è d’obbligo, poiché la determina n. 13871 del 6 ottobre 2004 è stata a più riprese modificata ed integrata, in direzione di una più facile mobilità delle spoglie umane, ed oggi, quindi, è ammessa anche la fattispecie de qua, prima, vietata, o, semplicemente, non considerata.
Serve, poi, una precisazione: in Lombardia ed Emilia Romagna ad autorizzare il trasferimento delle salme (corpi umani esanimi prima della certificazione del decesso) è competente l’autorità sanitaria, attraverso il personale medico che constata la morte o dirige il presidio sanitario, in cui è avvenuto l’exitus oppure il defunto è stato trasportato, mentre il trasporto di cadaveri (i defunti una volta decorso il periodo d’osservazione) ex D.P.R. n.285/1990 è, come prima, regolato dal Comune.
Dopo questo breve excursus normativo, vorremmo riannodare i fili dell’interrogativo da cui abbiamo mosso per questa dissertazione sulla polizia mortuaria.

Il trasferimento di una salma dal luogo in cui è depositata (obitorio, servizio mortuario ospedaliero di nosocomi pubblici o convenzionati), presso un domicilio privato, è possibile unicamente se quest’eventualità è stata recepita nel diritto positivo (quello scritto) che, in una determinata realtà territoriale, governa il sistema funerario.
Serve sempre un giudizio tecnico, che noi definiremmo vincolante, da parte dell’autorità sanitaria, anche dove il trasporto salme fosse ancora autorizzato dal Comune.
Tralasciando gli aspetti meramente di diritto astratto e teorico, in qualità di tecnico preparatore di salme, qualora, per assurdo, fossi io a dover decidere in merito alla richiesta di cui sopra consentirei il trasporto a cassa aperta, ed in regola con il D.Lgs n. 81/2008 e s.m.i., verso un’abitazione privata solamente qualora la salma fosse stata preventivamente sottoposta a trattamenti igienizzanti, tali, però, sia ben chiaro, da non compromettere il manifestarsi, ancorché debolissimo, di eventuali segni di vita.
Un intervento igienizzante, infatti, non comporta eviscerazioni oppure operazioni cruente, come, ad esempio la resezione ed incanulazione dei vasi sanguigni.

Certo, sarebbe ancora meglio, sotto il profilo operativo, se la salma, divenuta cadavere, una volta decorso il periodo d’osservazione, fosse soggetta ad un’azione di completa tanatoprassi che, essendo per sua natura invasiva, può esser posta in essere solo quando sia stato fugato ogni sospetto di morte apparente.
Permarrebbe, tuttavia, una contraddizione in terminis che la legge italiana non ha ancora risolto: se la tanatoprassi può esser praticata solo dopo il completo decorso del periodo d’osservazione e, concluso il periodo d’osservazione, il cadavere può esser trasportato solo a cassa chiusa, la stessa tanatoprassi, studiata proprio per permettere una miglior esposizione estetica del defunto, si rivelerebbe inutile, in quanto il risultato raggiunto non sarebbe apprezzabile dai dolenti a causa, appunto, del cofano già chiuso.

Con la tanatoprassi (aspirazione degli umori ristagnanti nelle cavità corporee, tamponatura degli orifizi) si eliminerebbero tutti i rischi di contaminazione legati alla perfusione di umori cadaverici.
I corpi umani privi di vita, anche quando sono ancora solo salme (potrebbero, almeno in teoria, risvegliarsi dallo stato catatonico di morte apparente) sono soggetti a fenomeni percolativi (emorragie, rilascio di liquami, residui gastrici, urine, secrezioni delle mucose), a volte quasi impercettibile, altre volte dagli effetti devastanti per la stessa dignità del defunto e soprattutto per la sicurezza di dolenti e necrofori.
Personalmente, a costo di incassare qualche maledizione, eviteremmo assolutamente il trasporto dall’obitorio-deposito d’osservazione o istituto di medicina legale presso un’abitazione privata di tutte quelle salme che presentassero fenomeni percolativi in atto, se non c’è stato, a monte, un intenso intervento di tanatoprassi.
Come, infatti, recita la già citata delibera della giunta regionale presso la regione Lombardia – P. 27/02/2002 13.52 H1.2002.0012641 – in caso di perdita di liquidi biologici dal cadavere, si deve provvedere alla sua immediata deposizione nel feretro, ed, aggiungiamo noi, all’immediata sigillatura di quest’ultimo.

È quasi ultroneo soggiungere che i corpi, per cui si renda quasi superfluo il periodo d’osservazione (cadaveri decapitati, maciullati, in avanzato stato di decomposizione), non sono compatibili con una veglia funebre a cassa aperta, non solo presso un domicilio, ma anche nelle stesse camere ardenti del deposito d’osservazione, obitorio, istituto di medicina legale.

In ultima analisi, dovendoci esprimere sul caso prospettato all’inizio del presente articolo, bene ha fatto l’A.USL a non permettere l’esposizione presso un’abitazione privata di un defunto il cui capo era deturpato da una profonda ferita, dalla quale sarebbero potuti fuoriuscire pericolosi umori.
C’è, tra l’altro, nelle tecniche per la preparazione delle salme una prassi preliminare, da rispettare sempre: in presenza di ferite aperte o lesioni della cute del cadavere, si deve provvedere ad una copertura con materiale tale da impedire la fuoriuscita di liquidi biologici.
Emerge, poi, un ulteriore aspetto da esaminare, di notevole valore didascalico: per la salma di cui sopra si sarebbe chiesto la permanenza per ben due giorni presso la residenza del de cuius, ma per quanto tempo è lecito mostrare i cadaveri a “cassa aperta”, ovvero, in altri termini, quanto deve durare la veglia funebre?
Di sicuro il periodo canonico stabilito dalla legge italiana (Art. 8 DPR 285/90) è di 24 ore dal momento del decesso, indicato nella denuncia di morte resa all’ufficiale di stato civile, salvo le circostanze speciali per cui può esser compresso, ad esempio attraverso rilevamento con elettrocardiografo o protratto per le successive 24 ore, come succede, ad esempio, nel dubbio di morte apparente, anche se, nel nostro Paese la medicina necroscopica ha raggiunto un tale sviluppo tale da scongiurare, con certezza scientifica, ogni reale rischio di morte apparente.
Nella risoluzione dell’arcano ci soccorre il punto 6, paragrafo 9 della circolare Ministero della Sanità n. 24 del 26 giugno 1993. Esso così recita: “Pur non essendo fissato un tempo massimo entro cui procedere alla inumazione o alla saldatura della cassa metallica, obiettive ragioni di igiene, in dipendenza delle situazioni ambientali e delle condizioni climatiche, suggeriscono l’opportunità che, in ogni regolamento locale, siano fissati tali limiti temporali con la individuazione dell’autorità sanitaria incaricata del controllo”, quindi compete ancora all’A.USL fissare un limite estremo, e non ulteriormente prorogabile, al lasso di tempo che eccede, nella sua durata complessiva, il periodo d’osservazione, in cui è permessa la presentazione estetica del cadavere “a cassa aperta” per il tributo rituale delle onoranze funebri, prima della chiusura della bara.


[1] Per il D.P.R. n. 285/1990 l’autorizzazione al trasporto di salme e cadaveri è sempre competenza dell’autorità amministrativa: ossia del comune.
[2] Un minimo scambio d’aria con l’esterno deve tuttavia essere garantito, così da permettere il respiro, per scongiurare l’ipotesi, anche se remota, di morte apparente.
[3] Il periodo d’osservazione non è sempre di 24 ore dalla morte può, infatti, esser abbreviato se il medico necroscopo certifica il decesso anche con l’ausilio di un elettrocardiografo.

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Carlo Ballotta

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2 thoughts on “Il trasporto di salme “a cassa aperta” dal deposito d’osservazione istituzionale a domicili privati: normative regionali e nazionali a confronto

  1. X Angelo,

    l’estumulazione è:

    1) ordinaria se avviene dopo la scadenza della concessione
    2) straordinaria (art. 88 D.P.R. n. 285/1990) se eseguita prima dell’estinguersi per causa naturale o patologica del rapporto concessorio.
    3) ordinaria (con qualche mia riserva personalissima) quando comunque eseguita dopo il compimento di almeno 20 anni di tumulazione stagna del feretro nell’avello in cui fu, originariamente deposto, calcolando in questo tempo limite anche periodi trascorsi in diversi sepolcri, sempre però, a sistema di tumulazione. Dopo 20 anni di sepoltura legale in tumulo, il cadavere è, infatti, considerato semplice “resto Mortale” (art. 3 comma 1 lett. b) D.P.R. n. 254/2003, con importante conseguenze giuridiche ed anche operative.

    Nel caso 1) (art. 86 D.P.R. n. 285/1990) si procede d’ufficio, meglio dopo un pubblico avviso, per conferire pubblicità-notizia all’esecuzione delle operazioni cimiteriali previste e già calendarizzate, nonchè normate, nel dettaglio, da apposita ordinanza sindacale.

    In quello 2) siamo dinanzi ad una situazione che si crea su impulso di parte privata, il quale si formalizza, poi, in un’istanza, soggetta ad imposta di bollo sin dall’origine, volta ad ottenere il rilascio di un provvedimento autorizzativo all’estumulazione.

    Il terzo – per completezza – qui non rileva, in questa succinta disamina.

    Tutte le operazioni cimiteriali, quindi, soggiacciono al regime autorizzativo del Comune, non esiste minimamente l’idea di effettuare un’estumulazione senza la necessaria autorizzazione di polizia mortuaria.

    L’estumulazione rientra negli atti di disposizione del post mortem, concreta l’esercizio di un diritto personalissimo, in termini, di pìetas ed affetti, e, pertanto, comporta che la sua richiesta sia avanzata da soggetti legittimati jure coniugii ed in subordine jure sanguinis, cioè per vincolo coniugale o relazione di parentela. Un’estumulazione, anche ottenuta, magari, ma sine titulo è da giudicarsi come tecnicamente abusiva e potrebbe integrare la fattispecie di reato rubricata come violazione di sepolcro.

    Spesso per snellire le pratiche amministrative si ricorre, sempre più frequentemente, ad autocertificazioni o atti sostitutivi in atto di notorietà, il preposto ufficio di polizia mortuaria deve comunque vigilare su eventuali dichiarazioni mendaci punibili ex art. 76 D.P.R. n. 445/2000, con controlli random, a campione sulla veridicità dell’asserito dal privato cittadino, cristallizzato nelle forme contemplate dal D.P.R. n. 445/2000, si veda anche l’art. 71 del c.d. Decreto Rilancio.

    L’imputazione dell’atto autorizzativo, accordato fors’anche su falsi presupposti, riguarda il profilo funzionale di cui all’art. 107 comma 3 lett. f) D.Lgs n. 267/2000 (sostanzialmente il dirigente di settore o personale da questi gerarchicamente dipendente se si sia ricorso all’istituto della delega ex art. 17 comma 1 bis D.Lgs n. 165/2001).

    Si valuti attentamente anche l’art. 2048 Cod. Civile in tema di culpa in vigilando.

    Ci sarebbero molti elementi (vizio della volontà, carenza di adeguata istruttoria…) perchè l’Autorità Municipale, con atto di riesame, ritirasse l’atto di autorizzazione all’estumulazione, avvalendosi del potere di autotutela.

  2. Avrei bisogno di risposte con indicazione dei riferimenti legislativi per una serie di quesiti:
    L’estumulazione ordinaria in una cappella privata all’interno del cimitero comunale deve essere autorizzata dal Comune oppure basta una semplice comunicazione dei proprietari della cappella?
    Nel dare l’autorizzazione per esumazione o estumulazione il Comune è tenuto ad accertare la parentele di chi fa la domanda?
    Quale responsabilità ha il Comune nell’aver autorizzato l’estumulazione in cappella privata ad una persona che non è parente del de cuius?
    Grazie

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