Depositate le motivazioni delle sentenze di condanna di diversi impresari funebri milanesi

Il Giorno di Milano riporta in data 5 luglio 2013, in cronaca, un articolo per così dire sconsolato,a firma di Mario Consani, dal titolo “Condanne gestori pompe funebri Gli spietati accordi sul caro estinto”, in cui si da notizia del deposito delle motivazioni delle sentenze di condanna di diversi impresari funebri, tra cui al cuni molto noti, milanesi. Ci siamo permessi di riportare il testo dell’articolo in questione, perché di sicuro interesse per i nostri lettori:

“Mi hai fatto fare solo un morto…”. Dalle motivazioni delle condanne inflitte ai titolari delle più note agenzie di pompe funebri, non mancano le trascrizioni di dialoghi coloriti, persino le scene di gelosia . Pur di vendere un funerale completo ai familiari del morto, quelli delle pompe funebri — d’accordo con gli infermieri dei vari ospedali — erano pronti a nascondersi nei bagni. Ecco il testo di una telefonata intercettata. «M’ha chiamato il Carlo, quello del Pat (il Pio Albergo Trivulzio, ndr). M’ha detto: “Sto andando su a prenderne uno adesso”». «Uhmmm». «Ci sono su i parenti». «E va beh, è aperto?». «Ti lascia la porta dietro aperta, così ti imboschi nel cesso…». Nelle 230 pagine appena depositate, con le quali la decima sezione del tribunale — presidente Antonella Lai — spiega le motivazioni delle condanne inflitte a dicembre ai titolari delle più note agenzie di pompe funebri milanesi, non mancano le trascrizioni di dialoghi coloriti, persino le scene di gelosia (ovviamente interessata) tra l’imprenditore Massimo Cerato e un addetto mortuario del San Carlo.
«Mi hai fatto fare un morto in tre mesi…». «No no». «Ma perché fai fare i morti solo alla Varesina, a D’Antoni, a Lo Verde e ai fratelli Ganzerli?». Se c’erano dubbi sul fatto che il mercato delle salme negli ospedali e all’obitorio milanese continuasse imperterrito nonostante le inchieste giudiziarie e gli arresti che ciclicamente cercano di contrastarlo, l’ultima indagine coordinata dal pm Grazia Colacicco, che ha prodotto sei mesi fa una sfilza di 21 condanne, ne è l’ultima conferma. Tre anni di reclusione per Alcide Cerato, due anni e sette mesi per Vito Lo Verde e Riccardo D’Antoni, due anni per Mario Sciannameo e così via. I reati a vario titolo sono gravi come l’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione del segreto d’ufficio, ma il meccanismo illegale è semplice e praticamente immutabile. Ogni volta che in città muore qualcuno (negli ospedali, nelle cliniche, persino per strada) c’è sempre qualcun altro tra gli addetti ai lavori (infermieri, impiegati comunali) che avverte un’impresa di pompe funebri in cambio di una mazzetta da 130-150 euro.

E se qualcuno pagava di meno, c’era pure la rivendicazione salariale, come ha spiegato a verbale un infermiere del “Sacco” parlando (ovviamente) di due suoi colleghi: «Dal 2005 in poi avendo avuto modo di confrontarsi con i dipendenti di altre camere mortuarie, si sono resi conto che le imprese pagavano di più e quindi hanno richiesto alle imprese che gravitavano presso il nostro ospedale di pagare 130 euro per ogni pratica che concludevano». Funzionava così anche Niguarda, Policlinico, San Carlo, San Paolo, Baggina, obitorio (per i morti in strada e in casa) e pure all’Istituto Lombardo di Tanatoprassi, che gestiva le camere mortuarie di varie cliniche tra cui l’Humanitas di Rozzano. E le imprese di pompe funebri, unite in una specie di «cupola» della buona morte, organizzavano turnazioni per spartirsi quasi fraternamente il mercato del dolore. Non c’erano normative, appalti, convenzioni o buone maniere che tenessero. I giudici non hanno potuto che prenderne atto.

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