Cara Redazione,
Scrivo dalla Lombardia, una ditta di onoranze funebri ha ricevuto l’incarico per seguire tutto l’iter per la cremazione dei resti mortali di circa 100 defunti che riposano in questo cimitero, orbene, essa ritiene che il decreto di autorizzazione alla cremazione e quello al trasporto (al forno crematorio e da questo al cimitero di sepoltura) debbano non solo essere contenuti in un unico atto, ma che tale autorizzazione cumulativa vada rilasciata in un unico atto comprensivo di tutti i 100 defunti.
Quindi: 1 marca da bollo per l’istanza di cremazione e 1 marca da bollo per l’autorizzazione al trasporto e alla cremazione.
In diritto è’ fattibile questa operazione?
La dichiarazione di volontà alla cremazione dei resti mortali va fatta nello stesso modo previsto per la cremazione dei cadaveri, oppure è sufficiente la dichiarazione del solo coniuge o, in difetto, del solo parente di grado più prossimo?
***********************************************
Andrebbe, in primis, ricordato l’art. 3 comma 1 lett. g) della Legge 30 marzo 2001 n. 130 con cui si ammette la cremazione dei resti mortali (erroneamente classificati ancora come “salme”, ma per la corretta definizione tecnica ed operativa si veda l’art. 3 comma 1 lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003 n. 254 ) nonché l’art. 3 commi 5 e 6 D.P.R. n. 254/2003 con relativa risoluzione ministeriale (nota di p.n. 400.VIII/9Q/3886 del Ministero della Salute) emessa in risposta ad uno specifico quesito sul superamento delle rigidità procedurali dettate dall’art. 86 comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (sostanzialmente il prefato art. 86 comma 2 resta residualmente in vigore con il suo obbligo di inumazione in campo indecomposti per gli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo/conservativo provenienti da estumulazione ultra-ventennale, salvo che la diretta cremazione sia richiesta dagli aventi titolo a disporre della spoglia mortale o sia disposta d’ufficio dall’Amministrazione, magari qualora il Comune sia dotato di un proprio impianto crematorio, ma è una valutazione discrezionale e soprattutto economica).
In Lombardia, ad esempio, con l’art. 7 comma 6 Legge Regionale n. 22/2003 ora trasfusa integralmente nel Testo Unico n. 33/2009 (sottoposto, in questi mesi ad un processo di riforma, per altro) si sono inutilmente complicati la vita; la normativa lombarda di rango primario, infatti, consente la cremazione dei resti mortali se ed in quanto sussista una condizione di comprovata insufficienza delle sepolture, cioé quanto l’area destinata all’inumazione in campo comune si sia ridotta, come superficie, a valori inferiori rispetto a quelli stabiliti dall’art. 58 D.P.R. 10/9/1990, n. 285, costituendo questo dimensionamento il solo vincolo ex artt. 337 R.D. n. 1265/1934, assieme a quello della disponibilità di almeno un cimitero a sistema di inumazione, cui devono ottemperare i Comuni (momento altamente disfunzionale, che oltretutto, dovrebbe far sorgere una qualche valutazione sulle prescise responsabilità di quanti abbiano concorso a determinare una tale situazione di comprovata insufficienza, salvo non vi siano stati eventi eccezionali, non prevedibili).
Superando questo aspetto di merito, non secondario, l’ipotesi di una contestualità potrebbe sostenersi, richiamando (per analogia) l’art. 40 comma 3 D.P.R. 28/12/2000, n. 445), unicamente se il provevdimento autorizzatorio riguardasse una medesima persona, mentre, nella fattispecie, si tratta di una pluralità di defunti (anche se, a seguito del decesso, i singoli morti abbiano perso la capacità giuridica, pur rimanendo oggetto di diritti in termini di pìetas).
Rimane, fuori dall’applicazione di criteri di opportuno parallelismo tra norme funzionalmente diverse, il fatto che (fino a quando non si giunga ad utilizzare o l’ossario comune o il cinerario comune, a seconda dei casi, cioè una destinazione anonima, promiscua, massiva ed indistinta) deve sempre essere rispettato il principio dell’individualità e dell’individuabilità del defunto (esempio: artt. 70, 74, 76/1, 79, 80/2 D.P..R 10/9/1990, n. 285), cui, a certe condizioni, corrispondono, anche, le fattispecie degli artt. 411 e 412 Cod. Penale.
Per altro, anche se si acconsentisse alla soluzione più pratica (con la formula dubitativa e di rito dell'”ammesso e non concesso”) di un unico provvedimento autorizzatorio, in senso materiale, riportante tutti i singoli nominativi, sotto il profilo dell’imposta di bollo, la prescritta imposta (che si applica sia all’istanza di rilascio, sia all’autorizzazione stessa) dovrebbe essere assolta in relazione a ciascun singolo defunto, non rientrando la fattispecie in esame nell’ambito delle previsioni dell’art. 13 D.P.R. 26/10/1972, n. 642 e s. m. i.
Ovviamente, le singole cremazioni dovrebbero sempre avvenire “individualmente”.
Oltretutto, l’ipotesi di un atto “contestuale” ed omnibus per tutti i defunti contrasta con questa constatazione di fatto: non sembra, infatti,per quanto noto, si abbiano ancora mezzi di trasporto dei feretri (rectius: di contenitori “leggeri” per resti mortali ex risoluzione p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004 e paragrafo 2 Circ. Min. 31 luglio 1998 n. 10) che permettano di effettuare un unico trasporto per tutti i feretri, poichè il trasporto dovrà necessariamente avvenire in momenti diversi, anche per i resti mortali che possano essere cremati, singolarmente, nella medesima giornata.
Inoltre, si ha l’impressione che non sia stato considerato come, per ciascun defunto, debbano esservi sia la richiesta sia la relativa autorizzazione per una pluralità di fasi:
a) estumulazione, alla scadenza della concessione,
b) cremazione vera e propria,
c) trasporto del feretro all’impianto di cremazione,
d) trasporto dell’urna cineraria al comune di estumulazione, per il suo collocamento finale in un sito a sistema di tumulazione già avuto in concessione per la sepoltura finale.
Per queste ultime, l’istanza può anche essere contestuale, così come può sussistere su un unico supporto cartaceo l’atto di autorizzazione (in particolare, i decreti di cui alle lett. c) e d) possono esser rilasciati in un solo atto, secondo il dettato dell’art. 26 D.P.R. 10/09/1990, n. 285.
Per quanto, poi, riguarda la dichiarazione di volontà strutturata, secondo diversi filtri di legittimità tipica della cremazione di cadavere si osserva come, nel caso di resti mortali, essa non sia formalmente dovuta, ma si trasformi in altra manifestazione di atto volitivo, più affievolita (art. 13, 1, lett. g) Legge 30/3/2001, n. 130), cioe’ in un mero atto di assenso (che, ha, sostanzialmente, una funzione di “non opposizione”).
Esso spetta al coniuge superstite (se ancora in vita), o al parente nel grado più prossimo e, nel caso di pluralità di congiunti parimenti titolati jure sanguinis posti sullo stesso livello di parentela occorre l’unanimità ex art. 79 comma 1 D.P.R. n. 285/1990 (non potendosi applicare il principio della maggioranza assoluta, sancito dalla Legge n. 130/2001 che trova riscontro solo nell’evenienza della cremazione di cadaveri); sui soggetti legittimati ad un tale assenso, l’art. 3 comma 1, lett. g) L. 130/2001, opera esplicito rinvio ai soggetti di cui all’art. 3, 1, lett. b), n. 3 stessa Legge. Come noto, in caso di irreperibilità delle persone aventi diritto ad esprimersi è possibile ricorrere alle c.d. pubbliche affissioni.
Meglio, comunque, normare tutti questi passaggi nell’ordinanza sindacale (o anche dirigenziale?) di cui agli artt. 82 comma 4 e 86 comma 1 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, anche per conferire maggior trasparenza atutto l’iter.
Interessante un’ultima osservazione sulle criticità di un procedimento apparentemente semplice: perché questa situazione di coabitazione forzata tra il D.P.R. n. 285/1990 e la legislazione regionale costringe l’interprete a complicate ricostruzioni, in un sistema di norme davvero applicabili in concreto, basandosi di volta in volta su diversi criteri molto eterogenei tra loro (cronologico, gerarchico, di specialità…) e le incoerenze antinomiche… sono sempre in agguato.