Il DPR n.285/90 prevede la possibilità per un defunto di essere trasportato prima che sia trascorso il periodo di osservazione, con le misure cautelative stabilite dall’articolo 17 e ad esclusione dei morti per malattie infettive (il morbo infettivo-diffusivo, quindi deve essere escluso a priori per poter autorizzare il trasporto a cassa aperta), previa autorizzazione del comune di decesso (tranne nei casi di morte sulla pubblica via e di feti, di cui al paragrafo 5.2 della circ. Min. Sanità n. 24 del 24/6/1993).
Molti autorevoli commentatori hanno sempre ritenuto la procedura enucleata dall’Art. 17 DPR 285/90, definita, in gergo, anche come trasporto “a cassa aperta”, una sorta di deroga al principio di portata più generale secondo cui il periodo di osservazione deve sempre consumarsi nel luogo di decesso, quando questo coincida con l’abitazione[1], intesa come luogo dove si trovava il defunto al momento della morte, purché il domicilio non sia inadatto o non sia pericoloso a mantenere la salma al suo interno, oppure nei luoghi istituzionalmente individuati dallo stesso DPR n.285/90 nei casi obbligatoriamente in esso stabiliti:
- dall’articolo 12;
- dall’articolo 13
- nel servizio mortuario di cui al DPR[2] 14 gennaio 1997 (camera ardente ospedaliera ove è avvenuto il decesso) per i morti in strutture sanitarie.
Ogni alto posto “atipico” deve sempre esser preventivamente autorizzato, mentre occorre che sia sempre garantita la sorveglianza perché:
· possano repentinamente esser registrate manifestazioni di vita ancorché flebili e quasi impercettibili, prestando tutte le cure del caso
· i corpi umani non siano oggetto di profanazioni o di atti volti a dissimulare responsabilità di natura penale, inquinando eventuale materiale probatorio di natura medico legale al vaglio dell’autorità giudiziaria.
Quasi tutte le leggi regionali in tema di polizia mortuaria introducono una rivoluzione nei servizi funerari perché rimuovono le rigidità imposte dal DPR 285/90 in materia di trasporti “a cassa aperta” consentendo una maggior libertà alle famiglie che vogliano vegliare la spoglia di un proprio caro in un ambiente diverso da quello in cui si è verificato il decesso.
In effetti, grazie a questo nuovo istituto del trasporto ” a cassa aperta” per ottenere l’autorizzazione allo spostamento di una salma basta la richiesta dei famigliari ed il titolo in virtù del quale è possibile procedere con il trasporto è un semplice certificato medico (non occorre più l’autorizzazione amministrativa rilasciata dal comune che, invece, rimane competente per i trasporti dopo il periodo d’osservazione, quando, cioè il feretro chiuso e sigillato parte per la sua destinazione finale ( cremazione, sepoltura in cimitero, o fuori di esso, tumulazione privilegiata, estero).
Questa importante novità permetterà, soprattutto quando la riforma verrà metabolizzata e capita dalle famiglie e anche da noi operatori funebri di socializzare l’evento morte[3] in modo da renderlo meno traumatico, scegliendo di volta in volta l’ambientazione più adatta per la veglia funebre.
Con quali strumenti, allora, effettuare il trasporto “a cassa aperta” per trasferire le salme dal luogo di decesso verso il servizio mortuario ospedaliero di strutture sanitarie pubbliche o private, il domicilio del de cuius, la sala del commiato
Tutte le leggi regionali, con i provvedimenti a ttuativi che ne derivano, parlano in modo abbastanza generico di un contenitore impermeabile non sigillato, in modo da garantire un trasporto rapido, decoroso ed in condizioni di piena sicurezza, per la salute pubblica e per gli stessi necrofori.
Proviamo, ora, ad esaminare alcune possibili tecniche che soddisfino la “ratio” di queste disposizioni
L’imballo di cui sopra potrebbe essere:
A) Una semplice cassa funebre[4] in legno massello, non importa se con spessori e specifiche da tumulazione (Art. 30 DPR 285/90) o inumazione (Art. 75 DPR 285/90), foderata, però, all’interno, ai sensi del paragrafo 5.3 circ. Min. n.24 del 24 giugno 1993, con una “couvette” in materiale impermeabile, ossia con un dispositivo plastico ad effetto barriera che però non dovrà esser completamente chiuso, poiché la perfetta ermeticità a gas e liquidi post mortali potrebbe compromettere o, addirittura, inibire eventuali manifestazioni di vita come, appunto, il respiro. Non mi pare un metodo molto pratico né tanto meno razionale perché contravviene allo spirito del Decreto Legislativo 626/94, una bara anche se di legno dolce, è molto pesante, non si capisce perché i necrofori debbano trascinarsi a spalla lungo la tromba delle scale un peso inerziale del tutto inutile che si aggiunge alla massa da movimentare costituita dalla salma. L’involucro plastico deve, poi, esser periodicamente sostituito, perché con il tempo tende naturalmente a degradarsi, così da non offrire più la sicurezza dell’impermeabilità.
B) vasca di zinco con i requisiti di cui all’Art.30 DPR 285/90 usata come controcassa (interna o esterna) nei cofani da tumulazione. Nemmeno questa volta mi pare una proposta intelligente, certo, una cassa metallica è molto più leggera di una lignea e trattiene benissimo eventuali percolazioni di liquame, non servirebbe nemmeno munirla di coperchio[5] (non deve assolutamente assicurare la tenuta stagna), tuttavia le vasche zincate quasi mai sono studiate con punti di presa, attacchi o maniglie per facilitarne la manovrabilità, soprattutto in spazi angusti come potrebbero essere pianerottoli o ballatoi, la lamiera, poi, a causa dei sottilissimi spessori può risultare molto tagliente, di conseguenza, molto pericolosa.
C) contenitore rigido di materiale impermeabile, facilmente lavabile e disinfettabile. Si tratta o di un cassone con le caratteristiche di cui all’Art. 31 DPR 285/90 ( nel qual caso i necrofori avranno l’avvertenza di rimuovere il coperchio o, comunque, di lasciarlo socchiuso così da permettere lo scambio di gas con l’esterno essenziale per la ventilazione polmonare quando la salma dovesse “svegliarsi” dallo stato di morte apparente) oppure di una più semplice barella[6] munita di sponde. Le uniche due criticità potrebbe essere l’eccessivo peso (questo cassone è progettato per accogliere al proprio interno un feretro di legno e non un semplice corpo) e qualche noia di handling, ossia di maneggevolezza, già riscontrata nel punto A)
D) Lettiga “a cucchiaio” realizzata in materiale plastico: Gli ultimi dispositivi proposti dalla più moderna industria funeraria hanno mutuato la stessa filosofia costruttiva delle lettighe usate durante le operazioni di soccorso per persone ancora vive.
Questa tipologia costruttiva permette di sollevare agevolmente un corpo senza dover compiere particolari sforzi o faticosi movimenti.
La procedura è piuttosto semplice, ma davvero efficace: in caso di cadaveri riversi al suolo basta lasciar scivolare sotto la loro schiena il supporto rigido, molto sottile, di cui si compone la portantina, se si presentano difficoltà è sufficiente girare il morto su di un fianco, così da facilitare l’inserimento della stessa. Tale barella è una sorta di monoscocca leggerissima e può esser sistemata direttamente nel cassone predisposto per ricevere il cadavere, così non occorre più sfilare la salma dal suo piano d’appoggio dovendola afferrare per spalle e gambe. Il suo uso e complementare a quello del sacco. Cinture di sicurezza, distribuite in più punti, assicurano saldamente il corpo alla barella, impedendo rovinose cadute. Per lavorare con la massima sicurezza conviene predisporre tra la schiena della salma e la barella una traversa di materiale impermeabile, magari trattata con polveri assorbenti e disinfettanti, così da trattenere eventuali fluidi rilasciati dalla salma durante i trasferimenti di carico ed i cambi di pendenza ineliminabili quando ci si muove lungo una rampa di scale.
E) sacco, che presenta la parte su cui appoggia internamente il corpo in grado di trattenere eventuali perdite di liquidi cadaverici (ecco la necessità della impermeabilità). Il sacco non viene sigillato, per cui ha una cerniera non completamente tirata, per consentire il passaggio di aria e se vi dovessero essere segni di vita, riconoscerli. Questo dispositivo rappresenta la soluzione migliore ed è mutuato dall’esperienza dei cosiddetti recuperi salma sul luogo di un sinistro stradale. In quei casi il rischio che si diffondano nell’ambiente esterno umori cadaverici è elevatissimo, siccome è molto probabile la perfusione di sangue o altri umori oppure il distacco di tessuti e parti anatomiche a causa di lesioni e ferite profonde riportate dai corpi dalle vittime durante l’impatto mortale.
L’uso di un sacco leggero impermeabile è, allora, una prescrizione igienica imprescindibile.
Questi contenitori flessibili e monouso sono realizzati con materiali plastici di notevole resistenza agli sforzi meccanici, ma assolutamente biodegradabili, sono, poi, monouso (non c’è quindi il bisogno di doverli pulire dopo ogni intervento entrando in contatto, seppur accidentalmente con il materiale organico perso dal corpo trasportato)
F) Telo dotato di maniglie. E’per molti aspetti analogo al sacco da recupero, in qualche misura, però, è meno elegante e discreto perché non cela la salma alla vista indiscreta di curiosi o di soggetti che potrebbero facilmente impressionarsi incontrando vis a vis un defunto nell’androne delle scale. Per tale evenienza basterebbe avvolgere il corpo esanime in un lenzuolo, così da preservarne l’intimo pudore, si avrà l’avvertenza di liberare bocca e vie respiratorie per i motivi precedentemente enumerati commentando l’Art. 17 del DPR 285/90.
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[1] Secondo la norma di diritto positivo, Art. 12 DPR 285/90, l’obbligo di trasporto in obitorio/deposito d’osservazione per le persone morte a domicilio sussiste SOLO nel frangente di abitazioni inadatte e la valutazione sulla presunta inidoneità spetta solo al medico del Servizio di Igiene Pubblica o, in subordine, al medico necroscopo, il medico di medicina generale non ha titolo, in quanto troppo influenzabile dai famigliari del de cuius. [2] talune regioni hanno modificato tale norma nazionale per adattarla alla propria realtà [3] Spesso i malati terminali chiedono di esser trasferiti a domicilio per trascorrere gli ultimi momenti di vita nell’intimità dell’ambiente domestico, ma i famigliari inconsciamente si oppongono perché non sanno o non vogliono confrontarsi con l’eventualità scabrosa del morto in casa. [4] In Lombardia bisogna far riferimento all’allegato 3 del regolamento n.6/04 [5] La copertura semplicemente da appoggiare sulla vasca potrebbe avere l’unica funzione di nascondere il corpo allo sguardo di persone estranee al lutto. [6] Di solito si procede in questo modo negli ospedali, quando bisogna spostare il morto dal reparto in cui era ricoverato sino in camera mortuaria, per vestizione ed incassamento, ma gli istituti ospedalieri per i trasporti interni sono dotati di ascensori e montacarichi, così il personale parasanitario non deve mai movimentare “a spalla” le salme.
Ho sentito una cosa che aveva per me dell’ incredibile, una mia amica dopo la morte e stata portata fuori casa calandola dal balcone con una carrucola. E possibile, come avviene?
x Sara
se è capitato ad una sua amica saprà dire dove è avvenuto e quando. Può interessare altri.
Non conosco direttamente la fattispecie di cui Lei mi parla, così mi pongo preliminarmente qualche domanda per meglio enucleare la questione.
Quando avviene l’incassamento?
Il giorno stesso del funerale o prima?
In tutte due le ipotesi, di norma, si aspetta la deposizione nel cofano e si procede alla tanatoestetica.
La regola adottata dal vostro comune mi pare condivisibile e ragionevolissima, in quanto tutela innanzi tutto la sicurezza dei necrofori.
Percorrere in discesa lungo angusti ballatoi le scale, sostenendo sulla schiena, quando magari si è solo in quattro, perché non c’è spazio per un quinto o un sesto portantino, la massa di un feretro che si aggira, quando si è fortunati e non capita il caso “fuori misura”, su oltre 160-180 Kg è un comportamento sbagliato e deleterio perché espone i necrofori ad inutili dolori articolari, microlesioni del rachide, lombalgie e sforzi sovrumani assolutamente da evitare.
Capisco lo sconcerto dei dolenti per il caro estinto trasbordato non in una cassa rigida ma in un sacco oppure in un telo, ma in fondo, si ricorre alla stessa metodologia del telo o della barella anche per i malati allettati o gravemente feriti che, dopo tutto sono ancora vivi, quindi non vedo quale fondata ragione vi sia per scandalizzarsi.
Se non c’è stata nella preparazione della salma una corretta tamponatura degli orifizi, oppure una buona azione igienizzante e si verificano perdite di umori cadaverici bisogna assolutamente evitare l’inondazione di batteri chiudendo subito la bara, quando sia decorso il periodo d’osservazione ed il cadavere sia stato trasportato dal luogo di decesso (immagino un appartamento sito in una palazzina oppure in un condominio) sino al piano terra secondo il regolamento locale di polizia mortuaria.
Naturalmente la frase: “chiudere la bara” assume un senso compiuto solo se il feretro munito di controcassa zincata o con l’adozione di un dispositivo plastico ad effetto barriera, risulta confezionato in modo da garantire la perfetta ermeticità almeno per il lasso di tempo strettamente necessario alla sua movimentazione e sepoltura, dopo la celebrazione delle esequie.
Il solo cofano ligneo, come già evidenziato in altre occasioni, non garantisce la tenuta stagna in quanto è studiato, per materiali di costruzione e spessori delle assi, unicamente per reggere allo stress meccanico costituito dal peso inerte del cadavere.
Il problema,allora, si risolve in questi termini:
La posizione orizzontale assunta prima dalla salma e poi dal cadavere tende a stabilizzare, per gravità, l’assetto dinamico di eventuali fluidi o liquami che potrebbero ristagnare nelle parti cave del corpo esanime (polmoni, addome…), anche dopo un’abbondante perfusione di materiale organico dai vari orifizi (narici, bocca, orecchie…), cui il necroforo che attende alla vestizione dovrà ovviare con le adeguate tecniche di tolettatura mortuaria.
La movimentazione, invece sconvolge questo precario equilibrio.
Immaginiamo, ad esempio, come nel caso sopraccitato, un cadavere che viene trasferito lungo la rampa delle scale non in un contenitore rigido, ma entro un involucro flessibile, con inevitabili sobbalzi e scossoni.
La stessa noia si riproporrebbe anche se il trasferimento avvenisse con la bara, ma è ininfluente perché, di norma, se non c’è un intervento dell’autorità giudiziaria o sanitaria, i trasporti, trascorso il periodo d’osservazione, si svolgono solo a cassa chiusa e la cassa parimenti non può più esser aperta. (per le criticità legate all’uso della sola cassa di legno… omissis, vale quanto detto prima)
Personalmente sconsiglierei nel caso da Lei prospettato(trasporto lungo la tromba delle scale di un cadavere racchiuso in un sacco) di rimuovere il cadavere dall’involucro flessibile prima di provvedere all’incassamento, perché altissimo sarebbe per i necrofori il rischio biologico di contagio quand’essi, anche inavvertitamente dovessero venire a contatto con gli umori rilasciati dal cadavere.
Sarebbe, quindi, molto meglio inserire nella cassa il cadavere quando esso è ancora dentro il sacco o il telo usato per il trasporto.
Poi si salda la cassa metallica o si appone il solo coperchio ligneo.
Se per il passaggio, massimamente difficile di cui sopra si adoperasse un sacco da recupero realizzato con fibre plastiche, sì biodegradabili, ma nel brevissimo periodo pure impermeabili si potrebbe, indirettamente, anche sopperire anche all’handicap della cassa in legno che non riesce ad arginare al proprio interno i miasmi cadaverici, come invece avviene per la vasca ed il coperchio in lamiera sigillati a fuoco o con altro metodo equivalente (saldatura a freddo).
Certo, se la spoglia mortale è incassata, una volta raggiunto l’androne delle scale, prima del confezionamento del feretro in rapporto alla sua destinazione ed alla tipologia del trasporto, è comprensibile, da parte dei dolenti, la richiesta di un ultimo saluto al loro caro, ma, ribadisco il concetto, si debbono valutare sempre le imprescindibili ragioni di igiene, prima di autorizzare un simile comportamento ispirato ad una sacrale pietà verso i defunti, di cui non dobbiamo mai dimenticarci, durante il nostro lavoro e nei rapporti con la clientela.
Un cadavere soggetto a fenomeni percolativi durante la sua esposizione è pericolossissimo, si tratta, permettetemi l’espressione forse empia, ma certo efficace, di una bomba chimica. Alla fondamentale legge della salute pubblica debbono soggiacere tutte le pratiche funerarie, anche le più nobili, in fondo, come dicevano i giuristi dell’antica Roma: dura lex, sed lex (la legge anche se è dura va sempre rispettata).
La tanatoprassi, però, in prospettiva, pottrebbe fornirci un valido supporto, senza il bisogno di eviscerazioni o interventi cruenti.
Il tecnico tanatoprattore, infatti, sapendo che il cadavere sarà trasportato lungo le scale non con la bara, ma avvolto in un telo, provvederà ad un’accurata aspirazione cavitaria cui seguirà la tamponatura delle naturali aperture del corpo, per scongiurare il rischio di un’improvvisa fuoriuscita di fluidi organici (sangue, urine, residui gastrici o intestinali, secrezioni delle mucose…)
Se si eliminano quest’ultimi inconvenienti credo proprio che il defunto possa esser presentato ai famigliari in lutto un’ultima volta, quando abbia raggiunto il piano terra, senza patemi d’animo oppure affanni per la sicurezza stessa dei dolenti.
Al resto provvederà la tanatoestetica, se il cadavere si è scomposto in pochi minuti può esser nuovamente sistemato, rassettando abiti, mani, posizione del capo ed espressione del volto per il saluto finale, ad una sola condizione vincolante e categorica: la salma, prima, deve esser stata predisposta a questo trattamento di cosmesi attraverso un’adeguata azione igienizzante ed una preventiva rottura della rigidità cadaverica. Il rigor mortis, in effetti, se efficacemente neutralizzato durante la vestizione o le operazioni di pulizia del corpo non si ripresenta più, lasciando le articolazioni morbide e perfettamente flessibili.
Nel comune in cui operiamo è vietato scendere le scale, dal secondo piano in su, reggendo a spalla il feretro. Il morto, allora, viene adagiata su un telo oppure in un sacco da recupero e solo una volta giunti a piano terra, nell’androne delle scale, eseguiamo l’incassamento.
Il defunto, però, durante il trasporto lungo la rampa dei gradini si scompone: si spettina, rilascia umori, così chi le si accosta per l’ultimo saluto riceve sempre una sgradevolissima impressione. Dobbiamo chiudere subito la bara oppure c’è qualche margine di intervento?