Il Consiglio di Stato (Sez, V, 5 marzo 2020, n. 1606; reperibile nella sezione SENTENZE per gli Abbonati PREMIUM, sezione che, per altro, risente negli ultimi tempo delle limitazioni anche all’attività giudiziaria determinate dal CoVid-19, per cui alcune “fonti” non sono temporaneamente (si spera) più accessibili), è stato chiamato a pronunciarsi attorno ad una situazione in cui era stata contestata ad accertata violazione in materia di pubblicità: si tratta della Campania, in cui, tra l’altro, sul tema, va segnalata la recente modifica dell’art. 1, comma 55 L.R. 30/12/2019, n. 27,
Nell’occasione, la pronuncia ha affrontato la questione del rapporto tra sanzioni amministrative (o, meglio, solamente amministrative) e sanzioni penali ricordando che il procedimento di cui all’art. 18 L. n. 689 del 1981 si riferisce alle sole sanzioni amministrative pecuniarie, per le quali la determinazione (mediante “ordinanza-ingiunzione”) della “somma dovuta per la violazione”, accompagnata dalla pedissequa “ingiunzione di pagamento”, avviene (comma 2) a valle della preventiva notifica della “contestazione” della accertata “violazione” (art. 18, comma 1, in relazione all’art. 14), previa concessione di un termine difensivo (eventualmente preordinato, a richiesta di parte, alla audizione personale) di trenta giorni (cfr. ex permultis Cass., I, 28 marzo 2006, n. 6997). Il procedimento di cui agli artt. 14 ss. della l. n. 689 del 1981 si applica invece alle sole “violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro” (cfr. art. 12), in tali casi dovendosi distinguere: a) la fase di contestazione (immediata ovvero affidata alla notificazione dell’atto di accertamento) della violazione del trasgressore (art. 14); b) l’eventuale estinzione per oblazione, mediante “pagamento di una somma in misura ridotta” (art. 13); c) l’adozione, a definizione e del procedimento e non prima dei trenta giorni concessi alla parte per la formulazione delle eventuali osservazioni difensive, dell’ordinanza-ingiunzione (art. 18), impugnabile dinanzi al giudice ordinario (art. 22 ss.)
Le misure sanzionatorie comminate nell’ambito dell’attività di vigilanza e controllo sulla congruità, appropriatezza, correttezza e legittimità delle modalità di erogazione di un servizio pubblico costituiscono (indipendentemente dalla sussistenza di un regime di matrice concessoria o, come nella specie, autorizzatoria) espressione di un autonomo potere regolatorio rimesso alla Autorità di amministrativa di settore, in ultimo inquadrabile nell’attività di amministrazione attiva (cioè di cura diretta e immediata dell’interesse pubblico), a fronte del quale le posizioni soggettive dei destinatari hanno, come in genere è a fronte dell’azione amministrativa in senso proprio, consistenza di interesse legittimo e perciò sono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo (cfr., tra le molte, Cass., SS.UU., 24 luglio 2017, n. 18168), non trovando applicazione la richiamata l. n. 689 del 1981.
Come è noto, la Corte EDU ha da tempo (a partire dalla sentenza della Grande Camera 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) elaborato una giurisprudenza per cui la natura formalmente amministrativa di un illecito non esclude che esso possa essere riconosciuto come intrinsecamente “penale”, al fine di evitare che la qualificazione interna sottragga la disciplina della relativa sanzione all’applicazione delle garanzie della CEDU che attengono alla materia penale (cfr. altresì Corte EDU, 27 settembre 2011, A. Menarini Diagnostici s.r.l. c. Italia e Id., 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia). Il discrimine è affidato ad un triplice ordine di criteri alternativi (c.d. Engel criteria), che fanno lega: a) sulla qualificazione giuridica formale di diritto nazionale (che qualifichi l’illecito come reato); b) sulla natura degli interessi tutelati, che assumano carattere general-preventivo ed orientino ad una funzione non meramente risarcitoria o compensativa, ma repressiva e punitiva della misura sanzionatoria; c) sulla significativa incidenza del massimo edittale prefigurato; l’esito di tale scrutinio induce senz’altro ad escludere che la sanzione della sospensione temporanea dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa funebre possa avere natura penale, in quanto: a) la norma che prefigura la condotta illecita esclude espressamente tale qualificazione, facendo espressamente salva la rilevanza penale del fatto; b) la misura afflittiva si giustifica non già in una logica della prevenzione generale delle condotte illecite, ma opera, nel contesto del rapporto amministrativo di matrice autorizzatoria, a fini di verifica e controllo del rispetto del quadro regolamentare di riferimento da parte degli operatori di settori; c) il trattamento edittale si appalesa, per quanto naturalmente afflittivo, non sproporzionato e significativamente incisivo.