ALLEGATO 3
Revoca per autotutela di project financing e adeguamenti tariffari delle concessioni cimiteriali: la determinazione del “momento” da cui si producono effetti


La giurisprudenza in molte occasioni, per quanto non sempre, svolge o sarebbe chiamata a svolgere, un’azione di “codificazione” del diritto, di ri-sistemazione e ri-affermazione di principi che, nella realtà, sarebbero già presenti nelle norme, che, per quanto ben formulate (e ciò non sempre accade, anzi), non sono immediatamente evidenti o sono alterate in funzione di questo o quell’interesse particolare.
Ne sono esempio le sentenze dei giudici amministrativi che di seguito si vanno a commentare.

T.A.R. per la regione Lazio, sede di Roma, Sez. 2^-ter, sent. n. 9662 del 17 luglio 2015, avente ad oggetto l’avvenuta revoca, in esercizio dell’istituto dell’autotutela, di una proposta di project financing per la realizzazione di un impianto di cremazione (ALLEGATO 1)
Non si illustra la situazione di fatto, in quanto rilevabile dalla lettura della pronuncia, se non per ricordare come il Comune sia stato indotto ad adottare provvedimento di revoca a seguito di proteste della cittadinanza presumibilmente preoccupata da risvolti di natura ambientalistica. Rilevante piuttosto il momento in cui è intervenuto il provvedimento di revoca della proposta, in quanto antecedente all’aggiudicazione definitiva dell’esecuzione dell’opera.
Il soggetto ricorrente richiedeva sia l’annullamento del provvedimento di revoca, sia la condanna al risarcimento danni e, in via subordinata e residuale, al pagamento di un indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinques L 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i..
Il giudice amministrativo dà conto che la procedura di project financing è caratterizzata da un’ampia discrezionalità dell’Amministrazione per quanto riguarda l’accoglimento della relativa proposta, che opera secondo uno schema “a formazione progressiva” e dove, per il project financing, una disciplina peculiare in materia di revoca è contenuta nell’art. 158 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.i. (1), pur sempre mantenendo il principio dell’obbligo di motivazione degli atti amministrativi (art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.).
Sul punto, il soggetto ricorrente non solo rileva una sua mancata osservanza, ma altresì il difetto di motivazione relativamente all’interesse pubblico attuale del provvedimento, ritenendola inadeguata.
Il giudice amministrativo osserva come la giurisprudenza amministrativa abbia avuto modo di chiarire che nel project financing l’Amministrazione, anche una volta individuato il promotore e ritenuto di pubblico interesse il progetto dallo stesso presentato, non è tenuta a dare corso alla procedura di gara, ma rimane libera di scegliere – attraverso valutazioni attinenti al merito amministrativo e non sindacabili in sede giurisdizionale – se, per la tutela dell’interesse pubblico, sia più opportuno affidare il progetto per la sua esecuzione oppure rinviare la sua realizzazione oppure non procedere del tutto.
La nuova valutazione di opportunità operata dall’Amministrazione, effettuata alla luce di sopravvenienze in grado di modificare gli obiettivi politico-amministrativi, deve ritenersi, pertanto, immune da vizi logici e costituisce esercizio non irragionevole del potere discrezionale di autotutela, siccome fondato su una modifica degli originari indirizzi programmatici, la cui definizione resta nella piena disponibilità dell’Amministrazione.
Si tratta infatti, nello specifico, di scelte che coinvolgono temi particolarmente sensibili per la collettività, sia dal punto di vista etico, che ambientale, dinanzi alle quali, pertanto, il sindacato giurisdizionale deve arrestarsi ai profili di manifesta irragionevolezza, illogicità e/o ingiustizia.
In questo contesto, nemmeno può ritenersi rilevante la circostanza, invocata dalla parte ricorrente, del mancato coinvolgimento della cittadinanza all’epoca di approvazione del Piano delle Opere Pubbliche. Infatti, si tratta di una procedura non prevista da alcuna disciplina specifica, meno ancora da attuare in via preventiva.
Relativamente al principio dell’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento (artt. 7 e 8 L. 7 agosto 1990, n. 24 e s.m.i.), sebbene il soggetto ricorrente avesse assunto, essendo l’unica offerente, un ruolo importante nella interlocuzione con l’Amministrazione, la procedura di project financing non poteva ancora dirsi formalmente conclusa al momento dell’adozione della delibera di revoca impugnata, in quanto la convenzione, più volte modificata, non risultava ancora sottoscritta dalle parti.
Emerge qui la rilevanza del “momento” in cui possa venire a sorgere una posizione giuridicamente rilevante, degna di tutela.
Trattandosi, nel caso, ancora di aggiudicazione provvisoria, cioè di un atto endoprocedimentale, l’Amministrazione può esercitare il proprio potere di autotutela senza dare comunicazione dell’avvio del relativo procedimento.
Infine, per quanto concerne la domanda di risarcimento per responsabilità precontrattuale, preliminarmente va precisato, in via generale, che la responsabilità c.d. precontrattuale – la quale trova il suo fondamento normativo negli artt. 1337 e 1338 C.C. – è stata qualificata, in dottrina e giurisprudenza, come l’istituto che tende a garantire la libertà negoziale della parte e a tutelare l’affidamento durante le trattative.
Per cui è posto a carico delle parti coinvolte nelle trattative contrattuali l’obbligo di agire secondo buona fede, obbligo che si snoda attraverso i corollari del dovere di informazione, di chiarezza, di segreto e di adoperarsi per garantire la validità e l’efficacia del negozio da stipulare (precetti la cui violazione determina, quindi, la lesione dell’interesse sopra descritto, e comporta obblighi risarcitori, che vanno valutati e quantificati).
Nella valutazione e quantificazione occorre prendere a riferimento l’interesse – la libertà negoziale, appunto – tutelato con l’istituto in parola, nella misura, peraltro, del c.d. interesse negativo, osservandosi come, per la sussistenza di tale forma di responsabilità, non occorre che gli atti lesivi siano di per sé illegittimi, giungendosi, pertanto a dover respingere questa (parte della) domanda del soggetto ricorrente.
A diverse conclusioni, invece, è pervenuto il Giudice Amministrativo sulla domanda prospettata in via subordinata di corresponsione dell’indennizzo previsto dall’art. 21 quinquies L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., in quanto alla riconosciuta facoltà per l’Amministrazione di revocare i propri atti – legittimamente emessi, ma ritenuti non più compatibili con l’interesse pubblico – si contrappone infatti la concessione di un indennizzo per il soggetto che subisca la negativa incidenza della revoca, quale tipica forma di ristoro per lesioni conseguenti ad atti leciti, quantificandosi la misura dell’indennizzo in via equitativa, per più ordini di motivazione.

T.A.R. per la Regione Molise, Sez. 1^, sent. n. 61 del 13 febbraio 2015, avente ad oggetto il momento di efficacia di variazioni tariffarie per le concessioni cimiteriali (ALLEGATO 2)
Il contenzioso considerato dalla pronuncia è sorto in quanto il Comune ha provveduto ad un adeguamento dei canoni di concessione dei suoli cimiteriali, applicando il nuovo sistema tariffario ad ogni nuova assegnazione per la quale non è stato ancora regolarizzato il pagamento e l’atto pubblico di concessione.
Il contenzioso verte sulla misura della tariffa da corrispondere: quella vigente al momento in cui un cittadino ha avuto l’assegnazione di una concessione cimiteriale o la tariffa, nel frattempo modificatasi, vigente al momento in cui si perfeziona l’atto.
Su questo aspetto, la parte ricorrente ha lamentato la violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti amministrativi.
Per inciso, l’Amministrazione comunale resistente ha posto altresì in dubbio la sussistenza della giurisdizione amministrativa, che il giudice adito ha ritenuto, al contrario, sussistente poiché la questione oggetto del giudizio riguarda una concessione di beni pubblici, di cui quella cimiteriale deve considerarsi una species, in quanto l’Amministrazione trasferisce il godimento di un’area demaniale al fine di edificare “il sepolcro” e di seppellire i membri della propria famiglia o di terzi secondo la volontà del fondatore.
Il giudice amministrativo, considerando come il “regolare atto di concessione” non fosse ancora stato stipulato all’epoca dell’adeguamento tariffario, giunge alla conclusione dell’insussistenza della violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi.
Secondo tale pronuncia viene stabilito che il “momento” costitutivo del sorgere della concessione cimiteriale è dato dalla stipula del relativo atto di concessione, e non dalla precedente, endoprocedimentale, assegnazione, considerato che, in materia, tali situazioni sono altamente frequenti, se non generalizzate, e, per certi versi, fisiologiche.

-----------
(1) Da considerare – sussistendone i presupposti – lex specialis rispetto all’art. 21 quinquies L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. (che parte della giurisprudenza riteneva inapplicabile all’approvazione di un progetto preliminare di project financing o alla fase di aggiudicazione provvisoria, poiché riguardante – prima dell’inserimento delle norme oggi vigenti – i soli provvedimenti ad efficacia durevole; questione che deve ritenersi, ormai, superata).