ALLEGATO 6
Orientamenti giurisprudenziali in materia di sepolcri privati nei cimiteri, esercizio del diritto d’uso e disponibilità dei sepolcri – Considerazioni

La natura – e funzione – dei rapporti giuridici che sorgono con l’atto di concessione cimiteriale costituisce spesso tema articolato, in particolare quando si tratti di situazioni risalenti nel tempo, natura che incide, sotto il profilo effettuale, anche sulle modalità e condizioni di esercizio del diritto d’uso.
In tale contesto, fattore di un certo rilievo è quello che riguarda l’oggetto della concessione cimiteriale, riconducibile, in linea di massima, a due tipologie, quella della concessione di area cimiteriale, ai fini della costruzione, da parte del soggetto concessionario, di manufatto sepolcrale, in genere a sistema di tumulazione (fine che, in realtà è intermedio, strumentale a quello della sepoltura delle persone aventine titolo), oppure quella dell’uso di un manufatto sepolcrale costruito dal Comune o dal soggetto gestore del cimitero. Tale distinzione dell’oggetto della concessione è presente anche nel “Glossario SIOPE” in cui, non casualmente, si rinvengono distinte codificazioni proprio motivate da questa diversità di tipologie nelle concessioni cimiteriali.
Nella prima fattispecie, in larga parte riconducibile, assimilabile all’istituto del diritto di superficie, si determinano fattispecie differenti, avendosi da un lato il rapporto giuridico che sorge tra il Comune, quale titolare della demanialità dell’area cimiteriale, e il concessionario, rapporto tipicamente di natura pubblicistica, e, dall’altro, la posizione del concessionario rispetto al manufatto sepolcrale eretto sull’area cimiteriale in concessione, manufatto che costituisce proprietà del concessionario, tanto che lo stesso art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 assume a riferimento il concetto di proprietà. Dal ché deriva altresì che la questione su di un’eventuale “unificazione” delle due categorie (diritto di superficie, proprietà del manufatto sepolcrale eretto sull’area cimiteriale in concessione) venga in considerazione al momento della scadenza della concessione dell’area (salvo questa non sia stata a tempo indeterminato, c.d. perpetuità), questione che neppure sorge nella situazione in cui oggetto della concessione sia stato il (mero) diritto d’uso di manufatto, o parte di esso, sepolcrale costruito dal Comune o dal soggetto gestore, situazioni nella quali il carattere della proprietà rimane in capo al Comune e la scadenza di quest’ultima tipologia di concessione comporta unicamente la cessazione del diritto d’uso.
Nella prima fattispecie (concessione di area cimiteriale al fine della costruzione, da parte del concessionario, di manufatto sepolcrale, in genere a sistema di tumulazione (anche se la normativa preveda la possibilità di concessione di aree cimiteriale ai fini dell’impianto di campi ad inumazione va osservato come tale possibilità non sia di particolare diffusione, tipologie che, per altro, in parte si sottrarrebbe alle problematiche concernenti le costruzioni di manufatti, essendone previsto unicamente la realizzazione di “adeguato ossario”)), la co-presenza del diritto (di superficie) sull’area oggetto di concessione con la proprietà del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione erettovi dal concessionario, apre, in molti casi, questioni attorno alle modalità di esercizio del diritto d’uso sorgente, o sorto, con la concessione cimiteriale.
Questioni che possono, sommariamente, riassumersi in due questioni:
a) quale sia il grado in cui può esplicarsi il diritto di proprietà, limitato al manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, eretto sull’area ottenuta in concessione;
b) quale sia il grado di disponibilità del concessionario sull’uso, in senso proprio, del sepolcro.

Rispetto a quest’ultima questione e, in particolare, all’ammissibilità o meno di utilizzo del sepolcro a pro di persone terze, oltre al concessionario e alle persone appartenenti alla famiglia di questi, va ricordato come solo a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, tale possibilità sia stata innovativamente considerata ammissibile, per quanto limitatamente alle due fattispecie esplicitamente considerate dall’art. 93, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (una delle quali subordinata alle previsioni definitorie, o pre-definitorie, del Regolamento comunale di polizia mortuaria), risultando, prima di tale entrata in vigore, prospettazione inammissibile, tanto che, avendosi, sorgeva fattispecie di decadenza dalla concessione (come sorge, quando ora essa intervenga in assenza di una delle due condizioni per cui essa sia consentita.
Sulla prima, non si può dimenticare come, fino all’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, fosse ammesso che il diritto d’uso potesse essere oggetto di atti di disposizione, tanto con atti inter vivos che mortis causa (art. 71, commi 2 e ss. R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880), disponibilità riferita al diritto d’uso, ma che neppure considerava l’elemento della proprietà del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione costruito, dal concessionario, sull’area cimiteriale avuta in concessione, al punto che la stessa norma (comma 3) disponeva come rimanessero inalterati gli obblighi imposti dal Comune all’originario titolare della concessione, aspetto questo ultimo spesso scarsamente considerato.
In questo contesto, neppure può omettersi di trascurare come questa, risalente e non più esperibile, possibilità di cessione o trasmissione del diritto d’uso dovesse essere condizionata ad una non incompatibilità- con il carattere del sepolcro, con ciò considerando rilevante, se non perfino condizionante, l’elemento funzionale, in particolare riferibile alla destinazione del sepolcro all’accoglimento delle persone del concessionario e di quelle appartenenti alla sua famiglia (aspetto del tutto attinente a diritti della persona), che limita, o può limitare, la componente proprietaristica, per quanto possa aversi nella fattispecie, dal momento che l’elemento funzionale non consente il pieno esplicarsi di quel pieno ed esclusivo diritto di godere e, soprattutto, disporre del bene, che costituisce elemento intrinseco della proprietà (art. 832 C.C.), proprietà che, come già considerato, attiene in via esclusiva al manufatto sepolcrale eretto, dal concessionario, sull’area cimiteriale avuta in concessione.
Su tali complesse quanto articolate questioni si sono registrate, negli ultimi tempi, alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa, che presentano il carattere di una certa quale attenzione a problematiche pertinenti, attenzione che, almeno nel passato, non era stata particolarmente presente nella giurisprudenza civilistica, tradizionalmente maggiormente orientata ad un approccio a contenuto (meramente) patrimonialistico, raramente considerando la componente, personalistica, della funzione del sepolcro.

A) T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sez. 7^, sent. n. 3981 del 29 luglio 2013
Con tale pronuncia, il T.A.R. adito viene richiesto di pronunciarsi sul provvedimento amministrativo che ha dichiarato la decadenza da una concessione (di area cimiteriale) e per suo effetto altresì l’acquisizione del manufatto funerario su di essa erettovi. Nella pronuncia il giudice amministrativo enuclea come il c.d. “diritto di sepolcro” costituisca, oggettivamente, un quid scomponibile in più, diverse, distinte ed autonome, componenti, date dal diritto di sepolcro c.d. primario (inteso come titolo ad essere accolto o ad accogliervi altri), diritto, a propria volta, scomponibile in sepolcro ereditario (se tale risultante espressamente dall’atto di concessione) o familiare (o, gentilizio, qui come sinonimo di familiare), dal diritto di sepolcro c.d. secondario (inteso come diritto ad accedervi, o ad impedire ad altri l’accesso, ai fini di pietas).
Il T.A.R precisa, inoltre, come prima dell’entrata in vigore (1° luglio 1943) del R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, i cimiteri costituissero proprietà comunale e, come tali, non liberamente disponibili per cui la concessione di aree non si configurava come una cessione, quanto come una concessione.
Sotto questo profilo, considerata l’intervenuta “demanializzazione” dei cimiteri (art. 824, comma 2 C.C.), la pronuncia viene ad affermare come le norme successive, in buona sostanza a partire dal D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 (che ha attuato, anche in via regolamentare, la previsione codicistica), non abbiano salvaguardato le situazioni pre-esistenti, dando alla fattispecie una regolazione di carattere generale delle aree cimiteriali, concludendo come una cessione delle aree cimiteriali – anche qualora fosse stata consentita – richiedeva in ogni caso un intervento dell’autorità concedente (Comune), per cui una tale eventuale cessione richiedeva pur sempre una “volturazione”, sottoposta, in termini di requisito di efficacia, ad autorizzazione da parte del Comune concedente, autorizzazione che segue il regime giuridico in vigore nel momento in cui essa è rilasciata.
La pronuncia considera come il diritto sul sepolcro già realizzato costituisca un diritto soggettivo perfetto, di natura reale (osservandosi, incidentalmente, come quando si verta su questioni di diritto soggettivo sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario, anziché quella del giudice amministrativo), diritto che, per altro, è suscettibile – nei confronti della P.A. – di affievolimento, degradandosi a interesse legittimo (sempre nei rapporti giuridici tra P.A. (Comune) concedente e concessionario) per esigenze di pubblico interesse, tutela dell’ordine e buon governo del cimitero. Per inciso, nella pronuncia si esplicita il “carattere personale” del rapporto di concessione cimiteriale, oltretutto affermando che la P.A. non perde mai i propri poteri relativamente ad un bene demaniale (si per sé inalienabile e non usucapibile), che rispetto al sepolcro sia ipotizzabile solo un uso personale e non affaristico, con effetti decadenziali in caso contrario, effetto che è in re ipsa rispetto a chi abbia ceduto il sepolcro.

B) T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sez. 7^, sent. n. 4589 del 14 ottobre 2013
Questa pronuncia è stata resa in una situazione abbastanza simile a quella precedentemente considerata (al Punto A)), cioè in una fattispecie di provvedimento amministrativo dichiarativo della decadenza per effetto di una cessione di sepolcro, oltretutto non assentita (autorizzata) dal Comune, considerandosi, tra l’altro, come la posizione soggettiva del concessionario tenda a recedere dinnanzi ai poteri della P.A., in quanto dalla demanialità del bene discende l'intrinseca "cedevolezza" del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico.
La pronuncia coglie la conseguenza, de facto, per cui la trasformazione in bene demaniale anche del manufatto costituisca effetto del provvedimento di decadenza in questa sede gravato, e la possibilità che lo stesso possa essere affidato ulteriormente in concessione sulla base delle regole e dei principi vigenti in subiecta materia, decadenza con cui si realizza non una fattispecie espropriativa ma, piuttosto, uno dei modi di acquisto (tipizzati) della proprietà immobiliare mediante una disposizione chiara, trasparente, certa e di prevedibile applicazione.
Anche in questo caso, la sentenza prende in considerazione l’irrilevanza del momento originario della concessione, affermando come esso non “cristallizzi” la situazione iniziale, originaria, conciò escludendo asserzioni circa una pretesa irretroattività, dovendosi pur sempre considerare il momento in cui la P.A. concedente (Comune) agisca, oltretutto qualificando come irragionevole un diverso trattamento tra concessioni pregresse e quelle successive.
I provvedimenti di decadenza, in particolare, hanno natura sanzionatoria in quanto essi evidenziano, a carico del destinatario di un precedente provvedimento ampliativo, inadempimenti o carenze di requisiti, tali da impedire la costituzione o la prosecuzione del rapporto sorto per effetto del suddetto provvedimento ampliativi: in questa direzione la decadenza dall'autorizzazione amministrativa è un atto dovuto, vincolato ed espressione di un potere di autotutela ad avvio doveroso, che non richiede specifiche valutazioni in ordine all'interesse pubblico alla sua adozione.

C) Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. n. 6198 del 23 dicembre 2013
Questa sentenza coinvolge anche la natura del sepolcro, nel senso di una sua qualificazione quale ereditario (sia ab origine, cioè quale risultante dall’atto di concessione, sia quando divenuto tale per estinzione della famiglia) o familiare (o, gentilizio, che ne è sinonimo), qui sostenendosi dalle parti l’originaria riserva ai familiari, intesi quali discendenti, in linea diretta, dal concessionario fondatore del sepolcro, con ciò argomentando l’esclusione dei parenti in linea collaterale (salva contraria volontà del fondatore del sepolcro), indirizzo che viene ritenuto contrastare con l’orientamento giurisprudenziale in esame, nel quale la Cassazione (Sez. 2^ Civ., sent. n. 16430 del 27 settembre 2012) ha tra l’altro avuto modo di precisare che tra i vari titolari del sepolcro si instaura “una comunione indivisibile con la conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi” . Anche questo aspetto, sul sorgere, in caso di pluralità di aventi titolo, di una comunione indivisibile, costituisce aspetto che, a volte, viene scarsamente considerato.

D) T.A.R. Sicilia, sede di Catania, Sez. 3^, sent. n. 471 del 13 febbraio 2014
Quest’ultima pronuncia considera la fattispecie di un’indebita tumulazione di feretro di defunto non avente titolo all’accoglimento in un dato sepolcro, situazione che, accertata, ha comportato l’adozione da parte del Comune di provvedimento amministrativo volto all’estumulazione del feretro indebitamente (cioè, sine titulo) tumulatovi, rispetto a cui il Comune si è limitato a convocare le parti, fornendo altresì le chiavi per l’accesso alla cappella funeraria, senza ulteriori atti esecutivi dell’ordinanza di estumulazione conseguentemente adottata, a causa del comportamento non collaborativo delle parti coinvolte.
Il T.A.R. ha ritenuto omissivo tale comportamento, in quanto la sola convocazione delle parti non è stata ritenuta idonea ai fini di dare esecuzione al provvedimento amministrativo ordinante l’estumulazione del feretro., dovendo il Comune attivare i propri poteri amministrativi e di polizia mortuaria e cimiteriale per porre fine all’abusiva tumulazione, anche autoritariamente (ed indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra le diverse parti private) e con le forme ritenute più opportuno, non escludendo l’ipotesi della revoca (rectius, nella fattispecie: decadenza) della concessione, in danno della parte priva che dovesse dimostrarsi ancora non disponibile a collaborare con il Comune.
Il T.A.R. assegna al Comune il termine per provvedere all’esecuzione dell’ordinanza di estumulazione, prevedendo, in caso di ulteriore inerzia, la nomina di commissario ad acta per la sua esecuzione (significativamente individuato nel Prefetto o funzionario (di prefettura) da questo ultimo delegato).
Se ne ricava che il Comune non solo è tenuto ad adottare atti e provvedimenti, anche autoritativi, ma è tenuto altresì a darvi esecuzione, fino a poter fare ricorso a provvedimento dichiarativo di decadenza, che è atto avente natura di atto dovuto.

E) Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo per la Lombardia, pron. n. 544/2013/PRSP del 17 dicembre 2013
Con questa pronuncia, rispetto a cui non si affrontano né gli aspetti propriamente contabili, né quelli che attengono ai comportamenti qualificati come elusivi del patto di stabilità interno (per altro non certo secondari, specie questi ultimi), viene affrontata – tra l’altro – la questione dell’ammissibilità o meno di concessioni cimiteriali fatta a soggetti che intendano farne (cioè, fare dell’oggetto della concessione) oggetto di lucro e speculazione, termini da considerare sempre nel loro significato civilistico, che non è sempre sovrapponibile a quello talora presente nel c.d. linguaggio comune. Nella fattispecie, il Comune aveva emesso un bando per la concessione di 3 cappelle cimiteriali (gentilizie e, per questo, di famiglia) a cui aveva aderito una società di capitali avente oggetto generale quello delle costruzioni. Non si entra nel merito della richiesta di versamento di parte delle somme dovute per la concessione, preliminarmente alla verifica dei requisiti di assegnazione, aspetto per il quale non vi sono motivi per discostarsi dalle ineccepibili considerazioni su questo punto formulate dalla sezione di controllo de quo, osservando come il Comune, ricevuta la dichiarazione unilaterale d’impugnativa (rectius: impegnativa), avesse richiesto l’indicazione dei nominativi delle persone, fisiche, assegnatarie, richiesta riscontrata in senso negativo, oltretutto esplicitando la finalità di un possibile investimento economico quale motivazione dell’atto unilaterale d’impegno.
Appare così palese come la società di capitali interessata avesse posto in essere comportamenti chiaramente contrastanti con il divieto posto dall’art. 94, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, norma di persistente vigenza anche nella regione Lombardia (osservandosi, in via incidentale, come in materia non sussiste competenza legislativa, e, quindi, regolamentare, regionale, attenendo questi aspetti all’ordinamento civile (art. 117, comma 2, lett. l) Cost., per quanto la regione vi sia per altro intervenuta con gli artt. 24 e 25 reg. reg. (Lombardia) 9 novembre 2004, n. 6 e succ. modif.).
Tra l’altro, nella pronuncia della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, si considera la distinzione tra i diversi possibili destinatari della concessione delle cappelle cimiteriali, cogliendo la differenza tale concessioni fatte a “famiglie”, oppure ad “enti”, aspetto in qualche modo implicito anche nel bando, laddove si considerano le cappelle stesse quali gentilizie, dato che, nell’ambito specifico, il termine “gentilizio” assolve al ruolo di costante sinonimo di “familiare”.
La pronuncia affronta, inoltre, anche l’aspetto che individua il momento in cui la parte che richieda una concessione cimiteriale assuma la posizione di “concessionario”, individuandola a valle dell’atto di assegnazione finale, anche se andrebbe osservato come non sia propriamente l’atto di assegnazione ad assolvere ad una tale funzione, quanto la stipula del regolare atto di concessione, senza il quale la concessione è inesistente, ponendosi l’atto preliminare di assegnazione nella fase prodromica al sorgere della concessione in senso tecnico, per quanto condizionante l’amministrazione concedente (Comune) alla conclusione del procedimento concessorio.
Attorno al divieto posto dall’art. 94, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, merita di essere precisato come esso non operi “soggettivamente”, cioè con riguardo alla natura del soggetto richiedente, quanto “oggettivamente”, cioè con riguardo alle finalità a cui il soggetto richiedente intenda destinare la concessione cimiteriale. Infatti, un “ente” (cioè soggetto, avente personalità giuridica, distinto dalle persone fisiche), per quanto possa avere oggetto sociale anche di natura lucrativa o di speculazione, potrebbe, almeno accademicamente, divenire titolare di concessione cimiteriale nelle ipotesi in cui non intenda fare di questa oggetto di lucro e speculazione (astrattamente, potrebbe farsi l’esempio della società di capitali (per rimanere nel contesto), che intenda destinare la concessione cimiteriale all’accoglimento di propri “appartenenti”, quali potrebbero essere (es.) i defunti che siano stati componenti degli organi societari, propri dipendenti, magari avendo una certa predeterminata anzianità presso la società, oppure a categorie pre-determinate ed inequivocabilmente previamente determinabili di persone), agendo in termini di liberalità. Liberalità che, nella fattispecie, appare essere stata fin dall’origine esclusa, dal momento che la stessa società richiedente ha avuto modo di esplicitare, quale fine, un possibile investimento economico.