ALLEGATO 4
Cremazione e destinazioni delle ceneri: alcune problematiche interpretative

01. La L. 30 marzo 2001, n. 130 è stata emanata, dopo un processo parlamentare di formazione che aveva interessato più legislature, con l’obiettivo non solo di semplificare i procedimenti amministrativi per l’accesso alla cremazione, ma anche di rendere ammissibile, quando richiesto, il ricorso all’istituto della dispersione delle ceneri, tanto che altre modalità di destinazione delle ceneri (tumulazione, interramento, affidamento ai familiari) sono considerate come in qualche modo subordinate rispetto all’istituto della dispersione delle ceneri, essendo state enunciate, sotto il profilo sistematico, di seguito (art. 3, comma 1, lett. e) L. 30 marzo 2001, n. 130).
Le disposizioni della legge appaiono abbastanza di dettaglio e in linea di massima tali da non generare particolari problematiche interpretative per quanto riguarda l’accesso alla pratica della cremazione di cadaveri, anche se vi siano, qui o là, cenni di incertezza su alcuni aspetti relativi alle forme di manifestazione della volontà, mentre maggiori criticità sorgono per quanto riguarda l’istituto della dispersione delle ceneri, laddove la legge ha curato molto gli aspetti circa i luoghi in cui la dispersione delle ceneri sia consentita, ma anche i soggetti legittimati a provvedere alla sua esecuzione, criticità che si evidenziano in misura ancora maggiore per altre modalità di destinazione delle ceneri, quali l’affidamento ai familiari, ma anche l’interramento, e, per quanto in minima parte, anche la tumulazione. Aspetti su cui il legislatore si è abbastanza sottratto dal definire gli attori competenti, sia sotto il profilo funzionale (ma non sempre) sia sotto il profilo territoriale, inducendo taluni a pensare che questi aspetti siano, nella sostanza, riconducibili ad una sorta di unitarietà con riguardo al procedimento di accesso alla pratica della cremazione dei cadaveri, unitarietà che emerge come non coerente con il fatto che le diverse fattispecie vengono, con larga frequenza, ad aversi in realtà, anche territoriali, raramente unitarie, non andando oltre al considerare la formula del “… nel rispetto della volontà del defunto ….”.
Agli elementi sommariamente sopra ricordati si sono aggiunti quelli derivati dalle leggi regionali che sono state emanate in materia, sia per le singole e specifiche disposizioni dettate in queste materie, sia per l’oggettivo ed insito limite di applicabilità che queste ultime hanno, sotto il profilo territoriale, sia per il fatto che in più casi le norme regionali non hanno più di tanto approfondito come esse venissero ad intervenire nella materia dell’ordinamento civile, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.), come si ha nelle disposizioni che sono intervenute sulla manifestazione di volontà (diretta od indiretta) del defunto, nonché sugli altri aspetti coinvolgenti l’esercizio, da parte del defunto, della titolarità a dettare disposizioni circa la destinazione post mortem del proprio corpo, e quelli che coinvolgono la posizione dei familiari (senza, per ora, intervenire sulla loro priorità e potere) del defunto in termini di disposizioni circa i riti e le pratiche funerarie dei propri defunti, questioni che palesemente attengono ai c.d. diritti civili.

02. Tenendo distinti i diversi istituti, si può osservare come per l’istituto della cremazione dei cadaveri i relativi procedimenti di accesso siano abbastanza ben definiti dall’art. 3, comma 1, lett. a) e b) L. 30 marzo 2001, n. 130, sia per quanto riguardi le condizioni, i soggetti funzionalmente e territorialmente competenti, sia per le forme di espressione della volontà del defunto, incluse le forme di accesso alla cremazione dei cadaveri nei casi in cui difetti espressa manifestazione di volontà espressa dal defunto, per l’istituto della dispersione delle ceneri l’art. 3, comma 1, lett. c) e d) legge citata non vada oltre ad individuare i luoghi in cui sia consentita e i soggetti legittimati alla sua esecuzione.
Rimanendo, per un momento, ancora sul procedimento per l’accesso alla cremazione dei cadaveri, le previsioni dell’art. 3, comma 1, lett. a) e b) legge citata vengono a collocarsi come evoluzione della disposizione dell’art. 74, comma 3 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e succ. modif., che ponendo l’autorizzazione alla cremazione quale alternativa alle autorizzazioni all’inumazione o alla tumulazione (autorizzazioni per altro anche queste distinte e tra loro autonome), quali considerate dai commi 1 e 2 della medesima disposizione, fa rinvio all’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, disposizione che “cede” se, quando e dove vangano a trovare applicazione le disposizioni dell’art. 3, comma 1, lett. a) e b) L. 30 marzo 2001, n. 130. Per inciso, a questo proposito non può evitarsi di ricordare come in Piemonte (si veda la distinzione di riferimenti normativi tra il comma 2 e il comma 5 dell’art. 2 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 e succ. modif.) ed in Sicilia (art. 2, comma 1 L.R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n. 18), le norme regionali prevedano che – per la cremazione dei cadaveri – trovino applicazione le disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, mentre distinta regolazione è presa in considerazione per istituti riferibili alle destinazioni delle ceneri.

03. Per quanto riguarda la dispersione delle ceneri le disposizioni dell’art. 3, comma 1, lett. c) e d) L. 30 marzo 2001, n. 130, non intervenendo esplicitamente sulle condizioni e competenze, funzionali e territoriali, a proposito della relativa autorizzazione potrebbero sembrare carenti, se non fosse che questi aspetti, o alcuni di essi, per quanto neppure tutti, hanno trovato fonte nell’art. 2 (precedente) della legge, con cui è stato provveduto alla modifica, con l’aggiunta di due commi, dell’art. 411 C.P., con cui, introducendo la legittimazione della dispersione delle ceneri (oltretutto con la formula per la quale: “… non costituisce reato ….”, quasi ad affermare implicitamente che la dispersione delle ceneri costituisce pur sempre reato, salvo che non siano osservate le prescrizioni così introdotte), ha collegato il rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri – attribuendone la competenza all’Ufficiale dello stato civile – alla “… espressa volontà del defunto” in tal senso: se l’individuazione delle competenza in capo all’Ufficiale dello stato civile risponde al criterio della funzionalità, nulla è esplicitato rispetto alla competenza territoriale, che potrebbe, genericamente, essere individuabile con riguardo alla competenza territoriale prevista, nel successivo art. 3, comma 1, lett. a) L. 30 marzo 2001, n. 130, come quella del luogo di decesso, se non fosse che ciò non considera sia le ipotesi che l’esecuzione della dispersione delle ceneri possa avvenire in comune (e regione) diverso da quello di decesso, sia che il rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri possa essere richiesto in momento anche successivo alla cremazione. Si tratta di aspetti che hanno già visto pronunce giurisprudenziali, quali, a titolo esemplificativo, quella del T.A.R. Toscana, Sez. 2^, sent. n. 2583 del 2 dicembre 2009 (Cfr.: circolare SEFIT n. 2194/2009 del 10 dicembre 2009), oppure del T.A.R. Veneto, Sez. 1^, sent. n. 884/2013 del 21 giugno 2013 (su cui si ritornerà di seguito).
Alla luce delle modifiche all’art. 411 C.P., apportate dall’art. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130, le condizioni per l’autorizzazione alla dispersione delle ceneri richiedono la già citata “espressa volontà del defunto”, dato che la sua esecuzione in carenza di autorizzazione costituisce fattispecie di persistente rilevanza penalistica, rilevanza che sorge anche nel caso in cui l’esecuzione della dispersione delle ceneri avvenga “… con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal defunto …”, dal ché si può/dovrebbe ricavare come la volontà del defunto, espressa, non sia limitata alla sola, quanto generica, attività dispersiva, ma si estenda alle modalità di esecuzione della dispersione stessa.

04. Il punto di maggiore importanza è in ogni caso individuabile nella portata da attribuire alla formula “… sulla base di espressa volontà del defunto …”, considerandosi come, se vi sussista l’ipotesi che la persona defunta non abbia disposto per le modalità di esecuzione della dispersione, il soggetto che sia legittimato ad eseguirla (art. 3, comma 1, lett. d) L. 30 marzo 2001, n. 130), sia, di norma, abbastanza libero nelle modalità di esecuzione della dispersione delle ceneri (incidentalmente, si potrebbe ricordare come l’art. 4, comma 7 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 e succ. modif., preveda come i soggetti legittimati ad eseguire la dispersione delle ceneri debbano dare preventiva (almeno 10 giorni) comunicazione al comune in cui sia prevista l’esecuzione della dispersione delle ceneri, mentre il successivo art. 6 stessa legge regionale attribuisce ai comuni la titolarità di disciplinare le modalità di dispersione delle ceneri nel proprio ambito territoriale, disciplina che non appare particolarmente coerente con l’attribuzione della definizione delle modalità in capo alla persona defunta). La questione della “espressa volontà” del defunto, non semplicemente sovrapponibile al concetto di “rispetto della volontà del defunto”, solleva una questione non secondaria, cioè quelle di se e quanto possa estendersi all’istituto della dispersione delle ceneri il principio, ben presente per l’accesso alla pratica della cremazione dei cadaveri, per cui, in mancanza di una volontà del defunto – espressa – sussiste una legittimazione in capo a familiari. Il principio non è nuovo, nel senso che non è stato introdotto con la L. 30 marzo 2001, n. 130, ma sussisteva anche precedentemente, risalendo all’art. 79, comma 1, secondo periodo, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, per il quale, in mancanza di volontà (testamentaria, eseguibile) della persona defunta, è stata introdotta la legittimazione dei familiari per la manifestazione della volontà alla cremazione dei cadaveri, individuandone i familiari legittimati, nonché le forme attraverso cui esprimere, formalizzare una tale volontà. Non si entra qui nel merito se una tale legittimazione costituisse (con riferimento al sopra citato art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) esercizio di una potestà propria, ed autonoma, sussistente in capo ai familiari (tesi per cui si dovrebbe propendere), oppure una “rappresentazione” da parte di questi della volontà altrimenti, anche informalmente, espressa dalla persona defunta, Impostazione quest’ultima formulata dal Ministero dell’interno, sentito il Dipartimento per la funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri con la circolare telegrafica n. 34 del 1° settembre 2004, limitandoci a considerare come la L. 30 marzo 2001, n. 130 abbia, mantenendo il principio, con alcune sostanziali innovazioni: a) accanto alla disposizione testamentaria (del defunto) è stata considerata, altresì, “… qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto …”, b) è stata superata la questione, precedentemente operante, per cui, in caso di pluralità di parenti nel grado più prossimo (non si considera – mai – a questi fini la linea (retta o collaterale), né l’ascendenza o discendenza del rapporto di parentela), occorreva la manifestazione di volontà da parte di tutti costoro, introducendo, limitatamente ai fini dell’accesso alla cremazione dei cadaveri, il principio della maggioranza assoluta di essi.

05. Appare evidente come il tenore dell’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130, considerando come pre-condizione per un “intervento” da parte dei familiari la mancanza sia della disposizione testamentaria, sia di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto, possa, nella seconda ipotesi, portare ad una “rappresentazione” della volontà dei familiari (almeno a certe condizioni e, comunque, senza esclude l’esercizio di una volontà loro), si collochi nel procedimento di autorizzazione alla cremazione dei cadaveri, facendo rilevare, a tal fine, anche la volontà del defunto per quanto formulata eventualmente in termini non formali. Ritorna, a questo punto la questione se le disposizioni dell’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130 siano applicabili anche all’istituto della dispersione delle ceneri, istituto riguardante le c.d. “destinazioni” delle ceneri, che ha propria autonomia rispetto alla cremazione i9n quanto pratica funeraria, ma attiene al titolo di disposizione post mortem del corpo, cioè a diritti civili decisamente molto personali, per quanto non personalissimi, tanto più che l’art. 411, comma 4 C.P. (quale aggiunto dal sopra ricordato art., 2 L. 30 marzo 2001, n. 130), considera l’espressa volontà del defunto. Su questo tema è intervenuto il T.A.R. Sardegna, Sez. 2^, sent. n. 100 del 5 febbraio 2014 – Allegato 1 – con cui è stato considerato come “… non esisterebbe alcuna norma vigente che subordini la dispersione delle ceneri del defunto alla presentazione di una dichiarazione di volontà manifestata per iscritto da parte del defunto”, proseguente nel considerare l’art. 3, comma 1, lett. b) L. 30 marzo 2001, n. 130 nel suo incipit, senza tenere conto, inizialmente, delle specificazioni presenti nella numerazione in cui la stessa lett. b) si articola, riprendendo queste successivamente. Di seguito, dandosi atto di come la disposizione sulla dispersione delle ceneri (per altro, strumentalmente considerata solo nella fattispecie della dispersione in apposite aree a ciò destinate, nulla precisa in ordine alle modalità formali di espressione e di dimostrazione della scelta del de cuius in ordine alla dispersione delle proprie ceneri, dal che consegue - se non altro in base ai fondamentali principi civilistici di “libertà di forma negoziale” e di “salvaguardia della volontà del de cuius”- che deve considerarsi valida anche una volontà verbalmente espressa ai propri familiari e da questi “attestata” con propria dichiarazione conforme, come nel caso di specie. Il richiamo ai principi civilistici sulla libertà delle forme elude la questione della portata della formula circa l’espressa volontà del defunto, statuita dall’art. 411, comma 4 C.P. (osservandosi come la sentenza eviti ogni richiamo all’art. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130). Di un certo rilievo il dubbio sollevato circa la sostenibilità di una diversa disciplina tra condizioni per l’accesso alla cremazione dei cadaveri e istituti di c.d. “destinazioni” delle ceneri, dal momento che esso coglie, pur senza darvene soluzione, la questione di fondo, consistente nel fatto che la cremazione dei cadaveri e le (diverse, possibili) c.d. “destinazioni” delle ceneri costituiscano un unicum, oppure attengano ad istituti dotati di propria autonomia, per quanto correlatiti sequenzialmente. Alche il richiamo all’art. 4, commi pertinenti, L.R. (Sardegna) 22 febbraio 2012, n. 4 poco aggiunge se non per la parte (comma 2) in cui le due autorizzazioni (quella alla cremazione e quella per la dispersione delle ceneri) sono affrontate con medesime indicazioni, di procedimento. Sotto questo profilo, proprio l’art. 2, comma 2 L.R. (Sardegna) 22 febbraio 2012, n. 4 consente di considerare, nell’ambito della regione interessata, ammissibile la manifestazione della volontà alla dispersione delle ceneri resa dai familiari. Il ché, per altro, non toglie come tra la formule di “espressa volontà del defunto” e di “nel rispetto della volontà del defunto”, corrano differenze non solo redazionali. Infatti, nel primo caso rileva la volontà del defunto in quanto tale (tralasciando le forme e modi di espressione), mentre nel secondo caso, il “rispetto” potrebbe osservarsi anche quando i familiari intendano ricorrere a pratiche funerarie alla sola condizione che queste non contrastino con la volontà del defunto, sempre che ne abbia espressa una. Infatti, nell’ipotesi, non infrequente, per cui il defunto non abbia espresse volontà di sorta non potrebbe sollevarsi questione di inosservanza della sua volontà: si considerino le ipotesi dell’accesso ad altre pratiche funerarie (inumazione, tumulazione), laddove non solo ai familiari neppure viene richiesta alcuna formalizzazione, ma si prescinde totalmente da ogni altra valutazione su quale fosse, o potesse essere stata, la volontà.

06. Rimanendo in materia, è già stato fatto, sommario, cenno alla pronuncia del T.A.R. Veneto, Sez. 1^, sent. n. 884/2013 del 21 giugno 2013 – Allegato 2 – chiamato a decidere su di un contenzioso promosso da familiari di persona defunta, diversi dal coniuge, in una situazione in cui il coniuge, decorso un certo tempo (circa 1 anno) dalla tumulazione del feretro del coniuge pre-defunto, aveva richiesto di autorizzare la cremazione del corpo, documentando, con modalità più o meno testimoniali (in sede giudiziale può farsi ricorso a plurimi mezzi di prova), che la persona defunta non intendeva essere cremata. Per inciso, il coniuge superstite, in sede di procedimento istruttorio ai fini del rilascio dell’autorizzazione alla cremazione, aveva dichiarato che “… la defunta moglie non aveva mai dichiarato la volontà di non essere cremata …”, con un’evidente inversione, rovesciamento concettuale rispetto alla previsione (art. 3, comma 1, lett. b) L. 30 marzo 2001, n. 130.
Venuta ad essere provata la volontà della persona defunta ad essere cremata, viene anche a cadere la legittimazione dei familiari a “sostituire”, per così dire, una volontà testamentaria o qualsiasi espressione di volontà (nella fattispecie, comprovata, in sede giudiziale, come negativa, rispetto alla pratica della cremazione), avvalendosi delle disposizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130 (con la specificazione che l’art. 47 L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18 e succ. modif. si limita a rinviare all’art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130 per quanto riguarda la manifestazione di volontà del defunto relativamente alla cremazione ed alla dispersione delle ceneri.
Per altro, se, a partire dall’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 quindi proseguendo con le disposizioni dell’art. 3, comma 1, lett. b) L. 30 marzo 2001, n. 130, i familiari non siano considerati in posizione di pari legittimazione, quanto in un rapporto di poziorità, dove la precedenza nell’ordine include la potestà, ma altresì comporta l’esclusione dei familiari individuati in ordine susseguente, impostazione che altro non è se non la sintesi dell’ampia quanto uniforme giurisprudenza nel tempo venutasi a formare in materia di titolarità a disporre delle spoglie mortali dei defunti, nonché per le ritualità funebri e per il ricorso a questa o quella tra le pratiche funerarie, dal momento che possono esservi conflittualità tra i familiari, nei loro diversi rapporti con la persona defunta, non mancano di aversi, di tanto in tanto, contenziosi che ripropongono la questione. Ad esempio, è notizia anche abbastanza recente della situazione in cui un coniuge, in seconde nozze, sia stata interessata a procedimento penale (in corso) per avere omesso di dichiarare l’esistenza di figli di 1° letto) del coniuge defunto, in sede di procedimento preliminare all’autorizzazione alla cremazione e, successiva, dispersione delle ceneri in mare (in regione sprovvista di coste marittime). La questione richiederebbe (ma occorre?) di ricordare come il rapporto di coniugio non instauri un rapporto di parentela, rapporto definito dall’art. 74 C. C. (recentemente modificato dall’art. 1, comma 1 L. 10 dicembre 2012, n. 219) bensì il più stretto rapporto, appunto, di coniugio, sorgente dal matrimonio.

07. La questione dei regolamenti comunali: la sopra ricordata pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. 2^, sent. n. 100 del 5 febbraio 2014, ha, incidentalmente, considerato come, nella questione sottoposta al giudice amministrativo, nessuna incidenza avessero riferimenti al regolamento comunale di polizia mortuaria, dato che questa fonte fa riferimento a normativa di rango primario, senza alcuna aggiunta o specifica previsione: tale assunto è del tutto condivisibile, oltretutto, va considerato come l’art. 4, comma 5, terzo periodo, L.R. (Sardegna) 22 febbraio 2012, n. 4, demandi al regolamento comunale ben altro, cioè la definizione: a) delle dimensioni delle urne, b) delle caratteristiche dei luoghi di conservazione da parte dei privati in modo da garantire la sicurezza da ogni forma di profanazione e c) di ogni altra prescrizione di carattere igienico-sanitario, nonché d) delle modalità d.1) di rinuncia all’affidamento, d.2) di consegna dell’urna cineraria al comune in caso di decesso dell’affidatario o di rinvenimento dell’urna da parte di terzi. Senza formulare considerazioni circa il fatto se tali “oggetti” di norme regolamentari comunali attengano propriamente alla potestà regolamentare dei comuni ai sensi dell’art. 7 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. (per quanto applicabile nella regione Sardegna, regione a Statuto speciale) e/o, prima, dell’art. 117, comma 6, terzo periodo, Cost. (…. in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. …), tale formulazione appare mutuata dall’art. 162, comma 5, terzo periodo, L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4 (di pari formulazione), disposizione che, per altro, prevede (comma 2) come l’’autorizzazione alla cremazione e alla dispersione delle ceneri sia rilasciata dal soggetto competente individuato dalla normativa statale di cui al comma 1 e secondo le modalità stabilite dalla medesima, con particolare riferimento alla manifestazione di volontà espressa dal defunto o dai suoi familiari. Va osservato come si sia poco spiegabilmente diffusa, nella regione Lazio, l’impostazione secondo cui l’applicazione dell’art. 162, nella sua interezza, della citata legge regionale richiedesse, in qualche modo, l’adozione, e conseguente efficacia di norme regolamentari comunali, per quanto i soli aspetti oggetto di regolamentazione comunale altro non fossero se non quelli individuati dall’art. 162, comma 5, terzo periodo (sopra ricordati), impostazione che palesemente contrasta con il già citato comma 2.
Per inciso, l’efficacia delle norme regolamentari in materia è regolata dall’art. 345 T.U.LL.SS., approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., nonché dal D.M. 18 novembre 1998, n. 514, osservandosi che, come noto, nessuna regione, pur avendo legittimazione a farlo, ha minimamente proceduto ad “avocare” a sé stessa la titolarità di tale procedimento, non essendo sufficiente, sotto questo profilo, l’adozione di una qualche propria normazione sotto il profilo sostanziale, trascurando se sussista, o sussistesse, competenza regionale in funzione dell’adozione di una proprio normazione: non va trascurato come si tratti di un procedimento avente ad oggetto il sorgere delle condizioni di efficacia, in funzione della tutela dei terzi di buona fede, e non di un controllo, di un’autorizzazione o altro atto amministrativo, comunque denominato o denominabile.
Da una tale impostazione, discende, per molti versi, il contenzioso deciso dal T.A.R. Lazio, sede di Roma, Sez. 2^-bis, sent. n. 3407 del 4 aprile 2013 – Allegato 3 – con cui è stata affrontata una situazione in cui ha avuto un ruolo la procedura di adozione, ed efficacia, di regolamento comunale di polizia mortuaria, per le parti in oggetto. Per quanto siano sempre improprie argomentazioni ex post, non si può non considerare come il comune si sia esposto a valutazioni sui termini per la conclusione dei procedimenti (art. 2 L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif.), nel momento in cui non ha provveduto, in pendenza dell’efficacia delle modifiche regolamentari, lasciando, in pratica, pendente la conclusione del procedimento. Nulla avrebbe ostato a che fosse, nei termini stabiliti per la conclusione del procedimento, stato adottato provvedimento di diniego, dato che ciò non avrebbe esclusa la riformulazione dell’istanza alla dispersione delle ceneri in momento successivo, cioè quando fosse intervenuta l’efficacia delle modifiche regolamentari adottate. Prospettiva, oltretutto, considerata anche dall’art. 162, comma 8 L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4.

08. Tra le diverse c.d. “destinazioni” delle ceneri, o – meglio – dell’urna cineraria in cui sono raccolte, oltre alla dispersione – che, per inciso, è prevista tanto in apposite aree a ciò destinate all’interno dei cimiteri, quanto al di fuori di essi, cioè in natura e simili, non senza obliterare la funzione del cinerario comune (in relazione al cinerario comune non può evitarsi di segnalare come in regione Veneto sia stato ritenuto che le urne cinerarie non siano suscettibili, anche quando destinate alla conservazione nel cinerario comune, di apertura e riversamento del contenuto, ma debbano rimanere ermeticamente chiuse, trasformando il cinerario comune in una modalità di tumulazione; nota del 2 agosto 2012) – l’art. 3, comma 1, lett. e) L. 30 marzo 2001, n. 130, prevede, e sempre nel rispetto della volontà espressa dal defunto, alternativamente, la tumulazione, l’interramento o l’affidamento ai familiari.
Per quanto riguarda la destinazione della tumulazione, essa porta a dover rinviare alle disposizioni dei Capo XVII (in parte anche ai Capi XX e XXI) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.

09. Per la “destinazione” delle ceneri all’interramento, merita di essere sollevata la questione se questa modalità di “destinazione” abbia natura “conservativa”, oppure “dispersiva”: trattandosi di una “destinazione” che si pone come alternativa alla dispersione delle ceneri. Si dovrebbe concludere per una funzione “conservativa”, che, per altro, appare contraddetta, in alcune regioni (art. 3, comma 1, lett. b) L.R. (Campania) 9 ottobre 2006, n. 20; art. 4, comma 2, lett. b) L.R. (Basilicata) 28 aprile 2009, n. 14; meno esplicito, per la sua indeterminata genericità, l’art. 3, comma 1, lett. b) L.R. (Toscana) 31 maggio 2004, n. 29 e succ. modif.) da prescrizioni sui materiali costitutivi delle urne cinerarie che producono un anomalo effetto di dispersione delle ceneri, per il fatto che, quando si prescrivano materiali biodegradabili, deriva che si abbia, nella sostanza, una, peculiare, modalità di dispersione, cosa potrebbe esporre i comuni ad azioni per risarcimento del danno derivante dal non reperimento dell’urna, e – soprattutto – delle ceneri in essa raccolte, al momento della scadenza della concessione dell’area, sempre ché i comuni non abbiano l’avvertenza di segnalare esplicitamente come, con urne costituite di materiale biodegradabile, consegua l’assenza di conservazione. Tra l’altro, non considerando come una tale ipotesi possa essere ammissibile esclusivamente in aree appositamente a ciò destinate e già avute in concessione essendo escluso che possa effettuarsi nelle aree destinate alle inumazioni considerate dall’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, modalità pressoché assente nelle regioni così interessate.

10. Per quanto riguarda l’istituto dell’affidamento ai familiari delle urne cinerarie, in alcune regioni divenuto “affidamento personale”, in altre “conservazione in ambito privato” (magari, anche, da parte di indeterminati quanto indeterminabili “aventi diritto”), occorre precisare che questa modalità di conservazione delle urne cinerarie costituisca, sotto il profilo sostanziale, una conservazione dell’urna cineraria in luogo diverso dal cimitero, portando a richiamare anche le previsioni dell’art. 343, comma 2 T.U.LL.SS., approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif. Ne consegue che l’affidamento, in alcuni casi la consegna dell’urna cineraria, costituisca solo il momento iniziale di una tale conservazione dell’urna cineraria stessa in sito diverso dal cimitero, sollevando la questione della relativa autorizzazione, ma anche dei soggetti legittimati ad autorizzare una tale conservazione in sito diverso dal cimitero.
Si tratta di aspetti che la L. 30 marzo 2001, n. 130 non affronta, men che meno sono affrontati da norme regionali, spesso più ridondanti sulle procedure di consegna, da parte dell’impianto di cremazione, dell’urna cineraria che di affrontare l’istituto. Non mancano, in proposito, norme regionali che prevedano come l’affidatario debba essere stato previamente individuato, in vita, dalla persona defunta, oppure quelle che estendono l’ambito soggettivo degli affidatari ben oltre all’ambito familiare, consentendo così l’insinuazione di pratiche alternative, in cui, oltretutto, i familiari, anche particolarmente stretti, della persona del defunto possono essere relegati ad un ruolo di estraneità.
Seppure la L. 30 marzo 2001, n. 130 e, a maggiore motivazione, le norme regionali sin qui emanate, non affrontino il tema dell’autorizzazione all’affidamento dell’urna cineraria, ciò non di meno la sua necessità è deducibile solo che si consideri come la conservazione dei defunti (quel ne sia lo stato) sia di norma attribuita ai cimiteri (ovviamente, lasciando salve le disposizioni in materia di dispersione delle ceneri al di fuori di esse, ma questa non è una conservazione, quanto il suo opposto), alla luce dell’art. 340, comma 1 T.U.LL.SS., approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., norma che rileva sotto il profilo dell’ordine pubblico, essendo la sua eventuale violazione corredata non solo da norma sanzionatoria, quanto da norma che importa il ripristino della situazione violata, e che ammette deroghe, debitamente oggetto di autorizzazione, in situazioni peculiari, connotate (per i cadaveri) da valutazioni di concorso di motivazioni di speciali onoranze. Per questo appare inammissibile che l’istituto dell’affidamento dell’urna cineraria sia sottratto a forme di autorizzazione, meno ancora che esso derivi da una dichiarazione di chi (avendone titolo) riceva in consegna l’urna cineraria dall’impianto in cui è avvenuta la cremazione, meramente dichiarandone una tale destinazione finale. Per altro, l’esigenza di un titolo autorizzatorio ripropone la questione del soggetto, funzionalmente e territorialmente, competente, ad emettere il titolo di autorizzazione all’affidamento, questione che trova soluzione pressoché in via esclusiva nei c.d. principi generali del diritto amministrativo, sulla base dei quali una competenza sussiste in capo all’autorità funzionalmente competente nel luogo in cui l’attività oggetto dell’autorizzazione (consistente nella conservazione dell’urna cineraria in sito diverso dal cimitero) debba aversi.

11. L’art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130 prevede, in aggiunta alle prescrizioni antecedenti, che l’Ufficiale dello stato civile, previo assenso dei soggetti legittimati, o, in caso di loro irreperibilità, dopo trenta giorni dalla pubblicazione nell’albo pretorio del comune di uno specifico avviso, autorizza la cremazione delle salme inumate da almeno dieci anni e delle salme tumulate da almeno venti anni. Si è qui in presenza di una previsione che potrebbe essere riferita come ipotesi di portata generale, non subordinata ad altri fattori (un qualche regione sono state introdotte subordinazioni si scarsa funzionalità), dove la posizione stessa dei familiari risulta temperata – rispetto alla cremazione dei cadaveri – non essendo richiesta alcuna manifestazione in positivo) di volontà alla cremazione, quanto un mero assenso, oltretutto ulteriormente attenuato nell’ipotesi di non reperimento dei familiari aventi titolo a disporre delle spoglie mortali, caso nel quale è sufficiente una pubblicazione (e per un lasso temporale decisamente breve, quanto meno nel contesto cimiteriale) di specifico avviso all’albo pretorio (nonché ai sensi dell’art. 32 L. 18 giugno 2009, n. 69 e succ. modif.), da cui può agevolmente ricavarsi come i familiari vengano a trovarsi nella posizione di potere, se lo ritengano, opporsi a questa pratica, per molti versi definibile, quale “automatica”, attraverso una diligenza specifica.
Per altro, la previsione qui considerata può essere, ad osservatori superficiali, esposta a fraintendimenti, in particolare assumendo a parametro il solo dato cronologico (durata della precedente collocazione cimiteriale, differenziata a seconda della pratica funeraria utilizzata, fattore cronologico che si riscontra in altri contesti: si pensi alla definizione presente all’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 (e, prima di questa, alle indicazioni, apparentemente simili, del Punto 15) della circolare del Ministero della sanità, n. 24 del 24 giugno 1993 e, quindi, del Punto 1) della circolare dello stesso Ministero della sanità n. 10 del 31 luglio 1998), per cui il termine “resti mortali” deve essere ora riferito non solo con riguardo al fattore meramente cronologico, ma altresì alla presenza di fenomeni cadaverici trasformativi conservativi: in pratica, al decorso del termine della pregressa inumazione o tumulazione va aggiunta la considerazione circa la verifica di tali eventi conservativi.
Tra l’altro, il già citato art. 3 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, per quanto norma di rango secondario, risulta non del tutto ricorrere alle medesime formulazioni dell’art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130, quando (comma 5) prevede la competenza del … competente ufficio del comune in cui (i resti mortali, come sopra definiti) sono esumati o estumulati. Tra le due disposizioni, va osservato come la L. 30 marzo 2001, n. 130 individui, per queste ipotesi di cremazione, unicamente il dato cronologico, mentre la norma regolamentare, per quanto successiva, individui la competenza funzionale in modo non specifico, consentendo così di rilevarla sulla base del regolamento comunale considerato dall’art. 48, comma 3 testo unico, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif..