ALLEGATO 3
Regione Abruzzo – L.R. (Abruzzo) 18 dicembre 2013, n. 51 “Modifiche alla L.R. 10 agosto 2012, n. 41 (Disciplina in materia funeraria e di polizia mortuaria)”

Le modifiche introdotte con la L.R. (Abruzzo) 18 dicembre 2013, n. 51 alla precedente L.R. (Abruzzo) 10 agosto 2012, n. 41, non sono tali da intaccare, nella sua sostanza, le considerazioni formulate con la precedente circolare SEFIT n. 3403/2012/9AG del 3 settembre 2012, cui pertanto si fa rinvio. Semmai, non può non lasciare perplessi il fatto che, con l’art. 6 L.R. (Abruzzo) 23 dicembre 2013, n. 54, avente oggetto chiaramente non pertinente, si sia proceduto ad una sostituzione, di parte delle precedenti modifiche, tanto che le due leggi regionali entrano in vigore contemporaneamente.

Il primo intervento modificativo può, per molti versi, considerarsi anche ridondante ed implicito, dal momento che rientra nell’ordine delle cose che il soggetto competente (ASL) disponga della titolarità ad adottare misure organizzative per lo svolgimento delle proprie funzioni.

Il secondo interviene sull’impropriamente definito “diritto di sepoltura”, che meglio poteva esprimersi come presupposti di accoglimento nei cimiteri, dato che la norma oggetto di modifica (art. 23) ha riguardo all’oggetto che, prima della L.R. (Abruzzo) 10 agosto 2012, n. 41, era regolato, anche in regione, dall’art. 50 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con cui si individuavano le condizioni di accoglimento, in termini di obbligo di accoglimento (fatta salve le diverse scelte dei familiari), impostazione che, per altro rimane. La modifica viene a non considerare più un qualche titolo di accoglimento relativamente alle ossa ed alle ceneri (leggansi: urne cinerarie), cosa che potrebbe far sorgere alcune difficoltà interpretative, nell’eventualità che si venga a riscontrare la situazione di cui all’art. 11 legge regionale, difficoltà che possono essere superate considerando come il testo, come ora modificato, sia decisamente “prossimo” all’art. 50 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, da cui si differenzia per la mera sostituzione dell’aggettivo “stesso” con le parole “scelto dai famigliari del defunto”. In ogni caso, la scelta da parte dei familiari non può che essere connessa che con la disponibilità, in altro comune di un sepolcro privato rispetto a cui il defunto abbia titolo ad essere accolto.

La modifica all’art. 29, comma 3 risulta funzionalmente collegata all’istituto del trasferimento di salma (art. 16 legge regionale), senza che sia stata approfondita (cosa che forse non poteva neppure pretendersi da parte delle strutture regionali, men che meno da altri) la questione se le disposizioni dell’art. 3, comma 1, lett. h) L. 30 marzo 2001, n. 130, possa, o meno, ritenersi ancora attuale oppure se non debba ritenersi implicitamente (art. 15 Disp. legge in gen.) abrogata per effetto della L. 30 giugno 2009, n. 85 “Adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d'Austria, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum). Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA. Delega al Governo per l'istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria. Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale.”, legge che prevede, tra l’altro (art. 9), i casi di prelievo di campioni biologici, aprendo la questione se i casi così individuati debbano essere considerati solo ai fini dell'inserimento del profilo del DNA nella banca dati nazionale del DNA, oppure debbano essere valutati come di applicazione generale, non dimenticando, inoltre, come, intervenuto il decesso e, per questo, cessata la capacità giuridica (art. 1 C.C.), non vi siano particolari motivi per tutelare diritti, tesi che non può sostenersi più di tanto, dato che travolgerebbe, quanto meno, le previsioni del Libro II, Titolo IV, Capo I del C. P. (artt. 407-413 C.P.). Questo porta, tra l’altro, a considerare sussistente una tale incoerenza, non solo quanto considerata in termini universali (riferita a tutti i defunti, quale ne sia la pratica richiesta), ma anche quando venga proposto che l’obbligo del prelievo sia limitato ai soli casi in cui vi sia la scelta per la pratica della cremazione. Si tratta di una questione non di poco conto, articolata e complessa, ma che appare di un certo rilievo.

Le modifiche introdotte con l’art. 5 L.R. (Abruzzo) 18 dicembre 2013, n. 51 hanno riguardo all’attività funebre (e, per inciso, hanno anche visto pronunce mediatiche da parte di assessore regionale), specificandosi, con rinvii alla funzionalità, il concetto di disponibilità di “strumentazione” minimamente necessaria, ma anche di requisiti afferenti al personale, rispetto a cui non può non osservarsi come il fatto di richiamare (in particolare con le modifiche successivamente introdotte) un inquadramento “nel rispetto delle norme nazionali sul mercato del lavoro” appaia fortemente generica. Si tratta di aspetto che, nella seduta del 3 dicembre 2013, aveva visto una certa formulazione, relativamente ai requisiti per lo svolgimento dell’attività funebre e – in particolare – con riferimento al personale, e che con la modifica introdotta dall’art. 6 L.R. (Abruzzo) 23 dicembre 2013, n. 54, che evidentemente porta ad una attenuazione dei requisiti in materia di personale, che non favorisce percorsi di crescita imprenditoriale, quanto favorisce l’incremento di una polverizzazione degli operatori, senza una “visione d’impresa” degna di questo nome. La “velocità” con cui sono state attuate, ma anche il veicolo normativo utilizzato, lasciano considerare come gli ambiti regionali siano vieppiù esposti a pressioni di diversi stakeholders, e a interessi non sempre uniformi, evidenziando, ancora una volta, l’esigenza di un quadro di riferimento nazionale ed imprenditoriale.

Rilevante, per i comuni, la modifica che prevede la periodicità – annuale – nella verifica della permanenza dei requisiti previsti dalla normativa in materia per lo svolgimento dell’attività funebre, che non consentirà approcci campionari, né risulta particolarmente congruente con l’art. 35, comma 2 L.R. (Abruzzo) 10 agosto 2012, n. 41, e richiederà che i comuni adottino le misure organizzative a ciò necessarie.
Per quanto riguarda il regime transitorio, questo viene fissato, di fatto prorogato, alla data del 30 giugno 2015.

L’ultima modifica estende le attribuzioni del competente Servizio della Giunta regionale alla definizione della modulistica necessaria per l’esercizio dell’attività, cioè quella che attiene alla SCIA e, si deve presumere, anche le indicazioni di corredo costituita dalla documentazione e dalle autocertificazioni in ordine al possesso dei requisiti per lo svolgimento dell’attività funebre, quasi che un operatore economico, in quanto tale, non avesse la strumentazione per provvedervi autonomamente, necessitando di ausilii di matrice esterna, costituendo ormai componente essenziale e diffusa per ogni attività d’impresa. Per altro, anche considerando possibili, ed eventuali esigenze di uniformità, deve rilevarsi come una tale attribuzione costituisca uno “spreco normativo”, in contrasto con principi di non eccedenza, per essere disposta con norma di rango primario, quando a tal fine ben poteva sussistere una titolarità sulla base delle disposizioni dell’art. 4, comma 2 D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, senza che fosse necessaria norma, tanto di rango secondario quanto, a maggiore ragione, di rango primario. Per altro, in questi ambiti non mancano, come non sono mancate, impostazioni per cui è stata operata l’incongrua scelta di ricorrere a norme di rango primario, a volte per sostituire (spesso, riproducendole, nella sostanza) norme di rango secondario o regolando con norme quando le medesime finalità costituivano oggetto di titolarità amministrativa, in larga parte propria delle figure dirigenziali, per loro propria natura.