ALLEGATO 3
Cimiteri e pregresse concessioni cimiteriali concesse in perpetuità – Orientamenti giurisprudenziali

01. Le due sentenze considerate, fatta sempre salva l’ipotesi che non vengano valutate diversamente dal Consiglio di Stato, nell’ipotesi di reclamo (aspetto che, probabilmente, potrebbe interessare maggiormente la seconda, in relazione ai termini temporali), intervengono sulla questione della perpetuità delle concessioni cimiteriali, per quanto partendo da presupposti differenti e emesse in relazione ad altrettanto differenti fattispecie, ma si discostano da precedenti pronunce, sia amministrative, che di giudizio di legittimità in sede civile.

02. Ai fini dell’inquadramento della questione concernente la perpetuità nelle concessioni cimiteriali, occorre ricordare come il R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 prevedesse – art. 70 – che le concessioni cimiteriali potessero essere tanto a tempo determinato (lasciando ai regolamenti comunali di polizia mortuaria la definizione della durata) quanto a tempo indeterminato, previsione precedentemente presente nell’art. 100 del R.D. 25 luglio 1892, n. 448 (non si citano norme ulteriormente antecedenti in quanto omogenee, sul punto).
Con l’art. 93 D.P.R. 21 ottobre 1975 (entrato in vigore, come largamente noto, il 10 febbraio 1976) è stato previsto che le concessioni cimiteriali – rilasciate dopo la sua entrata in vigore – fossero a tempo determinato e di durata pre-determinata, formulazione attualmente presente, nel medesimo testo, nell’art. 92 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con la conseguenza che per le concessioni sorte a partire dal 10 febbraio 1976 non è più ammissibile un’indeterminatezza nella durata (cioè, una perpetuità della concessione cimiteriale), ma altresì che le concessioni, a tempo determinato, abbiano una durata di cui è stabilito un termine massimo (99 anni). Tra le norme, citate, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 e quelle del successivo, vigente, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, vanno rappresentate alcune differenze:
a) la norma del 1975 (entrata in vigore nel 1986) considera le concessioni rilasciate dopo la sua entrata in vigore;
b) la norma del 1990 (vigente) considera – all’art. 92, comma 2 – altresì le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803, mentre (comma 1) da come acquisita la determinatezza della durata, per le nuove concessioni.

03. Va considerato come la precedente ammissibilità di concessioni sia a tempo determinato (la cui durata era rimessa ai regolamenti comunali), sia a perpetuità, abbia visto le amministrazioni comunali fare ricorso sia all’una che all’altra, con la conseguenza che vi è una larga diffusione di concessioni perpetue. Decisamente meno diffusa, per quanto sia qui o là presente, la presenza di concessioni a tempo determinato di durata eccedente i 99 anni. La presenza di concessioni cimiteriali a perpetuità, i cui effetti potevano probabilmente non essere stati valutati all’origine, oppure valutati come poco rilevante (per altro, questa scarsa valutazione sugli effetti non può considerarsi del tutto generalizzata, o generalizzabile, se si tenga presente come, alcuni Regolamenti comunali di polizia mortuaria, anche risalenti, correlassero la concessione in perpetuità, con previsioni, particolarmente di natura procedimentale, richiedenti una sorta di “conferma” o “rinnovo”, generalmente 30ennale, della concessione, che, ove non avvenisse, costituiva causa di estinzione della concessione, per quanto perpetua). Si tratta di situazioni che sono state considerate, tra le altre, dal Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. n. 5505 dell’11 ottobre 2002, che ne ha evidenziato l’illegittimità, disapplicando le norme regolamentari comunali che prevedevano un tale “rinnovo” o “conferma”, conseguentemente disapplicandole, in considerazione (un tempo) del lieve numero di concessioni cimiteriali (incidentalmente ricordando come l’art. 59 R.D. 6 settembre 1874, n. 2120 considerasse non compresa nell’area cimiteriale la superficie destinata a sepolture private, cioè alle sepolture che non avvenissero nei campi di inumazione comune, indicazione rilevante sotto il profilo della pre-determinazione del c.d. “fabbisogno cimiteriale”, che, pur con formulazioni mutate trova riscontro attuale nell’art. 59 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, essendo tuttora un tale “fabbisogno” dimensionabile secondo i criteri dell’immediatamente precedente art. 58 ), è divenuta nel tempo, fonte di criticità per più ordini di motivi:
a) la crescita del numero delle sepolture private rispetto alle inumazioni in campo comune, crescita indipendente, per molti versi, dalla pratica funeraria utilizzata;
b) la modificazione nelle forme di sepoltura, giunta a vedere la prevalenza del ricorso alla tumulazione sull’inumazione, tumulazione che rappresenta valori prossimi ai 2/3, senza essere particolarmente precisi su tale rapporto, anche con differenze locali del tutto rilevanti, dal momento che, specie in alcune aree, il ricorso alla tumulazione è pressoché generalizzato, tanto da assumere, in termini di percezione diffusa, caratteristiche ritenute di “normalità”;
c) la distribuzione, a volte determinatasi nel tempo, delle concessioni cimiteriali sulle fasce perimetrali dei cimiteri;
d) la prevalente, in certe epoche, presenza di concessioni cimiteriali aventi ad oggetto l’area ai fini della realizzazione, da parte dei concessionari, di manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione;
e) la presenza, specie in determinate aree, di concessioni cimiteriali fatte non a persone o famiglia, quanto ad enti;
f) le trasformazioni nella struttura sociale che hanno visto come le famiglie interessate alla concessione cimiteriale abbiamo mutato composizione, siano state interessate a trasferimenti, ma anche ad una perdita di “ruolo” comportante la carenza attuale di risorse da destinare al mantenimento dei sepolcri, aspetti che costituiscono alcuni dei motivi che portano al fenomeno largamente presente dei c.d. sepolcri abbandonati;
g) la difficoltà di individuazione, e reperimento, degli aventi titolo, frequentemente a causa della carenza od incompletezza di registrazioni amministrative delle concessioni cimiteriali a perpetuità;
h) la possibile carenza documentazione, sia in ragione della “qualità” di conservazione degli archivi, ma, anche, a causa di omissioni o simili nella formazione degli atti di concessione.
A ciò vanno aggiunti i limiti di utilizzo delle sepolture in concessioni a perpetuità, in particolare quando a sistema di tumulazione (dove, a stretto rigore, non sarebbero ammissibili estumulazioni – art. 86, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
In particolare, le collocazioni delle concessioni perpetue in posizione perimetrale producono forti limitazioni nelle ipotesi in cui vengano a rendersi necessari ampiamenti delle aree cimiteriali. Per altro, anche nei casi di manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione nel tempo realizzati dai Comuni, spesso con strutture pluriposto ed in cui oggetto di concessione cimiteriale non sia stata l’area, quanto il diritto d’uso in quanto tale del singolo posto feretro, la perpetuità delle concessioni determina criticità gestionali di non poco conto. Si pensi, esemplificativamente, al fatto che, essendo, e rimanendo, il manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione di proprietà (e pertinenza demaniale) del Comune e che oggetto della concessione è solo il diritto d’uso del posto feretro, gli oneri di manutenzione, quanto meno straordinaria, rimangono a carico del Comune, a prescindere dal fatto che questi abbia provveduto o meno (in genere non vi ha provveduto) ad accantonare risorse, derivanti dalla tariffa di concessione, volte ad assicurare nel tempo (in perpetuità, nella fattispecie) i finanziamenti necessari per le manutenzioni straordinarie di tali sepolcri.
Probabilmente, in questi ultimi, un’ulteriore elemento di difficoltà nella gestione è derivabile dal venire meno, nel tempo, delle ragioni del tutto. Infatti, non si considera pressoché mai come il lutto, e, in connessione a questo, l’interesse alla cura ed al mantenimento del sepolcro, tenda, nel tempo, ad attenuarsi progressivamente, oltretutto riducendo correlativamente la propensione a sostenere oneri per la cura e mantenimento del sepolcro. Si tratta di una situazione che si evidenzia anche nelle concessioni cimiteriali a tempo determinato, dove alla scadenza non solo è difficile il reperimento delle persone tenutevi, ma anche non vi è disponibilità a sostenere gli oneri che gli aventi titolo devono assumere in conseguenza della scadenza della concessione.

04. A queste difficoltà, spesso i Comuni hanno fatto fronte, utilizzando lo strumento del Regolamento comunale di polizia mortuaria (non senza situazioni “informali”), prevedendo (es.) possibilità di intervenire su concessioni cimiteriali rilasciate in presenza di motivazioni di pubblico interesse, di esigenze di ampliamento cimiteriale oppure di ristrutturazione nei cimiteri, ma anche prevedendo la possibilità di procedere ad estumulazioni, una volta decorso un determinato periodo di tempo (spesso definito secondo stime che consentissero, localmente, di riscontrare una completa scheletrizzazione), in modo da consentire un certo quale ri-utilizzo del posti feretro, sul presupposto che ciò consentiva il persistere di un interesse alla cura e mantenimento dei sepolcri interessati dalle concessioni cimiteriali, anche perpetue.

05. Di fronte all’evidenziarsi delle criticità degli effetti delle concessioni cimiteriali a perpetuità, non sono mancate, grosso modo negli ultimi decenni, impostazioni volte ad un suo superamento, attraverso procedure, spesso con carattere di espediente, che si sono, abbastanza frequentemente, scontrate con la giurisprudenza sia amministrativa, che di legittimità. Per altro, questa giurisprudenza, per quanto producente effetti di salvaguardia della perpetuità, aveva un proprio fondamento sull’argomentazione per la quale l’inammissibilità della perpetuità nelle concessioni cimiteriali era venuta a sorgere solo relativamente alle concessioni rilasciate successivamente all’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, facendo leva sul tenore letterale del suo art. 93, cioè considerandosi come le concessioni cimiteriali rilasciate in precedenza rimanessero regolate dal regime originario, valutandosi come la concessione cimiteriale abbia fatto sorgere un diritto perfetto (e, sotto questo profilo, esaurito, così da non ammettere che un mutamento nella regolazione dell’istituto, successivo, fosse tale da comportare modificazione al diritto (e sue caratteristiche) sorte in precedenza. In questo senso, ex plurimis e senza alcuna pretesa di esaustività, può richiamarsi la pronuncia del T.A.R. per la regione Sardegna, Sezione 2^, sent. n. 95 del 30 gennaio 2006 per la quale l’art. 92, comma 2, del D.P.R. 285/1990 stabilisce che le concessioni cimiteriali successive al 1990 debbano essere ricondotte a due tipologie (esclusivamente) a tempo determinato; di conseguenza, non possono essere più rilasciate concessioni per l’uso perpetuo di aree cimiteriali. Nessuna norma, invece, prevede che le concessioni perpetue preesistenti debbano trasformarsi o essere ricondotte ad una delle tipologie previste dal D.P.R. citato. Pertanto, queste ultime rimangono assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio, potendo essere modificate solo da espressa disposizione di legge, da novazioni consensuali o dal concretarsi dei casi di estinzione quali ad es. soppressione del cimitero.
Sotto questo profilo non possono ignorarsi le diverse pronunce per le quali una concessione cimiteriali a perpetuità poteva venire meno, solo nel caso di soppressione del cimitero, ricordandosi, a questo proposito la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. n. 690 del 27 settembre 1960, nonché la successiva pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. n. 1447 del 24 novembre 1964 ed, anche in tal caso, con le procedure previste (oggi) dal Capo XIX del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, richiamandosi altresì, a pro del principio di irretroattività, il T.A.R. per la regione Emilia-Romagna, sede di Bologna, sent. n. 616 del 25 novembre 1993. Si vedano, tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. Un. Civ., sent. n. 4760 del 27 luglio 1988, oppure, incidentalmente, Corte di Cassazione, Sez. 3^ Civ., sent. n. 9190 del 15 settembre 1997, ma, anche, Consiglio di Stato Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent., n. 5316 dell’8 ottobre 2002, o la successiva pronuncia del T.A.R. per la regione Lazio, sede di Roma, Sez. 2^, sent. n. 138 del 14 gennaio 2009, sino alla più recente pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. n. 842 dell’8 febbraio 2011, con cui è stata dichiarata illegittima la revoca della concessione perpetua per la tomba di famiglia sorta in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.P.R. 285/1990, in assenza di specifiche condizioni. Non solo l’art. 92 del D.P.R. 285/1990 non prevede affatto la trasformazione delle concessioni perpetue in concessioni a tempo determinato (limitandosi a stabilire, ovviamente per il futuro, che non possano essere rilasciate che concessioni a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni e, in generale, che tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero, salvo il diritto dei titolari di concessioni non ancora scadute di ottenere nel nuovo un posto corrispondente), ma per quelle di durata eccedente i 99 anni la revoca possa essere disposta unicamente alla contestuale ricorrenza di tre condizioni, ossia, oltre il non uso ultracinquantennale ed il verificarsi di una “grave situazione insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune”, anche l’impossibilità di “provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di un nuovo cimitero”; condizione, quest’ultima, nella specie non esplicitata dalla stessa norma regolamentare, che anzi al terzo e quarto comma prevede l’esecuzione di lavori di sistemazione dell’intero cimitero e, in particolare, dei A, D, F e G, nelle more dei quali i rispettivi concessionari “non residenti nel Comune, avranno comunque diritto alla sepoltura nei quadri comuni fino alla scadenza della concessione”.

06. In senso meno condizionatorio si era pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. 1^ Civ., con sentenza del 20 dicembre 1954, ma anche le pronunce del Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. n. 2884 del 28 maggio 2001, nonché T.A.R. per la regione Basilicata, Sez. 1^, sent. n. 531 del 26 luglio 2010, ritenendo ammissibile l’adozione di provvedimenti di “revoca” delle concessioni cimiteriali, ancorché sorte a perpetuità. La questione della possibile revocabilità delle concessioni cimiteriali, anche quando, all’origine, perpetue, in particolare sulla sussistenza di motivazioni di c.d. pubblico interesse, ha visto alcune pronunce “possibiliste”, come (e sempre senza pretese di esaustività) il T.A.R. per la regione Veneto, Sez. 3^, sent. n. 3940 dell’11 dicembre 2007, n. 3940, oppure T.A.R. per la regione Lazio, sede di Roma, Sez. 2^, sent. n. 138 del 14 gennaio 2009, per cui le concessioni perpetue non rientrano tra quelle disciplinate dal primo periodo del comma 2 dell’art. 92 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, che riguarda esclusivamente le concessioni cimiteriali a tempo determinato, di durata eventualmente eccedente i 99 anni; le concessioni perpetue sono richiamate dall’art. 98, comma 1, dello stesso D.P.R. che prevede, solamente in caso di soppressione del cimitero, l’unica modalità di trasformazione delle concessioni perpetue in concessioni a tempo determinato della durata di 99 anni, facendone derivare che le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, si trovano in situazione di diritti acquisiti e non sono soggette a revoca. Dette concessioni mantengono il carattere di perpetuità, mentre si estingue la potestà di esercitare il diritto di sepoltura una volta esaurita la capienza del sepolcro. Così qualora il titolare della concessione intendesse successivamente procedere a nuove tumulazioni nello stesso sepolcro, si dovrebbe procedere all’estumulazione di una delle salme presenti nel sepolcro, per le quali dovrebbe essere richiesta una nuova concessione, integrativa della precedente, di durata non superiore a 99 anni.

07. Per inciso, il richiamo all’art. 98 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 consente alcune notazioni aggiuntive, sia per quanto riguarda la rilevanza della sussistenza di un “titolo” (… regolare atto di concessione …), che non può essere meramente presunto, sia per quanto è considerata una sostanziale trasformazione (connessa al trasferimento nel nuovo cimitero, da cui si enuclea anche che una soppressione di un cimitero dovrebbe essere correlata alla costruzione di un nuovo cimitero, anche se possa ammettersi che, nel caso, per “nuovo” cimitero possa considerarsi, a certe condizioni, altro cimitero del Comune, attribuendo tale aggettivazione come riferita a cimitero di “nuovo” utilizzo da parte dei concessionari delle concessioni cimiteriali insistenti nel cimitero oggetto della dichiarazione di soppressione) del rapporto giuridico esistente nel cimitero interessato alla dichiarazione di soppressione, dal momento che i titolari interessati hanno soltanto il diritto, e limitatamente al tempo residuo della concessione originaria (o, per 99 anni nel caso di concessioni perpetue), ad ottenere un posto corrispondente in superficie a quello precedentemente in concessione, nonché alla correlata traslazione delle spoglie mortali nel nuovo sito. La “corrispondenza in superficie” trova motivazione dalla presa d’atto che le norme in proposito considerano in via generale la sola ipotesi di concessione di aree cimiteriali (art. 90 D.P.R. 285/1990), il ché può determinare effetti peculiari quando, sull’area originariamente avuta in concessione, siano stati eretti manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione aventi capienze pluri-posto, problematica che è affrontata allo stesso art. 98, comma 2. Per altro, questa previsione, per quanto rara possa essere la fattispecie della soppressione di un cimitero, diventa di difficile applicazione nei casi in cui l’estinzione delle concessioni cimiteriali perpetue abbia a proprio oggetto, manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione costruiti dal Comune e per cui oggetto della concessione sia stato il solo diritto d’uso di uno, o più, posti feretro, dal momento che in tali situazioni viene a cadere il principio sia della “corrispondenza in superficie”, sia della concessione di area cimiteriale in quanto tale, non essendovi proprio alcuna concessione di area, quanto concessione avente tutt’altro oggetto. In tali situazioni, per quanto rare, empiricamente potrebbero individuarsi modalità di approccio abbastanza “informali”, quali (es.) l’ipotizzare che, in luogo di una concessione di uno (o, più) loculo, si “assegni” una celletta ossario (trascurando qui se per la durata residua della concessione cimiteriale originaria o per la durata normale prevista per questa tipologia di sepolcri privati a sistema di tumulazione), ipotesi che potrebbe argomentarsi sul fatto che, trattandosi di concessioni cimiteriali perpetue, non possono che risalire ad epoca precedente al 10 febbraio 1976 (il ché non esclude che possano esservi state tumulazioni in data successiva, magari anche abbastanza recente). Si tratta di un approccio del tutto empirico, che da un lato non trova conforto normativo, e dall’altro lato potrebbe costituire una modalità per offrire ai concessionari una qualche risposta, in termini di possibile continuità. La questione, se può apparire di scarsa, quando non assente, probabilità, considerando la fattispecie della soppressione del cimitero, assume un carattere di particolare attualità quando si tratti di concessioni cimiteriali a perpetuità insistenti in cimiteri in cui per ragioni – di pubblica utilità – debba procedersi ad ampliamenti, ristrutturazioni od altri interventi per un più adeguato utilizzo del cimitero, che richiedano (ragionevolmente, secondo logiche di necessità, e non arbitrariamente) una qualche ri-allocazione delle sepolture avvenute in tali manufatti o che, comunque, coinvolgano tali manufatti. Può ricordarsi come, proprio al fine di affrontare questa tipologia di problematiche, alcuni Regolamenti comunali di polizia mortuaria rechino la clausola per la quale, la revoca delle concessioni cimiteriali, possa essere disposta, oltre che nei casi dell’art. 92, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, altresì anche nei casi in cui “ciò sia necessario per ampliamento, modificazione topografica del cimitero o per qualsiasi altra ragione di interesse pubblico o di pubblica utilità”, o formulazioni sostanzialmente simili, clausola, spesso, estesa a tutte le concessioni cimiteriali, indipendentemente dalla loro tipologia e/o durata.
Non è il caso, qui, di valutare se queste ultime ipotesi siano o meno sostenibili, sotto il profilo dell’ambito di esercizio della potestà regolamentare del Comune, osservando unicamente come, in caso di mancate previsioni in questo senso, appare ben difficile ogni intervento su concessioni cimiteriali in essere (anche in questo caso, prescindendo dalla loro durata e tipologia) e supportate da regolare atto di concessione.

08. A questo punto, possono prendersi in considerazione le pronunce riportate negli Allegato 1 ed Allegato 2, principiando dalla sentenza del T.A.R. per la regione Sicilia, sede di Palermo, Sez. 2^, sent. n. 70/2012 dell’8 gennaio 2012 (Allegato 1), che affronta la questione della revoca delle concessioni cimiteriali, a perpetuità, sorta dalle difficoltà del Comune di Palermo di far fronte alla “domanda” cimiteriale (localmente con forte se non esclusiva prevalenza verso il sistema delle sepolture a tumulazione), esteso a quella per l’eventuale costruzione di un nuovo cimitero. Ovviamente non si affrontano, qui, gli aspetti di procedimenti amministrativi o propriamente processuali, ma unicamente la questione di fondo concernente l’estensione della disposizione regolamentare che disciplina la revoca delle concessioni a tempo determinato di durata eccedente i 99 anni anche alle concessioni perpetue, aspetto sul quale il T.A.R. adito si rifà a propria precedente decisione, fondata a sua volta nella pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. 5^, sent. 2884 del 28 maggio 2001 (vedi supra), giungendo alla con conclusione per la quale “verificata l’esistenza dei presupposti, è fuori discussione che il Comune può revocare la concessione, che è connotata da poteri autoritativi incompatibili con la perpetuità della stessa.”. Ne discende che anche nel caso di specie, quindi, il Comune ha legittimamente esteso la disciplina espressamente prevista per la revoca delle concessioni di durata superiore a 99 anni anche alle concessioni perpetue, rispondendo tale modus operandi alla ratio stessa della norma, la quale tende a far discendere la decadenza della concessione dal non uso della stessa che sottende la presunzione di carenza di interesse alla sua conservazione”, procedendo a considerare come la determinazione sindacale … risulterebbe “quindi, di fatto improntata al criterio del divieto generale delle concessioni cimiteriali sine die e i successivi atti alla concreta attuazione della disciplina in materia” (aspetto questo che viene di seguito meglio affrontato con riferimento all’altra pronuncia, ma rispetto a cui si evidenzia il “di fatto”, nonché l’enucleazione di un divieto di concessioni sine die). Infine, il T.A.R. adito affronta la questione di una potenziale disparità di trattamento non ravvisandola, sulla considerazione che non solo l’attuale normativa equipara tutte le concessioni vigenti per quanto riguarda il diritto all’assegnazione di una nuova concessione in caso di chiusura del cimitero, ma soprattutto non vi è alcun vantaggio per il concessionario a tempo determinato, che può avere diritto alla conservazione della stessa per il tempo stabilito, mentre il concessionario perenne o per una durata superiore a 99 anni ha diritto alla conservazione della stessa purché ne faccia uso almeno con cadenza inferiore a 50 anni.
Comprensibilmente, per la diffusa percezione di “normalità” delle sepolture a sistema di tumulazione, cui è stato fatto cenno in precedenza, accentuata in determinate aree, si oblitera di considerare quali sono, o sarebbero, i presupposti oggettivi dell’art., 92, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, i quali, a rigore, richiederebbero la concorrenza di una pluralità di fattori, concorrenza che appare, obiettivamente, molto improbabile, cioè:
a) concessioni a tempo determinato;
b) di durata eventualmente eccedente i 99 anni;
c) rilasciate prima del 10 febbraio 1975, n. 803;
d) avvenuta decorrenza di 50 anni dall’ultima tumulazione;
e) verifica di una grave situazione di insufficienza del cimitero, e rispetto al fabbisogno del Comune;
f) impossibilità – tempestiva – di procedere:
f.1) all’ampliamento del cimitero o,
f.2) alla costruzione di un nuovo cimitero.
Se le condizioni iniziali – lett. a) e b) – individuano le concessioni cimiteriali destinatarie della disposizione (mentre l’ultimo periodo della norma fa riferimento inequivocabilmente a tutte le concessioni cimiteriali, senza differenziazioni) e la terza – lett. c) – aggiunge l’integrazione riferita al momento originario, e la successiva – lett. d) – considera un elemento “individuale”, la condizione di cui alla lett. e) (“… grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune …”) appare tale da dover ricordare come il “fabbisogno” cimiteriale del Comune sarebbe riferibile (vedi supra Punto 03), propriamente, a ben altro che non alla disponibilità di sepolcri a sistema di tumulazione, non sussistendovi, giuridicamente parlando, obblighi per i Comuni di assicurare una tale disponibilità (se non in alcune realtà regionali, per effetto delle non meditate disposizioni dell’art. 27, comma 2, nonché dell’art. 30, comma 2 L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18 e succ. modif. o, in parte e con formulazioni decisamente più “sfumate”, dell’art. 30, comma 3 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 o dell’art. 5, comma 6 L.R. (Abruzzo) 10 agosto 2012, n. 41). Per altro, non possono neppure ignorarsi gli effetti del consolidarsi di determinate percezioni consolidatesi nelle realtà locali, che hanno fatto sorgere aspettative ben precise anche in questa direzione, per cui, in più occasioni, anche queste tipologie di “sepolture” sono venute ad assumere, de facto, un ruolo, in qualche modo, costitutivo di un “fabbisogno”, tanto da ritenere giustificati, anche in sede giurisprudenziale, interventi conseguenti, non solo nell’occasione della prima delle pronunce qui considerate (T.A.R. per la regione Sicilia, sede di Palermo, Sez. 2^, sent. n. 70/2012 dell’8 gennaio 2012), ma anche in altre, come può constatarsi da più sentenze richiamate in questa sede.

09. Per molti versi, la pronuncia del T.A.R. per la regione Sicilia, sede di Palermo, Sez. 3^, sent. n. 2341/2013 del 2 dicembre 2013 (Allegato 2), appare di maggiore innovatività, non solo per l’ammettere la legittimità di una “trasformazione” delle concessioni cimiteriali perpetue in concessioni a tempo determinato, per quanto di lunga durata, oltretutto affermando che “così facendo ha in realtà corretto una disposizione dell’originaria concessione che deve ritenersi nulla, per contrasto con i principi imperativi dell’ordinamento”, affermazione che discende consequenzialmente dall’assunto per cui “la natura demaniale dei cimiteri sia di ostacolo alla configurazione della perpetuità delle concessioni cimiteriali che, nella sostanza, in tal modo, finirebbero per occultare un vero e proprio diritto di proprietà su un bene demaniale. Per sua natura un bene demaniale è un bene pubblico, destinato a vantaggio dell’intera collettività; tale caratteristica di principio non esclude che possa anche venire riservato ad un uso limitato in favore di alcuni soggetti – attraverso una concessione – ma tale uso privato deve necessariamente essere temporalmente limitato e non perpetuo, risultando diversamente contraddetta la sua ontologica finalità pubblica, al quale il bene verrebbe definitivamente sottratto.
Seppur è possibile che una concessione demaniale abbia una durata molto prolungata nel tempo – quali ad esempio proprio le concessioni cimiteriali – e non esistendo alcun ostacolo di principio all’eventualità che venga rinnovata alla sua scadenza, appare contrario alla stessa natura demaniale del bene che ne costituisce l’oggetto, la previsione di una concessione che crei un diritto perpetuo ed intangibile” (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 18 gennaio 2012 n. 70 e giurisprudenza ivi citata), andando così ad esplicitare quel “divieto di concessioni sine die”, già, in qualche modo, presente nella precedente sentenza.
L’innovatività di quest’ultima pronuncia è individuabile nel fatto che affronta una questione, che può considerarsi di fondo, cioè quella tra il rapporto di concessione (quando a tempo determinato o, altrimenti, di perpetuità) e la natura demaniale cui sono assoggettati i cimiteri.
Questione che, per altro, può (o, almeno, dovrebbe) porsi per le concessioni cimiteriali sorte dopo l’entrata in vigore del Libro III del Codice Civile (22 ottobre 1941), che presenta sfaccettature di criticità in relazione alla successiva emanazione (ed ulteriormente successiva entrata in vigore) del R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, il quale (art. 70) considerava ancora l’ammissibilità di concessioni cimiteriali perpetue (ammissibilità inequivocabilmente venuta a cessare con l’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803), cosa che potrebbe far sollevare la questione se il R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 avesse natura di norma di rango primario (e quindi prevalendo, in quanto norma successiva – art. 15 Disp. Legg. in gen., c.d. Pre-leggi) sulla previsione del C.C., oppure norma di rango secondario e, per questo, cedente, di fronte al C.C. Per altro, ormai, la questione rischia di costituire una mera esercitazione abbastanza accademica, negli effetti, salvo non voler (per così dire) “impugnare” tutte le concessioni cimiteriali perpetue sorte dal 22 ottobre 1941, ipotesi sostanzialmente irrealistica.
Oggettivamente, ha fondamento logico l’asserzione per cui la perpetuità potrebbe determinare l’effetto di occultamento di un vero e proprio diritto di proprietà su di un bene comunale (quanto meno poco l’entrata in vigore del Libro II del Codice civile), cosa che consente di richiamare, in via incidentale, l’art. 104, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (sostanzialmente corrispondente all’art. 105, comma 4 D.P.P. 21 ottobre 1975, n. 803, ma anche all’art. 82, comma 4 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880), in cui si considerano i c.d. “cimiteri particolari”, in quanto pre-esistenti all’entrata in vigore del T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, segno di una tendenza del legislatore a considerare i cimiteri quali assoggettati al regime dei beni demaniali, fin da un momento antecedente all’entrata in vigore del Libro III del Codice Civile.
Per altro, l’art. 82, commi 2 e 3 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 (così come l’art. 105, commi 2 e 3 D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, nonché l’art. 104, commi 2 e 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, norme successive, ma omologhe), che prevedono, come noto, come i sepolcri gentilizi fuori dai cimiteri richiedano, quali condizioni per essere autorizzati, una fascia di rispetto (in nessun caso riducibile) costituita da fondi di proprietà delle famiglie che ne chiedano la concessione e sui quali gli stessi assumano il vincolo di inalienabilità e di inedificabilità, nonché, che, venendo meno le condizioni di fatto previste dal comma 2, i titolari delle concessioni decadono dal diritto di uso delle cappelle: ora, se tali vincoli, da costituire previamente con atto pubblico unilaterale, oggetto di trascrizione (art. 2643 C.C.), possano valutarsi come pre-condizioni per la realizzazione di sepolcri gentilizi (o, familiari, nel contesto trattandosi di sinonimi) privati fuori dai cimiteri, si può considerare come il vincolo di inedificabilità possa costituire una modalità di esercizio della proprietà dei fondi su cui siano stati assunti tali vincoli. Diversamente deve considerarsi il vincolo di inalienabilità: infatti, parlandosi di proprietà dei fondi, non può evitarsi di richiamare la definizione stessa del diritto di proprietà, risultante dall’art. 832 C.C., a questo punto considerando come la massima modalità per “godere e disporre”, ed in modo “pieno ed esclusivo” di un bene sia costituita proprio dall’alienazione del bene stesso, per cui, nel momento in cui si assuma un vincolo di inalienabilità (vincolo oltretutto a tempo indeterminato, dato che, se venisse meno, cesserebbe l’utilizzabilità del sepolcro gentilizio fuori dai cimiteri) si avrebbe una situazione di oggettivo vulnus al concetto stesso di proprietà. Il ché potrebbe portare a parlare di una sorta di “demanializzazione”, per così dire (sia permessa l’improprietà terminologica), di aree, private, fornita della sanzione dell’inutilizzabilità nel caso in cui i vincoli (uno od entrambi) anzidetti venissero meno.
Per altro, questi richiami all’art. 104 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (e alle norme antecedenti omologhe e sostanzialmente identiche), sia per quanto riguardi i c.d. cimiteri particolari pre-esistenti (all’entrata in vigore del T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., sia per quanto riguarda i sepolcri gentilizi (o, familiari) fuori dai cimiteri, consentono di collocare in una luce propria e maggiormente pertinente l’assunto del T.A.R. per la regione Sicilia, Sez, 3^, sent. n. 2341 del 23 dicembre 2013 (Allegato 2), e sopra riportata in corsivo, che, in sostanza, afferma un’incoerenza tra assoggettamento al regime dei beni demaniali da un lato e perpetuità della concessione dall’altro. Incoerenza che va, o può andare, ad incidere sugli orientamenti interpretativi sull’asserita intangibilità delle concessioni cimiteriali a perpetuità.

10. Rimane, per altro, del tutta aperta la questione che riguardi le concessioni cimiteriali perpetue sorte prima dell’entrata in vigore del Libro III del Codice Civile o, seguendo altra impostazione, cui in parte è stato fatto cenno, prima dell’entrata in vigore del T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., in cui risulta essere meno netta questa correlazione, anzi, in alcuni casi, potrebbe anche considerarsi la sussistenza di un vero e proprio diritto di proprietà, specie nelle ipotesi in cui l’area cimiteriale (per ragioni di ordine temporale, appare abbastanza rarefatta la fattispecie di manufatti sepolcrali eretti dal Comune e di cui sia stato concesso il mero diritto d’uso di posti feretro, cosa che porterebbe a valutare, caso per caso, se nelle singole realtà locali si sia venuto a determinare la costituzione di un condominio negli edifici in capo ai c.d. concessionario) risulti, dagli atti, essere stata oggetto di vendita da parte del Comune (atti di compravendita che, pressoché mai, risultano essere stato oggetto di trascrizione e debito accatastamento quale sepolcro particolare).
Assumendosi che tali (eventuali) atti di vendita, sia antecedenti alle date temporali di riferimento (1941, oppure 1934), occorrerebbe rinviare alle norme antecedenti al R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, cioè al R.D. 25 luglio 1892, n. 448 (o alle norma ulteriormente precedenti; analoga era la regolazione nel R.D. 11 gennaio 1891, n. 42), le quali, sul punto, prevedevano l’istituto concessorio, subordinandolo a specifiche procedure, anche sotto il profilo autorizzatorio, sottolineando la previa valutazione circa il fatto che tali concessioni non incidessero sul “fabbisogno” cimiteriale che il Comune era tenuto, in ogni caso, ad assicurare. Oltretutto, il richiamo alla concessione dovrebbe escludere (almeno dall’entrata in vigore del R.D. 11 gennaio 1891, n. 42) che possano esservi state, legittimamente, atti di vendita delle aree cimiteriali da parte dei Comuni.
A titolo di mera curiosità, potrebbero segnalarsi documenti, precedenti al 1891, in cui si avevano “autorizzazioni ad acquistare dalla ditta costruttrice il sepolcro, corrispondendo il prezzo di …” (una sorta di project financing … ante litteram ?), oppure atti in cui era presente la formula di “vende in perpetuo”, vero e proprio ossimoro, che costituiva una spia su di una incertezza se tale atto avesse la natura di vendita (compravendita) o meno, dal momento che l’istituto della compravendita si esaurisce in sé stesso e non sopporta elementi temporali, quale è, per l’appunto, la perpetuità, che implica una durata, per quanto indeterminata.

11. La rilevanza delle soluzioni che emergono dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, per altro non può indurre, magari con approcci superficiali, a considerare superate le questioni che ruotano attorno agli effetti delle concessioni cimiteriali a perpetuità (e, magari, sulla possibilità di incidere su di essa, ex abrupto, attraverso il mero ricorso allo strumento regolamentare comunale. Se la potestà regolamentare dei Comuni sia prevista dall’art. 7 testo unico, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., nonché, oggi, dall’art. 117, comma 6, terzo periodo, Cost., ciò non di meno essa non solo deve contenersi nell’alveo che le è proprio, ma non può avventurarsi in ambiti che per materia attengono alla potestà legislativa – esclusiva – dello Stato, per cui va fatto richiamo all’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., dovendosi, scontatamente, prendere atto che la definizione dei rapporti giuridici rientri nella materia del c.d. “ordinamento civile”, al pari della regolazione del rapporto di proprietà o degli altri diritti che hanno a proprio oggetto i beni.
Inoltre, agendo la giurisprudenza sempre i limite dell’assoggettamento alla legge (art. 101, comma 2 Cost.), ma considerando, altresì (anche sotto il profilo fattuale), come non possano, almeno non a priori, aversi pronunce non necessariamente sempre omogenee, quanto meno fino a che non si venga a determinare un indirizzo interpretativo di larga prevalenza, non possono assumersi alcune pronunce come unici parametri di riferimento. Ne consegue che ogni sentenza ed orientamento giurisprudenziale, specie quando innovativo, in particolare in ordinamenti giuridici non fondati di principi di common law, va valutato in termini di adeguata prudenza, particolarmente quando si verta su posizioni soggettive e su possibili loro lesioni.