ALLEGATO 1
Terre e rocce da scavo (art. 41bis D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni nella L. 9 agosto 2013, n. 69), in ambito di operazioni cimiteriali

L'art. 184 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif., nel definire una classificazione, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi, considera quali "rifiuti urbani" (comma 2), tra gli altri (lett. e)), anche: "e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;", nonché (lett. f)) i "f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), e) ed e),".

Tali aspetti erano già stati, prima del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, cioè in vigenza del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sostanzialmente conforme sul punto, affrontati nel Capo III "Rifiuti da esumazione e da estumulazione, rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali, esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali, e rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento", del D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 (emanato, in attuazione dell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost., su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro della salute), in particolare agli artt. 12 (1) e 13 (2), va sollevata la questione se le disposizioni recenti, in vigore dal 21 agosto 2013, prevalgano, o vi si affianchino, sulle norme, di rango secondario, del citato D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, anche richiamando come l'art. 17 di questo ultimo attribuisca al responsabile del cimitero (sul punto) il compito di sovrintendere alla applicazione delle disposizioni dello stesso regolamento.

Il richiamo iniziale fatto all'art. 266, comma 7 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif. porterebbe a considerare che la deroga introdotta dall'art. 41bis D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 98, venga a trovare applicazione con riguardo alle terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni (la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi di materiale) fermo il rispetto delle disposizioni comunitarie in materia.
Pertanto, si tratta ora di valutare se, in caso di recupero/rimodellamento delle terre di scavo cimiteriale provenienti (es.: da campi di inumazione), che hanno una norma speciale prevista dall'art. 13 del D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, citato, valgano i criteri stabiliti per le terre da scavo in generale (e quindi sostanzialmente quanto previsto dall'art. 41bis, comma 1, lett. b) D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 98) o meno, non senza considerare come si abbia distinzione, ed autonomia, tra "autorizzazione" (non prevista esplicitamente dal citato D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254) e la "dichiarazione" (prevista dal comma 2 del'art. 41bis) e soprattutto valutare se il rimodellamento, il riempimento o il recupero interno al cimitero determinino la necessità di svolgere indagini sui valori di soglia per non contaminare il terreno. Mentre difatti si ritiene del tutto logico assoggettare alle norme usuali per le terre da scavo quelle provenienti da siti cimiteriali destinate all'esterno di essi, non avrebbe particolare senso fare analisi chimico batteriologiche di terre che già sono all'interno di un cimitero e che vengono ivi riutilizzate, poiché il cimitero, in quanto tale, deve soddisfare a determinati requisiti circa le caratteristiche del suolo e delle falde (come, oltretutto, "storicamente", considerato negli artt. 55 e 56 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
I principi ermeneutici dovrebbero fondarsi sulle considerazioni per qui quando terra da scavo sia destinata al trasferimento al di fuori del cimitero debba trattarsi quale normale terra da scavo, mentre quando venga riutilizzata nel medesimo cimitero (riutilizzo esplicitamente previsto dall'art. 13, comma 1 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, nonché, altrettanto esplicitamente, anche dall'art. 186 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif.), non sono richieste particolari, o specifiche, operazioni, neppure per l'eventuale misurazione dei valori delle concentrazioni considerate soglia di contaminazione, non determinandosi effetti diversi da quelli preesistenti alle operazioni di trattamento delle terre e rocce da scavo, in qualche modo riconducibili, nel contesto, alla categoria dei "sotto prodotti" (art. 184bis D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 1582 e succ. modif.).

L'ambito di applicazione del D.M. 10 agosto 2012, n. 161 (ora, qualificata quale fonte integratrice, a tutti gli effetti, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif. dall'art. 41, comma 7 D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 98), non considera (art. 1, comma 1, lett. b) (3) D.M. 10 agosto 2012, n. 161, le terre da scavo derivanti da operazioni cimiteriali, potendosi, semmai, farsi riferimento ai casi di terre derivanti da scavi realizzati (anzi e meglio, da realizzarsi) nell'ambito di cantieri funzionali all'esercizio cimiteriale, quali (es.) la costruzione di un nuovo fabbricato per usi diversi: uffici, autorimessa, crematorio, ecc.), potendosi concludere come, in via generale, la gestione delle terre da scavo come rifiuti segua la disciplina dettata dalla Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif., mentre, solo nel caso in cui si vogliano gestire in deroga dalla disciplina dei rifiuti, esse devono soddisfare i criteri del "sotto prodotto". Il D.M. 10 agosto 2012, n. 161 e, in precedenza, il già citato 186 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif., stabiliscono le condizioni per rientrare in una disciplina derogatoria, cioè quali siano le caratteristiche che devono possedere le terre in funzione dei siti di produzione e di utilizzo, le modalità per accertarle e per gestirle. Lo stesso D.M. 10 agosto 2012, n. 161 non contempla la fattispecie dei piccoli cantieri (produzione di terre e rocce da scavo inferiore a 6.000 metri cubi) e contemporaneamente ha, sotto il profilo effettuale (art. 15), abrogato il previgente art. 186, mentre ora, con l'art. 41bis D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n. 98, si prendono, o, meglio, riprendono, in considerazione anche i c. d. piccoli cantieri, per i quali vengono ripristinate, in proposito, le disposizioni originarie dell'art. 186 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif., per quanto operi l'integrazione individuata dal comma 7 di questo ultimo art. 41bis.

Rimanendo sul tema, merita di ricordarsi come, alla luce di una recente sentenza (Corte di Cassazione, Sez. 3^ Pen., sent. n. 28350 del 1° luglio 2013), in caso di riduzione volumetrica dei rifiuti vegetali in assenza di idonea autorizzazione, sia stato ritenuto ravvisabile il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti previsto e punito dall'art. 256, comma 1, lett. a) D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e succ. modif., ritenendo che anche un mero trattamento di riduzione volumetrica dei rifiuti (nella fattispecie si trattava di rifiuti vegetali derivanti da attività di manutenzione del verde urbano) attraverso la triturazione costituisca operazione di smaltimento e pertanto deve essere regolarmente autorizzata. Di seguito si riporta per esteso il testo della sentenza de quo.

Corte di Cassazione, Sentenza n. 28350 del 1° luglio 2013
La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Penale
Composta da (omissis);
ha pronunciato la seguente

Sentenza
sul ricorso proposto da (omissis)
avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari in data 29/06/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere (omissis);
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale (omissis), che ha concluso per l'inammissibilità;

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29 giugno 2011 il Tribunale di Cagliari dichiarava (omissis) colpevole del reato di cui all'articolo 256, comma 1, lett. a) del Dlgs n. 152 del 2006 per avere, quale presidente della cooperativa "Sa Striggiula", effettuato, in assenza di autorizzazione, attività di gestione di rifiuti vegetali.
2. Ha proposto ricorso l'Imputato.
Con un primo motivo lamenta la violazione degli artt. 183 lett. m), 206, 230 e 256 del Dlgs n. 152 del 2006; richiama innanzitutto la sentenza della Corte di Cassazione n. 33866 del 2007 con cui la stessa, intervenendo In fase cautelare nel procedimento in oggetto, ha, tra le altre argomentazioni, ritenuto irrilevante la proposta questione della qualificazione del verde comunale quale infrastruttura cittadina, connettendosi l'inapplicabilità dell'articolo 230 del Dlgs cit. all'inesistenza della valutazione tecnica cui la norma è finalizzata. In altri termini, secondo detta pronuncia, occorreva verificare innanzitutto se la manutenzione del verde pubblico potesse intendersi quale manutenzione di una infrastruttura e, successivamente, se i rifiuti vegetali fossero o meno riutilizzabili, se i registri di carico e scarico fossero stati tenuti regolarmente, e se su tali rifiuti fosse stata effettuata o meno la valutazione tecnica prima di un eventuale loro trattamento. Secondo il Tribunale, nella specie, si versava in ipotesi di manutenzione di una infrastruttura con la conseguente applicazione della fictio iuris ex articolo 230 cit.; inoltre, prima di qualsiasi trattamento, i rifiuti vegetali erano sottoposti al vaglio del direttore tecnico della cooperativa e, altrettanto certamente, quest'ultima aveva regolarmente compilato i registri di carico e scarico dei rifiuti vegetali. Ciò posto, era allora necessario accertare se, una volta fatta la valutazione tecnica sui vegetali ed effettuata la scelta di quelli idonei ad essere riutilizzati e di quelli destinati ad essere smaltiti, fosse possibile per la cooperativa ridurre la dimensione dei vegetali da destinare allo smaltimento senza incorrere in violazione di legge penalmente rilevante. Sul punto il testimone (omissis), direttore tecnico della cooperativa, aveva riferito che il materiale veniva ridotto di misura perché in discarica non venivano accettati pezzi grandi. Sicché la riduzione volumetrica dei vegetali dopo la valutazione tecnica sugli stessi doveva essere considerata cosa lecita.
3. Con un secondo motivo lamenta la insussistenza dell'elemento psicologico del reato; dopo avere ricordato che la fattispecie contravvenzionale in esame è punita quanto meno a titolo colposo, precisa che la sentenza non ha espresso alcuna motivazione sul punto. Nella specie evidenzia invece la propria buona fede atteso che, anche a fronte della necessità di considerare le difficoltà interpretative connesse alla non semplice questione della manutenzione della infrastruttura, egli aveva osservato quanto la complessa normativa ambientale imponeva alla cooperativa da lui presieduta; nella specie poi l'elemento della buona fede dovrebbe essere indotto dalla implicita imposizione della pubblica amministrazione di ridurre di dimensione il vegetale da conferire allo smaltimento pena l'impossibilità di smaltimento stesso, da ciò derivando anche l'inesigibilità di un contrario comportamento.

Considerato in diritto
4. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte, intervenuta nella fattispecie in esame in relazione alla fase cautelare, ha già escluso, contrariamente all'assunto del ricorrente, con la sentenza n. 33866 del 08/06/2007, Balloi, Rv. 237217, la possibilità di applicazione della disciplina ex articolo 230 del Dlgs n. 152 del 2006 riguardante i rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture posto che, a prescindere dalla possibilità di ricomprendere o meno nella nozione di infrastruttura cittadina le aree comunali adibite a verde pubblico, difetta in ogni caso il presupposto, cui è condizionata la equiparabilità al luogo di produzione dei rifiuti del luogo di concentramento ove il materiale viene trasportato, che in tale ultimo luogo avvenga esclusivamente l'individuazione del materiale effettivamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza l'effettuazione di alcun trattamento. Nella specie, infatti, i rifiuti vegetali rinvenuti nell'area assoggettata a sequestro non erano, come già osservato sempre dalla Corte, in alcun modo riutilizzabili e venivano altresì sottoposti ad un trattamento di riduzione volumetrica mediante triturazione costituente già una fase di smaltimento. L'impugnata sentenza, dopo avere ritenuto di annoverare tra le infrastrutture anche le aree adibite a verde pubblico la cui manutenzione era stata data in appalto anche alla cooperativa rappresentata dal ricorrente, ha osservato essere stato accertato che nel luogo ove i vegetali venivano ammassati si procedeva, oltre che alla separazione degli stessi dai rifiuti organici, anche alla triturazione onde pervenire ad una significativa riduzione volumetrica; di qui, in applicazione del principio sopra ricordato, la corretta esclusione sia dell'applicabilità dell'articolo 230 del Dlgs n. 152 del 2006 sia, conseguentemente, della ravvisabilità di una condotta di deposito temporaneo ai sensi del previgente testo dell'articolo 183 lett. m) del Dlgs cit.
5. Il secondo motivo è inammissibile giacché, nel sollevare formalmente una pretesa mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, introduce in realtà, sul presupposto della natura complessa della normativa in oggetto, una pretesa di scusabilità di ignoranza della legge penale che si pone, in assenza di elementi indicativi della inevitabilità della stessa, in contrasto con il dettato dell'articolo 5 C.p.; va in proposito rammentato che presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma dovendo considerarsi, secondo la sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell'articolo 5 C.p.), quale limite alla responsabilità personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (cd. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale) anche in relazione alla veste del soggetto agente e al grado di conoscenza, per ragioni professionali, della materia in oggetto. Nella specie, a fronte di motivazione, che, nell'analizzare la condotta posta in essere dall'imputato ha, per ciò stesso, implicitamente ritenuto l'elemento soggettivo della contravvenzione, caratterizzato dalla colpa, nessun indice, tra quelli già considerati dalla giurisprudenza quali rilevanti al fini della sussistenza della buona fede, il ricorso appare avere, in realtà, indicato.
6. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. L'inammissibilità del ricorso preclude il rilievo delle cause di non punibilità, ivi compresa l'estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, essendo detto ricorso inidoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione (cfr., per tutte, Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca).
7. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 21 maggio 2013
Depositato in cancelleria il 1 luglio 2013

(1) D.P.R. 254/2003 - Articolo 12 (Rifiuti da esumazione e da estumulazione)
1. I rifiuti da esumazioni ed estumulazioni devono essere raccolti separatamente dagli altri rifiuti urbani.
2. I rifiuti da esumazione ed estumulazione devono essere raccolti e trasportati in appositi imballaggi a perdere flessibili, di colore distinguibile da quelli utilizzati per la raccolta delle altre frazioni di rifiuti urbani prodotti all'interno dell'area cimiteriale e recanti la scritta "Rifiuti urbani da esumazioni ed estu-mulazioni".
3. I rifiuti da esumazione ed estumulazione possono essere depositati in apposita area confinata individuata dal comune all'interno del cimitero, qualora tali operazioni si rendano necessarie per garantire una maggiore razionalità del sistema di raccolta e trasporto ed a condizione che i rifiuti siano adegua-tamente racchiusi negli appositi imballaggi a perdere flessibili di cui al comma 2.
4. I rifiuti da esumazione ed estumulazione devono essere avviati al recupero o smaltiti in impianti autorizzati ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, per lo smaltimento dei rifiuti urbani, in conformità ai regolamenti comunali ex articolo 21, comma 2, lettera d), dello stesso decreto legislativo.
5. La gestione dei rifiuti da esumazioni ed estumulazioni deve favorire il recupero dei resti metallici di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e), numero 5).
6. Nel caso di avvio a discarica senza preventivo trattamento di taglio o triturazione dei rifiuti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e), numeri 1) e 3), tali rifiuti devono essere inseriti in apposito imballaggio a perdere, anche flessibile.

(2) D.P.R. 254/2003 - Articolo 13 (Rifiuti provenienti da altre attività cimiteriali)
1. I rifiuti provenienti da altre attività cimiteriali di cui all'articolo 2, comma 1, lettera f), numero 1), possono essere riutilizzati all'interno della stessa strut-tura cimiteriale senza necessità di autorizzazioni ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997, avviati a recupero o smaltiti in impianti per rifiuti inerti.
2. Nella gestione dei rifiuti provenienti da altre attività cimiteriali devono essere favorite le operazioni di recupero dei rifiuti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera f), numero 2).

(3) D.M. 161/2012 - Articolo 1, comma 1, lett. b)
b. "materiali da scavo": il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un'opera quali, a titolo esemplificativo:
scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.);
perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, ecc.;
opere infrastrutturali in generale (galleria, diga, strada, ecc.);
rimozione e livellamento di opere in terra;
materiali litoidi in genere e comunque tutte le altre plausibili frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e marini;
residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un'opera e non contenenti sostanze peri-colose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide).
I materiali da scavo possono contenere, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal presente Regolamento, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato;