ALLEGATO 2
Dispersione delle ceneri Regione Lazio T.A.R. per la regione Lazio, sede di Roma, Sez. 2bis, sentenza n. 3407 del 4 aprile 2013 CONSIDERAZIONI

Contesto generale
La L. 30 marzo 2001, n. 130 presenta la caratteristica per cui per le proprie disposizioni di maggior rilievo ha fatto ricorso alla tecnica del rinvio a modifiche regolamentari, che probabilmente, all'epoca, potevano trovare fondamento nella presupposizione secondo cui il processo di revisione del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, già avviato da anni, forse nella sua fase finale, ma soprattutto per la preoccupazione che, in fase finale di legislatura, potesse non raggiungersi una maggioranza di voti sufficiente all'approvazione della legge, il cui iter formativo si era sviluppato, in più legislature, per 9 anni. Sussistendo questo rischio, forse neppure molto potenziale, il rinvio consentiva a quelle componenti parlamentari che potevano esprimere posizioni ostative, un certo quale alibi, potendo argomentare come il proprio voto favorevole era stato dato su "principi", anche se va osservato come questo rinvio a modifiche di norme regolamentari, in termini di attuazione della legge, abbia visto una redazione che ha fatto ricorso a "principi", oltretutto di così puntuale dettaglio da poter essere valutati come tali da non richiedere, operativamente, norme regolamentari attuative (salvo che, appunto, per lo strumentale ricorso alla tecnica del rinvio).
Dopo l'emanazione della legge, si è avuto da un lato un processo che ha inibita la revisione, allora in corso, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, tra l'altro sulla prospettiva di un diverso testo normativo, tradottosi in un D.d.L., non tradottosi in legge, neppure in legislature successive, ma soprattutto l'entrata in vigore della L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha profondamente innovato il quadro normativo, non solo per quanto riguardi la potestà legislativa, ma altresì per quanto riguardi la potestà regolamentare, con la conseguenza che ogni eventuale revisione di queste ultime avrebbe richiesto un previo discernimento tra le disposizioni pertinenti alla potestà statale, rispetto a quelle rientranti nelle potestà regionali. Per altro, non vi è stata elaborazione, anche di massima, volta a considerare le diverse norme presenti nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 collocandole ciascuna in un quadro di ripartizione tra competenze statali e regionali, in modo da enucleare quali di queste potessero essere nella competenza dell'uno o dell'altro tra i due livelli di governo, ripartizione che avrebbe consentito di far emergere un disegno normativo diverso, ma, anzi, da alcune parti si è puntato, abbastanza acriticamente, sulla superficiale asserzione della pertinenza delle predette norme regolamentari a materia di potestà legislativa regionale, secondo un'impostazione del tutto tradizionale. Da ciò, si è originato altresì il fenomeno dell'introduzione di leggi regionali in materia, che, per altro, non sono intervenute anche in ambiti non pertinenti alle potestà legislative (e regolamentari) regionali, come è stato per le norme concernenti le attività funebri (art. 117, comma 2, lett. e) Cost.) e la pratica della cremazione.
Per quanto riguarda quest'ultima, va evidenziato come il termine coinvolga una pluralità di aspetti, che vanno dalla scelta di tale pratica (coinvolgendo quindi anche le forme di manifestazione della volontà ad accedervi), le condizioni di accesso (es.: possibili quanto eventuali motivi di giustizia), le competenze, funzionali e territoriali, al rilascio della relativa autorizzazione0, le operazioni di cremazione in senso stretto, fino alle diverse destinazioni finali delle urne, sia in termini di conservazione (all'interno della quale rientra anche l'istituto dell'affidamento dell'urna cineraria a familiari), sia in termini di dispersione delle ceneri, se questa fosse stata la volontà del defunto.
Tra tutti questi aspetti ben pochi rientrano nelle competenze legislative regionali, almeno sotto il profilo della tutela della salute, salvo probabilmente il solo aspetto delle competenze di determinate figure mediche in materia di accertamento della morte e di certificazione di esclusione dal sospetto che la morte possa essere stata dovuta a reato, considerandosi come per la cremazione, in quanto tale, rilevano piuttosto aspetti di ordine ambientale, con conseguente potestà legislativa, e regolamentare, statale (art. 117, comma 2, lett. s) Cost.).
Gli aspetti di maggior pregio ai fini dell'accesso alla cremazione sono altri, cioè quello sulla libertà di scelta delle persone ad accedere alla cremazione, le forme ed i modi con cui questa libertà va esercitate, nonché la regolazione delle "destinazioni" dell'urna cineraria, una volta effettuata l'operazione di cremazione, aspetti tutti rientranti nella materia dell'ordinamento civile (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.) e tali da presupporre che non potesse che aversi un trattamento uniforme, indipendentemente da quello che può essere il luogo di decesso, di cremazione, di "destinazione" finale delle ceneri, poiché ogni differenziazione, specie se sulla base di questi fattori, spesso accidentali, avrebbe comportato una disparità di trattamento dei cittadini non tollerabile. Per altro, è ben noto come quando avvenuto abbia portato a situazioni tutt'altro che uniformi, incidendo, non poco, su quello che è indubbiamente un "diritto di cittadinanza", per utilizzare espressione corrente.

La dispersione delle ceneri
Se l'introduzione dell'ammissibilità di inserire nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto della dispersione delle ceneri, è stata una delle motivazioni fondanti della L. 30 marzo 2001, n. 130, come risulta dalla sua stessa rubricazione, il legislatore ha ritenuto sostanziale prevedere che la dispersione delle ceneri fosse collegata alla "espressa volontà del defunto", come emerge dal suo art. 2, avente ad oggetto la modifica all'art. 411 C. P., dove la dispersione delle ceneri rimane fattispecie di reato, salvo che quando sia stata autorizzata (individuandone una competenza funzionale, ma non territoriale) e, appunto, "sulla base di espressa volontà del defunto", rimanendo, come noto, fattispecie di reato quando: a) non autorizzata, b) effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal defunto. Si può evidenziare come l'espressa volontà del defunto rilevi non solo ai fini della dispersione delle ceneri, in quanto tale, ma si estenda anche all'indicazione delle modalità della sua effettuazione.
Ciò assunto, l'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, in materia di dispersione delle ceneri, non va oltre dall'individuare, nel rispetto della volontà del defunto (formula che richiama le previsioni del sopra citato art. 2), i "luoghi" in cui sia consentita la dispersione delle ceneri, nonché i soggetti legittimati, o legittimabili, ad eseguirla. Per inciso, il rispetto della volontà del defunto rileva anche per le diverse modalità di conservazione dell'urna cineraria, cioè ogni qual volta il defunto non abbia espressa la volontà alla dispersione delle proprie ceneri.
Si può rilevare come per la cremazione (e rilascio della relativa autorizzazione), l'art. 3 citato sia estremamente dettagliato nel regolare le modalità di manifestazione della volontà alla cremazione, prevedendo modalità plurime, che non fanno riferimento alla sola volontà del defunto, ma anche a quella (eventualmente) dei familiari, legittimazione presente tanto all'art. 3, comma 1, lett. b) nel suo incipit ("rispetto della volontà espressa dal defunto o dai suoi familiari attraverso"), quanto successivamente (n. 3 della stessa lett. b)), dove si considera: "in mancanza della disposizione testamentaria, o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto, la volontà del coniuge o, in difetto, del parente più prossimo individuato ai sensi": vi è qui l'emergere della rilevanza, accanto alla volontà propria del defunto, di una volontà sussidiaria in capo ai familiari (trascurando qui gli aspetti dei rapporti, anche di poziorità, tra più familiari), che in tal modo vengono a trovarsi nella possibilità di esercitare una titolarità loro propria in materia di disposizione del defunto, secondo i principi generali frutto dell'elaborazione giurisprudenziale in materia. Rispetto a quest'ultima posizione, non può non ricordarsi, pur nelle sue criticità, la circolare telegrafica del Ministero dell'interno n. 37 del 1° settembre 2004 che, riferendo una valutazioni altrui, ha ritenuto come il contenuto della manifestazione di volontà da parte dei familiari possa essere qualificabile quale "rappresentazione" di una volontà del defunto, espressa in termini non formali e/o non rientranti nelle diverse forme considerate dall'art. 3, comma 1, lett. b) L. 30 marzo 2001, n. 130. Oltretutto, quest'interpretazione era stata stipolata da fattori di basso profilo, nel senso che, laddove la L. 30 marzo 2001, n. 130 non potesse ancora essere attuabile e, per questo, dovendosi applicare l'art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (norma tuttora di riferimento, per l'autorizzazione alla cremazione di cadaveri, in Piemonte e Sicilia, rispettivamente per effetto dell'art. 2, comma 2 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 e succ,. modif. e per l'art. 2, comma 1 L.R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n. 18), sussiste la richiesta della formalità dell'autenticazione della firma sulla dichiarazione resa dai familiari, la quale è soggetta, fin dall'origine, all'imposta di bollo, mentre laddove la L. 30 marzo 2001, n. 130 sia attuabile, questa formalità non sussiste, in quanto l'art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) richiede la forma del processo verbale, il quale si colloca al di fuori del campo di applicazione della predetta imposta, aspetto di cui la sopra citata circolare non ha tenuto conto, così come non è stato tenuto conto di come, anche nel contesto regolato dall'art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, rilevasse "la volontà manifestata dal coniuge o, in difetto, dal parente più prossimo...ecc.". Dove è abbastanza evidente come si sia in presenza di una volontà propria del familiare.
Per altro, il punto di maggiore rilevanza non è tanto (o, solo) questo, cioè se si tratti di una volontà del defunto o dei familiari, alla cremazione, quanto nella differenza intercorrente in materia di autorizzazione alla cremazione (dove rileva la volontà espressa dal defunto o, sussidiariamente, dai familiari) e autorizzazione alla dispersione delle ceneri, dove è considerata unicamente la volontà espressa dal defunto.
Questo ha portato ad orientamenti interpretativi non uniformi, avendosi linee interpretative volte a distinguere le due fattispecie (sulla base delle diverse norme che regolano l'una e l'altra), oppure a ritenere che le forme di manifestazione di volontà, e di legittimazione dei soggetti agenti, dovessero essere considerate identiche sia per il rilascio dell'autorizzazione alla cremazione, sia per il rilascio dell'autorizzazione alla dispersione delle ceneri.

La dispersione delle ceneri nella regione Lazio
La regione Lazio è intervenuta in questa materia con l'art. 162 L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4 (Legge finanziaria regionale 2006), prevedendo (comma 2) come: "L'autorizzazione alla cremazione e alla dispersione delle ceneri è rilasciata dal soggetto competente individuato dalla normativa statale di cui al comma 1 e secondo le modalità stabilite dalla medesima, con particolare riferimento alla manifestazione di volontà espressa dal defunto o dai suoi familiari...". Una tale formulazione sembrerebbe lasciare intendere che la norma statale (cioè, la L. 30 marzo 2001, n. 130) definisca le modalità di espressione della volontà, non solo per la cremazione, ma altresì per la dispersione delle ceneri, favorendo, se non confermandola (nella regione), l'interpretazione della parità, seppure in via sussidiaria, della volontà espressa dai familiari anche per la dispersione delle ceneri. Non si entra nel merito se la norma regionale de quo sia coerente o meno rispetto alla L. 30 marzo 2001, n. 130, né se attraverso questo ampliamento della fattispecie la regione abbia ecceduto rispetto alla propria potestà legislativa, in quanto nella regione, a seguito dell'art. 162 L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4, si è registrato un fenomeno del tutto particolare, consistito nell'assunto per cui, una volta che la legge regionale (legge, non regolamento!) abbia dato, per così dire, attuazione alla L. 30 marzo 2001, n. 130, la stessa legge regionale non sarebbe stata applicabile, se non fossero intervenute ulteriori norme, regolamentari, cioè se i singoli comuni non avessero adottato, a propria volta, regolamenti comunali (indifferentemente se specifici o attraverso tecniche di modifiche e/o integrazioni dei regolamenti comunali di polizia mortuaria preesistenti). In altre parole, generandosi un fenomeno, abnorme, per cui una norma (di rango primario) non sarebbe applicabile, se non ne intervenga altra, attuativa, e quindi ulteriore norma attuativa, con una serie di rinvii a cascata.
Probabilmente, non guasterebbe considerare, rileggendone il testo, il parere espresso dal Consiglio di Stato, Sez. 1^ n. 2957/2003 del 29 ottobre 2003, espresso nel contesto di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in particolare sul punto in cui si considera come non sia sostenibile che la mancata emanazione di norme "a valle", dopo un certo tempo, privi la legge della propria efficacia.
Il punto di rilevanza sostanziale nella vicenda è la questione della necessità, o meno, di un Regolamento comunale (sia che si tratti di regolamento specifico, sia che si tratti di modifiche od integrazioni di regolamenti comunali preesistenti), cioè se l'adozione di questo ulteriore strumento regolamentare sia essenziale, sostanziale, ai fini dell'applicazione dell'art. 162 L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4 (e, "a monte" di questa, della L. 30 marzo 2001, n. 130), oppure se questa costituisca un'impostazione errata, magari non trascurando di segnalare, incidentemente, come il citato art. 162, al comma 5 preveda che, nel caso dell'affidamento dell'urna cineraria, questo possa avvenire ad un "affidatario, unico, previamente indicato in vita dal defunto", aspetto su cui poco si discute, oppure che è stato affrontato attraverso atti amministrativi di vario ordine e contenuto, anche ammissibili quando rimangano nell'alveo delle misure organizzative, non quando incidano sui c.d. diritti di cittadinanza e connesse esigenze di uniforme trattamento dei cittadini. Obiettivamente, la norma legislativa regionale, almeno sul punto considerato dall'art. 162, comma 2, non richiede proprio norme ulteriormente attuative, ma soprattutto non può considerarsi come, in questo ambito di regolazione, neppure sussistano i presupposti per l'esercizio della potestà regolamentare da parte dei comuni, sia che la si valuti alla luce dell'art. 7 testo unico, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., sia che la si valuti alla luce dell'art. 117, comma 6, terzo periodo, Cost.
E' ben vero che l'art. 162, comma 5 L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4, dopo avere considerato nel primo periodo la questione del soggetto potenzialmente affidatario, e al secondo periodo alcune registrazioni dell'affidamento dell'urna cineraria, al terzo periodo prevede un "regolamento comunale", cui è attribuita la definizione di alcuni aspetti: a) le dimensioni delle urne, b) le caratteristiche dei luoghi di conservazione da parte dei privati in modo da garantire la sicurezza da ogni forma di profanazione e c) ogni altra prescrizione di carattere igienico sanitario, nonché d) le modalità di rinuncia all'affidamento, e) di consegna dell'urna cineraria al comune in caso di decesso dell'affidatario o di rinvenimento dell'urna stessa da parte di terzi. Come si vede, il contenuto di un tale "regolamento comunale" si colloca su piani rispetto a cui l'istituto della dispersione delle ceneri è del tutto, e chiaramente, estraneo.

La sentenza
La sentenza del T.A.R. per la regione Lazio, sede di Roma, Sez. 2bis, n. 3407 del 4 aprile 2013, sorge da un atto di rifiuto al rilascio dell'autorizzazione alla dispersione delle ceneri ed opposto da un comune della regione argomentato sulla base dell'argomentazione secondo cui difettava, all'epoca della richiesta, norma regolamentare che consentisse di autorizzare la dispersione delle ceneri, in una situazione, oltretutto, aggravata dal mancato rispetto, da parte del comune, dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, aspetto di cui il giudice amministrativo evidentemente ha tenuto anche conto.
L'assunto della pronuncia considera, dandovi attuazione, anche il principio del tempus regit actum, rilevando come una successiva regolamentazione comunale (per altro, come visto, del tutto inutiliter data, tanto che il T.A.R. neppure si è posto la questione della sua disapplicazione, annullando il provvedimento di diniego dell'autorizzazione alla dispersione delle ceneri), osservando come sussistesse normativa, tanto statale che regionale, tale da ammettere l'ammissibilità dell'istituto della dispersione delle ceneri e, conseguentemente, la legittimazione al rilascio della relativa autorizzazione.
Interessante fari rilevare come il comune interessato, affermata la legittimità della nuova (e successiva) norma regolamentare comunale, avesse eccepito come questa sarebbe sottratta al sindacato giurisdizionale in quanto espressione di una valutazione di interessi pubblici unicamente spettante all'amministrazione, eccezione su cui il T.A.R. ha ritenuto che non rilevi per la tutela della posizione dei ricorrenti il secondo motivo attraverso cui gli stessi hanno impugnato l'atto generale sopravvenuto (cioè l'inutile regolamento comunale, successivamente adottato.
Per altro, la pronuncia non consente di affrontare, in un senso od in altro, la questione, precedentemente posta, derivante dalle due interpretazioni, cioè se, ai fini dell'autorizzazione alla dispersione delle ceneri debba considerarsi unicamente la "volontà espressa dal defunto", oppure se, come ai fini del rilascio dell'autorizzazione alla cremazione dei cadaveri, possa ricorrersi, in difetto di volontà espressa dal defunto, possa sussistere una legittimazione in questo senso anche da parte dei familiari, questione che probabilmente il T.A.R. non ha proprio affrontato avendo presente il sopra citato art. 162, comma 2 L.R. (Lazio) 28 aprile 2006, n. 4, che come osservato in precedenza porta a supportare la seconda tesi, quella di analogo trattamento delle due tipologie di autorizzazioni. Tale questione non può generalizzarsi, come se la pronuncia del T.A.R. avesse effetti, magari solo d'indirizzo, proiettabili in ambito nazionale, in quanto essa si colloca, né potrebbe essere diversamente, nel contesto regionale, alla luce anche della legge regionale, mentre la medesima questione non può che essere affrontata, in ciascuna singola regione, facendo riferimento alle singole leggi regionali, prescindendo, al momento (cioè fino a che non intervenga, eventualmente, una pronuncia di illegittimità costituzionale di singole norme regionali), da ogni valutazione interpretativa circa il fatto che sussistesse o meno competenza legislativa delle singole regioni.
Oltretutto, se così sia, potrebbe considerarsi anche l'aspetto che il ricorso sia stato presentato, congiuntamente, dal coniuge e dal parente (sembrerebbe unico) nel grado più prossimo del defunto, senza considerare la ridondanza dell'intervento del parente nel grado più prossimo (figlio), dal momento che, tanto sulla base della L. 30 marzo 2001, n. 130, che per rinvio della norma regionale, i parenti nel grado più prossimo sono in posizione di legittimazione attiva solo quando difetti il coniuge, secondo gli ordinari principi che regolano queste titolarità.
Per quanto possa valere, la situazione presente in cui l'uniformità di trattamento rispetto a diritti di cittadinanza e alla esigenza di un rispetto, profondo, della libertà di scelta delle persone risulta intaccata e lesa da normative regionali di vario contenuto, non sempre meditate nelle proprie formulazioni, richiederebbe, quando meno de jure condendo, un qualche intervento che vada nella direzione di un suo superamento, non essendo punto ammissibile che le persone, ed il lutto, siano esposti a condizionamenti di ordine territoriale (non senza dimenticare quelli di ordine interpretativo) legati ai diversi luoghi (decesso, cremazione, conservazione dell'urna o dispersione delle ceneri) che, oltre ad essere spesso accidentali, non giustificano minimamente un diverso trattamento delle persone e delle loro spoglie.