ALLEGATO 2
Provincia autonoma di Bolzano. D.P.G.P. n. 46 del 17 dicembre 2012 "Regolamento di esecuzione della legge provinciale in materia cimiteriale e di cremazione"
Con circolare n. 3132/2012/AG del 30 gennaio 2012 si segnalava l'adozione, da parte della Provincia autonoma di Bolzano, della Legge provinciale 19 gennaio 2012, n. 1 "Disposizioni in materia cimiteriale e di cremazione" (pubblicata sul B.U. della Regione Trentino-Alto Adige n. 4 del 24 gennaio 2012), legge che, per alcuni punti, faceva rinvio ad un emanando regolamento, in particolare (art. 11) per la determinazione:
a) dei soggetti che accertano la morte,
b) dei soggetti che redigono la denuncia di morte,
c) delle norme tecniche relative al trasporto dei cadaveri e delle ceneri,
d) della disciplina dell'autorizzazione alla cremazione,
e) delle norme tecniche relative ai feretri e all'urna cineraria,
f) della disciplina dell'affidamento dell'urna cineraria, nonché
g) della disciplina e dei luoghi di dispersione delle ceneri.
Il prefato regolamento è stato approvato con la D.G.P. n. 1764 del 26 novembre 2012, adottato con D.P.G.P. n. 46 del 17 dicembre 2012 e pubblicato sul B.U.R. della Regione Trentino-Alto Adige n. 52 del 27 dicembre 2012.
All'art. 1 il regolamento definisce il proprio ambito di applicazione considerando larga parte delle materie oggetto di rinvio a norma di rango secondario, ma senza affrontare le prime due (art. 11, lett. a) e lett. b) L.P. Bolzano 19 gennaio 2012, n. 1).
L'art. 2 considera il trasporto di salma, in attuazione dell'art. 5 della legge provinciale, integrandolo con l'ipotesi dell'urgenza, quando il trasporto della salma abbia luogo verso il deposito (o, meglio, luogo) di osservazione, attribuendone la competenza al medico che ha accertato la morte (cioè al medico necroscopo, come conseguenza dell'art. 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285): tale aspetto potrebbe sollevare criticità laddove non vi sia, o non ancora, la presenza del medico - come ad es. nei casi di sinistri od accidenti di diversa natura - ma solo l'intervento di quella che la circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 definisce, al Punto 5), quale "pubblica autorità".
Il comma 3 dell'art. 2 limita, per quanto riguarda il trasporto di salma che si svolga nell'ambito del territorio provinciale, l'obbligo dei trattamenti conservativi, nonché dell'impiego della duplice cassa, ai soli casi in cui essa sia prescritta dal medico. Nella legge provinciale, così come nel suo regolamento, non vi è una esplicita qualificazione di "salma", lasciando, per più motivi, indurre a considerare come non si sia introdotta la differenziazione, anche definitoria, tra "salma" e "cadavere" (adottata da alcune regioni, ma anche ricusata da altre), che ha consentito, laddove vi sia stato fatto ricorso, di differenziare le procedure e le modalità per il trasporto di salma (altrove, definito, anche, quale: trasferimento di salma, prima del periodo di osservazione) rispetto al trasporto di cadavere. Una tale indistinzione solleva possibili incertezze interpretative, sulle competenze in materia di trasporto di feretro, cioè una volta completato il periodo di osservazione, che possono risolversi, quanto meno in relazione all'art. 2, comma 1 (ed, altresì, comma 2) del regolamento, considerandosi la destinazione della salma verso luoghi espressamente individuati, mentre può sorgere in relazione alle fattispecie del comma 3, pur se siano fatte qui salve le norme nazionali, ed internazionali, specifiche. In tale contesto, appare abbastanza evidente come il trasporto considerato riguardi i feretri, una volta completato il periodo di osservazione dei cadaveri. Per altro, la previsione della prescrizione da parte del medico necroscopo sulla esecuzione dei trattamenti conservativi e dell'impiego, quando occorrente, del confezionamento del feretro in duplice cassa, appare essere un aggravamento delle procedure, nei casi in cui la duplice cassa sia comunque necessaria o in relazione alla distanza del percorso interessato al trasporto, oppure, principalmente, quanto ricorra l'ipotesi della tumulazione, in relazione all'art. 77, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. Va considerato, tra l'altro, come nel comma 4 la previsione dell'assicurazione dell'impermeabilità del feretro, garantibile anche con l'impiego di materiale biodegradabile, richieda che una tale condizione di impermeabilità debba durare per il periodo sufficiente all'assolvimento della pratica funeraria (aspetto che potrebbe presentare differenti situazioni, proprio in relazione alle diverse pratiche funerarie). Infatti, se quando sia richiesta la cremazione il periodo sufficiente potrebbe essere, stante la sua prevedibile durata, anche garantito con tali modalità alternative, meno agevole diventa assicurare una tale garanzia nel caso sia richiesta l'inumazione, salvo non considerare conclusa tale pratica con l'introduzione del feretro nella fossa e il ricoprimento della stessa fossa; analogamente, per la tumulazione, e, anche, in tal caso, salvo non considerare assolta la pratica funeraria con la chiusura del sito di tumulazione, caso nel quale, anche accedendo ad una tale linea interpretativa, verrebbe meno la prassi per cui, nella tumulazione, non solo il loculo debba essere impermeabile ai liquidi ed ai gas, ma lo debba essere anche il feretro, dato che il sopracitato art. 75, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, prescrive particolari caratteristiche costruttive e di confezionamento. Per altro, la salvaguardia della normativa nazionale, e internazionale, in materia di trasporto di salma, in quanto limitata, in conseguenza dell'art. 5, comma 2 L.P. (Bolzano) 19 gennaio 2012, n. 1, induce a considerare come le disposizioni dell'art. 2, commi 3 e 4 regolamento, trovino applicazione unicamente nei casi di trasporto di salma (o, meglio, di feretro) al di fuori del territorio provinciali.
Infine, l'art. 2, comma 5 "alleggerisce" la prescrizione dell'art. 18, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, disposizione che, per la verità, non ha applicazione "rigida", a causa del possibile conflitto che una sua "rigida" applicazione comporterebbe sotto il profilo della pietas. Nel caso, un tale "alleggerimento" è introdotto in forma esplicita, approccio del tutto da valutare in termini positivi.
L'art. 3, comma 1 del regolamento ripropone (e con norma di rango secondario), sotto il profilo sostanziale, la previsione dell'art. 3, comma 1, lett. a) L. 30 marzo 2001, n. 130, così come il comma 2 si richiama alla stessa disposizione nazionale, lett. b), introducendo elementi, per così dire, aggiuntivi, come è il caso della previsione della lett. c). Prima di affrontare questo istituto, si evidenzia come alla lett. d), ultimo periodo, sia stato sostanzialmente riprodotta l'incongrua previsione dell'art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130, senza coglierne l'improprietà, dato che questa previsione avrebbe senso se formulata nel senso opposto, cioè come dichiarazione che, quanto resa nel Comune di residenza, debba essere trasmessa al Comune di decesso, essendo questo competente al rilascio dell'autorizzazione alla cremazione. Ritornando all'art. 3, comma 2, lett. c) (dichiarazione della persona defunta rilasciata al Comune di ultima residenza) non possono che osservarsi le criticità che possono sollevarsi in relazione alla forma di una tale "dichiarazione", nonché ad altri eventuali requisiti cui questa debba rispondere. Oltretutto, nel caso, si tratta di aspetti che, attendo alla materia dell'ordinamento civile (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.), comportano la sussistenza di una competenza (legislativa ed esclusiva) dello Stato, con difetto di sussistenza di competenza legislativa regionale (e, nelle Province autonome di Bolzano e Trento va tenuto conto come sussista competenza legislativa provinciale che si potrebbe definire, pur correndo il rischio di una qualche grossolanità giuridica, come ripartita tra le due province autonome, spettando alla Regione, per il proprio Statuto, potestà legislativa in materie predeterminate) e, a maggiore ragione, non regolabili con norma di rango secondario. Tuttavia, la questione della forma che possa essere richiesta ad subastatiam per una tale dichiarazione da parte del defunto, ovviamente da rendersi in vita, non appare secondaria, se non altro per il fatto che deve essere esclusa l'applicabilità dell'istituto di cui all'art. 47 testo unico, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e succ. modif., non avendo a proprio oggetto stati, qualità personali o fatti, quanto una volontà destinata ad avere attuazione in futuro, rispetto al momento in cui una tale dichiarazione venga resa, volontà riferita ad atti di disposizione, post mortem, del proprio corpo. Oltretutto, la questione della forma di una tale dichiarazione proietta i propri effetti anche a proposito della qualificazione dell'organo comunale competente a riceverla. In parte, una possibile soluzione potrebbe ravvisarsi, in via interpretativa, ricorrendo alla previsione finale del primo periodo della successiva lett. d), la quale lascia, per altro, aperte le questioni in precedenza sollevate, che non si porrebbero se questa avesse, meramente, riprodotto il testo dell'art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130, come sembrava di voler fare, considerandosi come tale norma nazionale individui:
a) il soggetto funzionalmente competente,
b) il soggetto territorialmente competente,
c) la forma (processo verbale),
aspetti che nel regolamento sono assenti.
L'art. 3, comma 3 del regolamento sembra richiamare, in parte, la previsione dell'art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130, con alcune differenziazioni, sostanziali. Come noto quest'ultima norma consente la cremazione delle salme una volta decorso un termine, diverso in relazione alla pratica funeraria, con il mero assenso (o con modalità alternativa, nel caso di irreperibilità) degli aventi titolo a disporre, laddove un tale assenso non ha il carattere di una manifestazione di volontà alla cremazione, ma, appunto, di mero assenso (in qualche modo, un'acquiescenza). In particolare, una tale ammissibilità non è, per tale disposizione, collegata allo stato in cui si trovi il corpo. Anche se l'art. 3, comma 3 regolamento appaia riproporre, o riferirsi, a tale istituto, presenta alcuni elementi di differenziazione del tutto rilevanti, nei loro effetti. Dapprima, ne subordina l'ammissibilità del ricorso ad una situazione di insufficienza di aree, secondo un'impostazione presente anche nell'art. 7, comma 6 L.R. (Lombardia) 18 novembre 2003, n. 22 - oggi, art. 73, comma 6 L.R. (Lombardia) 30 dicembre 2009, n. 33 - e che, per inciso, era presente anche, in fase iniziale, nel P.d.L. che è poi divenuto la L.R. (Marche) 1° febbraio 2005, n. 3 (ma che, nel corso dei lavori consiliari, è stata espunta in quanto considerata poco rispettosa dei defunti, con la conseguenza che nella Regione Marche opera pienamente la norma nazionale qui di riferimento). Va considerato, rispetto a questa condizione, come una situazione d'insufficienza di aree dedicate alla sepoltura non potrebbe, a rigore, potersi avere, salvo non siano intervenuti eventi imprevisti ed imprevedibili (pur da mettersi in conto) che abbiano comportato un rilevante numero di sepolture a sistema d'inumazione, dato che se, ad di fuori di eventi eccezionali, essa vi sia, dovrebbe trarsi la conseguenza che il Comune ha inadempiuto agli obblighi cui era tenuto in relazione al c.d. "fabbisogno cimiteriale", alla luce dell'art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con ciò sollevandosi questione attorno alle responsabilità di quanti abbiano concorso al determinarsi di una tale situazione di insufficienza. Per altro, superando una tale questione, una tale condizione viene a costituire una condizione di preclusione al ricorso della cremazione dei resti mortali, anche quando sia richiesta dagli aventi titolo. La seconda questione che si pone è quella del riferimento, appunto, ai resti mortali, la cui definizione è data dall'art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, per la quale i resti mortali non sono solo i corpi dei defunti decorsi un dato periodo, variabile in relazione alla pratica funeraria utilizzata, ma richiedono che a questo elemento temporale concorra altresì la presenza di fenomeni conservativi (fenomeni conservativi del tutto non considerati dall'art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130). Infine, non può trascurarsi di osservare come l'assenso sia previsto per i parenti, se reperibili, trascurando ogni ipotesi relativa al coniuge, il cui rapporto giuridico con il defunto è, nella materia, prevalente sul rapporto di parentela (il ché comporterebbe, sotto il profilo testuale, un'esclusione del coniuge, che probabilmente non si intendeva fare).
L'art. 4 del regolamento sembra rispondere abbastanza palesemente ad esigenze, per così dire, di ordine ambientale, salvo che doversi osservare la sostanziale indeterminatezza della previsione sul "legno non trattato", non essendo esplicito se possano ad es. impiegarsi vernici (e, nel caso, di quale natura ed in quali quantità), ma soprattutto se ciò escluda ogni trattamento del legno o si limiti a specifici trattamenti. La previsione solleva, oltre che quanto già osservato, anche il tema su chi e con quali modalità debba verificarsi l'impiego di un feretro piuttosto che di altro.
Sotto il profilo delle modalità di conservazione delle ceneri, l'art. 5 del regolamento, prevenendo quasi come default la disposizione, da parte del defunto, per la dispersione delle ceneri, prevede che, qualora una tale disposizione manchi, le ceneri siano raccolte in un'urna, sigillata e recante gli elementi identificativi del defunto. La conservazione dell'urna cineraria può avere plurime destinazioni, purché nel rispetto della volontà del defunto, cioè essere: a) tumulata in un cimitero, b) interrata, c) consegnata all'affidatario. Rispetto alla prima ipotesi di conservazione (tumulazione), pur se, testualmente, siano considerate le sole fattispecie della tumulazione in loculi salma o collocata in appositi loculi cinerari, si ritiene che possa accedersi all'interpretazione per cui la tumulazione possa aversi anche in sepolcri a sistema di tumulazione non individuali, nonché che alla funzione di loculi cinerari possano essere adibite anche cellette ossario (o, meglio, manufatti a sistema di tumulazione costruiti a questo fine) alla sola condizione che la volumetria interna del manufatto lo consenta (si ricorda come in alcune regioni, segnatamente Lombardia e Piemonte, norme regolamentari abbiano previsto misure differenziate a seconda che i manufatti siano destinati ad accogliere cassette ossario, oppure urne cinerarie). La seconda modalità di conservazione dell'urna cineraria (interramento) sembra richiamare la presenza, in sede locale, di concessioni di aree a sistema di inumazione per l'impianto di campi ad inumazione per famiglie o, forse anche, la presenza di concessioni di aree sempre a sistema d'inumazione per sepolture individuali. La questione dell'interramento solleva altra, cioè se questa pratica sia una modalità di conservazione, oppure una modalità, surrettizia, di dispersione delle ceneri, ma, poiché l'art. 5, comma 1 del regolamento, la qualifica come una delle modalità di conservazione, dovrebbe conseguire che non solo l'urna debba essere costituita in materiale durevole (quanto meno per l'intera durata della concessione dell'area), ma propone altresì la questione se un tale interramento richieda la predisposizione di un manufatto, interrato, in cui collocare l'urna cineraria o possa consentire di collocare l'urna cineraria direttamente a contatto con il terreno. Per altro, l'ipotesi dell'interramento quale forma, surrettizia, di dispersione delle ceneri è - espressamente - considerata all'art. 9, comma 2, lett. b) del regolamento, dove l'indicazione di tomba di famiglia (coordinata con le previsioni dell'art. 5, comma 2, lett. b)) lascia abbastanza trasparentemente intendere che il termine sia riferibile ad aree avute in concessioni per sepolture, familiari, a sistema d'inumazione. Si dovrebbe concludere come l'interramento possa essere una modalità fruibile, localmente, tanto in termini di una modalità di conservazione, quanto di una modalità, surrettizia, di dispersione delle ceneri, richiedendosi prescrizioni differenti a seconda dei casi (e sempre nel rispetto della volontà del defunto). Oltretutto, queste ipotesi aprono ad altra, cioè se l'urna cineraria (sia che vi sia un manufatto apposito o meno) possa essere collocata in una fossa in cui vi sia già altro feretro o possa, in futuro, accogliere altro feretro, oppure se debba farsi ricorso ad una fossa distinta. Sotto questo ultimo profilo, considerandosi l'art. 74 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, dovrebbe concludersi per l'inammissibilità di una promiscuità nell'utilizzo della medesima fossa, in presenza (attuale o futura) di feretro, mentre maggiori possibilità, specie se in presenza di appositi manufatti, potrebbero considerarsi sussistenti per l'interramento di più urne cinerarie, in particolare se si tratti di aree oggetto di concessione, assumendosi come, in questo ultimo caso, potrebbe parlarsi di un "sepolcro" a carattere familiare. Meno, o per nulla, sostenibile l'ipotesi dell'interramento (e, nella fattispecie, di un'unica urna cineraria) dell'urna cineraria nelle fosse dei c.d. campi comuni, in quanto queste sono destinate elettivamente ad accogliere feretri.
La terza modalità di conservazione dell'urna cineraria consiste nella sua consegna al soggetto affidatario, modalità meglio definita dal successivo art. 6, con cui viene regolato l'istituto dell'affidamento dell'urna cineraria. L'elemento che emerge immediatamente riguarda la carenza di individuazione del soggetto funzionalmente, quanto territorialmente, competente ad autorizzare l'affidamento dell'urna cineraria, né le eventuali condizioni ed altro, aspetti su cui, per altro, neppure l'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, definisce molto, salva l'usuale formula sul rispetto della volontà del defunto, rinviando, evidentemente, per questi aspetti preconizzate modificazioni al D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con cui inizia lo stesso art. 3. Nel caso di specie, l'art. 6, comma 1 attribuisce una tale competenza al Comune di residenza del defunto, che non necessariamente può coincidere con il luogo di conservazione dell'urna cineraria (infatti, l'affidamento costituisce il "titolo" per una conservazione dell'urna cineraria in luogo diverso dal cimitero, con la conseguenza che l'oggetto, sostanziale, dell'autorizzazione all'affidamento non è propriamente l'affidamento - che altro non è se non un titolo - quanto la conservazione dell'urna cineraria in un luogo diverso dal cimitero, per cui, secondo principi generali dell'ordinamento giuridico, avrebbe dovuto individuarsi una competenza in capo al Comune in cui una tale conservazione sia prevista avvenire). L'attribuzione della competenza al Comune di residenza, in vita, del defunto, prescinde totalmente da queste considerazioni, con la conseguenza che la conservazione potrebbe avvenire in Comune diverso, ed anche in Comune appartenente ad altra provincia. Tra l'altro, l'autorizzazione all'affidamento dell'urna cineraria, rilasciata dal Comune di residenza del defunto, vale anche quale titolo per il trasporto dell'urna cineraria stessa: considerando come ben possa aversi una non coincidenza tra il Comune di residenza, in vita, del defunto, Comune nel cui cimitero si trovi l'impianto di cremazione, Comune di conservazione dell'urna cineraria (Comuni che non necessariamente possono essere siti nella Provincia autonoma di Bolzano), sono evidenti le criticità che possano conseguirne. Si faccia ad es. l'ipotesi di un defunto che, residente in vita fuori dalla Provincia autonoma, sia oggetto di cremazione a Bolzano. Sulla base dell'art. 6, comma 1 del regolamento potrebbe pervenirsi a considerare che l'affidamento dell'urna cineraria, in questi termini, possa intervenire unicamente per i defunti residenti nella Provincia autonoma di Bolzano, elemento di criticità non di poco conto, considerandosi come in altra Provincia autonoma e in altre regioni siano presenti norme che, in proposito, possono essere ben differenti. Il ché vale anche per l'autorizzazione all'affidamento quale "titolo" per il trasporto dell'urna cineraria (o, più esattamente, per il suo trasporto dall'impianto di cremazione al Comune di conservazione, con ciò derogandosi dalla previsione dell'art. 26 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285). Poiché, oltretutto, non si considerano i requisiti soggettivi per l'affidamento dell'urna cineraria, si deve concludere, sulla base delle norme in proposito della L. 30 marzo 2001, n. 130, che operi l'istituto dell'affidamento ai familiari, con ciò non potendosi fare applicazione, nella Provincia autonoma, di norme di altre regioni che ipotizzano altre ipotesi (dall'affidamento personale, all'affidamento anche a soggetti terzi, o alle del tutto indeterminate conservazioni in ambito privato).
Neppure si interviene sulle modalità di conservazione dell'urna da parte dell'affidatario, cioè se tale conservazione importi l'applicazione piena dell'art. 343, comma 2 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., oppure le modalità di conservazione possano anche essere differenti, aspetti per cui, forse, dovrebbe farsi riferimento, se del caso, alle disposizioni localmente vigenti (sempreché ve ne siano) nel luogo di conservazione dell'urna cineraria. Luogo che, oltretutto, potrebbe non essere neppure a conoscenza di una tale conservazione, in quanto autorizzata da altro Comune. Anche nella Provincia autonoma di Bolzano si prevede un (apposito) registro per quanto riguarda gli affidamenti dell'urna cineraria, per altro tenuto dal Comune di residenza, in vita, del defunto, aspetto che risulta ben poco funzionale. In pratica, considerando il complesso delle norme emanate in proposito dalla diverse regioni, va messo in conto di come ben possano aversi situazioni di conservazione di urne da parte di affidatari di cui venga a mancare ogni tracciabilità (ad esempio: neppure si affronta l'ipotesi che il soggetto affidatario sposti il luogo di conservazione dell'urna cineraria che abbia in affidamento, ponendo, tra altre, la questione, del titolo per effettuare il trasporto dell'urna cineraria, con ampia possibilità che questo avvenga, materialmente, senza che vi sia neppure alcuna comunicazione al Comune di residenza del defunto, ai fini di una eventuale annotazione del nuovo sito di conservazione nel registro relativo), ma, soprattutto, di cui i Comuni in cui la conservazione dell'urna cineraria ha luogo neppure abbiano elementi di conoscenza di questo.
Piuttosto, è interessante la previsione, non sempre presente in tutte le norme regionali intervenute (debitamente od indebitamente) in materia, circa la possibilità di una rinuncia all'affidamento dell'urna cineraria, probabilmente memori del fatto che la conservazione dell'urna cineraria da parte dei familiari può creare risvolti di vario ordine, anche psicologico, sull'affidatario. La rinuncia non richiede particolari motivazioni, quanto unicamente una dichiarazione - senza definirne la forma - resa al Comune di residenza in vita del defunto (cosa che potrebbe costituire un fattore critico, specie quando questo sia diverso dal Comune in cui si trovi il soggetto affidatario). Dato che non è definita la forma di una tale dichiarazione si deve ritenere, in via interpretativa, che essa non debba necessariamente rispondere a specifici requisiti di forma, qualificandosi come una scrittura privata (art. 2702 C. C. e non art. 2703 C.C.) e tale da non richiedere altre formalità (quali, es., quelle dell'art. 38 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e succ. modif., norma che, per altro, entra in gioco considerando questa - espressamente - le "dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione", con la conseguenza che questa disposizione trova inequivocabilmente applicazione), e che essa possa trasmessa con le diverse modalità ammissibili, principalmente quelle dell'art. 45 D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e succ. modif.. La rinuncia all'affidamento è oggetto di annotazione sull'apposito registro, ma appare maggiormente rilevante la conseguente destinazione dell'urna cineraria, dato che - di norma - essa dovrebbe essere conferita al cimitero del Comune di residenza, in vita, del defunto, pur se, subordinatamente ad una "disponibilità", possa esserlo anche ad altro Comune (o frazione (…), in altro sito: il richiamo a Comune o frazione porta a considerare come, probabilmente, il riferimento ad una tale disponibilità a prendere in consegna l'urna cineraria sia riferita a cimitero di altro Comune o di altra frazione (ma per le frazioni agisce sempre il Comune). Circa questa "disponibilità", merita qualche osservazione, nel senso che essa non è, normativamente, qualificata, consentendo di concludere come essa costituisca sostanzialmente una facoltà di accoglimento che il Comune (anche nel caso delle frazioni, cioè dei cimiteri frazionali) possa valutare in relazione alle condizioni dei luoghi, della disponibilità di siti di conservazione dell'urna cineraria, ma anche sulla base, ove presenti, di criteri di accoglimento, adottati ad integrazione di quelli dell'art. 50 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e senza che il soggetto affidatario che rinuncia possa trovarsi in alcuna specifica situazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo in conseguenza della dichiarazione di rinuncia, poiché queste posizioni richiederebbero, quanto meno, la sussistenza di una delle condizioni del testé citato art. 50. In tutti i casi, il Comune (o frazione) che prende in consegna l'urna cineraria a seguito di una rinuncia all'affidamento, provvede (il regolamento usa il termine "dispone") per una delle modalità di conservazione previste dall'art. 5 regolamento, oppure per la dispersione delle ceneri contenutevi nel cinerario comune: poiché le modalità di conservazione sono necessariamente sempre a titolo oneroso, è da dedurre che la dispersione delle ceneri nel cinerario comune abbia luogo quando l'affidatario (ma si veda di seguito) non provveda ad altra destinazione, in termini di conservazione dell'urna cineraria. Qui emerge un'ulteriore criticità consistente nel fatto che la persona affidataria potrebbe essere solo una delle persone aventi titolo a disporre dell'urna cineraria (si pensi al caso di pluralità di parenti nel grado più prossimo), ipotesi nella quale quello di questi che sia (ormai, sia stato) affidatario non sarebbe il solo soggetto titolare di una potestà dispositiva. In tutti i casi, i provvedimenti adottati (o, meglio le operazioni eseguite) sono oggetto di comunicazione, ai fini dell'annotazione sull'apposito registro, al Comune di residenza, in vita, del defunto.
L'art. 7, concernente il trasporto delle ceneri (o, meglio, dell'urna cineraria) non va oltre alla riproduzione della previsione dell'art. 36, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
L'istituto della dispersione delle ceneri è affrontato dall'art. 8 del regolamento che, per alcuni versi, si rifà all'art. 3, comma 1, lett. c) L. 30 marzo 2001, n. 130, considerando, tra le altre possibilità, come già osservatosi in relazione all'art. 5 regolamento. Di un certo rilievo, nel caso di dispersione in natura (trascurandosi i riferimenti ai centri abitati riferiti agli strumenti urbanistici, anziché alle perimetrazioni del Codice della Strada), la previsione dell'art. 8, comma 3, lett. b) del regolamento, laddove si considerano "aree naturali appositamente individuate dai comuni" - formulazione che richiama alla memoria le abbastanza (ma non totalmente) similari disposizioni dell'art. 4, comma 1, lett. b) L.R. (Campania) 9 ottobre 2006, n. 20, nonché dell'art. 5, comma 2, lett. b) L.R. (Basilicata) 28 aprile 2009, n. 14) - che, coordinata con la previsione dell'immediatamente successiva lett. c), porta a considerare come anche le aree private possano essere qualificate, talora, quali aree naturali, per cui andrebbe sollevata la questione se le prime possano essere necessariamente individuabili unicamente nelle aree di proprietà di soggetti pubblici o ricadenti in forme di comunione indivisa (es.: beni di uso civico), per le quali ultime l'individuazione da parte del Comune non potrebbe prescindere da un quale co-intervento, quanto meno in termini almeno di parere (magari nella fase istruttoria del provvedimento di individuazione), dei comitati di amministrazione separata o, in difetto, degli altri organi, eventualmente inclusa l'assemblea delle associazioni od organismi titolari di tali beni comuni. Va anche considerato, sempre in relazione all'art. 8, comma 3, lett. b) del regolamento, come l'individuazione delle aree naturali debba essere riferita alle competenze dei consigli comunali, in applicazione dell'art. 26, comma 3, lett. b) testo unico, D.P.Reg. (Trentino-Alto Adige) 1° febbraio 2005, n. 3/L e succ. modif.. Di ulteriore rilievo è l'art. 8, comma 4 del regolamento per cui il Comune di dispersione delle ceneri, quale ne sia il luogo, è tenuto ad annotare (presuntivamente su un apposito registro destinato alle dispersioni delle ceneri) la destinazione finale dichiarata (il ché porta a presupporre che non vi siano verifiche, controlli o altro sull'effettiva esecuzione della dispersione, del luogo né del soggetto che vi proceda), dove il "dichiarata" è riferito al soggetto affidatario, dandone comunicazione al Comune di ultima residenza in vita, del defunto. A parte la proliferazione di "appositi registri", qui si rileva come tra cremazione e dispersione venga inserito, in termini funzionali intermedi, l'istituto dell'affidamento dell'urna, con la conseguenza che, all'autorizzazione alla cremazione (rilasciata dal Comune di decesso), vi dovrà essere l'autorizzazione all'affidamento (rilasciata dal Comune di residenza in vita, del defunto) e successivamente la mera dichiarazione circa il luogo di dispersione delle ceneri (resa al Comune di prevista dispersione delle ceneri). O, altrimenti, non potrà aversi, localmente, la sola autorizzazione alla dispersione delle ceneri (e, ovviamente, la concettualmente precedente autorizzazione alla cremazione), con un evidente aggravamento procedimentale.
In materia di dispersione delle ceneri, può osservarsi come dalle premesse alla D.G.P. (Bolzano) n. 1764 del 26 novembre 2012, di approvazione del regolamento, risulti che, nella fase istruttoria, il Consiglio dei Comuni avesse espresso un parere favorevole, ritenendo, … però che la dispersione delle ceneri debba essere effettuata solamente nel Comune, nel quale il/la defunto/ta abbia acquisito il diritto di sepoltura. Per dirimere ogni dubbio, lo stesso Consiglio ha quindi proposto di inserire nel regolamento di esecuzione una disposizione del seguente contenuto: "il Comune disciplina con proprio regolamento il diritto di sepoltura per tutte le pratiche funerarie." La Giunta provinciale, in sede di approvazione del testo regolamentare, ha ritenuto che non fosse necessario accogliere tale indicazione, con l'inserimento esplicito di suddetta disposizione, valutando che la normativa vigente preveda già la possibilità dei Comuni di regolamentare il diritto di sepoltura sul proprio territorio nel rispetto della normativa provinciale. Pare sul punto che vi sia un equivoco nel senso di qualificare la dispersione delle ceneri come una "sepoltura", quanto ne costituisce esattamente l'opposto, equivoco presente sia nell'indicazione formulata dal Consiglio dei Comuni in sede di deliberazione approvativa (ma, principalmente nella prima), dall'altro il mancato accoglimento di quest'indicazione, che avrebbe comportato una limitazione circa le possibilità di scelta circa i luoghi di effettuazione della dispersione delle ceneri, non parrebbe neppure sostenibile che i Comuni possano, alla luce dell'art. 9, comma 4 del regolamento, regolamentare questo aspetto (ad es. limitando la possibilità di dispersione delle ceneri, nei luoghi in cui sia ammessa, in termini di avvenuta acquisizione del diritto di sepoltura), poiché questa specifica norma non va oltre al prescrivere l'annotazione sulla destinazione finale, oltretutto "dichiarata" dal soggetto affidatario e l'adempimento amministrativo della comunicazione al Comune di residenza in vita, del defunto. In altre parole, non si rinvengono elementi normativi nel regolamento, così come non si rinvengono nella legge provinciale, che legittimino i Comuni ad adottare propri norme regolamentari in tal senso, quanto meno per quanto attenga all'istituto della dispersione delle ceneri. Non è da escludere che la Giunta provinciale abbia fatto ricorso ad una tale argomentazione per sottrarsi dall'accogliere una formulazione che sarebbe stata oltre modo limitativa.
Anche la Provincia autonoma di Bolzano è stata attratta dalla sirena del c.d. "senso comunitario della morte", prevedendo (art. 9 del regolamento) come il soggetto affidatario abbia la facoltà di chiedere che, o nel cimitero del Comune di residenza, in vita, del defunto o nel cimitero del Comune di decesso, "venga tenuta memoria dei dati anagrafici del defunto", senza null'altro aggiungere, il ché consente ai Comuni di adottare le misure che, a tal fine, ritengano più appropriate (fermo restando che, trattandosi di prestazioni "a richiesta", non possono che essere, sempre e comunque, a titolo oneroso).
Tra le misure, e modalità adottabili potrebbe esservi anche quella ipotizzata nell'art. 5, commi 1 e 2 L.R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n. 18 (ed il cui tenore è: "1. Affinché non sia perduto o affievolito il senso comunitario della morte, ogni Comune cura che in seno al giardino della memoria sia reso disponibile all'utenza un archivio informatico delle biografie dei defunti, adiacente al cinerario comune previsto dal comma 6 dell'articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285.
2. Nell'archivio di cui al comma 1 può assegnarsi uno spazio per l'inserimento di cenni biografici e di immagini, secondo la normativa predisposta dall'amministrazione comunale. Le inserzioni sono autorizzate, previo esame ed approvazione da parte di un'apposita commissione, con procedure analoghe a quelle attinenti i tradizionali epigrammi e le strutture sepolcrali.")
cioè ricorrendo a modalità anche informatiche, dove, tra l'altro, la norma della Regione Sicilia prevede ben oltre che una "memoria". Ma ciò non esclude che possa farsi ricorso anche ad altre metodiche. Il richiamo alle modalità informatiche, potrebbe consentire, anche, l'attivazione di qualche sito web, o di sezioni nel sito web istituzionale del Comune, in funzione di provvedere all'applicazione dell'art. 9 regolamento.
Il regolamento conclude con una semplice norma di rinvio (art. 10) alla normativa statale per quanto da esso non disciplinato.
In applicazione dell'art. 12, comma 2 L.P. (Bolzano) 19 gennaio 2012, n. 1 l'adeguamento, da parte dei Comuni, dei regolamenti comunali di polizia mortuaria, qualificati come "regolamenti cimiteriali" (sempre che sia necessario) deve avvenire entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento. Va qui osservato come una tale previsione di adeguamento possa aversi se ed in quanto sia necessaria, dal momento che in molti casi potrebbe considerarsi come il regolamento comunale in atti vigente non richieda adeguamenti, in tutti i casi la legge provinciale ed il suo regolamento possano trovare applicazione senza in modo indipendente dalle previsioni del regolamento comunale. Incidentalmente, si osserva come l'efficacia dei regolamenti comunali sia tuttora correlata al completamento del procedimento considerato dall'art. 345 T.U.LL.SS., R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif, per cui il termine per l'eventuale adeguamento dovrebbe, in via interpretativa, essere tenuto in considerazione per l'adozione, da parte dei consigli comunali, delle norme di adeguamento che siano necessarie, dal momento che i termini successivi, ai fini dell'efficacia, esulano dalla titolarità dei Comuni.