ALLEGATO 2
Provincia autonoma di Bolzano - Legge provinciale 19 gennaio 2012, n. 1 "Disposizioni in materia cimiteriale e di cremazione"
(B.U.R. n. 4 del 24 gennaio 2012)


Come noto, la regione Trentino-Alto Adige opera sulla base di uno Statuto speciale a partire dalla L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 5, sulla base del quale la Regione ha potestà legislativa in alcune materie, potestà legislativa che è attribuita, altresì (artt. 8, 9 e 10 Statuto), alle Province autonome che la costituiscono. Tra le materie di competenza legislativa provinciale, vi è (art. 10, Statuto, n. 10) "10) igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera;".

Il Consiglio provinciale della Provincia autonoma di Bolzano aveva approvato la legge de quo il 13 gennaio, promulgata il 19 gennaio e che, in relazione alla sua pubblicazione, essa entra in vigore l'8 febbraio 2012.

Anche se nella sua titolazione la L.P. (Prov. aut. Bolzano) 19 gennaio 2012, n. 1 richiami la materia cimiteriale, di questa non si fa cenno (salvo che all'art. 12, comma 2), mentre in realtà essa incentra (oltre che per alcuni aspetti concernenti la cremazione e destinazione delle ceneri) la propria attenzione sugli aspetti, e fasi, necroscopici, con particolare riferimento all'accertamento della morte, come risulta dalla finalità indicata in via preliminare al suo art. 1, comma 1, dedicando il comma 2 al concetto di "senso comunitario della morte" che trova sostanza, quando vi sia affidamento delle ceneri, all'art. 8, comma 3 (ma non nell'ipotesi della dispersione delle stesse), con un cenno al fatto per cui siano consentite "forme rituali di commemorazione" che, per altro, rimangono indeterminate.

L'art. 2 attribuisce al medico competente sia l'accertamento della morte che la denuncia della ritenuta causa di morte, con una formulazione tanto generica sulla competenza da poter essere valutata quale inutiliter data, anche se, sul punto, si abbia poi un rinvio a norma regolamentare (art. 11, comma 1, lett. a) e b)), mentre (art. 3) è espressamente previsto l'espianto di stimolatore o defibrillatore cardiaci, se presenti, da parte di tale medico o di persona delegata da questi. Se questa sia la prima, nel panorama delle norme regionali emanate in materia, previsione in questo senso fatta con norma di rango primario (legge), la sua formulazione sembra essere tale da comportare un tale espianto in via generalizzata, cioè a prescindere dalla pratica funeraria richiesta; in genere, una tale problematica viene a porsi quando sia richiesta la cremazione, mentre essa non presenta effetti collaterali più o meno negativi nel caso di inumazione e meno ancora nel caso di tumulazione. Senza entrare nel merito della previsione di espianto di tali dispositivi, in considerazione anche che i fattori di rischio, nell'ipotesi di cremazione, potrebbe, a volte ma non sempre, essere posta in relazione alla tipologia di dispositivi, si evidenzia come, accanto alla competenza medica, sia ammessa anche quella della delega ad altra persona. In alcuni ambienti, infatti, non mancano indirizzi secondo cui la titolarità ad un espianto di dispositivi di questo tipo attenga all'esercizio della professione medica, ma non sono neppure assenti orientamenti, forse anche minoritari, maggiormente possibilisti circa la possibilità che l'espianto del dispositivo sia svolto da altre figure, come potrebbero essere tecnici sanitari (che spesso dispongono dello specifico e necessario know-how per provvedervi). Di personale tecnico quale possibile destinatario di una delega si parla, a mero titolo di esempio, all'art. 48 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, in relazione ai trattamenti di cui al precedente art. 32. La formulazione presente all'art. 3 non affronta questo aspetto, con la conseguenza che persona delegata potrebbe, secondo valutazione rimessa, in sostanza, al medico "competente" (art. 2), essere anche persona che non presenti le caratteristiche di "personale tecnico sanitario".
L'art. 4, in applicazione di un principio di cautela, prescrive che il personale addetto all'attività funebre (per altro, neppure definita) adotti adeguati mezzi di protezione in funzione di prevenzione di rischi biologici, in tutti i casi, cioè indipendentemente dalla cause del decesso. L'adeguatezza di tali mezzi di protezione rimane, almeno dalla legge provinciale, indefinita, con la conseguenza che la valutazione di una tale adeguatezza andrà ricercata in altre fonti.

Se l'art. 1, comma 2 consideri come siano consentite "forme rituali di commemorazione", l'art. 5, comma 1 considera la veglia a domicilio, ma solo per il tempo strettamente necessario (e, comprensibilmente, purché in assenza di fattori ostativi), prevedendo, altresì, come il trasporto della salma dal luogo di domicilio al luogo di osservazione cimiteriale avvenga previo nulla-osta del medico competente, nulla-osta necessario anche per la veglia funebre a domicilio. La formulazione mette assieme due situazioni non necessariamente omogenee. Infatti la veglia funebre, avvenendo a domicilio, potrebbe aversi nel luogo stesso del decesso, quando questi avvenga a domicilio, con la conseguenza che, decorso il periodo di osservazione, si renderà necessario un nulla-osta da parte del medico competente, pur se il defunto non sia oggetto di trasferimento altrove. La seconda fattispecie considera il trasporto dal luogo di domicilio (e, per il contesto, deve presumersi anche, di morte) al luogo di osservazione cimiteriale, con un riferimento implicito all'art. 12 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, dove, oltretutto, la specificazione "cimiteriale", sembra indurre ad un'interpretazione che escluda come l'osservazione possa avvenire in altri luoghi (es.: strutture sanitarie) o che il deposito di osservazione non possa che essere se non all'interno del cimitero e non anche presso ospedali, istituti sanitari o altri edifici rispondenti alle esigenze funzionali proprie del deposito di osservazione, con ciò limitando l'autonomia dei singoli comuni nella localizzazione del deposito di osservazione. Ma non si affronta l'ipotesi del decesso in ospedali, strutture sanitarie e/o case di riposo, R.S.A. ed assimilabili, dove potrebbe aversi la richiesta, da parte dei familiari aventi titolo, di effettuare un trasporto della salma presso il domicilio. La precisione del nulla-osta, sia per la veglia funebre (limitata al tempo strettamente necessario) come per il trasporto al deposito di osservazione cimiteriale, costituendo una valutazione medica, non comporta deroghe alle ordinarie norme che regolano, anche sotto il profilo autorizzatorio, il trasporto di cadaveri, dal momento che il nulla-osta viene a costituire un'aggiuntiva esigenza di ordine e natura del tutto endo-procedimentale. Non va esclusa l'ipotesi che l'art. 5, comma 1 fosse stato inizialmente valutato nella prospettiva di consentire quello che in alcune altre regioni è stato definito quale "trasporto di salma", previa differenziazione definitoria tra "salma" e "cadavere", ma ogni interpretazione, per quanto nella direzione della c.d. volontà del legislatore, non può discostarsi dal "senso …. fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse" (art. 12, comma 1, Disposizioni sulla legge in generale, c.d. Preleggi). Questa ipotesi potrebbe essere, sotto quale profilo, trovare argomento, per altro del tutto flebile, dall'art. 5, comma 2 L.P. (Prov. aut. Bolzano) 19 gennaio 2012, n. 1, che considera l'ipotesi del trasporto di salma fuori dal territorio provinciale, con scontato rinvio all'applicazione della normativa nazionale.

L'art. 6 considera l'autorizzazione alla cremazione discostandosi dalle previsioni dell'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, per il fatto che, tra le forme di espressione della volontà alla cremazione, si considera, accanto al testamento o all'iscrizione a SO.CREM., unicamente una dichiarazione rilasciata al comune di ultima residenza, dove un tale aggettivo (ultima) dovrebbe portare a ritenere che si tratti del comune di ultima residenza del defunto. Ciò apre la questione se una tale dichiarazione sia riferibile al defunto, fin tanto ché in vita, oppure anche ad eventuali familiari che vi provvedano in assenza di testamento o di altre manifestazione di volontà da parte del defunto, ipotesi nella quale non sempre il comune di ultima residenza (del defunto) appare quella maggiormente funzionale. Non si affrontano altri aspetti, quali (es.) la necessità o meno di certificazione medica (necroscopo) che escluda il sospetto che la morte sia dovuta a reato, né se i familiari, in difetto del coniuge, debbano, o possano, dichiarare la volontà alla cremazione in termini di maggioranza assoluta, oppure con la concorrenza di tutti quelli nel grado più prossimo. Tra l'altro,anche se manchi nell'art. 6 ogni rinvio alla L. 30 marzo 2001, n. 130, probabilmente potrebbe argomentarsi come le disposizioni dell'art. 6 debbano, in via interpretativa (e non senza qualche "forzatura"), poter essere correlate e concorrere con quelle dell'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, quanto meno per gli aspetti e situazioni non prese in considerazione dall'art. 6 (ma si veda, di seguito, quanto considerato con riferimento all'art. 11). Incidentalmente, andrebbe osservato come la titolarità a disporre per le pratiche funerarie e relative manifestazioni di volontà (e loro forme) attengano alla materia dell'ordinamento civile (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.), per cui andrebbero sollevate questioni sulla competenza legislativa regionale e, nel caso di specie, provinciale.

L'art. 7 considera la conservazione delle ceneri, tanto in cimitero quanto ricorrendo all'istituto dell'affidamento (di seguito affrontato all'art. 8), tra l'altro prevedendo altresì (art. 7, comma 2) l'ipotesi dell'interramento, probabilmente imputabile alll'ampio ricorso alla pratica dell'inumazione presente nella provincia. Quest'ipotesi, presenta risvolti plurimi, nel senso che l'ammissibilità dell'interramento non consente deroghe al principio dell'individualità delle fosse nell'inumazione (art. 74 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), in quanto una tale deroga dovrebbe essere stata espressamente specificata, anche se le dimensioni dello spessore di terreno (che poi altro non significa se non profondità del collocamento dell'urna cineraria) potrebbe lasciare intravedere quest'intenzione, per altro non espressa. A ciò va aggiunto il fatto per cui un tale interramento potrebbe costituire una modalità di conservazione delle ceneri (come si desume dalla sua collocazione sistematica nell'art. 7 che presenta proprio questa rubricazione), con la conseguenza che dovrebbero impiegarsi urne costituite con materiali resistenti, quanto meno per il periodo di durata dell'interramento, sia esso quello dell'ordinario turno di rotazione o un eventuale maggiore termine che, localmente, sia previsto, eventualmente, per sepoltura ad inumazione aventi le caratteristiche di sepolcri privati nei cimiteri. Tuttavia, l'interramento potrebbe anche essere in funzione di realizzare una peculiare modalità di dispersione delle ceneri, richiedendo in tale prospettiva l'impiego di urne che presentino requisiti di degradabilità, meglio se accentuata. Per altro, ciò contraddirebbe la collocazione sistemativa nell'art. 7, in quanto, a rigore, una tale previsione dovrebbe avere trovato migliore collocazione nell'art. 9, rubricato, per l'appunto, quale riferito alla dispersione delle ceneri.

L'art. 8, in materia di affidamento, si discosta fortemente dalla previsione dell'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, in cui si parla di affidamento ai familiari, prevedendo come soggetto affidatario dell'urna possa essere qualsiasi persona, ente o associazione (anche se non via indicato, ordini di considerazioni proprio riferibili a principi generali dell'ordinamento giuridico, portano a considerare come debba trattarsi di enti o associazioni dotate di personalità giuridica), scelta (liberamente) dal defunto o da chi abbia titolo a disporre delle ceneri. Si tratta di una previsione presente anche in altre regioni (Toscana, Campania, Basilicata), ma che solleva non poche perplessità non solo e non tanto per la deroga rispetto alla L. 30 marzo 2001, n. 130, quanto per i possibili abusi cui possa portare, come nell'ipotesi che ci siano persone che, indipendentemente da altre condizioni e/o attività, procedano (es.) a dotarsi di cellari, anche in numero limitato, ponendoli "in vendita" (il ché assicurerebbe, forse, la libertà di scelta da parte del defunto in vita o dei familiari aventi titolo a disporre), e una volta raggiunta la saturazione nel numero dei posti disponibili rinuncino all'affidamento, consegnando (magari senza informazione ai familiari) l'urna al cimitero. A ciò potrebbe obiettarsi come la legge provinciale non consideri istituti relativi alla rinuncia dell'affidamento da parte del soggetto affidatario, cosa che merita per altro di dover essere in qualche modo affrontata, eventualmente in sede di regolamento di esecuzione (art. 11, lett. f)), non essendo ipotizzabile che un affidamento sia a tempo del tutto indeterminato, quanto meno per uina regolazione, se non proprio di un istituto che consideri la rinuncia, delle situazioni che possano determinarsi quando il soggetto affidatario venga meno o muti il luogo di conservazione dell'urna cineraria (ipotesi che potrebbe coinvolgere comuni anche al di fuori dell'ambito provinciale). Critica appare la previsione dell'art. 8, comma 2 con cui si attribuisce l'autorizzazione all'affidamento dell'urna cineraria al comune di residenza del defunto (cui compete la tenuta di un apposito registro). Infatti, un tale criterio di individuazione del comune competente al rilascio dell'autorizzazione all'affidamento dell'urna cineraria, non solo può essere diverso dal comune competente (art. 6) al rilascio dell'autorizzazione alla cremazione, ma altresì può non coincidere con il comune di residenza della persona o sede dell'ente o associazione affidataria. Al comma 3, riprendendo la finalità del "senso comunitario della morte" (art. 1, comma 2), si prevede come possa essere richiesto che a) nel cimitero del comune di residenza (del defunto ?), oppure b) nel cimitero del comune di decesso sia tenuta memoria dei dati anagrafici del defunto (probabilmente, si voleva dire: tenuta memoria del defunto). Una tale ipotesi è presente in alcune altre, seppure non molte, norme regionali, ma qui, accanto alle incoerenze sui vari cimiteri considerati, una tale richiesta è attribuita al soggetto affidatario, con la conseguenza che se questi non sia il coniuge od un familiare, questi ultimi sono spogliati della titolarità ad esercitare questa possibilità di richiesta di una memoria del loro caro. In altre parole, vi è una sottrazione del lutto che colpisce la famiglia e gli affetti. Infine, si deve considerare come sia abbastanza difficile, salvo non costruire linee interpretative anche strumentali, considerare l'ipotesi in cui il coniuge o altro familiare, nel grado più stretto, possa divenire, per propria volontà, affidatario dell'urna, anche se, forse, considerando la libertà di scelta potrebbe non escludersi una sorta di auto-scelta. Oltretutto, ammettendo quest'ultima ipotesi, quella dell'ammissibilità di un'auto-scelta, quando manchi il coniuge, viene a ri-proporsi la questione della pluralità di parenti nel grado più prossimo da affrontare, come in precedenza, argomentando attorno ad un ricorso, ad integrandum, delle norme della L. 30 marzo 2001, n. 130, seppure essa non venga mai né citata, né richiamata, né fatta oggetto di rinvio (ma si vedano le considerazioni sull'art. 11).

Per quanto riguarda la dispersione delle ceneri (art. 9), la stringatezza della norma adottata (la relativa autorizzazione è attribuita alla competenza del comune, senza specificazioni di sorta, dato che potrebbe essere quello di decesso, di ultima residenza (in vita) del defunto o, più razionalmente, quello in cui essa debba avere luogo (va ricordata, in proposito, la pronuncia del T.A.R. Toscana, Sez. 2^, sent. n. 2583 del 2 dicembre 2009) e si indicano i soggetti legittimati, o legittimandi, ad eseguirla), occorre anche qui, in via interpretativa, fare necessario ricorso all'integrazione con le disposizioni dell'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, in particolare con riferimento ai luoghi in cui la dispersione sia consentita, aspetto su cui si ritorna di seguito con riferimento al successivo art. 11. In difetto, si potrebbe giungere alla conclusione che la dispersione possa, nella provincia, effettuarsi (es.) anche all'interno di centri abitati (si tratta solo di uno degli esempi possibili).

L'art. 10 apapre abbastanza inutile, dal momento che dal 3 maggio 2001 è vigente, anche nella Provincia autonoma, l'art. 7 L. 30 marzo 2001, n. 130.

L'art. 11 rinvia ad apposito regolamento di esecuzione (e, quindi, emanando dalla stessa Provincia autonoma), aspetti anche importanti come la già ricordata definizione dei medici competenti (art. 2), ma anche alcuni precedentemente non considerati, come le norme - tecniche - per l'effettuazione del trasporto di cadaveri e di ceneri (leggi: urne cinerarie); una disciplina dell'autorizzazione alla cremazione, nonché quella dell'istituto dell'affidamento dell'urna cineraria, ma anche quella sulla dispersione ed i luoghi in cui possa essere consentita (sempreché sussista una competenza legislativa provinciale per una materia che attiene all'ordinamento civile (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.)); la definizione di norme - ancora una volta, tecniche - circa i feretri e l'una cineraria (ritenendosi che il riferimento riguardi i materiali, eventualmente le dimensioni ed altri aspetti tecnico-costruttivi, ma obliterandosi la previsione dell'art. 8 L. 30 marzo 2001, n. 130). Se in relazione all'art. 9 era stata ipotizzato un'applicazione, in termini d'integrazione, delle norme della L. 30 marzo 2001, n. 130 rispetto ad alcune problematiche concernenti la dispersione delle ceneri e, in precedenza anche per la disciplina dell'autorizzazione alla cremazione e dell'affidamento dell'urna cineraria, il fatto che vi sia questo espresso rinvio ad un (emanando) regolamento di esecuzione, porta ora a dover escludere quelle ipotesi, proprio in quanto oggetto di norma regolamentare, il ché determina, medio tempore, una sorta di inapplicabilità degli istituti la cui disciplina sia rimessa al regolamento di esecuzione. Se ciò potrebbe, forse anche, essere sostenibile per l'affidamento delle urne cinerarie e/o per la dispersione delle ceneri, tale conseguenza dell'art. 11 appare insostenibile, per quanto riguarda la disciplina dell'autorizzazione alla cremazione, in quanto l'applicazione, rigorosa, dell'art. 11 L.P. (Prov. aut. Bolzano) 19 gennaio 2012, n. 1, comporterebbe l'effetto che, fino all'entrata in vigore del regolamento di esecuzione, non possano rilasciarsi autorizzazioni alla cremazione.

Se l'art. 12 consente un'applicazione, per così dire, retroattiva delle norme della legge provinciale per quanto riguarda gli istituti dell'affidamento delle urne cinerarie e della dispersione delle ceneri, considerando anche le cremazioni effettuate prima dell'entrata in vigore della legge provinciale, si coglie come anche questa "retroattività" rischi di dover fare i conti con l'attesa dell'entrata in vigore del regolamento di esecuzione, per cui vi è palese contraddizione con il riferimento alle cremazioni effettuate prima dell'entrata in vigore della legge provinciale medesima, cosa che, forse, potrebbe anche essere in qualche modo gestibile, continuando a conservare le urne nell'attuale allocazione in attesa dell'entrata in vigore del regolamento di esecuzione, ma ciò creerebbe una rilevante difformità di trattamento rispetto alle cremazioni effettuate "dopo" l'entrata in vigore della legge provinciale, ma "prima" dell'entrata in vigore del suo regolamento di esecuzione. Sono evidenti le incoerenze ed auto-contraddizioni, anche se sembrerebbe che l'impianto redazionale seguito sia quello di avere voluto pensare ad una sorta di legge provinciale "cornice", entro la quale collocare il regolamento di esecuzione, magari al fine di poter meglio gestire eventuali adattamenti e modifiche per il futuro, laddove se ne venga a ravvisare l'opportunità.
Il comam 2 dell'art. 12 prevede un adeguamento dei regolamenti "cimiteriali" entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento di esecuzione alla legge provinciale, aspetto che solleva alcune perplessità dato che l'esercizio della potestà regolamentare dei comuni costituisce una componente essenziale dell'autonomia di questi ultimi, non comprimibile da altri livelli di governo (art. 114 Cost.), ma anche per il fatto che gli effetti di tali (eventuali) modifiche ai regolamenti "cimiteriali" continuano ad essere soggetti, sotto il profilo dell'efficacia, alla procedura stabilita (e relativi termini di procedimento) dall'art. 345 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif, dato che la Provincia non ha avocato a sé stessa la titolarità ad una tale approvazione, come potrebbe avere provveduto alla luce dell'art. 10, n. 10) Statuto di autonomia regionale. Sorge, quindi, il dubbio se il termine per un tale adeguamento (ammesso che i comuni siano tenuti ad osservare, come se fosse un vincolo, la previsione dell'art. 12, comma 2 e non piuttosto che essa costituisca una norma d'indirizzo) vada considerato con riferimento agli atti di adozione delle norme regolamentari comunali eventualmente ritenute necessarie od opportune, oppure con riferimento alla loro efficacia.