ALLEGATO 2
Regione Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 2011, n. 12 "Norme in materia funeraria e di polizia mortuaria" (in B.U.R. n. 43 del 26 ottobre 2011) - ANALISI


Il 29 settembre 2011 il Consiglio regionale della regione Friuli-Venezia Giulia ha approvato, all'unanimità, la legge in oggetto "Norme in materia funeraria", risultante da un testo oggetto di unificazione di 2 proposte di legge (si trattava della P.d.L. n. 89 e della Pd.L. n. 140, presentate in due momenti diversi, unificazione che ha visto, di fatto, una sorta di "fagocitamento" della seconda rispetto al testo della prima. Il testo finale, unificato ed elaborato in sede di Comitato ristretto (interessato da emendamenti presentati, alla fine dell'iter, anche in aula) richiamava, a grandi linee, il testo della P.d.L. n. 140, la quale, a sua volta, riproponeva, salvo alcune differenze, il testo della L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18, considerandosi, per altro, come in sede di emendamenti approvati in Aula, si siano superate alcune criticità.
Merita di rilevarsi come nella L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 emerga una tendenza, anche, a dettare norme di "polizia mortuaria", quasi a sostituire (oltretutto con un processo di aggravamento del rango normative) disposizioni precedentemente presenti nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, riproducendole o ridefinendole.
In via generale, si sta notando il fenomeno per cui le regioni tendano ad seguire processi di imitazione di quanto legiferato in altre regioni, considerandosi come inizialmente vi siano stati due "modelli", quello che faceva riferimento alla legislazione lombarda e quello che faceva riferimento alla legislazione emiliano-romagnola, cui ora viene ad aggiungersi l'ulteriore "modello" veneto, come nel caso di specie (ma, anche, in una P.d.L. presentata in Abruzzo, da un consigliere regionale).
Accanto a questi processi d'"imitazione", emerge anche la tendenza degli organi elettivi, aventi potestà legislativa a concludere il relativo iter legislativo con votazioni all'unanimità, in cui pare del tutto fuori discussione il presupposto di una convinzione di bona fide, cioè il fatto che i consigli regionali sono, spesso sinceramente, convinti di avere adottato (ammesso che ne sussista la competenza) un testo legislativo di qualità, Anche quando, nel corso della formazione del testo di proposta, siano state prospettate le criticità, che una formulazione od altra possono determinare, queste criticità non vengono prese minimamente in considerazione.
Del resto, non spetta ai consiglieri regionali (legislatori) l'attuazione, operativa e nel quotidiano, delle norme da essi emanate. Non si può non considerare come, al di fuori dei consigli regionali, non manchino orientamenti per cui non ha peso che un testo normativo abbia questa o quella "qualità", ma solo che una qualche (quale ne sia il testo) legge regionale sia emanata, sull'assunto (implicito) che le leggi mica devono essere applicate, anzi possibilmente eluse, e quando vi siano atteggiamenti diversi, si tratterebbe sempre solo di comportamenti "burocratici" (nel significato peggiore che ha il termine) di chi - ingenuamente - creda ancora che le norme richiedano di essere applicate (sempre che sia possibile la loro applicazione).
Incidentalmente, la legge regionale presenta non poche disposizioni che sono destinate all'abrogazione, per così dire "automatica", per effetto dell'art. 3, comma 8 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, salvo che, entro un anno, la regione, con altra legge regionale, non intervenga a regolare, del tutto diversamente, quelle restrizioni che ha, in origine, previsto. A differenza che per le regioni che avevano precedentemente legiferato, in questo singolo caso, tali effetti si hanno su un testo approvato successivamente a queste ultime previsioni "abrogative".
Data la prossimità, spesso del tutto testuale (anche se, su alcuni punti, anche di rilievo, la L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 se ne discosta), con il testo della L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18, appare opportuno richiamare le precedenti circolari SEFIT prot. n. 2303/2010/AG del 13 marzo 2011, n. 2426/2010/AG del 18 giugno 2010, n. 2499/2010/AG del 31 agosto 2010.

Articolo 1.
L'art. 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, secondo una linea cui spesso è fatto ricorso, formula una definizione dell'ambito della legge stessa, ma, come spesso si è avuto nelle leggi regionali emanate in questo specifico settore, senza grandi approfondimento sull'ambito della sussistenza di una competenza legislativa regionale, sia essa concorrente od esclusiva, oltretutto - nel caso di specie - avendosi presente anche il fatto che la regione Friuli-Venezia Giulia è regione a statuto speciale. Infatti, quest'ultimo aspetto comporterebbe un approfondimento su quanto delle norme che regolano il riparto di competenza legislativa tra Stato e singole regioni possa applicarsi anche nella regione, nella quale, oltretutto, prevarrebbero le disposizioni dello Statuto di autonomia. Ma anche quando, per questa o quella materia, si applicassero le norme applicabili nelle regioni a statuto ordinario, una lettura del complesso della legge regionale consente, senza grandi difficoltà, di enucleare come questo testo legislativo affronti materie che sono chiaramente estranee alla potestà legislativa regionale, sia essa concorrente che esclusiva. Si tratta di un fenomeno per altro largamente presente nelle diverse leggio regionali sin qui emanate, specie quando abbiano affrontato aspetti che attengono all'esercizio di attività economiche oppure che siano intervenute in materia di cremazione e destinazioni delle ceneri, aspetti afferenti alla materie di cui all'art. 117, comma 2, lett. e) Cost, per le prime, oppure all''art. 117, comma 2, lett. l) Cost. per le seconde, non senza considerare come, per altri aspetti, sussistono interventi legislativi che chiaramente attengono ad altre materie considerate all'art. 117, comma 2 Cost., che espongono tali leggi regionali a possibili interventi, probabilmente (constatandosi come il Governo non si sia avvalso della potestà, per altro discrezionale, di cui all'art. 127 Cost., finora con riferimento a nessuna delle leggi regionali emanate in materia) potenzialmente oggetto di eccezione d'illegittimità costituzionale, qualora alcune della questioni siano sollevate in sede giudiziale.
Incidentalmente, si constata la presenza del termine "sepoltura" utilizzato con significati indifferenziati rispetto alle pratiche funerarie dell'inumazione o della tumulazione, impostazione che viene poi conservata anche di seguito nel testo della legge regionale.

Articolo 2.
Discostandosi dall'impostazione presente nella legge regionale da cui il testo è stato largamente mutuato, si segue l'approccio seguito da alcune altre regioni di introdurre una differenziazione terminologica tra "salma" e "cadavere", differenziazione cui è stato fatto ricorso (nelle regioni che hanno fatto questa scelta) strumentalmente, cioè al fine di sottrarre le modalità di trasporto delle "salme" alle medesime modalità e procedure previste per il trasporto di "cadavere".
Al comma 1, lett. c) viene riproposta in modo pressoché identico, salva una congiunzione, la definizione di "resti mortali", nel testo già presente nell'art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, rispetto a cui va osservato come si abbia un aggravamento nel grado normativo (trasformandosi una norma di rango secondario in norma di rango primario), ma anche come si tratti di materia rientrante nell'ambito dell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost. La definizione, sia che si tenga conto o meno della congiunzione inseritavi, comporta che lo stato di "resti mortali" non si abbia con il mero fattore di ordine temporale, diverso in relazione alla pratica funeraria cui è stato fatto ricorso, ma comporta che questo fattore concorra con l'elemento di "conservazione", ciò con un elemento oggettivo, che non può che essere oggetto se non che di verifica. Questo comporta delle possibili criticità, specie quando si intenda procedere alla cremazione dei "resti mortali" (cfr. art. 38, comma 2 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), considerando la diversità oggettiva rispetto alla previsione dell'art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130, che consente di provvedere alla cremazione dei feretri una volta decorsi 10, oppure 20 anni, in relazione alla pratica funeraria utilizzata, sulla base del solo assenso dei familiari aventi titolo (oltretutto attribuendone la competenza all' Ufficiale dello stato civile), mentre l'art. 3, commi 5 e 6 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 sia individua una diversa competenza funzionale, sia dispone, quando in presenza di "resti mortali", come così definiti, per la non necessarietà della documentazione considerata dall'art. 79, commi 4 e 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (aspetti presi in considerazione di seguito, come al successivo art. 37, comma 2, art. 38, comma 2 ed art. 41, comma 3). Si tratta di una differenziazione degli istituti che si presta a fraintendimenti, specie quando vi siano interpretazioni anche superficiali, oltretutto perfino comprensibili stante le (apparenti) similitudini di essi.
Alle lett d) ed e), in relazione alla cremazione, sembra non aversi presente come l'esito della cremazione non siano - almeno, non immediatamente - le ceneri, stato cui si perviene attraverso altra operazione successiva.
Alla lett. g) è fornita una definizione di medico necroscopo che appare aperta a possibili soluzione non necessariamente uniformi. Infatti, se in altre regioni sia stato, a volte, previsto, come le funzioni di medico necroscopo possano essere esercitate, oppure attribuite, anche a medici convenzionati con il S.S.N. (in sostanza, anche ai medici di medicina generale), con questa formulazione la nomina risente, o risentirà, unicamente di condizioni legate alla finalità, cioè alle esigenze di tempestività ed ottimale distribuzione territoriale del servizio, finalità che vengono così esposte a valutazioni che potrebbero, in prospettiva, anche essere diversificate nelle singole Aziende per i servizi sanitari.
Per quanto riguarda la definizione della lett. i), appare abbastanza superficiale l'affiancamento concettuale alla tanatocosmesi, stante la diversità dei trattamenti, anche sotto il profilo dell'invasività. Di maggiore rilievo il richiamo all'effetto di (ritenuto) limitato rallentamento dei processi putrefattivi, sia in considerazione del fatto che questo rallentamento non è sempre limitato, dato che, nei Paesi in cui sia ammessa la pratica, non vi sono fattori certi che consentano di affermare che vi sia un rallentamento o, comunque, una temporaneità degli effetti conservativi, spesso collegata ai materiali impiegati per questo trattamento (materiali per cui, incidentalmente, andrebbe osservato come dovrebbe anche farsi riferimento alle normative dell'Unione europea in materia di biocidi). Oltretutto, in tal modo, vi è il rischio di obliare il fatto che, allo stato attuale della normativa, i trattamenti di tanatoprassi, per la loro invasività, sono da ritenersi vietati e costituenti la fattispecie di cui all'art. 410 C.P. e, qualora, la legislazione statale (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.) introducesse l'ammissibilità di una tale pratica, non potrebbe che essere riservata ad esercenti professioni sanitarie.
In relazione alla definizione di cui alla lett. l), va osservata la criticità della previsione per cui, accanto alle ossa, si introduce la formulazione di "resti mortali assimilabili", non coerente con la definizione della precedente lett. c), ma che resta del tutto indeterminata, dal momento che non sono altrimenti definite le condizioni di "assimilabilità", con la conseguenza si essere in presenza di una definizione del tutto equivoca (e, come noto, ogni formulazione equivoca si espone ad interpretazioni, ad una pluralità di interpretazioni, non solo diverse, ma spesso anche contrastanti e comunque sempre incoerenti tra loro).
Alla lett. o) merita di osservarsi l'improprietà del termine "mineralizzazione" (ripreso anche alla successiva lett. q), laddove, tra l'altro (ma anche in seguito e in più occasioni) si utilizza il termine "sepoltura" in termini di promiscuità, senza distinguere tra le diverse pratiche funerarie con cui questa possa avvenire, come già evidenziato in precedenza), poiché, dal contesto, è evidente come si faccia riferimento piuttosto a quello di "scheletrizzazione", improprietà che, per altro, è presente anche nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e la cui origine deriva dal fatto che, talora, il termine verrebbe utilizzato per definire una completa biodegradazione di un composto organico, quando nelle diverse pratiche funerarie le trasformazioni comportano anche questo, ma non per l'interio corpo, residuando le ossa, possibilmente senza sostanze organiche di altra natura (fermo restando che anche le ossa sono e rimangono sostanze organiche).

Articolo 3.
Nella definizione dei compiti della regione, va assunto come scontato come la titolarità di emanazione di direttive nei confronti dei comuni non possa eccedere le funzioni di cui i sindaci sono titolari nell'esercizio della loro qualità di autorità sanitaria locale, non potendosi estendere alle funzioni proprie dei comuni e/o relative ai servizi loro attribuiti da norme di legge, dato che tra i livelli di governo costituenti la Repubblica Italiana (art. 114 Cost.) sussiste pari ordinazione.
Sullo stesso piano, preoccupante appare il comma 3 poiché incide, ledendola, sulla potestà regolamentare propria dei comuni statuita dall'art. 117, comma 6, terzo periodo Cost., tanto più che il Regolamento comunale di polizia mortuaria è uno strumento fondamentale di esercizio di tale, autonoma quanto esclusiva, potestà regolamentare dei comuni. Ma se questo ultimo appare come in qualche modo significativo di una qualche posizione di supremazia della regione sugli enti locali (che, violerebbe, altresì l'art. 5 Cost., accanto al giù ricordato art. 114 Cost.), esso esplicita anche una logica di sostanziale rinvio a fonti di rango regolamentare di tutta una serie di questioni, che può avere un senso quando si tratti di aspetti di applicazione delle norme regionali, cosa che può riguardare, ovviamente, unicamente un emanando regolamento regionale attuativo di talune norme della legge regionale.
Infatti, al comma 4 (rispetto a cui potrebbe ricordarsi come, in sede di emendamenti, sia stato ridotto il termine inizialmente previsto, aspetto di scarso rilievo solo che si consideri come si tratti di un termine meramente ordinatorio) si rinvia ad un regolamento regionale, cui è rinviata la determinazione di taluni requisiti.
Tra questi, la lett. e) considera i requisiti strutturali, gestionali e professionali per l'esercizio dell'attività funebre, ipotesi che solleva perplessità sia in relazione al fatto che si tratta di materia estranea alla competenza (tanto legislativa, quanto regolamentare) della regione, in relazione all'art. 117, comma 2, lett. e) Cost., ma altresì per l'improprio ricorso a norma di rango regolamentare, anziché di rango primario. Anche se altre regioni abbiano seguito la logica del rinvio a norme di rango secondario (anzi, in un caso vi è stato il rinvio ad atti normativi, cioè carenti anche della natura di norme di rango secondario) non si può non tenere conto di quanto preveda l'art. 3, comma 1 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148 (entrato in vigore prima perfino dell'approvazione della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), che impone, entro il 17 settembre 2012, ai diversi livelli di governo, ciascuno per quanto di propria competenza, un adeguamento dei propri ordinamenti (e fonti normative) al principio della piena libertà di iniziativa ed attività economica privata, tanto che il successivo comma 8 del medesimo art. 3 dispone una abrogazione, con effetto dal 13 dicembre 2011, di quelle norme previgenti che prevedano restrizioni (oltretutto definite all'immediatamente successivo comma 9) in materia di accesso ed esercizio delle attività economiche. Certamente l'art. 3, comma 1 sopra citato ammette la possibilità di una qualche limitazione alla libertà di iniziativa ed attività economica privata, attraverso un espresso divieto, e per legge (e, nelle materie di cui all'art. 117, comma 2, lett. e) Cost. non può che essere se non legge dello Stato), "nei soli casi" ivi indicati. Ne consegue che, oltre all'espressa previsione, vi è una riserva di legge, il ché esclude che tali espressi divieti possano aversi con norme di rango secondario (e, ovviamente, a maggior ragione, meno ancora con atti amministrativi); non è il caso di valutare quali siano i casi considerati dall'art. 3, comma 1 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, non essendo definiti, neppure in termini d'indiritto generale, i requisiti (strutturali, gestionali e professionali), limitandoci a considerare altresì la necessaria attuazione della Direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai servizi nel mercato interno.
La lett. g) dello stesso art. 3, comma 4, rinvia all'emanando regolamento regionale la definizione dell'elenco delle malattie infettive che richiedono particolari prescrizioni per la sepoltura o per la cremazione, per la esumazione ed estumulazione, ipotesi che può essere pertinente alla potestà legislativa, concorrente, regionale, sempre che tale elenco non venga esteso al di fuori dell'ambito regionale o nazionale, stante l'art. 117, comma 2, lett. q) Cost., per cui la definizione dell'elenco potrà costituire riferimento esclusivamente in ambito regionale, con la conseguenza che, ogni qualvolta vi sia, in tutto oppure in parte, coinvolgimento di territori di altre regioni o Stati, non vi saranno le condizioni di operatività di tale elenco, dovendosi, in tali fattispecie, assumere a riferimento, quanto emno (cioè nell'ambito nazionale), all'apposito elenco delle malattie infettive-diffusive, approvato dal Ministero della sanità (D.M. 15 dicembre 1990, modificato dal D.M. (Salute) 31 marzo 2008), anche se quest'elencazione, pur se articolata per classi, comporta (artt. 18 e 25 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) un trattamento uniforme e non differenziato delle diverse malattie infettive-diffusive, per quanto riguarda le attività funebri e cimiteriali, indifferenziazione che appare abbastanza incongrua.

Articolo 4.
Con l'art. 4 si individuano i compiti dei comuni, osservandosi come per alcuni di essi si determinano nuovi oneri, come è il caso di cui alla lett. b), con la conseguenza che l'attribuzione della funzione dovrebbe, a stretto rigore, comportare altresì l'attribuzione delle relative risorse, da parte del livello di governo che abbia attribuito queste funzioni ulteriori. Non si entra nel merito sulla competenza della legge regionale nel definire tali compiti, dato che occorrerebbe discernere se essi si collochino tra le funzioni fondamentali (ipotesi nella quale sarebbe esclusa la competenza legislativa regionale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p) Cost), oppure se si tratti di funzioni non aventi natura di funzioni fondamentali. Oltretutto, la previsione della lett. b) amplia gli (attuali) obblighi in capo ai comuni, attualmente considerati agli artt. 12 e 13 e, nei casi in cui ricorrano le condizioni, anche all'art. 15 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, estendendoli alla messa a disposizione di spazi pubblici con funzioonalità rituali, con ciò traslando in capo ai comuni funzioni che, quanto meno tradizionalmente, sono assolte di fatto da altri soggetti ed in altri luoghi. È presumibile che tale formulazione abbia origine nell'esigenza di assicurare, anche nei comuni minori, una disponibilità di spazi diversi rispetto a quelli di utilizzo maggiormente tradizionale, ad esempio, per funerali civili, oppure non religiosi, oppure per culti con un ridotto numero di adepti, il ché potrebbe essere, astrattamente, anche una previsione apprezzabile sotto il profilo delle libertà individuali, ma che solleva la questione del principio di proporzionalità (da collegare, ancora, con i relativi oneri d'impianto ed esercizio), dal momento che, in particolare nelle realtà minori, vi potrebbe essere una "domanda" incoerente con l'assicurazione della disponibilità di tali spazi pubblici, oltretutto non dovendosi sottovalutare come questi, presuntivamente, dovrebbero rispondere, quanto meno, ai requisiti strutturali che saranno, in sede regolamentare, fissati per le sale del commiato (successivo art. 17 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12). Considerazioni in parte analoghe, andrebbero formulate attorno alla previsione dell'art. 4, comma 1, lett. d), osservandosi come si sia in presenza di una previsione che, almeno per la parte iniziale, contrasta con l'art. 1, comma 7.bis, terzo periodo, D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n. 26, cui, semmai, spetta ai comuni, nell'ambito delle disponibilità di bilancio, adottare le misure e gli atti che ne possano conseguire in applicazione dell'art. 6 L. 8 novembre 2000, n. 328. Maggiormente critica è la seconda parte, quella relativa al "servizio di raccolta e di trasferimento all'obitorio dei deceduti sulla pubblica via o in luogo pubblico", sia in relazione alla disposizione sopra citata, sia per il fatto che, in materia, oltre alle disposizione della già citata L. 8 novembre 2000, n. 328, ammesso che vi si possa fare riferimento per questa fattispecie, non vi sono norme, ma può, al più, farsi riferimento al parere espresso dal Ministero dell'interno, Sportello delle autonomie, prot. n. 15900/1371/L.142/1bis/31.F in data 13 febbraio 2007 (in proposito, si fa rinvio alla circolare SEFIT n. 983/AG del 23 marzo 2007), parere che non contrasta con le interpretazioni fatte attorno all'art. 1, comma 7.bis, terzo periodo, D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n. 26, ma cerca di contemperare la peculiaritetà della fattispecie con considerazioni di buon senso. Sarebbe solo da chiedersi quale portata possa avere un tale parere in sede di giudizio contabile, avanti alla Corte dei Conti, in relazione all'art. 93 testo unico, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. Ulteriormente maggiormente critica è la sua parte finale, laddove condizionerebbe i comuni a rivolgersi, in contrasto con le disposizioni del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e succ. modif., a determinati soggetti, oltretutto non sulla base di procedure ad evidenza pubblica, quanto secondo l'aberrante criterio della turnazione (non trascurando di considerare come questo sia non percorribile nei comuni in cui vi sia eventualmente un unico esercente l'attività funebre, determinandosi così una anomala esclusiva o nei comuni in cui non abbiano sede esercenti l'attività funebre). Qui, oltretutto, si è in presenza di una delel restrizioni, definite dall'art. 3, comma 9 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, rispettivamente lett. f) e, a certe condizioni, lett. i), cioè si è in presenza di una disposizione oggetto di abrogazione, dal 13 dicembre 2011, per effetto dell'art. 3, comma 8 stesso D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148.
Merita di segnalarsi come il comma 2, lett. b) attribuisca all'ambito del Regolamento comunale di polizia mortuaria anche la definizione dei turni di rotazione e quanto ivi previsto, definizione che comporterà necessariamente di tenere conto delle durate minime (art. 33, comma 1 e, a certe condizioni, comma 4; art. 36, comma 2 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), con la conseguenza che una tale definizione non potrà che essere che pari o superiore a queste durate minime.
Tra l'altro, al comma 2, lett d) si attribuirebbe ai comuni una titolarità di disciplinare l'esercizio di attività economiche ed altresì le condizioni di esercizio del servizio di trasporto funebre, titolarità presupporrebbe l'esercizio di una potestà legislativa in capo ai comuni (in materia rientrante nell'esclusiva competenza legislativa dello Stato), disposizione che, oltretutto, si presenta anch0'essa in contrasto con l'art. 3, comma 1 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148.
Forti perplessità suscita anche la previsione della lett. e), dato che entrano qui in gioco i c. d. "diritti di cittadinanza", cioè sia della materia dell'ordinamento civile, ma altresì di quelle "prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, comma 2, lett. m) Cost.).

Articolo 5.
L'art. 5 individua i compiti delle Aziende per i servizi sanitari.

Articolo 6.
L'art. 6 affronta l'esercizio dell'attività funebre, rispetto a cui occorre, ancora una volta, fare richiamo all'art. 117, comma 2, lett. e) Cost.
Tra l'altro, l'insieme delle attività considerate quali componenti dell'attività funebre non comprende quelle tre che molte leggi regionali hanno assunto a riferimento, ma l'estende, in ciò mutuando la previsione presente nella L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18.
Già se fossero state considerate solo le tre componenti di attività cui le leggi regionali prevalentemente hanno fatto ricorso (cioè, il disbrigo, per conto dei familiari, delle pratiche amministrative, la vendita delle casse mortuarie ed articoli funebri in occasione del funerale, il trasporto funebre), si avrebbe dovuto osservare l'improponibilità di una tale comprensibilità, dato che queste tre componenti mancano di omogeneità, in quanto la prima attiene a funzioni di P.S. ed è regolata, come soggetta, a disposizione del relativo testo unico e suo regolamento di esecuzione, con ciò non potendo essere equiparata alle altre due, mere attività economiche. Tuttavia, sono considerare anche altre componenti, quali la preparazione del cadavere (che risulta in contrasto o non necessariamente sempre coerente con l'art. 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), il trasferimento durante il periodo di osservazione, l'effettuazione dei trattamenti di tanatocosmesi, che costituiscono restrizioni (anche queste interessate all'abrogazione di cui all'art. 3, comma 8 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148), ma altresì il c. d. "recupero" di cadaveri o resti mortali, su disposizioni dell'autorità giudiziaria, da luoghi pubblici o privati, componente prestazionale (altre restrizione), per il quale si fa rinvio a quanto considerato, in precedenza, attorno all'art. 4, comma 1, lett. d), parte finale, L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12. L'art. 6, comma 4, nell'attribuire una potestà di vigilanza ai comuni, l'individua in termini di verifica della persistenza dei requisiti previsti nell'autorizzazione.

Articolo 7
L'art. 7 ripropone, nella sostanza, l'art. 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, elevandone il contenuto a norma di rango primario. Tra l'altro, si fa osservare come il termine iniziale per la visita necroscopia decorra non dal momento del decesso, bensì dalla constatazione del decesso, istituto non presente nell'ordinamento, salvo che per lontane ed ascendenti prassi (precedenti al testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 25 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif.), che non è esattamente coerente con i principi dell'art. 3, comma 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, introducendosi (o, conservandosi) prassi priva di fondamento giuridico.

Articolo 8.
In parte, considerazioni analoghe alle precedenti valgono anche per l'art. 8. Rispetto alla denuncia della causa di morte, modificando la previsione dell'art. 1, comma 4, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, circa la fattispecie della morte in "assenza" del medico curante, se ne prevede la competenza in capo a chi assuma le funzioni di medico curante, formula che, presumibilmente, si propone di tenere presente l'istituto della c.d. continuità assistenziale (ex guardia medica), ipotesi che, a parte considerazioni di merito sulla conoscenza o conoscibilità di una possibile causa di morte da parte di queste figure, potrebbe aprire a situazioni di conflittualità motivata sull'argomentazione se il medico di continuità assistenziale assuma o meno le funzioni di medico curante.

Articolo 9.
L'art,. 9, comma 2 prevede una scadenza del periodo di osservazione collegata non tanto al momento dell'accertamento della morte, quanto alla mera decorrenza del termine, per cui continua a dover essere osservato anche nei casi in cui tale accertamento intervanga prima delle 24 dal decesso.
Per altro, accanto alla "scadenza", vi è anche un "termine" del periodo di osservazione (comma 3) correlato proprio all'accertamento della morte, impostazione che potrebbe costituire motivo di fraintendimenti, essendo, operativamente, importante rilevare come sia importante definire il momento in cui sia ammissibile sottoporre il corpo a quei trattamenti che richiedono l'ultimazione del periodo di osservazione.

Articolo 10.
Con l'art. 10 si introduce l'istituto dell'ammissibilità del trasferimento del defunto durante il periodo di osservazione, secondo un'impostazione che, più o meno, corrisponde al testo dell'art. 11 L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18, testo che aveva una sua motivazione nel fatto che quella normativa ha escluso (come risulta anche dalla sua Relazione) di adottare una differenza terminologica tra "salma" e "cadavere", mentre tale motivazione non può essere presente, considerando come l'art. 2, comma 1, lett. a) e b) L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, l'abbia invece adottata. Fattore di potenziale equivocità è il riferimento agli "aventi titolo", espressione presente anche nel precedente art. 9, comma 4, stante la sua indeterminatezza.
Particolare attenzione merita il comma 2, laddove attribuisce all'esercente l'attività funebre (ora, definita quale "impresa funebre") il compito di una comunicazione, seppure tempestiva (ma pur sempre successiva) dell'avvenuto trasferimento, all' Ufficiale dello stato civile e all'Azienda sanitaria, presupponendo, che si tratti rispettivamente dell' Ufficiale dello stato civile e dell'Azienda sanitaria del comune in cui è avvenuto il trasferimento, anche se ragioni di funzionalità richiederebbero che una tale comunicazione abbia quali destinatari tali soggetti sia con riferimento al comune di decesso che di trasferimento. Oltretutto, rimane incomprensibile quale sia o possa essere il ruolo dell' Ufficiale dello stato civile, dal momento che questo, assolve alle funzioni di cui agli artt. 72 e 73 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nonché, distintamente, a quelle dell'immediatamente successivo art. 74, le quali, in ogni caso, riguardano il comune di decesso (salva l'ipotesi, per molti versi decisamente eccezionale, della parte finale dell'art. 72, comma 1 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. Oltretutto, la competenza al rilascio dell'autorizzazione al trasporto funebre è, di seguito (art. 22), attribuita al comune, con la conseguenza che l' Ufficiale dello stato civile non svolge proprio alcuna funzione in questa fattispecie (salvo non scadere nell'erronea quanto superficiale ritenzione secondo cui il rilascio dell'autorizzazione al trasporto funebre rientri nelle competenze di questa figura, che, nel caso di specie, oltretutto è escluso dal successivo art. 22, comma 2, nonché dall'art. 23, comma 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, a seconda dell'oggetto del trasporto). Va anche considerato come la possibilità del trasferimento durante il periodo di osservazione non sia subordinata ad alcuna documentazione preventiva, né ad un qualche "titolo", seppure in termini di semplificazione, a differenza di quanto si ha in regioni che, introdotta la distinzione tra "salma" e "cadavere", hanno previsto una certificazione medica escludente che il trasferimento (qui: trasporto di salma) presentasse controindicazioni per la salute pubblica e non ostassero motivi di giustizia (anche se una regione che aveva previsto tali due condizioni, ha, successivamente, eliminato la seconda). In pratica, il trasferimento durante il periodo di osservazione, può essere effettuato unicamente su richiesta dei familiari o altri aventi titolo, con una comunicazione a posteriori rispetto all'avvenuto trasferimento, cosa che potrebbe non consentire di porre in atto, quando ne ricorrano le condizioni, le misure e cautele di cui ai successivi artt. 14 e/o art. 49 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, non senza considerare le problematiche che potrebbero aversi nei casi in cui si renda necessario l'intervento dell'Autorità giudiziaria o, almeno, accertamenti da parte di Ufficiali di P.G.
Oltretutto, un tale trasferimento durante il periodo di osservazione non considera l'ipotesi che il comune di destinazione possa trovarsi al di fuori dell'ambito regionale, limitazione cui si perviene solo considerando come una legge regionale non possa avere effetti al di fuori del territorio della regione che l'ha emanata.

Articolo 11.
L'art. 7 ripropone, nella sostanza, l'art. 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, elevandone il contenuto a norma di rango primario.

Articolo 12.
L'art. 12 prevede che i trattamenti di tanatoprassi e tanatocosmesi siano eseguite dopo la scadenza del periodo di osservazione e terminato questo. Incidentalmente, fermo restando quanto già osservato in relazione all'art. 2, comma 1, lett. i) L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 attorno alla tanatoprassi, non sembra tenersi conto, oppure avere conoscenza, del fatto che (quanto meno nei Paesi in cui la tanatoprassi è ammessa) i relativi trattamenti sono efficienti quando siano fatti in momento sufficientemente prossimo al decesso e, comunque, siano non efficienti, se non inefficaci, quando eseguiti dopo 15 - 24 ore dal decesso. Oltretutto, richiamando proprio quanto già considerato in precedenza attorno alla pratica della tanatoprassi, il comma 2 sembra essere proiettato nel futuro, nel senso che tale trattamento sarà consentito allorquando la legge (statale) introduca tale pratica anche in Italia, residuando il comma 2 applicabile all'imbalsamazione, pratica che trova regolazione negli artt. 46 e 47 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. Incidentalmente, si fa osservare come non siano previste singole, o specifiche, autorizzazioni per l'esecuzione di tanatocosmesi, né per gli altri trattamenti considerati da questo articolo.

Articolo 13.
L'art. 13, riferendosi al rilascio di cadaveri a scopo di studio sembra superare le previsioni dell'art. 32 testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con R. D. 31 agosto 1933, n. 1592, salvo che non si voglia dare alla norma un senso, difficilmente desumibile dal testo adottato, di una previsione aggiuntiva a quella sopra citata, dato che se fosse, in qualche modo, sostitutiva, si avrebbe, presumibilmente, una forte limitazione dell'istituto. Anche accedendo a questa portata aggiuntiva, estensiva, si pone sempre la questione sulle forme concernenti la volontà del defunto con cui abbia disposto un tale utilizzo, per cui non potrebbe derogarsi, sulla base di principi desumibili dall'ordinamento giuridico, alla forma testamentaria, avente effetti, dato che solo con questa forma potrebbe aversi un atto che, in sostanza, rientra tra quelli dell'art. 5 C. C., da cui si trae anche la conseguenza che, trattandosi di un atto di disposizione del proprio corpo, attenga al c. d. diritti personalissimi e, quindi, esercitabile, in via esclusiva che dal defunto, in vita, escludendosi l'ammissibilità di un tale atto di disposizione in capo a chi abbia titolo o disporre delle spoglie mortali in via generale.

Articolo 14.
Con l'art. 14 si definiscono situazioni che richiedono particolari misure, prevalentemente per motivazioni di salute pubblica, limitando l'analisi a richiamare alcune considerazioni precedentemente fatte, sia in relazione alla definizione di un elenco "regionale" delle malattie infettive, sia in relazione all'istituto del trasferimento durante il periodo di osservazione, in particolare considerando come questo ultimo possa rendere, de facto, poco o difficilmente attuabile l'art. 14 (ed, altresì, anche l'art. 49), quando ne ricorrano le circostanze che ne giustificano l'applicazione, dal momento che questo non è subordinato al alcun previo accertamento, autorizzazione o certificazione.

Articolo 15.
L'art. 15 individua le diverse tipologie di servizi obitoriali, definendone le funzioni.
L'art. 15, comma 3, lett. g) è stato interessato, in Aula, ad un emendamento che ha portato alla soppressione dell'ipotesi dell'esposizione del cadavere, considerata dall'art. 13, comma 1, lett. b) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, anche se in quest'ultima disposizione l'esposizione è decisamente limitata alla funzione del riconoscimento, mentre, nel testo in discussione, appariva fuori dal contesto del riconoscimento dei defunti ancora ignoti. Tra l'altro, l'assenza di esposizione del cadavere che ne consegue comporta una diversità di funzioni rispetto alla casa funeraria, quasi a consentire che l'esposizione del cadavere avvenga unicamente in quest'ultima, ipotesi che connoterebbe un'ulteriore restrizione.

Articolo 16.
L'art. 16 individua la casa funeraria, distinguendola anche per le funzioni dalla sala del commiato (successivo art. 17), prevedendo come si tratti di una struttura la cui gestione è riservata agli esercenti l'attività funebre, cioè prevedendo una riserva palesemente in contrasto con l'art. 3, comma 1 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, che, in quanto tale, è interessata all'abrogazione considerata dall'art. 3, comma 8 stessa norma. Considerando le funzioni che possono essere svolte nella casa funeraria, si può considerare come essa sia sostanzialmente una sala del commiato, in cui sono ammesse anche funzioni aggiuntive, cioè quelle individuate dall'art. 16, comma 1, lettere da a) a d), inclusa l'esposizione del cadavere (rinviando, per questo aspetto, a quanto osservato in relazione all'art. 15, comma 3, lett. g)). Non si entra ulteriormente sulla pratica funeraria della tanatoprassi, facendo, per questa, rinvio a quanto già osservato in precedenza, facendo osservare unicamente come l'ammissibilità dell'effettuazione delle prime tre funzioni comporti che, in sede di definizione dei requisiti strutturali (rinviati, come visto, a fonte regolamentare) non possa che aversi se non una necessaria assimilazione dei requisiti strutturali che saranno stabiliti per le strutture obitoriali di cui all'art. 15, poiché, in difetto, si produrrebbe una immotivata differenziazione per in presenza di assolvimento di (alcune) medesime funzioni.
Il comma 3 costituisce evidentemente una restrizione (art. 3, comma 9, lett. d) D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, che, pertanto, ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 3, comma 8 stessa normativa. Più articolata , sotto questo profilo, la disposizione del comma 4, per cui dovrebbero richiamarsi le considerazioni precedentemente fatte attorno all'art. 6, comma 4 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, specie se si consideri la criticità della riserva di gestione presente al comma 1 di questo stesso art. 16.

Articolo 17.
La sala del commiato assolve alla funzione di una custodia temporanea e dell'esposizione del feretro (non, quindi, del cadavere), entrambe finalizzate alle celebrazioni dei rituali funebri. Tale previsione, che per alcuni versi ripropone attività svolte talora nelle chiese ed altri luoghi di culto, solleva la questione sulla ammissibilità, in futuro, dell'allestimento delle c.d. "camere ardenti", cioè luoghi in cui vi è la temporanea deposizione (conservazione) ed esposizione del feretro, sia che esse siano allestite, come talora avviene, nelle chiese e luoghi di culto, sia in altri edifici, ad esempio per la particolare qualità del defunto. Infatti, la previsione dell'art. 17 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 potrebbe comportare, proprio in relazione alla specializzazione della funzione, l'esclusione di una tale possibilità, limitando la libertà dei familiari nell'organizzazione dei riti funebri. In altre parole, va affrontatala questione se l'art. 17 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 consenta ancora, dopo la sua entrata in vigore, un utilizzo di locali e/o spazi pubblici diversi dalla sala del commiato per la celebrazione di riti di commemorazione e di dignitoso commiato.

Articolo 18.
La definizione di trasporto funebre, che evidentemente si distingue dal trasferimento durante il periodo di osservazione (precedente art. 10 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), comprende non solo il "trasferimento" (leggi: "trasporto" di cadavere, ma altresì di resti mortali, per cui va richiamata necessariamente per ragioni sistematiche, la definizione datane all'art. 2, comma 1, lett. c), con la costituzione, anche in questo caso, di una riserva di attività, come già il trasferimento durante il periodo di osservazione, in capo agli esercenti l'attività funebre (art. 6, comma 1, lett. d) L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12). Tale estensione della definizione di trasporto funebre oltre al solo trasporto di cadavere, appare costituire una restrizione, determinando una sorta di riserva di attività, in conseguenza dell'art. 6, comma 1, lett. d), e, quindi, interessato dalla disposizione dell'art. 3, comma 8 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148.
Il comma 3 prevede come la chiusura del feretro debba avvenire una volta trascorso il periodo di osservazione, ricordando, a tal proposito, come, all'art. 9, commi 2 oppure 3, vi sia la differenza tra "scadenza" e "termine" di questo ultimo.

Articolo 19.
L'art. 19, comma 1 rinvia a norma regolamentare (regionale) la definizione delle caratteristiche costruttive e dei materiali impiegabili per le casse, aspetto che contrasta con la tendenza a definire questi aspetti nell'ambito di livelli territoriali ben più ampi, tendenzialmente perfino sovra nazionali, dato che, in ambito dell'E.F.F.S. (European Federation of Funeral Services), è operativo un Gruppo di lavoro con la finalità di individuare uno standard europeo per le casse (cofani), i cui lavori sono, per altro, ad un buon livello di definizione. Appare evidente, come ciò possa esporre l'emananda norma regolamentare regionale a possibili interventi di adeguamento, ma, in attesa, tale previsione si espone alla difficile gestibilità, dato che già al momento della loro acquisizione da parte degli esercenti l'attività funebre (che, per l'art. 6, comma 1, lett. b)) sono legittimati alla loro vendita, quando in occasione del funerale) dovranno distinguere tra le casse che rispondano ai requisiti stabiliti dal regolamento regionale, per i casi in cui il loro impiego si esaurisca nell'ambito territoriale della singola regione, oppure meno. Tra l'altro, questa previsione espone anche ad altra criticità, in tutti i casi in cui il trasporto funebre interessi, sia in arrivo che in partenza, territori di più regioni, esponendo ad un dilemma insolubile, quando questi arrivi/partenze, interessino la regione stessa.
Il comma 3, che, per altro, richiama in parte, indicazioni già presenti nell'art. 6 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11 (oggetto, poi, di abrogazione), risponde all'apprezzabile principio di una imprescindibile tutela dell'ambiente, anche se occorre affermare come l'ecologicità di questo o quel tipo di casse (qui, definite anche come "involucri", probabilmente considerando l'ipotesi della cremazione di resti mortali esumati od estumulati) costituisca un fattore oggettivo, non esposto ad auto-dichiarazioni dei singoli costruttori, la cui individuazione comporterebbe l'approfondimento di valutazione tecniche sui materiali, sui processi di cremazione, sulle emissioni in atmosfera, ma - altresì - la determinazione (al momento non ancora definita) di quanto previsto dall'art. 8 L. 30 marzo 2001, n. 130, il ché porta a ricordare come la definizione di queste caratteristiche non rientri nelle competenze (legislative o regolamentari) delle regioni, stante la previsione dell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost.
Il comma 4 impone ai soggetti gestori (art. 6, comma 2 L. 30 marzo 2001, n. 130) l'obbligo di adottare sistemi d'identificazione, obbligo che si correla con i principi affermati nel successivo art. 32.

Articolo 20.
L'art. 20 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 considera il trattamento conservativo prevedendolo solo nei casi di trasporti internazionali tra Stati rispetto a cui vigano Accordi internazionali che lo prevedano, oppure quando il medico necroscopo lo prescriva, essendo, in via generale, non obbligatorio, nei trasporti da comune a comune e, comunque, che non possono che essere se non entro i confini regionali (aspetto, in tal caso, espressamente considerato al comma 1). Una tale non obbligatorietà non presenta fattori di criticità operativa, allorquando il trasporto funebre si esaurisca nell'ambito della regione, mentre criticità possono esservi quanto esso riguardi il territorio di più regioni, magari anche solamente in termini di mero transito, in cui vigano norme regionali diverse, oppure in cui continui ad applicarsi, per questi aspetti, il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, tanto da esporre gli operatori che eseguono il trasporto alle previsioni di cui all'art. 107 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, nonché all'art. 358, comma 2 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif. In via generale, si deve constatare quanto spesso le norme regionali, debitamente od indebitamente, emanate in materia sembrino non tenere conto di come il trasporto funebre non si esaurisca nell'ambito di un comune, oppure in quello di una regione, ma, abbastanza frequentemente, interessi ambiti territoriali diversi.
Il comma 3 trasla la competenza all'effettuazione del trattamento conservativo dalle figure individuate all'art. 48 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, al personale, appositamente formato, dell'impresa funebre che provvede al confezionamento del feretro. Si osserva a tal proposito come la disposizione possa operare se ed in quanto (e quando) siano avvenuti i processi di formazione, per altro tutti da definire con il regolamento regionale di cui all'art. 3, comma 4, lett. e), processi di formazione che richiederanno la definizione dei percorsi curriculari, ma altresì delle modalità di accertamento dell'acquisito livello di formazione a questo fine necessario, eventualmente non dovendosi escludere prospettive di aggiornamento professionale nel tempo. Tra l'altro, in questo ambito, non va esclusa la prospettiva che, per l'effettuazione di queste prestazioni, si renda necessaria una formazione forse anche distinta rispetto ad altri requisiti professionali, trattandosi di una formazione professionale, eventualmente continua o periodicamente reiterata, avente contenuto inequivocabilmente sanitario. Inoltre, facendosi riferimento a personale dell'impresa che provvede al confezionamento del feretro, si pongono esigenze di coordinamento (che, probabilmente, potrebbero trovare soluzione forse anche nel regolamento regionale previsto dall'art. 3, comma 4, lett. e)) tra queste figure (personale dell'impresa) e la figura dell'esercente l'attività funebre, nonché con la figura dell'incaricato (addetto) del trasporto cui (successivo art. 21, comma 3) compete l'effettuazione del regolare confezionamento del feretro e la relativa verbalizzazione, osservandosi, qui, come si sia in presenza di una funzione "personale" e non necessariamente riferita ad un'impresa, termine che implica una qualche, seppure minima, strutturazione organizzativa. Tra l'altro, nell'ipotesi dell'art. 6, comma 5 (attività di trasporto non connesso con attività funebre) viene a porsi analoga esigenza di coordinamento, dovendosi distinguere se il confezionamento del feretro sia assolto da questo soggetto o da altro, ipotesi quest'ultima che non sarebbe coerente con la figura dell'incaricato (addetto) al trasporto.

Articolo 21.
La qualificazione, presente al comma 1, del trasporto funebre quale servizio d'interesse pubblico, palesemente, e probabilmente immediatamente, mutuata dall'art. 21, comma 1 L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18, porta necessariamente a richiamare gli istituti, propri del diritto e della giurisprudenza dell'Unione europea, in Materia di S.I.G. e/o S.I.E.G., non escludendosi di considerare anche i S.N.E.I.G. (ad esempio, riferendosi al Libro Verde COM (2003) 270 del 21 maggio 2003 e successivi (numerosi) elaborati), rispetto a cui sarebbe opportuno un approfondimento volto ad individuare se vi siano relazioni anche con il contesto dei servizi pubblici, aventi rilevanza economica (aspetto inequivocabilmente sussistente per effetto dell'art. 6, comma 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), attualmente oggetto della regolazione di cui all'art. 4 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148, il ché, per altro, richiederebbe, a questo punto, anche un raccordo con l'art. 3 di quest'ultima fonte normativa. Salvo che non si affronti tale formulazione, affermandone la natura non qualificatoria, quanto piuttosto di mero stile. Tra l'altro, tenendosi presente altresì l'art. 6, comma 2, lett. d) D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, una tale qualificazione appare poco chiara, anche volendo attribuire al testo, come testualmente formulato, l'intenzione di un riferimento alla fattispecie di cui agli artt. 331 e ss. C. P., relativamente alla sua non interrompibilità, poiché quest'ultima considera i servizi pubblici o i servizi di pubblica necessità, e non i servizi d'interesse pubblico.
La prospettazione di un eventuale riferimento a quest'ultima disposizione potrebbe trovare argomento dal comma 2, con la qualificazione (a suo tempo, introdotta fin dalla circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, Punto 5.4), ultimo periodo, che rinviava alla sua nozione ai sensi dell'art. 358 C. P.)) dell'addetto al trasporto funebre quale incaricato di pubblico servizio, determina che questi, persona fisica, comporta che l'addetto al trasporto, persona fisica (si ripete), venga a trovarsi nella posizione di avere gli obblighi di cui all'art. 331 C. P. P. (ad esempio, qualora si verifica la fattispecie dell'art. 409 C. P.), incorrendo, in caso di omissione o ritardo, nella fattispecie considerata dall'art. 362 C. P., ma altresì può costituire (ricorrendone le condizioni) elemento costitutivo oppure circostanza aggravante di un reato. Ad esempio, la verbalizzazione di cui al comma 3 espone, nelle ipotesi di non veridicità o non piena veridicità, ad una delle fattispecie di reato considerate al Capo II del Titolo VII del Libro secondo C. P. In relazione sempre al comma 3, si fa rinvio a quanto considerato in precedenza in relazione all'art. 20, comma 3 rispetto alla legittimazione - e titolarità - di effettuazione dell'eventuale trattamento conservativo.

Articolo 22.
L'art. 22 riguarda il trasporto di ossa e/o ceneri (leggansi: urne cinerarie), consentendosi (comma 3) che possa essere eseguito dai familiari con mezzi propri. Incidentalmente, si osserva come, in parte discostandosi, dalla definizione dell'art. 2, comma 1, lett. l), non si consideri l'equivoca fattispecie dei resti mortali assimilabili.

Articolo 23.
L'art. 23 assoggetta il trasporto funebre ad autorizzazione comunale, presuntivamente riferita al comune di partenza: se si considera l'art. 34 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, questa disposizione assume a riferimento, sotto il profilo della competenza sia funzionale che territoriale, il comune di decesso, mentre la genericità dell'art. 23, comma 1, non consente altrettanta chiarezza sulla competenza, anche sotto il profilo territoriale, se si consideri come (art. 10) possa aversi il trasferimento, pressoché senza limitazioni, effettuato durante il periodo di osservazione, ipotesi che fa, comprensibilmente, sorgere la questione dell'individuazione della competenza anche sotto il profilo territoriale.
Il comma 2 mutua, ancora una volta, la previsione dell'art. 23, comma 2 L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18, prevedendo che l'autorizzazione rilasciata dall'Ufficiale dello stato civile (del comune di decesso) ai sensi dell'art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, valga anche quale autorizzazione al trasporto (del cadavere), formulazione che, con buona probabilità, aprirà anche nella regione Friuli-Venezia Giulia problematiche sorte nella regione Veneto, in particolare con riferimento all'assoluta estraneità dell'Ufficiale dello stato civile a svolgere funzioni amministrative proprie del comune (ed attinenti a ben altro servizio e che, nella regione Veneto, ha registrato profonde diversità interpretative tra uffici della stessa Giunta regionale), ma, altresì, attorno alla questione per cui tale valenza non può eccedere l'ambito del territorio regionale, per le motivazioni precedentemente formulate con riferimento all'art. 10. Tuttavia, questa previsione ripropone la questione sollevata in relazione al comma 1, dal momento che le autorizzazioni considerate dall'art. 74 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 rientrano nella competenza inamovibile del comune di decesso, da cui consegue che anche nell'ipotesi di un trasferimento effettuato durante il periodo di osservazione, la successiva autorizzazione al trasporto funebre non potrà che competere che al comune di decesso, anche quando si tratti di trasporto che interessi unicamente la tratta dal luogo in cui è avvenuto il trasferimento durante il periodo di osservazione al cimitero di quel comune. E, per questo, emerge qui un'ulteriore conseguenza, quella a sostegno che la comunicazione di avvenuto trasferimento durante il periodo di osservazione non possa che avere come destinatari il comune e l'Azienda per i servizi sanitari sia competenti per luogo di partenza, che di destinazione.
Il comma 3, evidentemente richiamandosi all'impianto dell'art. 24 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, che prevede(va) una comunicazione d'ufficio, attribuisce la competenza funzionale alla comunicazione dell'autorizzazione al trasporto funebre (o dell'atto equivalente) al comune di destinazione, al comune di partenza (provenienza): considerandosi il successivo art. 53, comma 5, una tale previsione appare del tutto ridondante ed inutiliter data.

Articolo 24.
L'art. 24 sintetizza, per così dire, le previsioni degli artt. 20 e 21 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, non considerandosi come il primo di questi riguardasse, unicamente, il trasporto di cadaveri su strada, ma adottando una formulazione del tutto più estensiva, tenendosi presente come l'art. 18, comma 1 consideri nell'ambito del trasporlo funebre anche quello avente ad oggetto i resti mortali. Il ché comporterebbe, ad esempio, la difficoltà di effettuare trasporti di resti mortali con mezzi diversi, ad esempio, quando si rendano necessari trasporti plurimi di resti mortali.
Salvo che non venga provveduto in sede di emanazione delle norme regolamentari regionali, come potrebbe ritenersi per il comma 1, il comma 2 non considera, o sembra non considerare, come le rimesse di mezzi funebri siano soggette a norme di P.S. (art. 86 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. D. 18 giugno 1931, n. 196; art. 196 Regolamento di esecuzione al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. D. 6 maggio 1940, n. 635 e loro succ. modif., questo ultimo, sul punto, abrogato e sostituito dal D.P.R. 19 dicembre 2001, n. 480), nonché del servizio antincendi, né viene minimamente affrontato (salvo, sempre che a ciò non si provveda con il regolamento regionale) la questione dell'ubicazione di queste strutture che, evidentemente, non può prescindere dall'osservanza delle norme urbanistiche, per quanto riguarda le destinazioni d'uso delle diverse aree nel comune di insediamento. Del resto, la regione non avrebbe potuto intervenire in materia di P.S., stante l'art. 117, comma 2, lett. h) Cost., solo che la formulazione cui è stato fatto ricorso potrebbe esporre osservatori superficiali, specie se privi delle conoscenze a ciò necessarie, a ritenere che non sussistano norme di P.S. e, magari, neppure norme relative al servizio antincendi cui - comunque - sono soggette le rimesse di mezzi di trasporto funebre.

Articolo 25.
L'art. 25 sembra voler riprodurre l'art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, se non fosse che la sua formulazione è del tutto riduttiva essendo limitata ai casi in cui i genitori richiedano la "sepoltura " o la cremazione, lasciando scoperte, per così dire, le situazioni per cui debba provvedersi d'ufficio. Tra l'altro, il citato art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 risulta palesemente del tutto più rispettoso delle posizione, e volontà, dei genitori, consentendo l'accoglimento nel cimitero (ovviamente in cui si abbia avuta l'espulsione dei prodotti del concepimento) anche di questi ultimi, oltre che essere maggiormente articolato. L'effetto che potrebbe aversi dal testo per come formulato appare essere, potenzialmente, quello per cui, ogni qual volta i genitori non richiedano la "sepoltura" o la cremazione, 'Azienda per i servizi sanitari venga a trattare queste situazioni in termini di meri rifiuti sanitari, secondo la definizione dell'art. 2, comma 1, lettere da a) a d), in parte lett. g), nonché lett. h) e d i) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, prospettazione a cui, presumibilmente, non si voleva pervenire.

Articolo 26.
L'art. 26 affronta quello che può definirsi il c. d. trasporto internazionale, e che, in relazione all'art. 53, comma 5, poteva anche non affrontarsi in sede di legge regionale, specie considerando l'evidente insussistenza di una competenza legislativa regionale, in relazione all'art. 117, comma 2, lett. a) e lett. q) Cost. In tali fattispecie, le certificazioni sulle caratteristiche delle casse e modalità di confezionamento del feretro, incluso l'eventuale trattamento conservativo di cui all'art. 20, comma 2, sono nella competenza dell'Azienda per i servizi sanitari e, conseguentemente, non si ha l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 20, comma 3 ed all'art. 21, comma 3.

Articolo 27.
Il comma 1 richiama, in qualche modo attuandolo, l'art. 337 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., disposizione del testo unico che qualifica gli obblighi di dotazione strutturale dei comuni come pertinente alla pratica ordinaria di sepoltura, cioè l'inumazione, il cui dimensionamento , qualificante il c. d. "fabbisogno" è definito secondo i fattori parametrici indicati dall'art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, escludendosi in ogni caso le aree, strutture ed impianti considerati all'immediatamente successivo art. 59. Questo porta ad argomentare che, sulla base della normativa nazionale, i comuni abbiano, per quanto riguarda il servizio cimiteriale, unicamente l'obbligo di disporre (anche in forma associata, dato che l'istituto del consorzio è storicamente presente per i c. d. "piccoli comuni") di "almeno un cimitero a sistema d'inumazione", nonché che tale area sia debitamente dimensionata. Nella formulazione del comma 1, pur con tale richiamo all'art. 337 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., è presente solo l'obbligo della dotazione di almeno un cimitero, senza alcun cenno alla pratica funeraria dell'inumazione, formulazione la cui motivazione è individuabile di seguito, quando, nell'art. art. 29, si individuano i requisiti minimi propri di un cimitero, nonché la presenza di determinate strutture, manufatti, ecc. Il comma 2 prevede come il necessario piano regolatore cimiteriale, che, incidentalmente, continua a costituire un'insuperabile pre-condizione di legittimità per eventuali concessioni di aree nei cimiteri, continuando a vigere nella regione l'art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, debba valutare le necessità prevedibili proiettate si di un arco temporale non minore di 20 anni. A questo proposito, non si dovrebbe escludere la possibilità, ovviamente rimessa al prudente apprezzamento dei singoli comuni, che il piano regolatore cimiteriale possa essere oggetto di revisioni anche prima del decorso di tale termine, in particolare nell'e eventualità in cui si registrino mutamenti nella domanda di tipologie cimiteriali che lo suggeriscano. Il comma 3 sembra voler escludere, derogandovi nell'ambito regionale, l'applicazione delle disposizioni dell'art. 228 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif.

Articolo 28.
Il comma 1 interviene sulle forme di gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica, materia che solleva perplessità sulla sussistenza di una potestà legislativa regionale, ma soprattutto è stata interessata, negli ultimi 3-5 anni, a profonde, e non sempre stabili, modifiche legislative di cui si citano, da ultimo, solo gli effetti del referendum popolare (specificatamente, Quesito n. 1) del 12 e 13 giugno 2011, nonché il successivo art. 4 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148. Non si può neppure sottovalutare come la migliore e maggioritaria dottrina afferente alle forme di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica sia fortemente decisa (salvo poche posizioni) nel ritenere non più utilizzabile la forma della gestione in economia diretta, che sembra proprio destinata (ma solo provvisoriamente) a persistere quanto pre-esistente ed in termini, per così dire, inerziali, quanto meno fino alla verifica (da adottare entro il 13 agosto 2012) prescritta dall'art. 4, commi 1 e 4 del citato D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148. A regime, andrebbe posta la questione se l'espressa previsione di questa forma di gestione nel comma 1 possa qualificarsi come derogatoria di queste ultime disposizioni e, in caso positivo, in quale misura e forme. A questo proposito, è del tutto importante segnalare come la forma della gestione in economia diretta (ammettendosi, astrattamente, che la norma dell'art. 28, comma 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 possa considerarsi derogatoria o - forse - anche "aggiuntiva") sia una forma di gestione ammissibile e ogni scelta, esperibile nell'ambito e rispetto delle norme italiane e dell'Unione europea, da parte dei consigli comunali (art. 42, comma 2, lett. b), ma - sopratutto - lett e), eventualmente lett. g) e successive, testo unico, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif.) attorno alle forme di gestione si collochi su di un piano del tutto distinto e concettualmente autonomo rispetto a (residuali) ipotesi di attribuzione di diritti di esclusiva. In altre parole quest'ultima è slegata, indipendente dalle forme di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.
Al comma 2 è presente una formulazione testuale che ha un senso unicamente nell'ipotesi che il decesso, il trasporto funebre e la sepoltura (quale ne sia la pratica funeraria richiesta) si esauriscano intermente nell'ambito regionale, in quanto sembra dare come implicito il fatto che operi l'art. 23, comma 2 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 (cui si rinvia), dal momento che, al di fuori dell'operatività, ed in ambito esclusivamente regionale, di tale previsione della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, è sempre esclusa ogni competenza dell'Ufficiale dello stato civile ad autorizzare il trasporto funebre. Anzi, anche quando essa sia applicabile, proprio la formulazione del citato art. 23, comma 2 l'esclude, dato che l'autorizzazione (all'inumazione, oppure alla tumulazione, oppure alla cremazione) "vale anche come" autorizzazione al trasporto, ma non "è" autorizzazione al trasporto funebre.

Articolo 29.
L'art. 29 si addentra sul tema, particolarmente delicato, delle fasce di rispetto, senza fornire elementi, aggiuntivi od integrativi, rispetto alla natura (ed effetti) dell'area di rispetto, dove, come noto (Si fa rinvio, ratio materiae, anche, da ultimo, alla circolare SEFIT n. 2493/2011/AG del 30 agosto 2011), si accentua sempre più l'orientamento giurisprudenziale che qualifica l'area di rispetto cimiteriale come soggetta ad un vincolo d'inedificabilità assoluta (pur in presenza di precedenti pronunce giurisprudenziali leggermente più "morbide".
Per inciso, poteva essere l'occasione, con particolare riguardo all'art. 29, comma 1, lett. b), per precisare come eventuali provvedimenti di riduzione della fascia di rispetto cimiteriali potessero esse finalizzati in via esclusiva all'eventuale necessità di ampliamento del cimitero. Questa considerazione consente di constatare come non sia presente alcun riferimento alle condizioni, modalità e procedure per un'eventuale riduzione della perimetrazione delle fasce di rispetto cimiteriale, traendone la conclusione per cui, per effetto delle disposizioni del successivo art. 53, comma 5, debbano continuare ad applicarsi le norme nazionali vigenti al momento dell'entrata in vigore della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, considerando come proprio l'art. 29, comma 1 richiami, attraverso un rinvio, formulato qui del tutto esplicitamente, le norme di rango primario vigenti.

Articolo 30.
L'articolo 20 individua (comma 1) i requisiti minimi di ogni cimitero, aggiungendo, ad integrazione rispetto alle norme nazionali, la previsione dei campi ad inumazione speciale, destinati all'accoglimento, ricorrendo alla pratica funeraria dell'inumazione, di quanto indicato al successivo art. 33, comma 4. Va osservato come questa speciale destinazione potrebbe comportare, in alcune situazioni locali, la necessità di maggiore area destinata all'inumazione e costituente il c. d. "fabbisogno cimiteriale".
Il comma 2 restringe, per così dire, l'obbligo (che l'art. 64 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 determinava per ciascun singolo cimitero) della presenza, disponibilità di una camera mortuaria (struttura avente unicamente la finalità dell'eventuale sosta dei feretri prima del seppellimento) ad almeno un cimitero comunale (o nei cimiteri "consortili", cioè realizzati in forma associativa), evidentemente prendendo atto di quelle che sono le effettive "domande"di questa funzionalità, spesso ridotte, in particolare quando la sepoltura, quale ne sia la pratica funeraria richiesta, avvenga pressoché contestualmente con l'arrivo ed accoglimento nel cimitero.
Il comma 3, pur non considerando requisiti minimi, prevede la possibilità di realizzazione - questa volta in ogni cimitero - di alcune strutture ed impianti, cioè: a) loculi per la tumulazione di feretri; b) celle per la conservazione di cassette di resti ossei; c) celle per la conservazione di urne cinerarie; d) uno spazio per la dispersione delle ceneri. Ovviamente, si tratta di ipotesi rimessa alla programmazione che rientra nelle potestà proprie delle Autonomie Locali, e che, a certe condizioni, potrebbero comportare costi aggiuntivi a carico dei bilancio dei comuni, in particolare nei casi in cui vi siano cimiteri che non ne siano ancora dotati o, meglio, non siano dotati di queste strutture, come potrebbe essere il caso di cimiteri, spese se periferici, sostanzialmente ad inumazione, oppure che non abbiano già cellette ossario o nicchie (cellette) cinerarie (che, si auspica, ben potrebbero essere tra loro fungibili). Oneri aggiuntivi che non derivano solo dalla realizzazione, ma potrebbero risentire dell'esigenza di acquisire aree, eventualmente esterne all'attuale recinto cimiteriale, il ché comporterebbe, di norma, una dilatazione del perimetro dell'area di rispetto cimiteriale. Circa l'ultima struttura, cioè lo spazio, non al per la dispersione delle ceneri, che comprensibilmente costituisce un'aspirazione di fonte cremazionista, essa dovrebbe, ragionevolmente, essere correlata ad una valutazione, sempre da parte delle singole Autonomie Locali, della possibile e prevedibile "domanda" di questa pratica, occorrerebbe considerare un tema di cui, spesso, poco si discute, cioè quello del possibile "carico" di sostanze chimiche sui terreni, nell'eventualità che lo "spazio" per la dispersione delle ceneri sia individuato aversi con questa modalità, che ne possano derivare: si tratta di aspetti che meriterebbero approfondimenti (anche se vi sono pochi studi ed analisi, alcune delle quali fatte, tempo addietro, nell'ambito della E.F.F.S., specie considerando, e condividendo, gli orientamenti di tutela dell'ambiente che traspaiono da alcune delle previsioni dell'art. 19.

Articolo 31.
L'art. 31 affronta il tema dell'accoglimento dei cimiteri, definito in termini di "diritto di sepoltura" (il ché già importerebbe un necessario richiamo ad una delle materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. l) Cost.), osservandosi, inizialmente, come alcune disposizioni, oggettivamente, atterrebbero alla potestà regolamentare propria delle Autonomie Locali, ai sensi dell'art. 117, comma 6, terzo periodo, Cost. Tuttavia, anche a voler superare questo aspetto, si coglie come vi siano estensioni (rispetto alla previsione dell'art. 50 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), ad esempio come nel caso (lett. c) ) relativamente alle persone accolte in R.S.A. e che, quindi, hanno, solo per questo, mutato residenza in applicazione delle specifiche norme in materia, ipotesi che si collega, di fatto, alla previsione dell'art. 6, comma 4 L. 8 novembre 2000, n. 328. Altra estensione, riguarda (lett. d) ) gli iscritti all'A.I.R.E., aspetto che evidentemente tiene conto del fatto che la regione (anche se non solo essa) sia stata, sèpecie nel passato, interessata a fenomeni migratori di una certa consistenza. La lett. f) sembra cogliere come si tratti proprio di posizione soggettive la cui definizione non potrebbe, come dianzi osservato, che attenere all'esercizio della potestà regolamentare dei comuni, la quale, nel contesto della norma costituzionale di riferimento (e citata) ha un carattere di esclusività.

Articolo 32.
Con l'art. 32 si riconferma un principio che è del tutto consolidato (risalendo all'art. 4 del Decreto 23 pratile (12 giugno) 1804, dato a Saint Cloud dal Console Napoleone Bonaparte) sull'individualità delle sepolture (comma 1) e sulla loro individuabilità (comma 2). Rispetto al comma 1, viene subito a porsi, in relazione alla pratica funeraria della tumulazione, la questione se il medesimo loculo possa essere destinato all'accoglimento "anche", cioè in aggiunta ad un feretro, di cassette ossario (incidentalmente, in alcuni passi della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 si parla, abbastanza impropriamente, di "resti ossei") o di urne cinerarie di defunti rientranti negli ambiti considerati dal precedente art. 31), oppure, anche, a accogliere non un feretro (ed, eventualmente, un feretro e cassette ossario od urna cineraria), bensì ad accogliere, nei limiti della capienza fisica del loculo, una pluralità di cassette ossario e/o di urne cinerarie. Tenendo presente anche quanto prevede il successivo art. 34, comma 1, nonché in relazione all'ulteriormente successivo art. 38, comma 1, va tratta la conclusione per cui la previsione dell'art. 32, comma 1 non vi osti, alla solo condizione (per altro comunque non derogabile, per altre norme) che ciascuna di queste presenti specifici elementi di identificazione, con ciò salvaguardando il principio dell'identificabilità).

Articolo 33.
L'art. 33, al comma 1 definisce, principalmente, la finalità della pratica funeraria dell'inumazione (anche qui utilizzando il termine di "mineralizzazione", questione già affrontata con riferimento all'art. 2, cui si rinvia).
Il comma 2 richiama, in parte, l'art. 55 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, ma si astiene da alcune specificazioni presenti negli artt. 56 e 57, commi 5 e ss., nonché nell'art. 60 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, disposizioni che, per effetto dell'art. 53, comma 5 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 continuano a costituire norme di applicazione necessaria.
Il comma 3 richiama l'art. 69 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, integrandolo, per quanto riguarda le modalità, ad un rinvio al Regolamento comunale di polizia mortuaria.
Il comma 4 individua le finalità dei campi ad inumazione speciale (previsti tra i requisiti minimi di ogni cimitero dall'art. 30, comma 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12), quali destinati a feretri esumati od estumulati. Merita di doversi ricordare come l'art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, individuasse (comma 2), ai fini del dimensionamento delle aree da destinare, al netto, alla pratica funeraria dell'inumazione, anche quella occorrente per le inumazioni di cui all'art. 86, commi 2 e ss. D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. Poiché tale comma 4 prevede che il turno di rotazione del terreno nei campi ad inumazione speciale possa essere abbreviato a 5 anni, in difetto di una specificazione e in applicazione del successivo art. 53, comma 5 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, non potrebbe che conseguire che per tale abbreviazione debba farsi ricorso alle modalità e procedure dell'art. 82, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con la specificazione che la titolarità all'autorizzazione alla riduzione del turno di rotazione è stata oggetto di conferimento alle regioni (da parte del D.P.C.M. 26 maggio 2000 per le regioni a statuto ordinario) e, per la regione Friuli-Venezia Giulia, in relazione al D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 126, se non fosse che il successivo art. 35, comma 2 definisce un percorso decisamente maggiormente rispondente a principi di snellezza dell'attività amministrativa. L'istituto dei campi d'inumazione speciale pone anche l'ulteriore questione di quanto possano trovare ancora riferimento, nella regione Friuli-Venezia Giulia, le indicazioni, orientamenti e operatività a suo tempo formulate dal Ministero della sanità con la sua circolare n. 10 del 31 luglio 1998 (ma, anche, di seguito all'entrata in vigore del D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, dell'orientamento espresso dal Ministero della salute con la nota prot. n. 400/VIII/9 Q/ 3886 del 30 ottobre 2003 (in proposito, si rinvia alla circolare SEFIT n. 5128 del 7 novembre 2003). La questione non è secondaria, anche se, limitatamente all'ammissibilità della cremazione a seguito di esumazioni od estumulazioni, essa trova conforto nell'art. 2, comma 1, lett. d), nonché nell'art. 38, commi 2 e 3 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, sussistendo comunque per altri trattamenti, ad esempio, quelli sull'impiego di sostanze enzimatiche biodegradanti e sulla prospettiva se, nei casi di estumulazione, questo impiego possa consentire una ulteriore riduzione del termine d'inumazione (aspetto che, dopo il D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, non avrebbe neppure molto senso prevedere, essendo ormai ammissibile la cremazione dei resti mortali immediatamente in conseguenza dell'estumulazione). Semmai, merita di doversi osservare come l'art. 33, comma 4 tratti in modo uniforme i feretri provenienti da esumazione e quelli provenienti da estumulazione e per questi ultimi (a differenza della formulazione presente nell'art. 86, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) senza alcun riferimento alla pregressa durata della tumulazione, con la conseguenza che i feretri estumulati sarebbero trattati con la medesima modalità (e con la medesima modalità prevista per i feretri esumati) tanto quando vi sia stata la tumulazione di (ad esempio) 15 anni, che una tumulazione di (sempre esemplificativamente) 25, 40, 50, 75 o 99 anni (o altre durate maggiori di 20 anni, quali definite dai Regolamenti comunali di polizia mortuaria, eventualmente succedutisi nel tempo). Appare evidente che la durata della tumulazione, congiuntamente ad altri fattori, potrebbe influenzare i processi trasformativi, che potrebbero concludersi con fattori conservati o di completa scheletrizzazione, dato che solo se vi siano anche i fattori conservativi si sarebbe in presenza della definizione data all'art. 2, comma 1, lett. c), non trascurandosi si considera come, alcuni di questi processi trasformativi conservativi, siano tali che, come esperienza insegna, anche un periodo d'inumazione, specie se abbreviato, potrebbe non consentire di ottenere una loro completa scheletrizzazione.

Articolo 34.
L'art. 34 fornisce una definizione di tumulazione, tra l'altro, rinviando, per le caratteristiche, al Regolamento comunale di polizia mortuaria, ai sensi ed in attuazione dell'art. 4, comma 2, lett. f) L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12. L'elemento di maggiore portata è l'introduzione della differenziazione tipologica tra loculi stagni e loculi aerati, individuando, sulla base di questa differenziazione, una sorta di durata "minima" della tumulazione (20 o più anni per le tumulazioni in loculi stagni; 10 o più anni in loculi aerati), ponendo così un limite, ovviamente minimo, all'autonoma determinazione delle durate delle concessioni di loculi da parte dei comuni. Si parla di concessioni, in quanto la tumulazione ha - sempre - il carattere di sepolcro privato nei cimiteri (aspetto che, oltretutto, è evidentemente presente e noto quando si consideri il rinvio del comma 2), il ché pone anche di tenere presente queste "durate minime" nelle ipotesi in cui, in luogo della concessione del titolo di utilizzo di un loculo (singolo o pluri-posto), sia la concessione di area cimiteriale, al fine della costruzione, da parte dei concessionari dell'area, di manufatti sepolcrali a sistema di tumulazione, dato che in questo caso la durata della concessione dell'area dovràcomprensibilmente considerare la possibile "tara" del tempo intercorrente tra la concessione e la costruzione, e relativo collaudo, del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione.

Articolo 35.
L'art. 35 sembra richiamare, unificandole, alcune delle previsioni dell'art. 90, ma altresì dell'art. 92 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con la differenziazione che non è presente l'ipotesi dell'art. 90, comma 2, segno, in qualche modo, di prassi già largamente presenti nella regione di istituti che vedono concessioni di aree per inumazioni individuali, differenziate dalla "tradizionale" inumazione in campo comune, a volte per la durata, altre volte per il dimensionamento dell'area in concessione, oppure entrambi in concorso, oppure, ancora, per altre caratteristiche.

Articolo 36.
Il comma 1 supera i limiti di "stagionalità" delle esumazioni, specie di quelle ordinarie, cioè che siano eseguite una volta decorso il turno ordinario di rotazione (art. 2, comma 1, lett. c), nonché art. 33, comma 1 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12) ma anche di quelle "straordinarie", cioè di quelle che debbano effettuarsi prima del compimento del turno ordinario di rotazione. Va segnalato come, sempre al comma 1, sia superata in via generale la presenza di operatori delle Aziende per i servizi sanitari in occasione delle operazioni di esumazione ordinaria.
Il comma 2, consente una ridefinizione del turno di rotazione, alleggerendo le procedure in precedenza considerate dall'art. 82, commi 2 e 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (si fa rinvio anche a quanto in precedenza considerato attorno all'art. 33, comma 4).
Per quanto riguarda le esumazioni c. d. straordinarie, come sopra definite, il comma 3 - fatte salve le esumazioni straordinarie disposte dall'Autorità Giudiziaria - adotta un criterio di una certa elasticità, nel senso di prevedere l'adozione, sempre che siano ritenute opportune e/o necessarie, secondo un comprensibile logica del "caso per caso", dal momento che oggettivamente si tratta di situazioni che meritano un approccio singolare, con la conseguenza che le misure da (eventualmente) adottare sono definite, prescritte di volta in volta dall'Azienda per i servizi sanitari. Eventualmente, in quanto potrebbe non essere necessario, per motivi di salute pubblica, prescrivere misure specifiche.
Il comma 4 prevede, in linea generale, la re-inumazione dei resti mortali (secondo la definizione di cui all'art. 2, comma 1, lett. c) ), quando non sia richiesta la loro cremazione.

Articolo 37.
Per le estumulazioni si conserva (comma 1) il principio della loro esecuzione alla scadenza della concessione, introducendo (forse mutuando un'impropria terminologia, per altro già largamente, di fatto, utilizzata nella pratica) le estumulazioni straordinarie, cioè quelle eseguite prima della scadenza della concessione. In qualche modo, l'art. 36 riprende sotto il profilo apparentemente sostanziale la fattispecie dell'art. 86 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, da cui si differenza per l'assenza dell'inciso, presente nel comma 1 di questa disposizione, che escludeva dall'ipotesi le tumulazioni in sepolture private a concessione perpetua, il ché solleva la questione della residua applicabilità di questa anche dopo l'entrata in vigore della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 o meno. A questo proposito, si potrebbe anche considerare come, mantenendo il riferimento alla durata della concessione, nei casi di concessioni perpetue (sorte, ovviamente, quando ve ne era l'ammissibilità), non si ha una scadenza, con la conseguenza che non potrebbero esservi estumulazioni se non nei termini del comma 3, con quanto ne consegua sotto i diversi profili che entrano, a questo punto, in gioco.

Articolo 38.
Il comma 1 riprende, sempre sotto il profilo sostanziale, la previsione già inserita all'art. 85, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con la precisazione che il periodo finale consente, altresì, come già evidenziato in precedenza, anche la collocazione di cassette ossario in sepolcri privati a sistema di tumulazione per cui sussista il titolo di accoglimento. Anzi, la formulazione utilizzata sembrerebbe, a d un'osservazione superficiale, essere perfino maggiormente estensiva rispetto all'impianto del precedente art. 31, se non fosse che si tratta di situazioni oggettive che necessariamente potrebbero (dovrebbero) essere oggetto del rinvio di cui allo stesso art. 31, lett. f).
Il comma 2 attribuisce ai comuni la titolarità di disporre per la cremazione delle ossa raccolte nell'ossario comune o ad esso destinate, e dei resti mortali provenienti da esumazione o estumulazione ordinaria, rispetto a cui va evidenziato come per questi ultimi, ogni onere non può che essere se non a carico dei familiari, dal momento che trattandosi di estumulazioni, cioè di resti mortali provenienti da sepolture private, non possono in alcun caso operare condizioni di gratuità di sorta. Analogamente per i resti mortali esumati da sepolture private a sistema d'inumazione.
I commi 3 e 4 richiamano quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130, nonché dall'art. 3, comma 5 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, con alcune differenze, come l'elemento, additivo, della richiesta al comune, accanto a quello del mero assenso, per cui, oltretutto, si estende, anche a questa fattispecie, il principio della maggiorana assoluta, nei casi di assenza di coniuge e pluralità di parenti nel grado più prossimo, ma anche per l'intederminatezza sulle competenza soggettive (infatti, le due norme sopra citate individuano competenze in figure diverse). Un aspetto, non proprio secondario è quello che deriva dall'assenza di quella specificazione stabilita dall'art. 3, comma 6 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, disposizione che, in quanto di rango secondario (e precedente), è destinata a non essere più applicabile nella regione in conseguenza dell'entrata in vigore della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12, pur se essa assolverebbe a ragionevoli motivazioni di snellezza nell'azione amministrativa, ma che viene ripreso successivamente all'art. 40, comma 3.
Il comma 5 prevede l'ammissibilità dell'affidamento delle ceneri derivanti dalla cremazione delle ossa e dei resti mortali provenienti da esumazione o estumulazione ordinaria, individuando anche l'ipotesi di un affidamento in concorso di parenti nel medesimo grado, richiedendo in tale ipotesi, l'individuazione di un unico, tra i parenti del medesimo grado concorrenti, "custode" dell'urna. Si tratta di un'ipotesi che appare foriera di conflittualità, dal momento che il "custode", o, se si voglia, "conservatore" dell'urna viene a trovarsi in una posizione di sostanziale preminenza rispetto agli altri affidatari, o, altrimenti, dal momento che gli altri affidatari concorrenti non hanno la "custodia" dell'urna cineraria, per cui è da chiedersi che senso abbia questo affidamento plurimo, sostanziandosi per gli affidatari che non siano anche "custode", in un mero atto amministrativo privo di contenuto sostanziale. Salvo non ipotizzare soluzione di "mobilità" dell'urna cineraria (e della individuazione del suo "custode"), che appaiono non esattamente semplificatrici, fermo restando che per attuare una tale, ipotetica, mobilità si renderebbe necessario richiedere d ottenere, di volta in volta, autorizzazione al trasporto dell'urna cineraria (art. 22, commi 2 e 3).
Il comma 6 prevede comunicazioni, in analogia all'ipotesi di affidamento dell'urna cineraria a seguito di cremazione di cadavere , spetti per cui si rinvia (come fa anche il comma 6) alle considerazioni infra in relazione ai successivi art. 42 e 44.

Articolo 39.
L'art. 39 riprende, nella sostanza ma anche con formulazione più stringata, quanto già previsto dagli artt. 101 e 104, commi da 1 a 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, con la peculiarità di prevedere, anche, la conversione di convertire cappelle private - non aperte al pubblico - esistenti ad un tale uso. A parte la possibile rarefazione del fenomeno, specie quando si tratti di conversione, l'ipotesi della conversione ad un tale uso sembra voler consentire una qualche diffusione del fenomeno, anche se le condizioni appaiono tali da non lascia ipotizzare un'ampia diffusione dell'istituto, la disposizione presenta la peculiarità, rispetto alle norme nazionali sopra citate, di considerare i "soggetti titolari" e non le "famiglie" richiedenti, il ché consentirebbe la legittimazione a ricorrere a tale istituto non solo per cappelle di famiglia, ma altresì per altri soggetti, ad esempio, per enti di vario ordine e natura. Ad esempio, per congregazioni religiose che dispongano di cappelle loro proprio, non aperte al pubblico.

Articolo 40.
L'art. 40 considera la c. d. "tumulazione privilegiata", tra l'altro con in rinvio a norme regolamentari che, di fatto, ampliano la portata della disposizione che viene espressamente citata, salvo non ridurre le disposizioni cui è fatto rinvio, a caratteristiche sostanzialmente meramente tecnico-costruttive. Seppure costituisca una considerazione tutta di merito, occorre considerare come l'attribuzione della titolarità all'autorizzazione alla tumulazione privilegiata al comune non tenga conto di come questo istituto presenti caratteristiche tali da suggerire che essa sarebbe meglio allocata quando attribuita ad altri soggetti, possibilmente quanto meno prossimi al luogo di prevista tumulazione privilegiata, per limitare, per quanto umanamente possibile, l'esposizione a pressioni e/o valutazioni contingenti (o, appunto, di prossimità), sempre difficilmente affrontabili, che potrebbero snaturare l'istituto, di per sé stesso eccezionale, ma anche tale da costituire un riconoscimento di, per quanto possibili oggettive situazioni meritevoli di accoglimento.

Articolo 41.
Con il Capo IX della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 si affronta la tematica della cremazione e delle destinazioni delle ceneri, rispetto a cui va ricordata la precedente L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11 (tanto da essere questa oggetto di abrogazione da parte del successivo art. 52) e rispetto a cui va ricordata la circolare SEFIT n. 1739/AG del 20 ottobre 2008.
L'art. 41, comma 1 richiama l'art. 3, comma 1, lett. a) L. 30 marzo 2001, n. 130, con la precisazione, forse del tutto ridondante, per cui il "certificato necroscopico" (leggansi, nel contesto, come: "il certificato, rilasciato dal medico necroscopo, che esclude il sospetto di morte dovuta a reato ovvero, in caso di morte improvvisa o sospetta segnalata all'autorità giudiziaria", avendo il certificato necroscopico in senso proprio altra natura, contenuto e funzione, cioè quanto considerato dall'art. 7 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12) non necessita di autenticazione della firma da parte dell'Azienda per i servizi sanitari.

Articolo 42.
Il comma 1 individua la competenza del comune per l'affidamento dell'urna cineraria, mentre per l'autorizzazione alla dispersione delle ceneri vi è un apparente rinvio al soggetto individuato dalla normativa statale, apparente in quanto la normativa statale non l'individua, salvo che in termini di figura (art. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130), senza alcuna individuazione delle competenze (o, titolarità) di ordine territoriale.
Anzi, il comma 2, nel prevedere, sia per l'affidamento dell'urna cineraria che per la dispersione delle ceneri, comunicazioni a determinati comuni, sembrerebbe ipotizzare, sotto il profilo delle competenze territoriali, competenze del tutto incoerenti, se solo che si consideri come un'autorizzazione non potrebbe che spettare se non che al soggetto competente nel luogo in cui si abbia l'attività oggetto di autorizzazione (in relazione alla fattispecie della dispersione delle ceneri, merita di doversi richiamare la pronuncia del T.A.R. per la regione Toscana, Sez. 2^, sent. n. 2583/2009 del 2 dicembre 2009, in quanto una delle poche, se non la sola, che ha affrontato ineccepibilmente questi aspetti). Al contrario, proprio il comma 2 individua come destinatari delle comunicazione di avvenuto rilascio dell'autorizzazione all'affidamento dell'urna cineraria o dell'autorizzazione alla dispersione delle ceneri, i comuni in cui avvenga la custodia (termine, come visto, già utilizzato nell'art. 38, comma 5), oppure la dispersione delle ceneri, dovendosi dedurre che il comune (e, al suo interno, l'organo o la figura titolare della funzione) titolare della competenza al rilascio di questa o quell'autorizzazione sia diverso da quello in cui debba avvenire la custodia dell'urna cineraria, oppure la dispersione delle ceneri. Sembrerebbe che, cercando di leggere tra le righe, si dia in qualche modo come assodato che una tale competenza sia individuabile nel comune di decesso, il che senz'altro sussiste per l'autorizzazione alla cremazione del cadavere nella fase dell'immediato post mortem, mentre costituisce mera illazione per gli istituti dell'affidamento delle urne cinerarie e della dispersione delle ceneri. Oltretutto, tale comma 2 introduce un'ulteriore destinatario della comunicazione, cioè il comune di ultima residenza del defunto, qualora sia diverso dal comune in cui avviene la custodia dell'urna cineraria, oppure la dispersione delle ceneri, prospettiva che ma correlata con la previsione del successivo art. 44, comma 3. Il comma 3 affronta la questione delle forme della manifestazione di volontà del defunto all'affidamento dell'urna cineraria e sull'indicazione della persona affidataria che solleva alcune questioni (accanto a quella che si tratta di materia (ordinamento civile) di competenza legislativa, esclusiva dello Stato a mente dell'art. 117, comma 2, lett. l) Cost.), , la prima quella della c. d. dichiarazione resa al comune di residenza (o di decesso), che rinvia, in parte, al "registro" previsto successivamente al comma 6, la seconda (o, per certi versi, prima, per importanza) relativa al fatto che pre-condizioni per autorizzare l'affidamento dell'urna cineraria sono: a) la volontà, in questo senso, espressa dal defunto, b) l'individuazione della persona affidataria, con la conseguenza che viene esclusa l'ipotesi che un familiare (es. il coniuge o, in difetto di questi, un parente nel grado più prossimo) possa autonomamente, per propria volontà, richiedere l'affidamento dell'urna cineraria del coniuge o parente defunto (mentre è del tutto legittimato ad esprimere la volontà alla sua cremazione). Quest'impostazione è, di fatto, elusa dal momento che una tale dichiarazione al comune è prevista anche da parte del coniuge o, in difetto, parente nel grado più stretto (e concorrendo una pluralità di parenti nel grado più stretto, della maggioranza assoluta di questi), cosa che appare quanto meno anomala quando il coniuge o, in difetto, il parente renda tale dichiarazione, specie se individuando quale affidatario sé stesso. Il comma 4, per quanto riguarda l'istituto della dispersione delle ceneri considera, oltre all'indiscutibile volontà testamentaria, la sola ipotesi della dichiarazione resa al comune di residenza da parte del defunto, in vita, modalità che esclude che il coniuge o, in difetto, parente nel grado più prossimo, possa provvedervi, anche se in attuazione di una volontà in tal senso quando sia stata espressa, magari del tutto informalmente, dal defunto.
Il comma 5 estende agli istituti dell'affidamento delle urne cinerarie e della dispersione delle ceneri la previsione dell'art. 3, comma 1, lett. b), n. 2 L. 30 marzo 2001, n. 130, introducendo altresì la possibilità che la persona affidataria sia diversa da un familiare. Il ché se, in certe condizioni, potrebbe rispondere a scelte proprie personali del defunto, forse anche comprensibili e sempre rispettabili, dall'altra parte, ad altre condizioni, potrebbe aprire il varco a situazioni del tutto anomale o elusive di altro.
Il comma 6, come già fatto cenno, attribuisce ai comuni (di residenza) l'impianto e la tenuta di un "registro per la cremazione", in cui annotare le volontà alla cremazione, affidamento dell'urna cinerarie e dispersione delle ceneri, con piena facoltà degli interessati di richiedere, in ogni momento, la cancellazione delle annotazioni fattevi. Si tratta di una previsione che era stata già introdotta con la precedente L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11, ma che solleva questioni, non affrontabili con superficialità, sulla natura di queste "annotazioni" e, soprattutto, sull'efficacia giuridica di esse, salvo non considerarle come "mere notizie", di per sé stesse prive di altra efficacia che quella della conoscibilità (ma non sembra questa la volontà della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12).

Articolo 43.
Con esso si individuano, richiamandosi, almeno sotto il profilo sostanziale, alle disposizioni dell'art. 3, comma 1, lett. c) L. 30 marzo 2001, n. 130, i luoghi in cui è consentita la dispersione delle ceneri. Si osserva come su questo aspetto, come su quelli (es.) considerati dal precedente art. 42, commi 7, 8 e 9, vi sia una tendenza a sostituire la legge statale con disposizioni, spesso molto simili, della legge regionale, evidentemente obliterando il fatto che, oggettivamente, si è in presenza di materia (ordinamento civile) di competenza legislativa, esclusiva dello Stato a mente dell'art. 117, comma 2, lett. l) Cost.).

Articolo 44.
Il comma 2 ha un'impostazione che sembra motivata dall'esigenza di ampliare o parzialmente disapplicare le previsioni dell'art. 343, comma 2 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 25 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif.
Il comma 2 rappresenta una previsione del tutto anomala (per altro, già in precedenza presente nella L.R. (Friuli-Venezia Giulia 13 ottobre 2008, n. 11, ora abrogata) coll'attribuire al comune di residenza, in vita, del defunto l'annotazione in un apposto "registro" concernente l'affidamento dell'urna cineraria, le generalità dell'affidatario e il luogo di conservazione della stessa urna cineraria, dove l'anomalia è individuabile perché ciò "scollega" il luogo in cui l'affidamento (che altro non è se non il momento legittimate della conservazione di un urna cineraria in luogo diverso da un cimitero) ha luogo, prevedendo registrazioni amministrative di questa conservazione con riferimento, in astratto, al comune di residenza del defunto, anziché di conservazione, aspetti che sono già stati affrontati anche in precedenza, con riferimento all'art. 42, comma 2. Oltretutto, questo riferimento, in termini di competenze tanto funzionali che territoriali, in capo al comune di residenza, in vita, del defunto, sembra non tenere conto del fatto che i diversi comuni a vario titolo coinvolti potrebbero non essere tutti comuni della regione.
I commi 4 e 5 presentano disposizioni che erano già presenti nella L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11, ora abrogata.

Articolo 45.
Anche l'art. 45 riprende l'art. 7 L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11, ora abrogata.

Articolo 46.
In materia di realizzazione degli impianti di cremazione, il comma 1 presenta una formula che porterebbe a rinviare alle osservazioni fatte in precedenza con riferimento all'art. 28, debitamente da coordinare, altresì, con l'art. 6, comma 2 L. 30 marzo 2001, n. 130.
Il comma 2 richiama le disposizioni di cui all'art. 8 L. 30 marzo 2001, n. 130, ancora inattuato, ma la previste emanazione costituisce ormai un'esigenza imprescindibile e sempre più difficilmente rinviabile.

Articolo 47.
Con l'art. 47 la regione si "auto-proroga" (o, meglio, proroga ulteriormente, se si consideri l'art. 11 della precedente L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11, ora abrogata) il termine per adempiere agli obblighi di cui all'art. 6, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130 (per altro ricordandosi come, a tutt'oggi, vi sia stata una sola regione che vi ha provveduto e non certo nei termini). Semmai, pur trattandosi di una considerazione tutta di merito, andrebbe considerato se risponde effettivamente ad esigenze di operatività e funzionalità, e non forse ad altre, l'adozione del criterio ivi indicato (che appare per alcuni aspetti astratto), valutando il numero delle cremazioni, la loro distribuzione geografica, il loro trend di crescita e gli altri parametri da considerare.

Articolo 48.
La disposizione riprende, reiterandola, l'art. 13 della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11, ora abrogata.

Articolo 49.
L'art. 49 prevede la possibilità di limitare (preferendosi, qui, questo termine, rispetto a quello presente nel testo laddove di parla di "restrizioni", in relazione alle disposizioni dell'art. 3 D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, in L. 14 settembre 2011, n. 148 e questo al fine di prevenire ogni possibile fraintendimento) o anche vietare lo svolgimento di onoranze funebri, in presenza di determinate situazioni. Anche questa norma, come per l'art. 14, rischia di essere esposta a criticità nel caso di trasferimento durante il periodo di osservazione.

Articolo 50.
La disposizione riprende, reiterandola, l'art. 12 della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11, ora abrogata, oltretutto entrambe ridondanti, se solo si tenga presente come l'art. 7 L. 30 marzo 2001, n. 130 sia pienamente in vigore dal 3 maggio 2001.

Articolo 51.
L'art. 51 reca la disciplina sanzionatoria, che riguarda le violazioni alle L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 per quanto riguarda chi eserciti l'attività funebre senza autorizzazione, ricorra ad intermediazione o svolga attività fuori dagli ambiti consentiti o eserciti indebitamente o senza autorizzazione attività di trasporto non connesso con l'esercizio di attività funebre, nei casi di inosservanza del periodo di osservazione, sia indebitamente effettuato il trasporto durante il periodo di osservazione, siano esercitate case funerarie senza autorizzazione, o vi siano l'effettuazione di operazioni di tanatocosmesi o (quando in un eventuale futuro sia resa ammissibile) di tanatoprassi in difformità, on siano presenti i requisiti strutturali stabilendi per le case funerarie e/o per le sale del commiato, siamo impiegate casse non conformi, vi sia dispersione delle ceneri in luoghi non consentiti o, infine, l'inosservanza delle norme sulla conservazione delle urne cinerarie oggetto di affidamento. Inoltre, sono oggetto di sanzione amministrativa pecuniaria (che, in caso di recidive, può essere integrata dalla sospensione, o anche dalla revoca, delle autorizzazioni all'esercizio dell'attività funebre) i comportamenti volti all'acquisizione di servizi funebri in modo anomalo, quando non illecito.
La competenza in materia di vigilanza e di applicazione delle sanzioni per le violazioni considerate dalla legge è attribuita ai comuni, al cui bilancio pervengono i conseguenti proventi contravvenzionali.
Importante sottolineare come per la formulazione del comma 1, l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 51 non si ponga in alternatività ad eventuali responsabilità penale, ma, qualora queste sussistessero, in termini di concorrenza.

Articolo 52.
Dispone, come visto, per l'abrogazione della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 13 ottobre 2008, n. 11.

Articolo 53.
Per quanto riguarda le disposizioni transitorie, il comma 1 prevede che fino alla pubblicazione del regolamento regionale continui a trovare applicazione la normativa previgente. Si tratta di una formulazione che apre, anche nella regione, una problematica che era venuta a porsi con l'analoga previsione dell'art. 54, comma 1 L.R. (Veneto) 4 marzo 2010, n. 18, ed in quel contesto affrontata con la circolare SEFIT n. 2303/AG dell'11 marzo 2010.
Il comma 2 anch'esso riprodotto dal "modello", presenta una formulazione che suscita perplessità, solo che si consideri come nella regione non sussista proprio la fattispecie, aspetto su cui, probabilmente, non è stata fatta verifica di sorta o si pensava ad una qualche specifica situazione, che avrebbe potuto essere affrontata altrimenti, oltretutto considerandosi come con questa norma non si superi, e risolva, la situazione, sempre che sia sussistente, non essendo sufficiente la dichiarazione quale area cimiteriale, se non vi sia l'acquisizione, al demanio, e si ridefinisca, conseguentemente, anche l'area di rispetto.
Il comma 3 prevede che le imprese esercenti l'attività funebre operanti (senza specificare se alla data di entrata in vigore della L.R. (Friuli-Venezia Giulia) 21 ottobre 2011, n. 12 o anche successivamente ad essa) siano tenute ad adeguarsi alle prescrizioni per l'esercizio dell'attività funebre, rinviando, per la tempistica, a quella che sarà oggetto di definizione con il regolamento regionale di cui all'art. 3, comma 4.
Mentre il comma 4 richiederebbe che i comuni adeguino i propri Regolamenti comunale di polizia mortuaria entro 2 anni: in parte si rinvia alle considerazioni fatte con riferimento all'art. 3, parte iniziale (sulla potestà regolamentare, esclusiva, dei comuni) e all'art. 4, ma anche, avendosi presente come l'efficacia di tali Regolamenti comunali venga ad aversi con le modalità ed i termini dell'art. 345 testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif., si deve ritenere, in via interpretativa, che questo termine possa considerarsi riferito all'adozione da parte dei consigli comunali delle deliberazioni di adeguamento.
Infine, il comma 5 costituisce una sorta di "norma di chiusura", che rinvia "per tutto quanto non espressamente previsto o non diversamente disposto dalla presente legge e dai provvedimenti da essa derivanti" al fatto che continuano ad applicarsi (del tutto genericamente e senza differenziazioni nel rango normativo) le disposizioni della normativa statale vigente.

La LRVFG sembra improntata a voler disegnare sé stessa come, in certo quale modo, come "esaustiva", forse anche "assorbente" di norme variamente presenti, cercando di presentarsi come una sorta di testo che unifica norma, anche statali, di varia origine e materia.

[10-13/10/2011]