ALLEGATO 2
Regione Piemonte - Legge regionale 3 agosto 2011, n. 15 "Disciplina delle attività e dei servizi necroscopici, funebri e cimiteriali. Modifiche della legge regionale del 31 ottobre 2007, n. 20 (Disposizioni in materia di cremazione, conservazione, affidamento e dispersione delle ceneri)"

(in B.U.R. Piemonte n. 32 dell'11 agosto 2011)

PREMESSA
La legge regionale (frutto dell'unificazione di due proposte di legge: una volta ad introdurre modifiche alla L.R. Piemonte 31 ottobre 2007, n. 20, l'altra a dare normazione ai servizi necroscopici e alle attività funebri e cimiteriali), risulta il frutto di una larga convergenza in seno al Consiglio regionale, che, in termini di firmatari, non trova corrispondenza considerando le leggi regionali di altre regioni.
Il testo delle due proposte di legge, era stato altresì oggetto di consultazioni avvenute invitando non sempre i diversi attori del settore, mentre il testo finale appare essere stato oggetto di una messa a fuoco, redazionale, abbastanza accurata.

CONSIDERAZIONI INIZIALI
L'impianto della legge regionale ricorda, grosso modo, il c.d. "modello Lombardia", sia per il considerare assieme aspetti che hanno natura tipicamente attinente alle materie sanitarie (come è il caso dei servizi necroscopici), sia per affrontare temi estranei, come la regolazione delle attività funebri, oppure anche aspetti che attengono alla potestà regolamentare dei comuni, non senza procedere a "elevare", nel rango normativo, disposizioni che, storicamente, avevano la natura di norme di rango secondario a norme di rango primario, non aderendosi alle logiche, di stagioni addietro, sulla, allora, c.d. "desertificazione" normativa. Tra l'altro, la legge regionale si intreccia, per così dire, con disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, in alcuni casi facendovi espresso rinvio, senza per altro individuare un qualche criterio, di agevole comprensibilità, per una quale immediata individuazione di quali siano le norme di questo che persistano vigenti. In relazione a questo aspetto, cioè sui rapporti tra D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e "normazione" ad esso successiva, ai vari livelli, non è stata colta l'occasione per modificare la L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, la quale (Art. 2) regola in modo differenziato:
a) la cremazione e la conservazione delle ceneri (comma 2), rinviando al citato D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285,
b) rispetto all'affidamento e dispersione delle ceneri (comma 5), rinviando alla L. 30 marzo 2001, n. 130,
rinvii che porterebbero ad argomentare che, nella regione, l'autorizzazione alla cremazione non sia regolata dall'art. 3, comma 1, lett. a) L. 30 marzo 2001, n. 130, bensì, ancora, dalla norma ad essa antecedente, anche se - di fatto - non mancano prassi che non tengano conto di questa duplice regolazione.
Di particolare rilievo, il rinvio all'emanazione di norme di rango secondario (regolamento di attuazione), che potrà costituire uno strumento importante e su cui potrebbero innestarsi altri spazi dei quali tenere conto.

ANALISI E COMMENTO SUI SINGOLI ARTICOLI
L'articolo 1 ha natura programmatica e declaratoria, oltretutto senza apparentemente porsi domande su quale sia l'ambito della competenza legislativa (e, conseguentemente anche regolamentare) propria della regione, solo che si consideri come alcuni aspetti - a titolo del tutto esemplificativo e non esaustivo, l'indirizzo della lett. a), ma anche lett. b), dove appare ben riduttivo propendere per assicurare un'uniformità in ambito regionale, quando essa non potrebbe che aversi in ambito nazionale, oppure quando si tratti di materie (es.: lett. c), e) ed f)) che, espressamente (quale citata alla lett. e) - attengono alla concorrenza ed al mercato.
Sullo stesso piano la regolazione delle "incompatibilità" di cui alla lett. f), rispetto a cui non sempre sono colti, dai consigli regionali, tutti gli effetti che ne conseguano.

L'articolo 2 (il quale, unitamente agli artt. 3 e 4, trova applicazione con la salvaguardia delle norme statali in materia di prelievo di organi a scopo di trapianto terapeutico - L. 1° aprile 1999, n. 91 e successive norme, inclusi gli Accordi stipulati in sede di Conferenza Stato-Regioni e province autonome - normativa che, per questo, prevale) opera un rinvio alle norme statali in materia di dichiarazione o avviso di morte, nonché un richiamo all'art. 44 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (ovviamente, da "leggere" alla luce dell'attuale normativa statale e non di quella citatavi, in quanto chiaramente abrogata (art. 27, comma 1 L. 1° aprile 1999, n.- 91), in sostanza riprende le norme dell'art. 1, comma 1 (attuativo dell'art. 103, sub a) T.U.LL.SS.) ed art. 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, per altro introducendo la figura del "sostituto" del medico curante, figura che richiama, evidentemente, gli istituti di c.d. continuità assistenziale (ex "guardia medica"); incidentalmente, sembra venire meno la previsione, presente nell'art. 1, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, per la quale i medici sono tenuti a "denunciare …., la malattia che, a loro giudizio, ne sarebbe stata la causa …", formula che viene sostituita con " … certifica le cause del decesso …", in un certo qual modo aggravandone l'aspetto contenutistico.
Le funzioni di accertamento (dell'effettività) della morte sono commesse, per i soggetti non deceduti in strutture sanitarie di ricovero o assistenziali, residenziali pubbliche e private, alla figura del medico necroscopo, nominato dall'ASL, tendenzialmente individuabile fra i medici dipendenti o convenzionati con il servizio sanitario nazionale, ovvero, in loro assenza, dai medici di medicina generale, formulazione che solleva alcune perplessità, in quanto (esclusi i medici dipendenti dall'ASL) i medici convenzionati sono/sarebbero i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, che, mancando (sic!), consentirebbero che una nomina possa riguardare anche medici di medicina generale (non convenzionati con il S.S.N.?). Probabilmente, la formulazione sarebbe stata meno equivoca se si fosse parlato, semplicemente, di medici esercenti la professione medica, in analogia all'art. 103 T.U.LL.SS., per la dichiarazione (secondo scienza e coscienza) delle valutabili cause di morte.
Potenzialmente foriera di contenziosi, oltretutto in momenti in cui sarebbero fuori luogo, la previsione del comma 5, che non considera solo il caso della morte senza assistenza medica (art. 1, comma 4 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), bensì anche, in aggiunta, la mera non reperibilità del medico curante, con una traslazione della competenza funzionale sul medico necroscopo, ma altresì sui medici di continuità assistenziale (guardia medica), che comporta come a tali figure mediche (sembrerebbe, ad entrambe) debba essere presentata idonea documentazione. Da un lato, le criticità potrebbero sorgere non solo sulla base di aspetti di competenza e di conoscenza delle possibili cause della morte, ma soprattutto sull'aspetto documentale, sia in relazione alla disponibilità o meno di qualche documentazione, sia in relazione a quali possano essere i soggetti cui gravi l'onere, od anche la sola diligenza, di presentare al medico chiamato a redigere la scheda contenente la denuncia delle cause di morte (Mod. ISTAT/D.4) che presumibilmente possono essere all'origine del decesso.

L'articolo 3 riprende la previsione dell'art. 8 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, almeno sotto il profilo sostanziale, dato che considera pressoché solo il seppellimento (senza distinguere dalla pratica funeraria richiesta), la cremazione, l'effettuazione di autopsia (non affrontandosi, qui, il riscontro diagnostico, considerato all'art. 4, successivo), ma anche (comma 7) i trattamenti di imbalsamazione e di tanatoprassi (i quali, allo stato, non solo non sono neppure previsti da norme nazionali cui, formalmente, si fa rinvio, ma costituiscono, quando meno fino a che non muti la legislazione nazionale, pratiche che, per la loro invasività, non possono che essere che qualificate se non quali costituenti la fattispecie di cui all'art. 410 C.P.), oltretutto, non considerando minimamente come la tanatoprassi, se non avesse le caratteristiche testé esposte, richiederebbe, quanto meno secondo le c.d. buone prassi di riferimento negli Stati, esteri, in cui sia espressamente ammessa, richiederebbe venga posta in essere con una tempestività che contrasta non solo con i termini dell'art. 3, ma altresì con quello, minimo, del precedente art. 2, comma 6 legge regionale.
Il comma 4, nonché 5, considera il trasporto di salma (la legge regionale non opera la distinzione definitoria tra "salma" e "cadavere", come avvenuto in altre regioni), anche in altro comune purché nell'ambito della regione, come un mero fatto, subordinandolo a modalità di effettuazione (che richiamano l'art. 17 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 295), comprendenti, in termini di modalità, l'assenza di pregiudizio per la salute pubblica, senza che vi sia alcun accertamento medico sull'assenza di tale (eventuale) pregiudizio. A parte il fatto che potrebbero rilevare anche ragioni di giustizia, in questa previsione è del tutto assente ogni valutazione delle ragioni, motivazioni per cui vi sia il trasporto di salma dal luogo di decesso ad altra sede (struttura sanitaria, deposito di osservazione, struttura per il commiato, così come è assente, almeno in forma esplicita, ogni funzione medica (nemmeno su una qualche valutazione circa un possibile pregiudizio per la salute pubblica), e neppure ogni indicazione sui "titoli" per effettuare il trasporto (mentre emerge il soggetto abilitatone, in via indiretta, dall'art. 5, comma 1, lett. c), successivo …), il ché espone alla fattispecie considerata dall'art. 339 T.U.LL.SS. Elementi "motivazionali" emergono, al contrario, al comma 5, cove si considera:
a) la morte avvenuta in abitazioni inadatte ai fini dell'osservazione dei cadaveri, o
b) la richiesta dei familiari, o conviventi, ipotesi nelle quali è richiesta certificazione medica avente a proprio oggetto che il trasporto della salma può avvenire senza pregiudizio per la salute pubblica e che è escluso il sospetto che la morte sia dovuta a reato.
Il comma 6 consente anche, oltre che alle strutture ed impianti di cui agli artt. 12 e 13 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, alle strutture sanitarie pubbliche e private, che operano in regime di ricovero, di accogliere, in aggiunta alle salme di persone ivi decedute e, comprensibilmente, , nei limiti delle proprie disponibilità, i cadaveri di persone decedute in luoghi pubblici o in abitazioni che siano state certificate quali non idonee, oppure di persone ignote di cui debba farsi esposizione al pubblico per il riconoscimento, o per le quali vi è stata la richiesta.

L'articolo 4 affronta il riscontro diagnostico, in termini non eccessivamente dissimili rispetto a quelli del Capo V D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, salvo che "alleggerendo" l'attenzione sui cadaveri eventualmente portatori di radioattività (anche se il rinvio, a salvaguardia, alla normativa statale induce a ritenere che la relativa disposizione - art. 38 - continui ad applicarsi nella regione Piemonte), estendendo, per altro, il riscontro diagnostico alle persone decedute a domicilio quando la morte sia dovuta a malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo. Sono del tutto assenti disposizioni in qualche modo corrispondenti all'art. 39 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, ritendendosi, a questo proposito, come le previsioni del suo comma 3 non possano che continuare ad essere applicabili, stanti gli obblighi comunque sussistenti ai sensi dell'art. 365 C.P., mentre altrettanta certezza non soccorre il relazione al comma 1, che potrebbe considerarsi abrogato alla luce delle previsioni dell'art. 2, comma 2 legge regionale, per cui il medico " … certifica le cause del decesso …", e non più denuncia " … la malattia che, a loro giudizio, ne sarebbe stata la causa …", dato che, di fronte ad una certificazione non dovrebbero esservi ragioni per rettificare quello che, inizialmente, si aveva in termini di minore certezza scientifica. Oppure, più semplicemente non sono stati colti questi effetti, ipotesi nella quale si dovrebbe propendere per la persistente vigenza dell'art. 39 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.

L'articolo 5 entra nel merito della c.d. attività funebre, reiterando una definizione, omni comprensiva, mutuata da altre leggi regionali (non tutte, dato che in alcuni casi l'attività funebre comprende anche prestazioni e servizi che le sarebbero, a rigore, estranei, quali la preparazione del cadavere oppure, ancora maggiormente abnorme, il c.d. recupero di cadaveri, su disposizioni dell'autorità giudiziaria, prestazioni che sono del tutto estranee all'attività funebre (anche se possa tenersi conto del fatto che le attrezzature e strumentazioni necessarie possano, con buona frequenza, essere nella disponibilità di chi svolga attività funebre)), definendola come comprensiva di tre componenti prestazionali, comprensività che non supera il fatto per cui una di queste (quella della lett. a)) non costituisca un'attività meramente economica, ma è, e rimane, regolata dalle disposizioni in materia di P.S., anche se la titolarità funzionali sono state trasferite dall'autorità provinciale di P.S. all'autorità locale di P.S. (art. 163 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 e succ. modif.). Diventa qui, così come per altre leggi regionali, difficile pervenire a far "comprendere" in un unicum attività che si collocano una nell'ambito di funzioni di P.S., le altre nell'ambito delle comuni attività di prestazioni di servizio di attività economiche, di per sé libere (art. 41 Cost.) e, in quanto tali, non suscettibili di precostituzione di "riserve".
In relazione alla componente di attività di cui alla lett. b), si può osservare come, rispetto al testo che era stato licenziato (17 giugno 2011, cioè solo un mese e 10 giorni prima dell'approvazione in Aula) dalla Commissione, sia ora assente, l'inciso, limitativo, "… in occasione del funerale …", inciso per altro presente in altre leggi regionali (e che comporta, laddove presente, che la vendita di articoli funebri al di fuori dell'occasione del funerale, non attenga all'attività funebre, e relativi titoli di esercizio, ma richieda, se del caso cioè quando esercitata, la disponibilità di altri, distinti, titoli di svolgimento di tale attività).
Inoltre, in relazione alla lett. c), si deve evidenziare come la componente del trasporto riguardi non solo il cadavere, ma altresì il trasporto di ceneri (leggansi: urne cinerarie) e di resti mortali, cosa che rischia di precostituire una "riserva", tipica tentazione di chi ha difficoltà ad operare in termini di mercato e concorrenza, tale da precludere, nel caso di trasporto di urne, la possibilità a che vi provvedano i familiari, anche se per questo trasporto non sono richiesti i mezzi speciali di cui all'art. 20 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, oppure, per il trasporto di resti mortali (per la cui definizione va fatto riferimento all'art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 e per cui altrettanto non è necessario l'impiego dei mezzi speciali sopracitati) la possibilità che vi provveda (es.) il gestore del cimitero, quando il trasporto dei resti mortali (non dei cadaveri) avvenga per collocazione in altro cito cimiteriale del comune o in funzione della cremazione dei resti mortali medesimi. Il ché contrasterebbe, oltre che con principi di economicità, altresì con principi di efficienza e funzionalità.
Il comma 2 individua, in termini di procedimento per l'esercizio dell'attività funebre, così definita, l'istituto della S.C.I.A., che (a parte la non pertinenza rispetto alle prestazioni di cui alla lett. a), cioè a funzioni proprie della P.S.) diventa non facile da valutare, sia in relazione ad "attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati", sia a "dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese, … relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. ….", non essendo questi "requisiti e presupposti" definiti, ma neppure rinviati al regolamento di attuazione (art. 15) cui semmai spetta di fissare i requisiti e le modalità generali per la presentazione della segnalazione certificata di inizio dell' attività funebre e per la realizzazione e la gestione delle strutture per il commiato e non i requisiti per svolgere l'attività considerata (salvo non dare a questa formulazione una lettura del tutto extra ordinem; ma è presumibile che, sotto il profilo di fatto, si pervenga proprio a ciò).
Il comma 5 nella sua prima parte reitera una previsione di legge vigente (dal 3 maggio 2001), cioè quella dell'art. 7 L. 30 marzo 2001, n. 130, ed, in parte, già presente nell'art. 9 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, rispetto alla quale l'attenzione è spostata pressoché tutta sui comuni. A ciò si aggiunge la seconda parte, relativa alla pubblicazione dell'elenco delle imprese operanti nel proprio territorio, cioè che hanno presentata in quel dato comune la relativa S.C.I.A. di cui al comma 2. Tale obbligo di pubblicazione non può che essere assolto se che attraverso la pubblicazione sui siti web istituzionali dei singoli comuni, rientrando essa nell'ambito delle disposizioni dell'art. 32 L. 18 giugno 2009, n. 69 e succ. modif.

L'articolo 6 affronta il tema "alto", e difficile, della tutela del dolente e della vigilanza nell'ambito delle camere mortuarie, termine che merita di essere altrimenti letto come "servizi mortuarii degli ospedali, strutture sanitarie ed assimilabili" (es.: case di riposo, R.S.A., ecc.), se non altro per il fatto che esso ha un unico significato, tecnico, quello della struttura prevista dall'art. 64 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. Tuttavia, la questione del nomen juris è secondaria, e di lieve profilo, rispetto alla questione che si vorrebbe affrontare sotto il profilo sostanziale, questione che era, per inciso, già alla base del divieto considerato al precedente art. 5, comma 3. Dopo l'affermazione, anche questa programmatica, sulla libertà di scelte da parte della famiglia dell'operatore funebre, si individua (comma 2) un'incompatibilità nella direzione di gestori di servizi pubblici (sic!) cimiteriali o servizi necroscopici (ASL, dato che non sarebbe altrimenti ipotizzabile un diverso soggetto gestore? Ma su ci ciò si torna infra.) che, quando svolga, anche, attività funebre, è richiesta la separazione societaria, corredata da una clausola di adeguamento per le gestioni in corso alla data del 27 agosto 2011, per altro sostanzialmente vuota, mancando un termine. Va, per altro osservato, per quanto riguarda i servizi necroscopici rispetto a cui in precedenza si era individuato un unico possibile soggetto gestore (forse estensibile a strutture sanitarie delle università o di case di cura private), come le strutture per il commiato (art. 8 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, interessato, per inciso, dalle modifiche del succ. art. 12 presente legge regionale) potrebbero essere considerate quali servizi necroscopici, per effetto dell'art. 8, commi 2 e 4 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 (non modificati), nonché dell'art. 3, commi 4 e 5 presente legge regionale: accedendo ad una tale qualificazione, oltretutto difficilmente contrastabile, consegue che i soggetti gestori delle sale del commiato, qualora svolgano anche attività funebre, vengano a trovarsi nella condizione di dover osservare una tale condizione d'incompatibilità, richiedendosi la separazione societaria, il ché riporta alle modifiche alla L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 da parte del successivo art. 12.
Tale impianto d'incompatibilità si chiude, in un certo qual senso nella direzione inversa, con il divieto, posto in capo alle strutture sanitarie quali esse siano, di affidare la gestione dei propri servizi mortuaria a soggetti esercenti l'attività funebre. Nel caso si osserva come vi siano strutture che non possono essere qualificate sanitarie, tipicamente le R.S.A. (istituite con l'art,. 20 L. 11 marzo 1988, n. 67), ma che, sotto questo profilo, presentano caratteristiche del tutto assimilabili cui, in qualche modo, soccorre il comma 4 (anche se manchi il divieto di gestione, almeno formale). Quest'ultima disposizione prescrive non solo il divieto di svolgimento dell'attività funebre (e uffici a ciò dedicati) in questi luoghi, ma anche un divieto di "pubblicità" che coinvolge obitori, strutture sanitarie, di ricovero e cura e nei cimiteri.
Infine, il comma 5 rinvia ad un adottando "codice deontologico", che, per la carenza di forza normativa, rischia di non affrontare compiutamente, magari anche solo in parte, la vera questione della gestione dei servizi mortuari e la loro esposizione a prassi indebite, quando non illecite sotto il profilo delle modalità di acquisizione dei servizi funebri da parte delle famiglie in lutto.

L'articolo 7 regola l'aspetto sanzionatorio, tra l'altro in termini di alternatività, anziché di concorrenza, con eventuali fattispecie a rilevanza penale (considerando il fatto, non la sanzione), individuando alcune specifiche situazioni oggetto di sanzioni amministrative pecuniarie, in concorso con una sospensione (che, in presenza di reiterazioni, può giungere anche alla cessazione dell'attività). Alcune delle fattispecie considerare sono di non agevole accertabilità, ma l'ultima (forme pubblicitarie ingannevoli o disdicevoli) è del tutto esposta a valutazioni di ordine soggettivo, tanto da lasciar presumere che possa aversi un qualche contenzioso sulle "infrazioni", modalità di accertamento e valutazioni connesse. Singolare il comma 3, se non altro per la considerazione che essa poteva essere del tutto inclusa tra le diverse fattispecie interessate alle procedure sanzionatorie del comma 1, se non fosse che, probabilmente, il legislatore regionale non ha tenuto conto del fatto che, senza avere presentato la S.C.I.A., si avrebbe, semplicemente, un soggetto che esercita abusivamente un'attività in qualche modo, ora, regolata, dalla presente legge regionale (e la successiva ipotesi di reiterazione, comporterebbe che l'esercente abusivo abbia, più volte, esercitato abusivamente l'attività ... Un soggetto esercente abusivamente un'attività non può essere "graduato" nelle sanzioni e, soprattutto, il divieto di proseguire l'attività (in caso di reiterazioni) non ha senso, non sussistendo le condizioni per esercitarla).

L'articolo 8 definisce il trasporto funebre, anche qui mutuando formulazioni tratte da altre leggi regionali, oltretutto con promiscuità lasciate del tutto implicite tra le componenti dell'attività funebre di cui all'art. 5, comma 1, lett. c) legge regionale e la definizione qui data di trasporto funebre, equivocità aggravate dall'assenza di una differenziazione definitoria tra "salma" e "cadavere". Per altro, non è questa distinzione definitoria a costituire discriminante sostanziale, dato che se la sua introduzione è stata ritenuta (in una regione) causa di incertezze interpretative, generando colà veri e propri equivoci, a volte si presta a fare chiarezza, attorno a quali siano gli "oggetti" di cui si sta parlando.
Anche in questo caso (comma 2) l'identità del defunto, l'apposizione dei sigilli e l'osservanza delle norme previste per il trasporto (e non avrebbe guastato che l'apposizione dei sigilli fosse stata elencata per ultima, costituendo, congiuntamente al relativo verbale, la fase finale di questo tipo di attività) è attribuita all'addetto al trasporto, in palese analogia a quanto previsto da altre normative regionali. Di fatto, con questa modalità, che richiede necessariamente fonte di rango primario, si attribuisce ad un determinato soggetto l'esercizio di una funzione tipicamente pubblica, la quale - altrimenti - esporrebbe chi la compia alla situazione considerata dall'art. 347 C. P. La questione merita di essere sollevata considerando gli effetti nel tempo prodottisi a seguito della D.G.R. (Piemonte) n. 115-6947 del 5 agosto 2002 (in B.U.R. (Piemonte) n. 37 del 12 settembre 2002), che, presuntivamente, ha avuto un impatto inferiore a quello che dovrebbe o potrebbe esservi stato, solo come conseguenza delle, oggettive, difficoltà all'effettuazione di operazioni di vigilanza e controllo, di spettanza (art. 16, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) delle stesse ASL interessate dall'anzidetta sopra citata D.G.R la quale, prevedeva che essa la limitassero "…. alle circostanze in cui il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica ravvisi l'esistenza di specifici rischi sanitari; …", cosa che lascia presumere che non vi siano state occasioni per ravvisarne la necessità, il che potrebbe spiegare l'anomalia dall'art. 7, comma 3, già rilevata.
Il comma 5 presenta forti criticità, quando meno per alcuni aspetti: infatti, se per il trasporto di cadaveri la previsione non presenta particolari elementi di criticità (ma si potrebbe, volendo, considerare come l'art. 72, comma 1 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 prenda inc considerazione, nella parte finale, che l'ipotesi, non escludibile (es.: come nel caso del decesso nel corso del trasporto ad un ospedale, in cui non sia nettamente individuato il comune in cui il decesso è avvenuto), in cui non sia noto il comune di decesso), queste sorgono quando si tratti di resti mortali o di ceneri (leggansi: urne cinerarie), dato che, specie i primi, potrebbero trovarsi in luogo del tutto diverso dal comune di decesso. Ad esempio, l'art. 1, comma 1 dell'Accordo internazionale concernente il trasporto delle salme, stipulato in Berlino il 10 febbraio 1937 (dall'Italia, ratificato con R.D. 1° luglio 1939, n. 1379) aveva presente questa fattispecie, prevedendo: " …. Art. 1. Per ogni trasporto di salme, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, sarà necessario un lasciapassare speciale (passaporto mortuario) quanto più possibile conforme al modello qui annesso e contenente, in tutti i casi, il cognome e nome e l'età del defunto, il luogo, la data e la causa del decesso; il detto passaporto sarà rilasciato dalla competente autorità del luogo di decesso o del luogo di inumazione, se si tratta di resti esumati. …. ". Oltretutto, le criticità non sussisterebbero solo in caso di resti mortali esumati, od estumulati, in comune diverso da quello di decesso, ma si aggraverebbero nell'ipotesi che il comune di decesso sia eventualmente stato in altra regione (o, all'estero). Analogamente, per le urne cinerarie, quando il trasporto all'estero sia richiesto successivamente ad una collocazione in cimitero o dopo che vi sia stato un affidamento dell'urna cineraria ad aventi titolo. Infine, la criticità è sempre presente, anche per i cadaveri, quando si tratti di introduzioni dall'estero, in quanto in tale ipotesi si avrebbe l'abnorme situazione per cui la legge di una regione vanga a dover essere fatta oggetto di applicazione nello Stato di provenienza, il ché palesemente non è argomentabile.
L'art. 8 si conclude con una disposizione, apparentemente di salvaguardia, che fa rinvio, per quanto non regolato dal medesimo art. 8, alle disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, che costituisce una delle poche in cui è presente una qualche norma che consideri le relazioni tra questo e le leggi regionali sopravvenute. Ma da ciò, si deduce anche che le disposizioni del precedente art. 3, commi 4 o 5, sono in posizione di estraneità rispetto al trasporto funebre, regolato dall'art. 8.

L'articolo 9 riguarda i cimiteri, attribuendone la realizzazione (estesa ai crematori), ai comuni, singoli od associati. Qui evidentemente è stato obliterato come la determinazione delle funzioni fondamentali dei comuni competa alla legislazione statale (art. 117, comma 2, lett. p) Cost.), e che, transitoriamente, l'art. 21, comma 3 L. 5 maggio 2009, n. 42 abbia individuato alcune delle funzioni fondamentali dei comuni, tra cui (lett. f)), vi sono anche i servizi necroscopici e cimiteriali … mentre per gli impianti di cremazione, occorre fare riferimento all'art. 6, comma 2 L. 30 marzo 2001, n. 130. Dato che nella regione Piemonte, risulta essere presente un impianto di cremazione che non risponde, neppure per la localizzazione (art. 343, comma 1 T.U.LL.SS., nonché art. 78 comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), poteva essere congruo attendersi una norma di adeguamento transitorio (più o meno sul tipo di quelle considerate all'art. 6, commi 2 e 4 presente legge regionale), che per altro è del tutto assente. Incidentalmente, e con particolare riferimento alle c.d. forme associative, merita di essere ricordato come l'art. 14, comma 31, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122, recentemente modificato dall'art. 20, comma 2.quater D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111, in vigore dal 17 luglio (e, quindi, precedentemente all'approvazione, in Aula, della presente legge regionale) consideri perfino, in presenza di certe condizioni demografiche, l'obbligatorietà dell'esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali, oggi "provvisoriamente" già individuate dal sopra citato art. 21, comma 3 L. 5 maggio 2009, n. 42.
Il comma 3 attiene anche questo alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. p) Cost), mentre il comma 5 si colloca a cavallo tra le materie di cui all'art. 117, comma 2, lett. l) Cost. e quelle oggetto delle potestà regolamentare, altrettanto esclusiva, dei comuni i sensi dell'art. 117, comma 6, terzo periodo Cost.
Per quanto riguarda il comma 6, si rileva l'incongruità di affrontare nella presente legge regionale aspetti (lett. a) ) che attengono alla polizia veterinaria e che hanno già, nella stessa regione norma di leggere regionale, e relativo regolamento, che li regola, proprio in quanto attività di polizia veterinaria. Al contrario, quanto previsto dalla lett. b), attiene già, e ciò senza che occorre legge regionale, alle competenze dei comuni, mentre qualche perplessità può sollevarsi attorno alle previsioni della lett. c), non tanto per il fatto che si tratta di una competenza conferita alle regioni, dal 1° gennaio 2002, dal D.P.C.M. 26 maggio 2000 e che le regione potrebbero anche conferite, a loro volta, ad altri livelli di governo, ma in termini di motivazioni di opportunità, considerando come l'istituto considerato - la c.d. tumulazione privilegiata - comporta, di per sé stesso valutazioni così altamente discrezionali per cui la competenza funzionale meriterebbe di essere quanto più possibile "allontanata" dal luogo in cui la tumulazione privilegiata debba avvenire, per ridurre, per quanto umanamente possibile, influenze e pressioni cui è sempre difficile opporsi, specie in sedi locali. Accidentalmente, con l'art. 12 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 tale materia era già stata regolata, prevedendo come le modalità per il rilascio delle autorizzazioni concernenti l'individuazione di siti idonei a sede di tumulazione privilegiata dovessero essere stabilite con D.G.R., provvedimento amministrativo che assume natura procedimentale, ma non supera la problematicità del fatto che l'autorizzazione è attribuita al comune, nel quadro delle funzioni e compiti di cui all'art. 107, comma 3, lett. f) testo unico, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. Il comma 7 sconfina proprio in ambiti estranei alle competenze regionali, salvo che per quanto considerato alla lett. b) e che dovrebbero essere oggetto di norme di rango secondario, nonché lett. d) che co-interessa il c.d. governo del territorio. In relazione, alla lett. c) merita di esser osservato come essa contrasti, in parte, con l'art. 823, comma 1 C.C., ma dall'altro comporti come la determinazione delle tariffe non possa essere determinata ad un livello inferiore a quello risultante dall'applicazione dei criteri di cui all'art. 117 testo unico, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., nessuno escluso, men che meno l'ultimo, dato che ogni non coerente, e corretta, applicazione di tali criterio determina la responsabilità considerata all'art. 93 testo unico, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. Tale precisazione, va posta in relazione con il fatto che, nel corso dei lavori che hanno portato all'approvazione della presente legge regionale, è stato presentato anche un O.d.G. (n. 415) che evidenzia come vi siano realtà in cui sono patentemente violate le disposizioni di legge in proposito, oltretutto invitando la regione ad un'azione di monitoraggio sui criteri di determinazione delle tariffe, il ché, a certe condizione, potrebbe costituire una lesione all'autonomia di cui all'art. 119 Cost.
Al comma 9, ultimo periodo, si parla impropriamente, del fatto che la soppressione dei cimiteri sia "autorizzata" dal comune, quando dovrebbe più propriamente parlarsi che essa è "disposta" dal comune.

L'articolo 10, avendo ad oggetto la cremazione appare ridondante, presentando un sostanziale mero rinvio ai principi della legge statale e della L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20.

L'articolo 11 è dedicato alle strutture del commiato e dove il comma 1 è abbastanza programmatico, mentre il successivo comma 2 reitera, sotto il profilo sostanziale, quanto previsto dall'art. 8, comma 4 L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, anche se questo preveda la sua applicazione anche in alle pratiche di rilevazione delle manifestazioni di vita (il ché riapre la questione, sollevata in precedenza, con riferimento all'art. 6, comma 2) sulla natura di servizi necroscopici delle sale del commiato), che non è ora presente, ponendo la questione se si sia in presenza di un'abrogazione implicita o meno.

L'articolo 12 comporta modifiche alla L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, la prima delle quali riguarda l'art. 8, comma 3 che viene sostituito come segue:

Testo originario

Testo attuale (modificato)

3. Le strutture per il commiato sono in ogni caso fruibili da chiunque ne faccia richiesta, senza discriminazioni di alcun tipo in ordine all'accesso, fermo restando l'obbligo previsto dalla normativa statale e regionale in capo alle strutture pubbliche e private che sono tenute a garantire il servizio di camera mortuaria al soggetto deceduto presso le medesime strutture, nel caso in cui i familiari non optino per la struttura del commiato.

3. Le strutture per il commiato, realizzate da soggetti pubblici o privati autorizzati all'esercizio dell'attività funebre, sono in ogni caso fruibili da chiunque ne faccia richiesta, senza discriminazioni di alcun tipo in ordine all'accesso, fermo restando l'obbligo previsto dalla normativa statale e regionale in capo alle strutture pubbliche e private che sono tenute a garantire il servizio di camera mortuaria al soggetto deceduto presso le medesime strutture, nel caso in cui i familiari non optino per la struttura del commiato.


In altre parole, vi è un inserimento con cui si individuano i soggetti che possono provvedere alla loro realizzazione, limitandoli (secondo la logica delle "riserve" ai soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività funebre, il ché non era in precedenza precluso, ma viene ora a porsi in situazione, in parte auto-contraddittoria, con le indicazioni d'incompatibilità di cui all'art. 6, comma 2, con la conseguenza che essa diviene superabile attraverso la separazione societaria (oppure, qualificando le strutture del commiato in termini del tutto differenti dai servizi necroscopici, cui conseguirebbe che non possano svolgere le funzioni di osservazione del cadavere, la sua preparazione e simili, ma possano accogliere unicamente cadaveri, successivamente all'accertamento dell'effettività della morte da parte del medico necroscopo, il ché verrebbe a contrastare, tra l'altro, con le previsioni dell'art. 3, commi 4 e 5 presente legge regionale. Si è in presenza dell'effetto della confluenza, in un testo unificato, di due distinte proposte di legge, che, probabilmente, miravano ad esiti non necessariamente tra loro coerenti. Incidentalmente, tale modifica emerge essere in contrasto con l'art. 3, comma 9, lett. f) D.L. 13 agosto 2011, n. 138, con conseguente abrogazione delle parole costituenti l'inciso così inserito dal 12 dicembre, fatte salve, per il termine, modificazioni che intervengano con la legge di conversione. Tra l'altro, la questione sul divieto di restrizioni alle attività economiche potrebbe produrre effetti anche in altri contesti normativi.
La seconda modifica apportata alla L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, considera, ancora una volta, aspetti di incompatibilità, che, in parte, richiamano quelle del precedente art. 6, comma 4, inserendo ex novo, la previsione per cui tali strutture non possono essere collocate nell'ambito di strutture obitoriali, di strutture sanitarie pubbliche o private o nelle loro immediate vicinanze, né di strutture sociosanitarie o socio-assistenziali, rimettendo ai comuni lo stabilire l'ubicazione delle strutture per il commiato, il ché, a stretto rigore, non può che aversi attraverso gli strumenti urbanistici, trattandosi di atti che riguardano la destinazione urbanistiche delle aree su cui possano essere insediate le strutture del commiato. Oltretutto, si evidenzia la criticità del concetto di "immediate vicinanze", esposto a valutazioni abbastanza discrezionali da parte degli strumenti urbanistici, adottandi, da parte dei singoli comuni. Neppure si prevede un eventuale periodo transitorio, di adeguamento, per eventuali strutture del commiato eventualmente presenti, magari non dall'ultimo momento, in allocazioni che vengono a contrastare con l'art. 8, comma 4.bis L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, 20, così come modificato dall'art. 12, comma 2 presente legge regionale. Difettando di una norma di adeguamento, consegue che essa potrà applicarsi unicamente alle strutture del commiato che vengano ad essere realizzate dopo l'entrata in vigore della L.R. (Piemonte) 3 agosto 2011, n. 15.

L'articolo 13 è dedicato al tema, importante e fondamentale, della formazione del personale, attribuendo al regolamento di attuazione la determinazione dei requisiti formativi e dei piani di formazione (oltretutto, obbligatori) del personale di diversi soggetti:
a) imprese che svolgono attività funebre,
b) dei cimiteri e
c) dei crematori, nonché
d) dei cerimonieri degli spazi per il commiato.
Si tratta di aspetti che attengono alla formazione professionale per cui, in sede di adozione del regolamento di attuazione, all'interno delle strutture regionali, dovrà evidentemente procedersi in termini di concerto o di conferenze di servizi (data l'eterogeneità delle materia interessate dall'emanando regolamento di attuazione di cui al successivo art. 15) e che, in quanto tali, saranno svolti da soggetti, quale ne sia la natura, accreditati per erogare servizi di formazione continua e permanente, e non da soggetti che, anche sena disporre di questi specifici accreditamenti (per loro natura, generalisti), dispongano delle caratteristiche per fornire una formazione professionale specifica o, se sui vuole, specializzata, magari, spesso, documentabile da tempo. Presuntivamente, si tratta di aspetti che potrebbero trovare soluzione attraverso ipotesi in cui i soggetti accreditati per erogare servizi di formazione continua e permanente si possano avvalere di figure aventi specifiche professionalità, il ché potrebbe avere solo effetti su di una maggiore onerosità delle attività formative.
Ma tale previsione, pone, in ambito ben più generale che non quello della specifica norma regionale qui considerate, la tematica della formazione, che non può prescindere da quella di stabilire standard di formazione congiuntamente a processi di formazione dei formatori, onde evitare situazioni in cui vi siano soggetti che si auto ergono a formatori, fenomeno per altro diffuso anche in altri ambienti.
Il comma 2 prevede una sorta di "franchigia", per quanti svolgano l'attività di impresa funebre in qualità di titolari o legali rappresentanti o soci, nonché di addetti allo svolgimento dell'attività funebre, da almeno 5 anni (riferito all'entrata in vigore della presente legge regionale, cioè per il periodo 26-27 agosto 2006 - 26 agosto 2011) che apre alcune questioni, non solo o non tanto per i soggetti che operino da 5 o meno anni l'attività di impresa funebre (attività che non può essere sempre e comunque piattamente ricondotta alla definizione di attività funebre quale definita dall'art. 5, comma 1 presente legge regionale, dato che possono esservi soggetti che svolgano solo alcune delle prestazioni e servizi che la connotano, ad esempio il solo disbrigo di pratiche amministrative e/o vendita di casse mortuarie ed articoli funebri (o, anche solo di una delle tre componenti considerate dalla norma citata), ma anche per il fatto che la formazione professionale obbligatoria riguarda il personale anche dei cimiteri e dei crematori, nonché dei cerimonieri degli spazi per il commiato, personale per il quale non opera una tale "franchigia", con la possibile conseguenza per cui chi già operi, a volte anche da periodi ben maggiori che non un quinquennio, debba essere assoggettato agli obbligatori percorsi formativi. Oltretutto, questo comporta anche una verifica di quali siano, o possano essere, gli effetti di questa formazione obbligatoria, non solo per il personale in atti operante, ma anche per quello in prospettiva assegnabile a tali servizi, ma comporta anche una valutazione sugli oneri da destinare alla formazione del personale medesimo che, in linea di massima, dovrebbero gravare sul datore di lavoro (quanto meno per il personale già assunto), ma che non potrebbero essere agevolmente spostati sugli interessati, poiché non si è in presenza di requisiti assunzionali. E difficilmente potrebbe essere la regione a qualificarli come requisiti assunzionali. La questione degli oneri, per inciso, assume un rilievo non secondario, anche se il successivo art. 17 prevede norma finanziaria che assicura, per il 2011, 2012 e 2013 un certo quale finanziamento, quando si parli del personale dei cimiteri e degli impianti di cremazione, solo che si consideri le limitazioni alle spese di personale cui sono ristretti gli enti locali e che vengono a rilevare anche in termini di valutazione della c.d. virtuosità ai fini dell'osservanza delle regole afferenti al patto di stabilità interno. La formazione è aspetto che non è solo importante, ma altresì essenziale, ma che richiede di essere affrontato considerando anche le risorse disponibili da un lato, dall'altro l'insostenibilità di ipotizzare che la mancanza di formazione, specie se imputabile al titolare del servizio, possa divenire strumento di gestione delle risorse umane, o, più nettamente, motivo di trasferimento ad altri servizi del personale (che, per altro, comporterebbe di disporre comunque di personale formato …) o, financo, di risoluzione del rapporto di lavoro. Il rischio concreto è che la formazione, così importante ed essenziale, diventi una mera affermazione tutta di principio e poco realizzabile. Infine, si considera (comma 3) come, per il conseguimento dei requisiti formativi, la Regione riconosca l'equivalenza dei corsi di formazione del personale svolti in altre Regioni, il ché, astrattamente, costituisce una affermazione apprezzabile sotto il profilo di principio, ma sembra non tenere conto, od intenzionalmente ignorare, le disparità dei percorsi formativi previsti nelle diverse regioni in cui siano stati attivati percorsi formativi in materia.

L'articolo 14 è dedicato al Piano regionale di coordinamento, non limitato a quello che costituiva obbligo (da adempiere entro il 3 novembre 2001, anche se il termine era ordinatorio e non perentorio) per le regioni in materia di impianti di cremazione (art. 6, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130), obbligo rimasto pressoché del tutto inattuato (e la sola regione che vi ha provveduto, l'ha fatto nel 2007, dopo 5 anni e messo dal termine, formale), ma che comprende anche i cimiteri, per altro riferito unicamente ai "nuovi" cimiteri e crematori. Tra l'altro, materia del Piano regionale di coordinamento sono rimessi aspetti che hanno ben poca attinenza con il concetto di coordinamento, come (es.) le caratteristiche dei campi di inumazione, dei loculi areati e non, delle strutture cimiteriali e delle sepolture private (cioè, per chiarezza ed esplicitazione, tutte le modalità e forme di collocazione cimiteriale diverse dall'inumazione considerata dall'art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) o l'ampiezza massima dell'area cimiteriale e dell'area che contorna le cappelle private costruite fuori dai cimiteri, che attengono piuttosto all'ambito dei piani regolatori cimiteriali le ultime, mentre e prime alle modalità tecnico-costruttive di realizzazione, ma anche quanto riguarda l'eventuale realizzazione di cappelle private, gentilizie, fuori dai cimiteri (aspetto del tutto estraneo negli effetti sul coordinamento regionale dei cimiteri e/o crematori), o ancora un improprio richiamo ai cimiteri per animali d'affezione, materia di polizia veterinaria e già altrimenti regolati da specifica legge regionale e suo regolamento. Al comma 2, lett. e) è presente una formulazione che appare in potenziale contrasto contrastare con l'art. 8, comma 4.bis L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, 20, così come modificato dall'art. 12, comma 2 presente legge regionale. Anomala appare la previsione del comma 3, che sembra ignorare come, almeno formalmente, la presenza di cinerari comuni sarebbe già obbligatoria in ogni singoli cimitero dal 27 ottobre 1990, anche se non sempre sono stati realizzati (anche in ragione delle dimensioni della domanda di questa struttura cimiteriale), mentre per le aree predisposte, nei cimiteri, ai fini delle dispersione delle ceneri, sembra ignorarsi quanto prevede l'art. 4, comma 1, lett. c) L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20. Tra l'altro, in rinvio al piano regionale di coordinamento potrebbe, medio tempore, fornire ai comuni l'alibi per non provvedere ad individuare tali aree, oppure per i comuni che intendano individuarle, impedire che lo facciano subito, prima dell'adozione di tale piano regionale di coordinamento. Infine, non si può trascurare come entrambi (cinerari comuni ed aree cimiteriali finalizzate alla dispersione delle ceneri) abbiano caratteristiche intrinseche di pertinenza dei singoli cimiteri e poco risentano di una loro collocazione in un piano regionale di coordinamento. Il comma 5 nel riconfermare l'impianto dell'art. 343 T.U.LL.SS. e dell'art. 78, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, considera (come in altre leggi regionali) un divieto di utilizzo di crematori mobili.

L'articolo 15 considera il regolamento di attuazione, che si prospetta come uno "snodo" che può essere decisamente molto importante per l'attuazione della legge regionale, anche se la sua adozione, sia essa tempestiva o meno (il termine di 180 giorni è ordinatorio) non preclude, né sospende o condiziona in alcun modo l'entrata in vigore della L.R. (Piemonte) 3 agosto 2011, n. 15, né può costituire motivo di "attendismi", già a vario titolo registratesi nella regione, dopo la L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20.
Il regolamento di esecuzione riguarda diversi ambiti, per alcuni dei quali si è già fatto riferimento (es.: i requisiti e le modalità per la presentazione della S.C.I.A. relativa all'esercizio dell'attività funebre) oppure le graduazioni sanzionatori in dipendenza dalle diverse gravità dei fatti contravvenzionali. Lascia decisamente perplessi, quanto previsto al comma 1, lett. b) cioè sulle modalità attraverso cui i comuni devono informare i cittadini sulle differenti "forme di sepoltura o cremazione" e delel tariffe stabilite (di per sé stesse, sempre "pubbliche") dato che la previsione che ciò venga definito con norma regolamentare, regionale, lede l'autonomia, anche organizzativa, dei comuni, così come le modalità di pubblicazione dell'elenco delle imprese operanti (leggansi: autorizzate) nel comune, essendo aspetto già definito da norma di legge, statale e vigente. Oltretutto, non è neppure materia di competenza regionale. Una consimile lesione dell'autonomia organizzativa, si ha in relazione alla lett. g), dato che se gli orari dei servizi mortuari degli ospedali, strutture sanitarie e ad simulabili sono, quando si tratti di strutture "sanitarie" od, al più, socio-sanitarie", riconducibili ad atti di organizzazione delle regioni, attuabili anche con atti amministrativi e non necessariamente con norme di rango secondario, per quanto riguarda, invece, gli orari delle sepolture e degli orari e le modalità della consegna dei feretri (si presume ai cimiteri) si invade chiaramente ed inequivocabilmente in ambiti in cui sussiste, e del tutto in via esclusiva, potestà dei comuni o dei soggetti affidatari da questi del servizio cimiteriale, di regolare la propria attività, non senza trascurare come ciò sia influenzato, e non poco, da fattori di costo, di gestione delle risorse umane, di utilizzo delle attrezzature e quanto altro. Il ché potrebbe competere alla regione se ed in quanto titolare del servizio e direttamente titolare della gestione, avendone gli oneri.
Non si fa cenno, all'art. 15, dei requisiti formativi e i piani di formazione obbligatori del personale, preannunciati all'art. 13, comma 1, probabilmente ritenendo non necessario riprendere quella previsione.
Il comma 2 rinvia, inoltre, al regolamento di attuazione le modalità ed i casi in cui deve essere effettuata la rimozione di protesi su cadaveri destinati alla cremazione.

L'articolo 16 provvede alle abrogazioni esplicite, abrogando, della L.R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20, l'art. 5 (sul Piano regionale di coordinamento, che viene di fatto sostituto dall'art. 14 presente legge regionale), l'art. 6, comma 1 (sostanzialmente analogo all'art. 9, comma 1), l'art. 10, in quanto sostituito dall'art. 13.

L'articolo 17 contiene una norma finanziaria. Si osserva come, in genere, le leggi regionali in queste materie tendano a non prevedere norme finanziarie, tanto che vi è solo un precedente, cioè la L.R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n. 18 (si fa rinvio alla circolare SEFIT n. 2515/AG del 20 settembre 2010). La norma finanziaria prevede che, in fase di prima attuazione, sia destinata una certa somma per due attività, cioè per campagne d'informazione e per attività di formazione del personale (di cui all'art. 13).

Esercizio

per la realizzazione di campagne di informazione riguardo ai servizi necroscopici, funebri e cimiteriali

per le attività di formazione del personale del comparto

2011

20.000,00 euro

50.000,00 euro

2012

50.000,00 euro

150.000,00 euro

2013

50.000,00 euro

150.000,00 euro


CONSIDERAZIONI FINALI
Pur se in alcune disposizioni sia previsto che per i soggetti operanti alla data di entrata in vigore della legge possa o debba esservi un adeguamento alle disposizioni di essa, specie in tema di alcune incompatibilità, si constata come non sia definito un termine entro il quale provvedere a tale adeguamento alla nuova legge regionale.
Altrettanto, per quanto riguarda la presentazione della S.C.I.A., di cui all'art. 5, comma 2, ai fini dell'autorizzazione (sempreché la S.C.I.A. possa essere qualificata in queste termini) all'esercizio dell'attività funebre (ma di autorizzazione / autorizzate si parla all'art. 5, comma 5, all'art. 12, comma 1, all'art. 15, comma 1, lett. b)), manca ogni termine che, evidentemente e implicitamente, viene rinviato al regolamento di attuazione di cui all'art. 15, tanto che si può considerare come questo aspetto sia probabilmente il solo che richiede l'emanazione di tale regolamento. Dato che la legge regionale non attribuisce al regolamento di attuazione potestà in materia, e, forse, seppure fosse anche attribuita a norma di rango secondario probabilmente non sarebbe proprio di norma di rango secondario regolare questi aspetti, viene necessario sollevare la questione se un termine per la transizione, ai fini dell'ottenimento della "autorizzazione" all'esercizio dell'attività funebre, possa produrre effetti nei riguardi degli operatori che siano già operanti alla data di entrata in vigore della L.R. (Piemonte) 3 agosto 2011, n. 15. In altre parole, il rischio di una indefinitezza non va escluso.