ALLEGATO 2
Legge regionale (Sicilia) 17 agosto 2010, n. 18 " Disposizioni in materia di cremazione delle salme e della conservazione affidamento e/o dispersione delle ceneri." (pubblicata in G.U.R.S. n. 39. del 3 settembre 2010)


Con la L. R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n. 18 le regioni e Province autonome che non siano intervenute in materia di cremazione, ed istituti ad essa collegati, risultano, in ordine alfabetico, Abruzzo, Provincia autonoma di Bolzano, Calabria, Molise, Sardegna. Nel caso della regione Sicilia deve aversi presente il fatto che trattasi di regione a statuto speciale (R. D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 2), cioè della regione cui è stato riconosciuto uno Statuto speciale fin prima delle consultazioni elettorali sul referendum sulla forma costituzionale dello Stato e per l'elezione dell'Assemblea Costituente). La regione Sicilia, nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, ha legislazione esclusiva (art. 14 Statuto, ma si veda anche l'art. 15) in talune materie e, precisamente:
a) agricoltura e foreste; b) bonifica; c) usi civici; d) industria e commercio, salva la disciplina dei rapporti privati; e) incremento della produzione agricola ed industriale: valorizzazione, distribuzione, difesa dei prodotti agricoli ed industriali e delle attività commerciali; f) urbanistica; g) lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale; h) miniere, cave, torbiere, saline; i) acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d'interesse nazionale; l) pesca e caccia; m) pubblica beneficenza ed opere pie; n) turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche; o) regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative; p) ordinamento degli uffici e degli enti regionali; q) stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato; r) istruzione elementare, musei, biblioteche, accademie; s) espropriazione per pubblica utilità, mentre (art. 17), l'Assemblea regionale, nei limiti dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, è legittimata, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all'organizzazione dei servizi, sopra le seguenti materie concernenti la Regione: a) comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere; b) igiene e sanità pubblica; c) assistenza sanitaria; d) istruzione media e universitaria; e) disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio; f) legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato; g) annona; h) assunzione di pubblici servizi; i) tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale. In pratica, l'art. 14 disegna l'ambito delle materie in cui la regione Sicilia ha potestà legislativa esclusiva (con il solo limite dato dalla legislazione di ordine costituzionale), mentre l'art. 17 delinea un ambito di materie per le quali può farsi ricorso a quella che nella (successiva) Costituzione era, ed è (pur nella diversità delle materie), l'istituto della potestà legislativa regionale concorrente, tra l'altro differenziandosi, rispetto alle regioni a statuto ordinario (si evita di fare riferimento ad altre regioni a statuto speciale, per le profonde peculiarità di ciascuno dei diversi Statuti speciali di queste), per il fatto di principi fondamentali determinati con legge(ordinaria) dello Stato, bensì limiti dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, risultando quindi questa potestà legislativa regionale concorrente anche di maggiore ampiezza.

La L. R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n.18 è stata approvata pressoché all'unanimità (54 voti favorevoli, su 54 deputati regionali votanti e 55 presenti), con alcuni emendamenti rispetto al testo licenziato in sede di Commissione e proposti in Assemblea regionale. Il suo testo risulta, per alcuni aspetti, avere fatto riferimento ad istituti più o meno presenti in leggi regionali emanate, nella materia, in altre regioni, ma fin dall'art. 1, comma 1 esso consente di affrontare un aspetto, oltretutto comune alle diverse legislazioni ragionali intervenute in materia di cremazione e destinazioni delle ceneri da cremazione, che è quello della titolarità, in capo alle regioni, di intervenire in questa materia, titolarità che sussiste solo in parte, ma non in assoluto. Anzi, per gli aspetti di maggiore rilievo, risulta del tutto carente una potestà legislativa regionale, sia per le regioni a statuto ordinario che per le singole regioni a statuto speciale. Infatti, rimanendo nel testo della L. R. (Sicilia) 17 agosto 2010, n.18, in esso si afferma che essa abbia la finalità di garantire il diritto di disposizione delle spoglie mortali (nel rispetto dei principi fissati nella normativa statale), il ché attiene ad aspetti propri del c.d. "ordinamento civile" (come è il qualificare la sussistenza di in diritto individuale di disposizione delle proprie spoglie mortali), che non trova riscontro né nelle materie rientranti nella potestà legislativa della regione, né in quelle che l'art. 17 Statuto individua come possibili materie di potestà legislativa regionale. Per altro, questo tratto - abbastanza comune in pressoché tutte le leggi regionali sin qui emanate in materia - trova alibi nell'assunto secondo cui la materia atterrebbe all'ambito dell'igiene e sanità pubblica, il ché è vero solo in parte del tutto marginale (a titolo meramente esemplificativo, potrebbe farsi riferimento, con riguardo alla L. 30 marzo 2001, n. 130, all'art. 3, comma 1, lett. c), ma limitatamente in relazione alla definizione dei "luoghi" in cui è ammessa/vietata la dispersione delle ceneri, nonché alla successiva lett. f)), mentre i diversi aspetti che riguardano la cremazione e la destinazione delle ceneri non presentano minimamente alcuna componente riconducibile alla materia dell'igiene e sanità pubblica, in particolare, sempre facendo riferimento all'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130) relativamente all'aspetto autorizzativo, alla volontà del defunto o dei famigliari (e loro forme e modi di espressione e di prova), alla volontà del defunto alla dispersione delle ceneri, alla titolarità soggettiva a provvedere alla dispersione delle ceneri, al rispetto della volontà del defunto in ordine alla destinazione delle ceneri, cioè alle possibilità di tumulare l'urna cineraria, di interrarla (?), di affidarla ai familiari e relative modalità fino a giungere alla previsione (lett. i) sulla esigenza/necessità di predisposizione di sale attigue ai crematori per consentire il rispetto dei riti di commemorazione del defunto e un dignitoso commiato (che diventa un obbligo, in termini di requisiti tecnico-strutturali, per gli impianti di cremazione). Ma tale assunto, equivoco, ha anche altra origine che travalica lo scarso approfondimento (nel corso dei lavori che hanno portato all'approvazione della legge regionale, come risulta dai loro resoconti, vi è stato chi ha usato l'espressione di "inceneritori umani" per riferirsi agli impianti di cremazione ….) a volte presente (fenomeno che interessa un po' tutte le regioni, in particolare quando operino professionalità sanitarie portate a privilegiare alcuni aspetti e non altri) e deriva dal fatto che la L. 30 marzo 2001, n. 130, in funzione di superare possibili ostacoli in sede parlamentare, ha fatto ricorso al rinvio a successive modifiche di norme di rango secondario, che avrebbero dovuto aversi intervenendo su norma regolamentare che, nel passato, aveva avuto origini in contesti di ambito sanitario, anche se tale norme regolamentare (il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) presenti ben poche e scarne norme che hanno effettivamente attinenza con l'ambito della sanità e dell'igiene pubblica, prevalendo norme che attengono a tutt'altri contesti di materia. Si tratta di un aspetto che appare essere una sorta di tratto comune di molte, se non tutte, le norme regionali sin qui emanate in materia.
L'art. 1, comma 2 presenta una previsione che affida alla regione la promozione di un'adeguata formazione del personale addetto ai crematori, aspetto di rilievo e pressoché assente (salva l'eccezione dell'art. 10 L. R. (Piemonte) 31 ottobre 2007, n. 20 che l'estende anche alla figura dei cerimonieri), figura che emerge, inopinata, all'art. 5, comma 5 legge regionale, che è del tutto apprezzabile sotto il profilo degli obiettivi, ma risulta probabilmente sproporzionata, se si consideri il numero degli impianti di cremazione (ed il relativo fabbisogno di personale) presenti nella regione, tanto nella situazione attuale, quanto in una prospettiva futura di realizzazione di altri impianti, alla luce della percentuale di accesso alla cremazione nella regione (negli anni 2007, 2008 e 2009, si sono avute, rispettivamente, 146, 115 e 187 cremazioni nell'unico impianto presente nella regione; considerando il solo 2009, avendo registrato il maggior numero di cremazioni nel triennio, si tratta di un rapporto cremazioni/decessi dello 0,0037755, essendo stati i decessi 49.529 (da confrontare con la media nazionale dello 0,1215)), che non è, come noto, influenzata unicamente dalla presenza, in termini di prossimità, di impianti di cremazione.

Qualche criticità può individuarsi in relazione all'art. 2, comma 1, per il fatto che esso faccia rinvio alle disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (prevedendone successive modifiche che ben difficilmente potrebbero intervenire, dopo la L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), anziché a quelle della L. 30 marzo 2001, n. 130: la cosa non è senza effetti. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, come l'art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 preveda, in difetto di disposizione testamentaria (o di previa adesione ad una SO.CREM., del coniuge ed in caso di pluralità dei parenti nel grado più prossimo la manifestazione di volontà alla cremazione debba essere espressa a tutti tali parenti, mentre l'art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) attenua in parte questa previsione considerando la maggioranza assoluta di essi. Dal ché consegue che, in Sicilia, questa parte dell'art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130, non possa essere applicabile (non si considera l'ipotesi di future eccezioni d'illegittimità costituzionale, tenendo conto di come finora alcuna delle leggi regionali emanate in materia se sia stata interessata, né per iniziativa governativa (art. 127 Cost.), né, finora, nell'ordinaria sede giurisdizionale). Tuttavia, se il rinvio alle disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n,. 285, in luogo di pari rinvio alle disposizioni della L. 30 marzo 2001, n. 130 potrebbe essere valutato (a certe condizioni) una scelta legislativa, l'ipotesi di scelta non appare molto argomentabile, quando si consideri come questo rinvio riguardi anche l'aspetto della conservazione delle ceneri all'interno cimiteri, in quanto il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, ammette unicamente la tumulazione dell'urna cineraria oppure la dispersione (così esplicitamente definita) nel cinerario comune, a mente del suo art. 80, comma 6, ipotesi che sono contraddette dal successivo comma 3 del medesimo art. 2, in cui si individua una pluralità di forme concernenti la c.d. "destinazione" delle ceneri debitamente raccolte nell'urna. Infatti questa, oltre che tumulata, può essere inumata, conservata in appositi luoghi nei cimiteri (e, trattandosi di conservazione dell'urna cineraria, non può sfuggire come si tratti, nei fatti, ancora di una tumulazione …), fino ad essere consegnata ad un affidatario, il quale - per altro - deve essere stato indicato, in vita, dal defunto, inducendo ad una previsione per la quale la scelta dell'affido dell'urna costituisce una prerogativa che spetta in via esclusiva al defunto, ovviamente da operare in vita. In tal modo, l'istituto dell'affidamento ai familiari viene sottratto ad ogni possibilità di richiesta da parte dei familiari stessi, qualora vogliano avvalersene. Ciò solleva, oltretutto, anche altra questione, cioè quella, nell'ipotesi in cui il defunto abbia scelto, in vita, l'affido dell'urna contenente le proprie ceneri, indicando il familiare affidatario, che attiene alla "forza" che tale scelta ed individuazione della persona del familiare affidatario possa avere. Infatti, non può escludersi, quanto meno dal punto di vista accademico, che il familiare indicato come affidatario non intenda, o non possa (il successivo comma 4 richiama all'art. 343 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif.), adempiere a quest'indicazione quale affidatario. Probabilmente, il vincolo che può sorgere da un tale atto di scelta e di indicazione del familiare affidatario sussiste nell'ambito degli affetti, ma deve essere considerato del tutto debole, se non del tutto assente, in termini di obblighi giuridici, dato che non è ammissibile possa aversi che la scelta e l'indicazione fatta, in vita, del defunto produca l'effetto di determinare obblighi, giuridici, in capo ad un soggetto diverso, pur se familiare. Sempre attorno alla destinazione dell'urna cineraria, merita di essere fatto un cenno alla previsione della sua inumazione (art. 2, comma 3, lett. b), rispetto a cui tale forma di destinazione è consentita alla condizione che sia impiegata urna costituita da materiale biodegradabile: si tratta di una previsione presente anche in altre leggi regionali (art. 3, comma 1, lett. b) L. R. (Campania) 9 ottobre 2006, n. 20 ed art. 4, comma 2, lett. b) L. R. (Basilicata) 28 aprile 2009, n. 14). Tale previsione presenta alcuni fattori che meritano di essere considerati. A) l'inumazione di ché trattasi richiede che sussistano, prima di richiederla, concessioni di aree a sistema d'inumazione, dotate di proprio adeguato ossario (?) (art. 90, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, concessioni già sorte, con regolare atto di concessione, nel rispetto dell'immediatamente successivo art. 91), poiché non può farsi ricorso alle fosse d'inumazione considerate dall'art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, in quanto destinate queste ad accogliere in via esclusiva feretri; B) anche in presenza di concessioni di aree per l'impianto di campi ad inumazione, in ogni caso l'inumazione dell'urna non può avvenire utilizzando una fossa in cui sia stato accolto un feretro, stante il divieto di cui all'art. 74 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285; C) questa forma di conservazione non è una conservazione, per il vincolo dell'uso di urne composte in materiale biodegradabile, ma una peculiare forma di dispersione delle ceneri. Infatti, proprio il vincolo dell'impiego di urne costituite in materiale biodegradabile, fa sì che, alla scadenza della concessione dell'area, non sia rinvenibile alcunché, essendosi (se effettivamente in materiale biodegradabile) l'urna alterata e le ceneri disperse nel terreno. Quest'ultima considerazione induce a considerare la necessità, forse anche imprescindibile, che ai familiari che scelgano questa modalità di destinazione dell'urna sia data, fin dal momento iniziale, precisa informazione sul fatto che essa costituisce una peculiare forma di dispersione, in quanto, qualora questi avessero il convincimento di una funzione conservatrice dell'inumazione, alla scadenza della concessione, potrebbero dolersi di ritenuti comportamenti indebiti, magari anche richiedendo indennizzo per ritenute "male pratiche" da parte del comune, titolare della demanialità del cimitero. Certo, sarebbe stato preferibile che, già in sede di testo legislativo, fosse stato esplicitato come questa modalità di destinazione delle ceneri abbia natura di una forma particolare di dispersione e non certamente di conservazione dell'urna cineraria. Per altro, tale precisione sembra non avere neppure preso in considerazione un altro aspetto, quello sul "carico" di ceneri così disperdibili per metro quadrato, sottovalutandosi come la dispersione sul (e, nel caso, "nel") terreno di ceneri produca effetti di alterazione della struttura del terreno stesso. Si tratta di aspetti su cui non vi sono molti studi in Italia, mentre all'estero vi sono stati alcuni, per la verità non numerosissimi, studi sul "carico" per metro quadrato delle ceneri oggetto di dispersione. Si tratta di aspetti di ordine evidentemente ambientale che non avrebbero dovuto essere sottovalutati, spese se si consideri come il vincolo dell'impiego dio urne cinerarie costituite in materiale biodegradabile sembrerebbe avere motivazioni proprio dotto il profilo ambientale. Ovviamente, le precedenti considerazioni non attengono solo a questa disposizione della legge regionale, ma co-interessano le analoghe disposizioni delle due leggi regionali sopra richiamate, aventi analogo contenuto.
Il rinvio all'art. 343 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 e succ. modif. fatto dal comma 4, consente di ricordare come esso consideri come "le urne cinerarie contenenti i residui della completa cremazione possono essere collocate nei cimiteri o in cappelle o tempii appartenenti a enti morali o in colombari privati che abbiano destinazione stabile e siano garantiti contro ogni profanazione". Trascurando la collocazione nei cimiteri o in tempi appartenenti ad enti morali (oltretutto anche questi comunque all'interno dei cimiteri, in aree avute in concessione, non potendosi avere tali istituti al di fuori dei cimiteri, in quanto le cappelle gentilizie (art. 104 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) possono sussistere unicamente in capo a famiglie ed in nessun caso, in capo ad enti), il riferimento ai colombari privati merita qualche approfondimento. Infatti, questi colombari, quali "luoghi di conservazione" delle urne cinerarie al di fuori dei cimiteri, devono presentare caratteristiche consistenti nella a) destinazione stabile a questa finalità, b) presentare caratteristiche tecnico-costruttive idonee ad assicurare la garanzia contro ogni profanazione (come potrebbe aversi in caso di, eventuale quanto accidentale (ovviamente, per quanto umanamente possibile dovrebbe considerarsi anche la profanazione intenzionale, aspetto per altro non sempre assicurabile in assoluto, richiedendosi almeno condizioni di ordinaria diligenza), sversamento ecc.). Dal ché deriva che la consegna dell'urna richieda il previo accertamento della disponibilità di un tale colombaro privato (senza neppure entrare nel merito delle procedure di predisposizione, e relativi titoli, quando realizzando fuori dai cimiteri; rileva solo che prima dell'affidamento e della consegna dell'urna cineraria sia comprovata, tendenzialmente in termini documentali, la sua disponibilità effettiva, nonché la sussistenza delle caratteristiche prescritte), ma ciò va correlato, logicamente, con il fatto che, in ogni caso, deve esservi stata una scelta del defunto, effettuata in vita, nonché l'indicazione del familiare affidatario. Si tratta di aspetti che sono necessariamente tra loro correlati e che costituiscono, o possono costituire in prospettiva, dei limiti al ricorso all'istituto dell'affidamento delle urne a familiari.
Il comma 7 dell'art. 2 riproduce sostanzialmente l'art. 80, comma 6 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, per cui potrebbe risultare inutiliter datum: anche se l'obbligo, in capo ai comuni, di disporre del cinerario comune in ciascun singolo cimitero sussiste, almeno dal punto di vista formale, cioè della disposizione normativa, sussiste fin dal 27 ottobre 1990, con esso tale obbligo (per tutti i comuni e, al loro interno, per ciascun cimitero) viene a sorgere, in regione Sicilia, non più sulla base di norma di rango secondario, ma di norma di rango primario. Va osservato, per altro, come nella pratica non sempre tale disposizione risulti essere stata oggetto di applicazione, e non per inadempienza alla norma, quanto, spesso, per motivazioni di ordine materiale, cioè per la dimensione della "domanda" di fruizione del cinerario comune. Certamente, potrebbero avere avuto rilievo anche altri fattori, come (es.) i possibili costi di realizzazione, che tendenzialmente si ritiene possano costituire un fattore del tutto secondario, potendosi realizzare il cinerario comune anche senza particolari, o rilevanti, oneri, tenendosi piuttosto maggiormente probabile che l'abbastanza rarefatta presenza dei cinerari comuni possa essere maggiormente essere stata dovuta all'aspetto precedentemente indicato, relativamente alla scarsa "domanda". Comunque, sia, qualora fosse richiesta tale forma di dispersione, il comune non potrebbe sottrarsi da provvedere alla realizzazione e nei tempi necessari per consentire l'accoglimento della richiesta, in conseguenza diretta ed immediata all'accoglimento dell'urna nel cimitero. Per altro, il cinerario comune non è oggetto di utilizzo unicamente in caso di richiesta da parte dei familiari, ma, altresì, ogni qual volta i familiari del defunto non abbiano provveduto ad altra destinazione per le ceneri. Non si entra nel merito delle modalità di realizzazione del cinerario comune, anche se l'indicazione della costruzione in lamiera sembra poter sollevare alcune perplessità, in termini di limitazione (oltre che sommarietà terminologica) delle possibili soluzioni tecnico-costruttive.

L'art. 3 è dedicato alla dispersione delle ceneri, pur prevedendo, nella rubrica, l'istituto dell'affidamento (segno residuale della previsione elaborata in Commissione ed emendata in Assemblea regionale), di cui si fa cenno all'ultimo comma, prevedendo che quando non vi sia affidamento, consegua, per default (in qualche modo contraddicendo la previsione dell'art. 2, comma 7), il conferimento nel cinerario comune. Con questa previsione, si formulano alcune soluzioni alle problematiche già evidenziate che possono derivare dall'istituto dell'affidamento a familiare delle urne, istituto che opera esclusivamente per scelta effettuata, in vita, dal defunto, incluso quanto riguarda l'indicazione del familiare affidatario. In altre parole quando, per qualsiasi motivo, questa scelta e quest'indicazione non siano osservate, si determina l'effetto "automatico", per così dire, della dispersione delle ceneri nel cinerario comune, che, a certe condizioni, potrebbe essere stata proprio quanto il defunto, nell'operare la scelta dell'affidamento, intendeva evitare, e, in ogni caso, determinando una contraddizione (violazione?) della finalità della legge regionale, esplicitata all'art. 1, comma 1, come quella di garantire il diritto di ciascuno di disporre delle proprie spoglie mortali, dato che una destinazione "automatica" contraddice l'affermazione sulla sussistenza di un tale "diritto".

L'art. 4, affermando di voler attuare l'art. 6, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130 (il cui termine di adempimento era di 6 mesi, cioè andava, a rigore, osservato entro il 3 novembre 2001), individua un ulteriore termine (sempre di 6 mesi, dall'entrata in vigore della legge regionale, destinata (art. 10) ad entrare in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U.R.S.) per l'approvazione di un Piano regionale di coordinamento per la realizzazione, da parte dei comuni, dei crematori, in relazione a bacini di utenza, con proprie norme di attuazione. Se si considerano i dati del ricorso alla cremazione nella regione Sicilia, probabilmente un piano poteva anche essere definito nei termini temporali individuati dalla L. 30 marzo 2001, n. 130, dato che , probabilmente, anche solo la realizzazione di un altro impianto di cremazione non risponderebbe a criteri di economicità, salvo, forse, non tenere presenti gli aspetti connessi alle distanze geografiche, il ché, per altro, contraddirebbe con l'obiettivo dell'art. 4, comma 2 di assicurare servizi rapidi ed economici alla popolazione e disciplina la creazione di cinerari comuni e di strutture per il commiato, dato che una prossimità geografica andrebbe a scapito dei costi unitari di ciascuna cremazione (costi per il comune gestore, dato che per gli utilizzatori le tariffe non possono eccedere quelle massime determinate in applicazione dell'art. 5 L. 30 marzo 2001, n. 130. Certamente, la regione Sicilia, esercitando la potestà legislativa propria per effetto dell'art. 14 Statuto, potrebbe, con atto legislativo, determinare autonomamente, discostandosene, tariffe per la cremazione che assicurino, oltre che la la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare la integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico-finanziario e l'equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito, anche di tenere conto dell'entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio, nonché un'adeguata della remunerazione del capitale investito, che risulti coerente con le prevalenti condizioni di mercato, ipotesi che appare ben poco realistica in relazione all'impianto dell'art. 4, comma 2, dati che esse, in termini unitari, risulterebbero ben diverse e, proprio per la dimensione regionale della "domanda", attuale e prevedibile nel medio-lungo periodo, risultando largamente superiori. Per altro, proprio nell'art. 4, comma 2 si evidenzia una contraddizione, laddove prevede una disciplina per la realizzazione dei cinerari comuni, quando in precedenza (art. 2, comma 7) ne è già stata definita l'obbligatorietà per ciascun singolo cimitero e (art.2, comma 8) definite alcune caratteristiche tecnico-costruttive. Nell'art. 4, comma 3, ultimo periodo, è presente l'esclusione dal ricorso ad impianti mobili di cremazione, previsione probabilmente mutuata dall'art. 4, comma 4 L. R. (Emilia-Romagna) 29 luglio 2004, n. 19 e succ. modif., nonché dall'art. 4, comma 4 L. R. (Puglia) 15 dicembre 2008, n. 34 e succ. modif., esclusione che forse non è stata, in queste disposizioni, approfondita più di tanto. I commi 5 e 6 della legge regionale prevedono interventi finanziari da parte della regione Sicilia per favorire la realizzazione di crematori e cinerari comuni (per altro obbligatori, dall'entrata in vigore della legge in ogni cimitero, ove non si voglia considerare come tale obbligo sussiste fin dal 27 ottobre 1990 …), che trova riscontro nella norma finanziaria del successivo art. 9, la quale considera solo la realizzazione degli impianti di cremazione, ma non la realizzazione dei cinerari comuni, che o verranno finanziati con altre fonti o rimarranno non finanziati, al momento. Finanziamenti sono previsti, con medesime considerazioni in relazione al successivo art. 9, per la realizzazione di c. d. "giardini della memoria" negli ambiti cimiteriali, per le quali sono previste particolari cure e modalità, anche colturali, con una formulazione che appare non del tutto approfondita.

L'art. 5 riprende, anch'esso, da altre leggi regionali (Toscana, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, ) il concetto del c.d. "senso comunitario della morte", estendendolo agli spazi per il commiato. A parte la constatazione di come parlare di senso comunitario della morte contraddica le impostazioni che vedono la sussistenza di diritti individuali, od individualistici (a volte, anche esasperatamente tali, come è nel caso della dispersione delle ceneri o dell'affidamento delle urne ai famigliari, specie nella impostazione adottata in questa stessa legge regionale), si evidenzia come sia imposto ai comuni (a ciascun comune, oppure anche in ciascun singolo cimitero nel comune ?) l'obbligo che, all'interno dei c.d. "giardini della memoria" (che, in questo modo diventano, implicitamente, un obbligo alla cui realizzazione tutti i comuni (se non in tutti i cimiteri, come sembrerebbe) sono tenuti a provvedere), sia reso disponibile un "archivio informatico" recante la biografia del defunto, oltretutto collocato in adiacenza al cinerario comune (con ché, implicitamente, deriva anche che i c.d. "giardini della memoria" siano essi stessi adiacenti al cinerario comune, con una palese limitazione della progettualità dei comuni, in sede di definizione, od aggiornamento, dei propri P.R.C. (piani regolatori cimiteriali). Ma potrebbe anche vedersi una doppia vincolatività dal punto di vista delle allocazioni, in quanto tale "archivio informatico" è "in seno" al "giardino della memoria e, altrettanto, "adiacente" al cinerario comune.). Se l'istituto del c.d. "senso comunitario della morte" è presente anche in alcune altre leggi regionali, generalmente prevedendo targhe o indicazioni dei dati anagrafici defunti e comunque relativamente a quanto abbiano fatto ricorso alla dispersione delle ceneri o all'affidamento a familiari dell'urna cineraria, qui tale "archivio informatico" si estende a tutti i defunti, quale ne sia la pratica funeraria a cui abbiano fatto ricorso, e i dati anagrafici sono dilatati alla biografia di ciascuno di essi, prevedendosi l''inserimento di cenni biografici e di immagini, secondo la normativa predisposta dall'amministrazione comunale, inserzioni che sono autorizzate, previo esame ed approvazione da parte di una apposita commissione, con procedure analoghe a quelle attinenti i tradizionali epigrammi e le strutture sepolcrali. In pratica, sembrerebbe enuclearsi una sorte di "cimitero virtuale", di cui non mancano sperimentazioni proposte da soft-ware houses, con vari ordini di qualità. Da un lato dovrebbe considerarsi la facoltatività, per i familiari, per l'utilizzo di questo archivio informatico, dall'altro si osserva come le procedure d'inserimento appaiano fortemente strutturate, probabilmente superando elementari criteri di proporzionalità e, infine, l'incoerenza tra una concezione, almeno tendenziale, verso un c.d. "cimitero virtuale" con il fatto che tale "archivio informatico" è vincolato nella sua localizzazione al fatto di essere "in seno" ai "giardini della memoria" e all'"adiacenza" al cinerario comune. Un'effettiva virtualità supererebbe queste logiche di localizzazione. Va altresì tenuto presente come, ai fini della sua messa a disposizione degli utenti, divenga necessario disporre del relativo hard-ware, cosa che potrebbe richiedere posa di cavi per le relative connessioni (anche se non possono escludersi connessione wire-less) e quanto altro necessario (compreso quanto necessario in termini di protezione dagli agenti atmosferici (tralasciando la possibile esposizione ad atti vandalici, non escludibile a priori)), quando, realisticamente, spesso gli uffici dei cimiteri (almeno, nei cimiteri dotati di un ufficio) siano frequentemente ancora sprovvisti di apparecchiature informatiche per la gestione degli eventi e delle operazioni cimiteriali e loro registrazioni.
I commi 3, 4, 5 e 6 considerano gli spazi del commiato, prevedendoli (quanto meno) per ogni nuovo crematorio, ma anche, come linea di tendenza, in forma maggiormente diffusa sul territorio regionale, con la loro realizzazione da parte dei comuni che vi possono provvedere anche ricorrendo a forme associative. Il ché potrebbe lasciare prevedere scenari che vedano una diffusione di fenomeni di trasporti di feretri, decorso il periodo di osservazione e debitamente seguita la chiusura degli stessi, dal luogo di decesso al luogo sede dello "spazio del commiato" (specie quando realizzato attraverso forme associative) e successivo trasferimento dei feretri nel cimitero in cui debbano essere ricevuti. Per altro, va segnalata l'importanza del comma 5, per il quale la realizzazione degli "spazi per il commiato" comporti (si noti il termine utilizzato) il servizio di un cerimoniere, oltretutto adeguatamente formato (il ché, in parte, riporta a richiamare quanto già osservato in precedenza in relazione all'art. 1, comma 2, con la differenza che la formazione dei cerimonieri esula dalle funzioni di promozione attribuite, dalla legge regionale, alla regione stessa … solo che i requisiti formativi e i piani di formazione obbligatori per il personale dei crematori e per i cerimonieri degli spazi per il commiato sono individuati, contraddittoriamente, all'interno del contesto dei provvedimenti regionali considerati al successivo art. 8.

L'art. 6 riguarda l'informazione ai cittadini, norma anche questa spesso presente in leggi regionali di altre regioni in materia di cremazione ed istituti connessi, rispetto a cui si deve, riprendendo considerazioni già fatte con riferimento ad altre leggi regionali, constatare come si sia in presenza di una inutile duplicazione di un obbligo già sussistente per effetto dell'art. 7 L. 30 marzo 2001, n. 130, e sussistente dalla sua entrata in vigore, avvenuta il 3 maggio 2001. Per altro, se nella norma statale sopra citata (e non abrogata), tali obblighi d'informazione riguardavano i medici che constatavano il decesso, nonché i comuni, la regione Sicilia aggiunge rispetto a questi obblighi, non modificati, aggiunge la previsione di assumersi il compito di promuovere campagna informative, oltretutto coerentemente oggetto di finanziamento da parte della norma finanziaria di cui al successivo art. 9, volte a diffondere la conoscenza delle diverse pratiche funerarie e, dichiaratamente, per favorire la cremazione.

L'art. 7 costituisce mera riproposizione della previsione dell'art. 5, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130, nonché delle altre disposizioni che da questa discendono.

Con l'art. 8 si attribuisce alla Giunta regionale la definizione di alcuni aspetti, con provvedimenti da emanare entro il termine di 6 mesi dall'entrata in vigore della legge regionale, cioè entro lo stesso termine per l'adozione del Piano regionale di coordinamento di cui al precedente art. 4.
L'oggetto di tali provvedimenti regionali concerne
a) le modalità e i casi in cui deve essere effettuata la rimozione di protesi, anche elettro-alimentate, su cadaveri destinati a cremazione;
b) le modalità di tenuta dei registri cimiteriali comunali;
c) i requisiti formativi e i piani di formazione obbligatori per il personale dei crematori e per i cerimonieri degli spazi per il commiato;
d) i livelli informativi minimi che le strutture sanitarie regionali, i comuni, le associazioni e gli operatori privati che operano nel settore funerario devono assicurare ai cittadini riguardo ai costi medi delle diverse forme di funerale, di sepoltura e di destinazione delle ceneri.
Probabilmente rispetto alla questione della rimozione delle protesi, come specificate, potrebbe essere stato sufficiente prevederne, anche non norma di rango regolamentare, la rimozione, dato che le modalità della stessa attengono ad aspetti di operatività. Invece, per le modalità di tenuta dei registri cimiteriali, pur dovendosi apprezzare la tendenza ad elementi di uniformità, si rileva che si tratta di aspetti che rientrano nell'ambito dell'autonomia dei comuni, tenendo conto anche dell'art. 15, comma 2 Statuto regionale, nonché delle L. R. (Sicilia) 15 marzio 1963, n. 16, 6 marzo 1986, n. 9, 11 dicembre 1991, n. 48, 23 dicembre 2000, n. 30.
Un cenno meritano i provvedimenti considerati alla lett. d), in quanto si tratta di definire il livello minimo, quanto meno, per l'attuazione sia dell'art. 7 L. 30 marzo 2001, n. 130, sia dell'art. 6 della legge regionale qui a riferimento. Per altro, non si può osservare come la definizione dei "costi medi" delle diverse forme di funerale, di sepoltura e di destinazione delle ceneri non sia agevolmente conoscibile, in quanto alcune componenti sono sempre e comunque conoscibili (come è il caso delle tariffe stabilite per i servizi pubblici, per la cremazione, per le concessioni cimiteriali e simili), ma non sono altrettanto conoscibili per quanto riguarda i prezzi praticati da soggetti di diritto privato per quanto riguardi le prestazioni, forniture e servizi che si svolgono in termini di mercato, come è il caso dei costi di fornitura dei feretri, delle casse in zinco (quando necessarie, delle altre componenti, anche decorative, dei feretri, i trasporti funebri, i noleggi per gli allestimenti delle c.d. camere ardenti, i necrologi, le forniture floreali, le partecipazioni di lutto e tutte le altre forniture, prestazioni, anche di personale, e servizi, inclusi i corrispettivi per i servizi prestati dagli operatori privati. La previsione potrebbe essere realistica se limitata alle tariffe per prestazioni di servizio pubblico per concessioni ed operazioni cimiteriali, per prestazioni proprie delle ASL, ecc., ma non per i "costi", seppure "medi", del complesso delle varie componenti cui la famiglia è chiamata a far fronte in occasione dell'evento luttuoso. Per non considerare come alcuni costi intervengano in momenti ben lontani da quello del lutto (esempio, tipicamente, gli oneri per l'estumulazione e la successiva inumazione (o, cremazione) dovuti alla scadenza della concessione di sepolcri a tumulazione, quando sia stata, a suo tempo, richiesta tale pratica funeraria).