ALLEGATO 3
Considerazioni

La legge regionale si propone l'obiettivo di disciplinare la materia nell'ambito dei principi della legge statale e secondo le modalità di questa, non senza il richiamo al rispetto dei principi costituzionali.
Va osservato come, nel testo vigente della legge statale, i principi siano definiti in termini d'indirizzo per modifiche a norme di rango secondario (regolamento), anche se, nel corso dei lavori sul P.d.L. AC 1268, in stato di relazione all'aula della Camera dei deputati, si è pervenuti ad un articolato che, tenendo conto delle modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, modificherebbe il testo della legge statale, individuando separatamente i principi fondamentali cui debba riferirsi la legislazione regionale e le norme di residua competenza legislativa statale.
In materia di destinazione (conservazione, affidamento, dispersione) delle ceneri viene conservato l'elemento di individualità delle ceneri (escludendone la divisibilità).
Si afferma anche il criterio della individuabilità (art. 2, comma 3), aderendo all'impostazione che, indipendentemente dalla scelta della pratica funeraria, il defunto rimanga un "soggetto individuale" e, oltretutto, inserito in un contesto sociale, come si ricava dalle disposizioni di cui all'art. 7 sul senso comunitario della morte, che si estendono anche all'ipotesi della conservazione dell'urna mediante affidamento ai familiari.
Del resto, non sembra un caso come la dispersione delle ceneri sia allocata in ultimo ordine tra le differenti forme ammesse di destinazione delle ceneri.
La cremazione, così come la conservazione delle ceneri, è espressamente rinviata alla regolazione presente nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, in questo modo la competenza al rilascio dell'autorizzazione alla cremazione rimane in capo all'autorità competente sulla base di queste disposizioni e, in buona sostanza, delle figure che assolvono alle funzioni di cui all'art. 107, comma 3, lett. f) D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. (pur se il testo letterale dell'art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 richiami la figura del sindaco, tale attribuzione di competenza era cessata fin dall'entrata in vigore della L. 8 giugno 1990, n. 142, oggi D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).
Un altro effetto che tale rinvio produce è che nulla muti rispetto al procedimento di autorizzazione della cremazione e pertanto, in assenza di volontà espressa dal defunto, vale quella espressa dal coniuge o scaturente dall'unanime consenso dei parenti più prossimi in ordine di grado (essendo l'istituto dell'opzione a maggioranza previsto unicamente per l'affidamento o la dispersione delle ceneri, fasi che si collocano a valle rispetto all'autorizzazione alla cremazione).
È ammessa l'inumazione delle urne cinerarie, ma unicamente nelle aree avute in concessione (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), con ciò escludendosi l'ipotesi della conservazione nelle sepolture ad inumazione in campo comune, secondo il principio dell'individualità della sepoltura (art. 74 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
In tale ipotesi, l'urna deve essere costituita da materiali non deperibili, con ciò avendo colto (a differenza di altre legislazioni (es.: art. 3, comma 1, lett. b) L.R. (Campania) 9 ottobre 2006, n. 20) che se il materiale costitutivo dell'urna presentasse caratteristiche di biodegradabilità, non si sarebbe propriamente in presenza di una conservazione dell'urna, quanto di una forma peculiare di dispersione delle ceneri.
La scelta dell'inumazione in aree oggetto di concessioni cimiteriali determina, altresì, l'effetto che tale modalità di conservazione dell'urna venga ad avere la durata della concessione in cui è eseguita, sempre che non venga traslata prima ad altra sepoltura.
I commi da 5 a 10 dell'articolo 2 affrontano alcuni aspetti riguardo alla attuazione pratica degli affidamenti o delle autorizzazioni alla cremazione.
Non vi erano dubbi interpretativi qualora tanto la cremazione, quanto l'affidamento o la dispersione, fossero stati disposti dal defunto mediante testamento o dichiarazione depositata presso una Società per la cremazione.
Le questioni sorgevano invece in assenza di qualsiasi manifestazione scritta da parte del defunto riguardo all'affidamento o alla dispersione delle proprie ceneri, caso nel quale spetta al coniuge o alla maggioranza dei parenti, nel grado più prossimo, pronunciarsi mediante una dichiarazione, resa all'ufficiale di stato civile, che:
1. in caso venga dichiarato che il defunto aveva scelto l'affidamento senza aver indicato in vita l'affidatario, individui (in assenza del coniuge) chi prenderà in consegna le ceneri oppure,
2. in caso venga dichiarato che il defunto aveva scelto la dispersione senza aver indicato in vita l'incaricato e le modalità, individui (in assenza del coniuge) chi materialmente effettuerà l'operazione e con quali modalità.
In entrambi questi casi la persona individuata è soggetta ad alcuni obblighi, come meglio in seguito.
Per la volontà dei parenti, nel grado più prossimo, l'adozione del criterio della maggioranza rispetto a quello dell'unanimità potrebbe presentare alcuni punti problematici in caso di disaccordo.
Vi è però da riconoscere che, essendo l'unanime volontà dei parenti necessaria alla richiesta di cremazione in caso di assenza di volontà espressa dal defunto, l'eventualità di un disaccordo penalizzante per la minoranza rimane limitata solamente ai casi in cui il defunto pur lasciando una volontà scritta di essere cremato non abbia individuato la destinazione delle proprie ceneri.
Tuttavia, si individua, rispetto alle procedure di autorizzazione dell'affidamento ai familiari dell'urna, la contraddittorietà con il mero rinvio, in materia di autorizzazione alla cremazione, alle disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, dal momento che:
l'eventuale dichiarazione del coniuge, o in suo difetto, dei parenti nel grado più prossimo, non è attribuita alla competenza dell'autorità comune competente, in via generale (così come anche nel caso specifico dell'art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), al rilascio di "autorizzazioni", cioè quella individuata dall'art. 107, comma 3, lett. f) D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., bensì alla competenza dell'Ufficiale dello stato civile, cioè a figura agente in servizi diversi da quelli dell'art. 13 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. (rispetto a cui andrebbe sollevata, come per altre legislazioni regionali, la questione sulla competenza della legislazione regionale ad intervenire in ambiti rientranti nella competenza legislativa, esclusiva, di altro livello di governo, in relazione all'art. 117, comma 2, lett. i) Cost.).
Pur prescindendo da queste ultime considerazioni, l'attribuzione di distinte competenze a distinti organi e figure potrà far sorgere, in sede attuativa, fattori di criticità e difformità comportamentali.
Le autorizzazioni all'affidamento ai familiari dell'urna o alla dispersione delle ceneri sono comunicate, dall'autorità che le ha rilasciate, al Comune (nella figura del Sindaco, rispetto a cui non è dato cogliere se sia individuato quale Autorità sanitaria locale o, semplicemente, per analogia alle formulazione testuale presente nel D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), in cui deve aversi la conservazione dell'urna conseguente all'affidamento o eseguirsi la dispersione.
La previsione dell'art. 3, comma 2 richiama la previsione già presente nell'art. 343, comma 2 del T.U.LL.SS., che, per inciso, ha costituito una delle motivazioni, giuridiche, su cui è stato fondato il parere del Consiglio di Stato, sez. 1^, n. 2957/03 del 29 ottobre 2003 sulla base del quale il Presidente della Repubblica ha deciso su di un ricorso straordinario fattogli in materia con il D.P.R. 24 febbraio 2004.
La disponibilità di un "colombaro privato" è pertanto la condizione per l'affidamento dell'urna cineraria, fermo restando che l'autorizzazione all'affidamento non costituisce, in sé, autorizzazione alla realizzazione di quest'ultimo, realizzazione soggetta ad altra e diversa normativa.
In sede di richiesta dell'autorizzazione all'affidamento, dovrebbero essere documentalmente provate le condizioni che consentano di individuare che le modalità di conservazione dell'urna siano tali da consentirne una destinazione stabile e da offrire garanzie contro ogni profanazione.
Per altro, l'art. 3, comma 3 porta a considerare come questo aspetto venga, di fatto, a collocarsi in una fase successiva, essendo prevista una specifica comunicazione in proposito al Comune in cui la conservazione deve avvenire, il ché, se consente di formulare la valutazione per la quale le condizioni, e modalità di conservazione, non siano fattori prodromici al rilascio dell'autorizzazione all'affidamento ai familiari dell'urna cineraria, porta a sollevare l'analoga, sostanzialmente, questione sul versante del Comune in cui debba avvenire la conservazione dell'urna cineraria, sollevando possibili criticità nel caso in cui o tale comunicazione non avvenga o si rilevi che non sussistano le condizioni affinché le modalità di conservazione dell'urna cineraria non rispondano a quanto previsto dall'art. 343 del T.U.LL.SS.
In tali evenienze, l'autorità comunale del Comune di prevista conservazione dovrebbe intervenire affinché l'urna sia conservata nelle strutture cimiteriali (estensivamente ed analogicamente, facendo riferimento all'art. 3, comma 5) e, comunque, ciò comporta cha al Comune competa una potestà di regolazione anche delle modalità di conservazione delle urne cinerarie presso il domicilio dell'affidatario, tendenzialmente in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria.
Nel caso di rinuncia all'affidamento familiare consegue la conservazione dell'urna nel cimitero comunale, ipotesi per cui è prevista una comunicazione al Comune di residenza del defunto, la cui "ratio" rimane oscura, dal momento che sarebbe stata meglio comprensibile una comunicazione a familiari, se reperibili, anche se questo aspetto può essere previsto in sede di normativa comunale individuando le condizioni per una presa d'atto della situazione venutasi a creare e di una eventuale "nuova" dichiarazione concernente l'affidamento ai familiari dell'urna cineraria, se vi sia interesse da parte dei familiari medesimi.
In altri termini infatti, non si individuerebbe la ratio riguardo alle funzioni cui potrebbe essere chiamato, e dichiarato competente, il Comune di residenza del defunto, magari a distanza di tempo dal decesso.
Pregevole, per altro, l'ipotesi dell'art. 3, comma 6 che considera il caso del decesso dell'affidatario, prevedendo la consegna dell'urna cineraria al cimitero del comune, previsione che, oltre che rispondere a palesi logiche di "pietas" ed assolvendo alla funzione di prevenire che l'urna rimanga in stato di abbandono, sembra venire di per sé ad escludere l'ipotesi di un affidamento ad altro familiare.
Per altro, si osserva come essa tenga principalmente ad evitare una situazione di stato di abbandono dell'urna cineraria, ma non possa essere assunta come un divieto assoluto a ché l'autorità competente nel luogo di (precedente) conservazione dell'urna a mezzo di affidamento ai familiari possa autorizzare, quando debitamente richiesta, l'affidamento ad altro familiare.
A questo punto, non si può evitare di affrontare l'aspetto concernente l'ambito di applicazione delle norme della legge regionale, in quanto essa non eccede l'ambito della regione stessa, con la conseguenza che quando l'affidamento ai familiari dell'urna cineraria o la dispersione delle ceneri debba avvenire al di fuori del territorio regionale, le sue disposizioni non possano più trovare piena e testuale applicazione.
Ad esempio, nel caso di affidamento dell'urna cineraria ai familiari, quando la conservazione dell'urna cineraria sia destinata ad avvenire nel territorio di altra regione, troveranno applicazione, se qui vigenti, le disposizioni della legislazione regionale proprie del luogo in cui l'urna sia conservata.
Analogamente, laddove la dispersione delle ceneri debba avvenire fuori dal territorio della regione Piemonte, non potranno applicarsi le specifiche disposizioni della legge regionale.
L'art. 4 si occupa specificatamente dei luoghi di dispersione delle ceneri, seppure non manchino criticità (a titolo indicativo, la previsione dell'art. 4, comma 2, lett. d) in relazione all'ambito territoriale di applicazione della legge regionale).
Il comma 1 introduce una classificazione generale che distingue i luoghi possibili per la dispersione in aree pubbliche, aree private e aree all'interno dei cimiteri.
Ai sensi dell'art. 4, comma 2, la dispersione nelle aree pubbliche e nelle aree private è disciplinata dai Comuni entro sessanta giorni (art. 6, comma 2) dall'entrata in vigore della legge regionale.
Nella formulazione della disciplina comunale devono essere obbligatoriamente sentiti gli altri enti pubblici competenti alla cura del territorio (come ad esempio le amministrazioni dei parchi, l'autorità fluviale, ecc.).
La finalità di quest'ultima disposizione è evidente e riguarda l'opportunità di prevedere che luoghi, astrattamente riconducibili alla previsione della L. 130/2001 (richiamata nel comma secondo dell'articolo 6), siano soggetti a opportune limitazioni per evidenti ragioni di tutela naturalistica. Si pensi a ghiacciai, al particolari zone di insediamento e riproduzione di mammiferi ed uccelli, alle acque ed ai ghiacciai alpini, ecc..
Poiché i tempi necessari per sentire gli altri enti pubblici competenti sono di norma superiori ai sessanta giorni, ne consegue che il termine ordinatorio previsto dalla legge regionale sarà abbondantemente superato.
È opportuno che la regolamentazione comunale per la dispersione nelle aree private ricomprenda esplicitamente anche la previsione del comma 5.
In questo modo un eventuale lucro da parte dei proprietari verrebbe assoggettato alle sanzioni previste dall'art. 6, comma 3, osservandosi come tale divieto non sia correlato ad alcuna sanzione, la cui determinazione richiederebbe, comunque, norma di rango primario, così che si è in presenza di quella che si denomina come "norma minus quam perfaecta", restando una formulazione senza sanzione in caso di violazione, salvo, appunto, non sia assunta anche nelle disposizioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria.
Con l'art. 4. comma 1, lett. c) viene data ai comuni la facoltà di individuare per la dispersione specifiche aree all'interno dei cimiteri, superando la concezione, per molti versi limitativa (ma coerente con le norme antecedenti alla L. 30 marzo 2001, n. 130), del cinerario comune come di un apposito manufatto contenitore delle ceneri promiscuamente disperse.
Anche in questo caso, ma questa volta in forma esplicita, vi è un rinvio alla normativa comunale il ché porta direttamente alla necessità di specifiche disposizioni da inserire nel Regolamento comunale di polizia mortuaria.
In realtà, sarebbe stato maggiormente opportuno che il riferimento fosse stato fatto al piano regolatore cimiteriale (citato, con rinvio ad altre disposizioni, dall'art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), essendo alla fin fine proprio questo strumento di programmazione dell'uso delle aree cimiteriali nel loro complesso lo strumento maggiormente adatto.
Questa linea interpretativa può sostenersi considerando, a titolo esemplificativo, la previsione dell'art. 2, comma 4, dal momento che considerandosi, qui, gli istituti delle aree cimiteriali oggetto di apposita concessione amministrativa, non può trascurarsi di considerare proprio il fatto che la concessione cimiteriale abbia come pre-condizione, anche di legittimità, l'espressa previsione nel piano regolatore cimiteriale (in relazione al già citato art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
Sulla base di queste disposizioni, nonché appoggiandosi ad una linea interpretativa di ordine sistemico, si ritiene sostenibile che il rinvio alla "normativa comunale" abbia il significato del riferimento espresso alle previsioni dei piani regolatori comunali, tanto più che un'interpretazione diverse, eccessivamente letterale, renderebbe difficilmente (o non sufficientemente uniformemente) applicabile questa previsione della legge regionale.
Rilevante, pure dal punto di vista procedimentale, quanto disposto dall'art. 4, comma 7 sulla comunicazione al Comune nel cui territorio la dispersione deve essere eseguita, anche in relazione all'individuazione dei soggetti tenutivi (chi debba eseguire la dispersione), nonché sul punto del congruo pre-avviso, lasciando, anche in questo caso, spazio alla regolazione a livello comunale.
È implicito come questa comunicazione assolva alla funzione di consentire al Comune l'esercizio delle funzioni di vigilanza sull'esecuzione della dispersione delle ceneri, oppure, se del caso, l'adozione di particolari prescrizioni sulle modalità, sui luoghi, sulle forme della dispersione, non esclusa un'eventuale determinazione degli orari in cui essa possa, o debba, eseguirsi.
In ogni caso, quando esecutore della dispersione delle ceneri non sia il coniuge o un parente, bensì il legale rappresentante di associazione riconosciuta avente tra i propri fini quello della cremazione dei cadaveri dei propri associati (ma la legge regionale, ampliando rispetto alle previsioni dell'art. 3, lett. d) L. 30 marzo 2001, n. 130, consente che vi provveda anche personale dell'associazione, ma restringendo la medesima previsione, non considera l'ipotesi che, in difetto, possa provvedervi "personale autorizzato dal Comune"), l'esecutore si trovi nell'obbligo di consentire al coniuge od ai parenti di assistervi, secondo l'impianto di valorizzazione del lutto, dell'individualità ed individuabilità, di conservazione del senso comunitario della morte che traspare ispirare l'intera legge regionale, in ciò contrapponendosi a logiche di individualismo estremizzato.
Meno comprensibile, il divieto (comma 9) di dispersione delle ceneri in edifici o altri luoghi chiusi (con l'ovvia eccezione del cinerario comune, per altro sussistente nell'ordinamento ben precedentemente alla L. 30 marzo 2001, n. 130), salvo non attribuire ad esso la funzione di prevenzione di possibili comportamenti dispersivi non coerenti con l'impianto complessivo della legge regionale.
All'art. 5 la regione si auto-proroga il termine entro cui avrebbe già dovuto provvedere (a rigore, doveva avvenire entro il 3 novembre 2001; art. 6, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130) all'adozione di un piano regionale di coordinamento, inserendo in esso anche c.d. linee guida per la realizzazione dei crematori, rispetto a cui andrebbe osservato come non necessariamente si tratti di materia di competenza regionale, in particolare per quanto riguarda gli aspetti di carattere ambientale (che rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost. e che già sono previsti nell'art. 8 L. 30 marzo 2001, n. 130).
Per altro, il richiamo, ripreso poi anche all'art. 6, comma 4 (che, in sostanza, riproduce l'art. 6, comma 2 L. 30 marzo 2001, n. 130), al ruolo dei comuni anche con il ricorso a forme associative di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., seppure appaia come un'apertura di respiro sovra comunale, in realtà costituisce un'ipotesi che sussisteva indipendentemente dall'averne fatta citazione, proprio sulla base del testo unico di cui a testé citato D.Lgs. 18 agosto 2007, n. 267 e succ. modif., essendosi in presenza di funzioni e servizi di competenza dei Comuni.
Qualche perplessità solleva la previsione dell'art. 5, comma 2 con cui si rimette al piano regionale di coordinamento la creazione di cinerari comuni e di strutture per il commiato, in quanto i primi sono prescritti, dal 27 ottobre 1990 (almeno formalmente), come obbligatori in ogni cimitero e le seconde attengono a servizi, in buona sostanza, già altrettanto obbligatori, e dalla prima legislazione post-Unitaria, in tutti i comuni (anche se, a volte, tali obblighi non sempre sono assolti) ai sensi degli artt. 12 e 13 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, salvo che non se ne preveda una loro qualificazione con un maggiore contenuto qualitativo di servizio.
Semmai, rispetto alle strutture per il commiato, dovrebbe considerarsi come il piano di coordinamento regionale, in quanto atto di natura amministrativa, non abbia forza di consentire la loro realizzazione a soggetti diversi dai soggetti istituzionalmente tenutivi, poiché ciò richiederebbe una legittimazione da parte di norma di rango primario (ammesso che la materia possa individuarsi nella competenza legislativa delle regioni, in relazione all'art. 117, comma 2, lett. e) Cost.).
La stessa specifica disposizione che affronta le strutture del commiato (art. 8) non consentono di individuare altri soggetti, rispetto a quelli istituzionalmente tenutivi, che possano essere legittimati all'impianto e all'esercizio di strutture del commiato, anzi, con l'individuazione di peculiari caratteristiche igienico-sanitarie e con l'attribuzione loro di funzioni specifiche (pratiche di rilevazione delle manifestazioni di vita), si determina l'effetto di una loro natura anche sanitaria e che come tale non possa essere agevolmente assolta da soggetti terzi.
Oltretutto, specie in relazione ai cinerari comuni, con un atto amministrativo si interverrebbe in materia che rientra nella potestà regolamentare, esclusiva, delle Autonomie Locali.
Per questi motivi la proposta di pianificazione regionale da parte della Giunta non può che avvenire necessariamente d'intesa con i Comuni interessati.
Si ritiene che i progetti di strutture per le quali la regione ha previsto la pianificazione regionale che siano già stati deliberati dal competente Organo comunale, poiché la norma regionale non ne ha esplicitamente prevista la sospensione, possano proseguire il proprio iter realizzativo.
Viene, inoltre, esclusa l'ipotesi di impianti di cremazione mobili (come avvenuto nella regione Emilia-Romagna con l'art. 4, comma 4 L.R. (Emilia Romagna) 29 luglio 2004, n. 19 e succ. modif.), induttivamente e presuntivamente per evitare un approccio esclusivamente "tecnologico" alla pratica della cremazione, scelta che può comprendersi per la cremazione dei cadaveri (ma potrebbe risultare limitativa se si considerino le cremazioni di resti mortali, nella loro attuale definizione tecnica).
In relazione alle funzioni comunali di cui all'art. 6, in particolare al comma 2, il termine di 60 giorni dall'entrata in vigore della legge regionale (specie se si consideri la sua dichiarazione d'urgenza; art. 15)) appare estremamente breve, in particolare quando si considerino le ipotesi della dispersione delle ceneri nelle apposite aree a ciò individuate all'interno dei cimiteri (art. 4, comma 1, lett. c)), che comporterebbero quanto meno una revisione del piano regolatore cimiteriale (sempre ché il Comune non ritenga, nella specifica situazione, di dovere prima procedere ad una modifica (o, altrimenti, queste modifiche si rendano necessarie) di norme del Regolamento comune di polizia mortuaria, modifiche la cui efficacia non può prescindere dalle condizioni di efficacia determinate dall'art. 435 T.U.LL.SS.
La formulazione dell'art. 7 sconta qualche ambiguità in quanto non viene indicato il soggetto obbligato (il Comune ovvero gli aventi titolo) alla realizzazione della targa.
Inoltre il richiamo alla L. 30 marzo 2001, n. 130, anziché alla legge regionale, porterebbe alla conclusione che non dovrebbe esservi l'obbligo di citazione in una targa qualora l'affidamento o la dispersione avvengano per dichiarazione del coniuge o dei parenti.
Più opportunamente una regolamentazione comunale può produrre una interpretazione estensiva in linea con le finalità generali contenute dalla legge regionale. L'onerosità o la gratuità di detta prestazione potrebbero, analogicamente (per effetto dell'art. 11), essere determinati secondo quanto già previsto dalla normativa statale (art. 5 L. 30 marzo 2001, n. 130) e dalla sua applicazione locale.
Di particolare interesse l'art. 10, che individua il principio della formazione del personale, anche se limitatamente al personale addetto ai crematori ed ai cerimonieri degli spazi per il commiato.
L'art. 12 costituisce una norma di auto-regolazione delle competenze autorizzative, a seguito del conferimento delle funzioni a seguito delle disposizioni ivi richiamate, segno che la regione Piemonte non pensa a provvedere ad un ulteriore conferimento ad altri livelli di governo (art. 114, comma 1 Cost.) delle competenze in materia, come si deduce dal rinvio all'adozione di uno specifico atto amministrativo, un'attribuzione di competenze ad altri livelli di governo richiederebbe norma di rango legislativo (art. 4 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif.).
La legge regionale è dichiarata urgente, così che la sua entrata in vigore ha luogo a partire dal giorno stesso della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della regione Piemonte.
Si trascurano gli aspetti in cui la legge regionale è meramente, ed inutilmente, riproduttiva di altre disposizioni, come quella sulle autorizzazioni concernenti i resti mortali (art. 2, comma 11), oppure sugli aspetti sanzionatori alle infrazioni dei Regolamenti comunali (art. 6, comma 3), o, ancora, sull'informazione (art. 9), o sull'onerosità della cremazione nei casi d'indigenza (art. 11, materia già regolata dall'art. 5 L. 30 marzo 2001, n. 130) anche per il fatto che alcuni di essi non attengono alla competenza legislativa regionale, riducendosi a mere formule di stile.