TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 6 giugno 2019, n. 1288
MASSIMA
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 6 giugno 2019, n. 1288
(Regione Lombardia) La normativa regionale lombarda non pone alcuna preclusione all’utilizzo delle “sale del commiato” a bara aperta, rivelandosi anzi tale destinazione intrinseca nella funzione tipica di simili strutture. In ogni caso, non può escludersi che il commiato, inteso quale estremo saluto al defunto, mantenga una parte della sua funzione anche a bara chiusa, come succede durante il funerale; infatti l’estremo omaggio dei vivi al defunto assume carattere eminentemente spirituale mentre l’inspectio riveste una funzione accessoria.
NORME CORRELATE
Lombardia, Reg. reg. 9/11/2004, n. 6
Pubblicato il 06/06/2019
N. 01288/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02343/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2343 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Onoranze Funebri < omissis > S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vito Pizzonia, Federico Pizzonia, con domicilio eletto presso lo studio Vito Pizzonia in Milano, viale Campania 7;
contro
Comune di Cadrezzate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Simone Rodolfo Masera, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Visconti di Modrone n. 2;
per l’annullamento
– del Permesso di Costruire PC2017/058 del 10.07.2017 – pratica edilizia n. 2017/058 del Comune di Cadrezzate – Provincia di Varese – Area Tecnica – Prot. n. 2833 datato 10.07.2017, consegnato in data 12.07.2017, nella parte in cui il medesimo atto impugnato impone alla società ricorrente di utilizzare i vani denominati “Sala del commiato” in base al comma 5° dell’art. 66 del vigente Piano di Governo del Territorio – Piano delle Regole – Apparato Normativo del Comune di Cadrezzate approvato in data 08.07.2016;
– nonché degli ulteriori impugnati provvedimenti/atti antecedenti e presupposti, connessi e consequenziali, ivi compreso inter alias il comma 5° art. 66 del vigente Piano di Governo del Territorio – Piano delle Regole – Apparato Normativo del Comune di Cadrezzate approvato in data 08.07.2016 richiamato nell’impugnato Permesso di Costruire;
e per l’annullamento con i motivi aggiunti presentati il 2\1\2018 :
– del provvedimento del Comune di Cadrezzate datato 03.11.2017 – prot. n. 4668 (Oggetto: Segnalazione Certificata di Inizio Attività – Pratica Edilizia n. 2017/089 del 18.10.2017), comunicato all’attuale ricorrente a mezzo pec di pari data, contenente il rigetto, per inammissibilità, irricevibilità e infondatezza, della Segnalazione Certificata di Inizio Attività presentata dalla medesima società ricorrente Onoranze Funebri < omissis > S.r.l. in data 18.10.2017 (prot. 0004419) per proroga lavori per ampliamento fabbricato esistente via Mogno n. 53;
– del provvedimento del Comune di Cadrezzate datato 09.11.2017 (Oggetto: P.C. 2017/058 – Variante 2 in corso d’opera alla P.E. 2012/054 – Richiesta Proroga Lavori), comunicato all’attuale ricorrente a mezzo pec di pari data, contenente il rigetto, per inammissibilità, irricevibilità e infondatezza, della Richiesta Proroga Ultimazione Lavori presentata dalla medesima società ricorrente Onoranze Funebri < omissis > S.r.l. in data 03.11.2017 per proroga ultimazione lavori fabbricato via Mogno n. 53, con dichiarazione di decadenza del permesso di costruire;
– di ogni e qualsivoglia atto e/o provvedimento antecedente e presupposto, connesso e consequenziale e/o successivo agli atti impugnati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Cadrezzate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2019 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A. Con il ricorso principale la società ricorrente, che esercita il servizio funerario nel Comune di Cadrezzate, ha impugnato il permesso a costruire rilasciato dal Comune nella parte in cui ha imposto all’attuale ricorrente di utilizzare i vani denominati “Sala del Commiato” solo per officiare riti di commiato a feretro chiuso e non, invece, anche aperto, come chiesto dalla ricorrente.
Contro tale atto la ricorrente ha proposto i seguenti motivi di ricorso.
1) Sostanziale implicita violazione del principio di corrispondenza tra la domanda di autorizzazione edilizia ed il provvedimento di accoglimento della p.a.
La ricorrente evidenzia che con la richiesta di permesso a costruire aveva chiesto solamente di autorizzare una diversa distribuzione degli spazi interni, mentre il Comune ha modificato il contenuto della domanda con la prescrizione di condizioni di utilizzo le quali snaturano la destinazione dei locali (oltretutto in precedenza già autorizzata dal Comune medesimo) in violazione del principio giurisprudenziale secondo il quale l’ente territoriale può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificarla, non potendosi imporre al richiedente un’opera diversa da quella di cui al progetto per cui ha chiesto il permesso.
2) Sostanziale implicita violazione del principio di irrevocabilità del permesso di costruire. Secondo la ricorrente, avendo già precedentemente concesso sia l’autorizzazione Paesaggistica in data 05.05.2015 quanto il Permesso di Costruire in data 27.11.2015, il Comune, con la clausola incriminata, avrebbe posto in essere una implicita revoca del precedente permesso a costruire, nel quale era stata già autorizzata la realizzazione della sala del commiato.
3) Errata interpretazione, violazione e/o falsa applicazione della normativa regionale della Regione Lombardia (artt. 2 e 42 regolamento regionale lombardo n. 6 del 09.11.2004 in materia di attività funebri e cimiteriali). Da questi due articoli la ricorrente desume che la sala del commiato è destinata a ospitare la salma prima della sepoltura e per salma è da intendersi il corpo a bara aperta (mentre a bara chiusa viene definito feretro) con conseguente contrarietà della clausola impugnata al regolamento regionale in materia.
4) Eccesso di potere in relazione nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica del territorio e specificatamente al comma 5 art. 66 del vigente piano delle regole.
Secondo la ricorrente il PGT all’art. 66 co. 5 ha imposto l’utilizzo delle “sale del commiato” a bara chiusa mentre il Regolamento Regionale in materia di attività funebri n. 6 del 09.11.2004 prevede l’utilizzo delle “sale del commiato” a bara aperta.
5) Eccesso di potere nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica del territorio in relazione all’uso specifico dei locali ed all’accertamento dei loro requisiti sanitari.
Secondo la ricorrente gli atti impugnati si appalesano illegittimi per eccesso di potere in quanto il Comune, condizionando il Permesso a Costruire all’utilizzo dei locali a “bara chiusa”, è intervenuto nell’ambito di competenza dell’ASL.
6) Eccesso di potere da parte nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica del territorio – violazione dell’art. 10 bis commi 3° e 4° legge Regione Lombardia n. 12 dell’11.03.2005 e dell’art. 41 della Costituzione – illogicità manifesta del comma 5° art. 66 del vigente piano del governo del territorio.
Alla luce dei commi 3 e 4 art. 10 bis L.R. n. 12/2005, risulta evidente che il Comune resistente, nel regolamentare al comma 5° art. 66 del Piano del territorio le modalità di gestione, realizzazione della camera mortuarie nonché le modalità di conservazione ed esposizione dei defunti, è intervenuto in un ambito non di sua competenza visto e considerato che detto ambito è di spettanza regionale e nazionale e risulta ad oggi regolamentato dal Regolamento Regionale in materia di attività funebri n. 6 del 09.11.2004, dal D.P.R. 14.01.1997 n. 37 (Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e province autonome dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie in regime di ricovero da parte delle strutture pubbliche e private) e dal D.P.R. 10.09.1980 n. 285 (Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria).
7) Danni patiti e patiendi in esito ai provvedimenti impugnati ed alla sostanziale revoca dell’autorizzazione all’uso dei locali come camera ardente. La ricorrente sostiene di aver investito risorse nella casa del commiato, per la somma di euro 173.699,14, nella prospettiva di poter in futuro acquisire clienti, o comunque di poter fornire loro un servizio aggiuntivo (pagato a parte) dando la possibilità di permettere in loco l’estremo saluto alla salma a bara aperta all’interno della sala ardente. Di tali danni chiede il ristoro giudiziale.
B. Con il ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato il provvedimento comunale del 03.11.2017 di inibizione della SCIA per proroga del termine per l’esecuzione di lavori di ampliamento in quanto avente per oggetto opere non ammesse a SCIA e in quanto mancante dei presupposti per la proroga. Contemporaneamente ha impugnato anche il successivo provvedimento in data 09 11.2017 di rigetto della richiesta di proroga del permesso a costruire rilasciato, motivato con riferimento alla tardività della richiesta di proroga ed al difetto di motivazione, con conseguente dichiarazione di decadenza del medesimo titolo edilizio.
Contro i suddetti atti ha sollevato i seguenti motivi di ricorso.
1 – Nullità e comunque illegittimità del provvedimento del 03.11.2017 di inibizione della s.c.i.a. del 18.10.2017 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22 commi 2 e 2 bis del d.p.r. 380/2001.
Secondo la ricorrente i lavori denunciati, vertendo unicamente sulla destinazione d’uso, sulle caratteristiche costruttive e sulla divisione degli spazi interni, rientrano nell’ambito di applicabilità della SCIA.
2 – Nullità e comunque illegittimità del provvedimento del 09.11.2017 di rigetto dell’istanza di proroga del 03.11.2017 e di declaratoria di decadenza del permesso di costruire n. 2017/058 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 comma 2° d.p.r. 380/2001 e dell’art. 7 l. 241/1990 e del principio del legittimo affidamento.
La ricorrente sostiene che la richiesta di proroga era tempestiva perché presentata il giorno prima della protocollazione comunale, ed era pienamente giustificata perché i lavori erano stati rallentati ed in parte impediti dall’azione comunale. In secondo luogo è mancata la comunicazione di avvio del procedimento di decadenza del permesso a costruire. In terzo luogo il rigetto ha violato il principio di legittimo affidamento in quanto la controversia giudiziaria in corso costituisce causa di forza maggiore che ha impedito la conclusione dei lavori.
3- Legittimità degli strumenti edilizi (s.c.i.a del 18.10.2017 ed istanza di proroga del permesso del 03.11.2017) – illegittimità dei relativi provvedimenti negativi del 03.11.2017 e del 09.11.2017 in quanto gli interventi oggetto della S.C.I.A. del 18.10.2017 e poi dell’istanza di proroga del 03.11.2017 sono interventi straordinari che potevano essere attuati indistintamente con permesso a costruire o SCIA.
4 – Illegittimità del provvedimento di inibizione della s.c.i.a. del 03.11.2017 e di rigetto del provvedimento di rigetto dell’istanza di proroga del 09.11.2017 per essere i medesimi provvedimenti consequenziali agli atti illegittimi impugnati con il ricorso principale.
5 – Chiede quindi il risarcimento dei danni per non aver potuto concludere i lavori con conseguente sviamento della clientela.
La difesa del Comune denuncia la tardività del ricorso principale in quanto l’art. 66 co. 5, del Piano delle Regole, secondo il quale la realizzazione di strutture destinate ad ospitare attività a camera mortuaria è consentita solo all’interno del perimetro del cimitero esistente, non è stato impugnato nei termini decorrenti dalla sua pubblicazione, avvenuta nel 2016. In secondo luogo il ricorso principale sarebbe improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse perché il permesso di costruire n. 2017/058 era decaduto di diritto ex art. 15, d.P.R. 380/2001 per l’inutile decorso del termine di ultimazione dei lavori.
Nel merito l’Amministrazione comunale ha chiesto la reiezione del ricorso.
2. Con ordinanza cautelare n. 170/2018 questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare affermando che, <i>sulla base di una sommaria delibazione, il ricorso pare fondato, tenuto conto che il vigente regolamento regionale del 9.11.2004, n. 6 (Regolamento in materia di attività funebri e cimiteriali) definisce gli “spazi per il commiato: luoghi all’interno o all’esterno del cimitero, anche attigui al crematorio, nei quali vengono deposti i feretri e si svolgono riti di commiato, nonché gli spazi pubblici idonei ai funerali civili” (art. 2, comma 1) e precisa che “la sala del commiato non può essere collocata in strutture obitoriali, strutture sanitarie pubbliche o private o nelle loro immediate vicinanze, nonché in strutture socio-sanitarie o socio-assistenziali” (art. 42, comma 4);
– che, pertanto, la disciplina di cui all’art. 66, comma 5 del piano delle regole e, soprattutto, l’interpretazione di tale disposizione da parte dell’ufficio tecnico sembrano in contrasto con il principio di ragionevolezza e proporzionalità se rapportate alle previsioni del citato regolamento regionale;
– che in ordine alla prescrizione del titolo edilizio che ha imposto di officiare il rito del commiato a feretro chiuso occorre considerare che, ai sensi dell’art. 42, comma 5 del regolamento regionale “il Comune controlla il funzionamento dei servizi per il commiato presenti nel proprio territorio, avvalendosi dell’ASL per gli aspetti igienico-sanitari”: il che evoca, nella specie, un potere/dovere di vigilanza dell’autorità sanitaria e non dell’Amministrazione comunale;
– che in merito ai presupposti per la concessione della proroga del titolo edilizio deve richiamarsi l’orientamento pretorio secondo cui l’inerzia operativa giustifica l’adozione di un provvedimento di decadenza ai sensi dell’art. 15 del DPR 380/2001, ma “tale situazione deve poi essere considerata inmodo del tutto peculiare quando si tratti di ragioni di vera e propria “forza maggiore” come nel caso di procedimento giurisdizionale” (cfr. TAR Lazio Roma, 7 giugno 2010, n. 15939);
– che, inoltre, si ravvisa un pregiudizio grave e irreparabile sia nella sostanziale inibizione dell’attività edilizia, sia nella illogica limitazione di nuove modalità di espletamento dei servizi funerari, oggetto di puntuale regolazione da parte della Regione Lombardia.</i>
Il Comune, in data 23/03/2018, ha accolto l’istanza di proroga annuale alla luce dell’ordinanza cautelare n. 170/2018 citata.
Secondo la difesa comunale la ricorrente ha così potuto concludere i lavori già assentiti con il predetto titolo edilizio. Pertanto, rispetto al ricorso per motivi aggiunti, ha chiesto la cessazione della materia del contendere ex art. 34, co. 5, c.p.a., e/o la sopravvenuta carenza di interesse ex art. 84, co. 4, c.p.a.
Per quanto riguarda poi la disciplina del PGT, con deliberazione n.1 del 29 gennaio 2019 il Comune ha approvato una variante al PGT impugnato che, secondo la difesa comunale ha abrogato il comma 5 dell’art. 66. A dire di tale difesa, alla luce del comportamento concludente del ricorrente, che ha beneficiato della proroga richiesta per l’ultimazione dei lavori già assentiti, ma senza presentare nuove istanze al Comune, è palese la cessazione della materia del contendere ex art. 34, co. 5, c.p.a., e/o la sopravvenuta carenza di interesse ex art. 84, co. 4, c.p.a.
La difesa della ricorrente ha replicato con memoria in data 16 Gennaio 2019 affermando che il provvedimento di proroga del termine lavori datato 23.03.2018 (depositato dalla stessa ricorrente in data 20.12.2018) ha natura ed efficacia provvisoria, in quanto la proroga è stata concessa dalla P.A. per adeguarsi e dare applicazione all’ordinanza di sospensione (“così come stabilito nell’ordinanza del TAR Lombardia n. 170/2018 del 01/02/2018 “) ed il provvedimento è evidentemente stato emesso anche per evitare un eventuale giudizio di ottemperanza oltre che per non aggravare il danno già causato alla ricorrente con i provvedimenti precedenti.
Per quanto riguarda, poi, la procedura di abrogazione dell’impugnato comma 5° art. 66 PGT, la ricorrente sostiene che essa è ancora in corso e non è stata spontanea ma necessitata dall’obbligo di conformarsi alla decisione cautelare di questo Tribunale. Insiste quindi per l’annullamento degli atti impugnati e per il risarcimento dei danni subiti.
All’udienza del 13 febbraio 2019 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. In primo luogo occorre respingere le sollevate eccezioni di sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere o di cessazione della materia del contendere in quanto la comunicazione in data 23.03.2018 del Comune di Cadrezzate, relativa alla proroga del termine di conclusione dei lavori per un anno, è motivata con riferimento al provvedimento cautelare adottato da questa Sezione, sì da risultarne subordinata l’efficacia definitiva all’esito del presente giudizio. Quanto, poi, all’avvenuta variazione della previsione di cui all’art. 66 c. 5 del PGT comunale – quale che ne sia la portata –, resta integro l’interesse della ricorrente alla decisione, giacché si tratta di fatto sopravvenuto, che non ha effetto automaticamente caducante degli atti censurati, quanto meno non lo ha per il periodo pregresso.
Inoltre la presenza della domanda risarcitoria richiede l’accertamento dell’eventuale illegittimità degli atti impugnati.
2. Venendo all’esame del ricorso principale è possibile raccogliere i motivi di ricorso presentati in relazione al loro oggetto.
2.1 I primi due motivi contestano il potere del Comune di inserire nel permesso di costruire PC 2017/058 del 10/07/2017 la clausola secondo la quale nella sala del commiato possono essere officiati riti solo a bara chiusa. Tale potere viene contestato per violazione del principio di corrispondenza tra domanda e provvedimento e perché comporterebbe una sostanziale revoca del permesso di costruire.
I motivi sono infondati.
Come affermato in giurisprudenza (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 31.01.2012 n. 145) il provvedimento abilitativo condizionato è ammesso da tempo dalla giurisprudenza amministrativa e rientra nello schema legale tipico previsto dalla norma attributiva di potere.
A fronte delle perplessità che vennero espresse in anni risalenti dalla dottrina giuridica che costruiva l’atto amministrativo all’interno della teoria generale degli atti giuridici e che quindi si era posta il problema della possibilità di introdurre elementi accidentali nell’atto amministrativo, la giurisprudenza, invece, spinta da una prassi degli organi amministrativi che è sempre stata molto propensa all’utilizzo di provvedimenti di approvazione condizionati ad alcune prescrizioni introdotte dall’amministrazione, ha finito per riconoscere la legittimità di tale tipo di provvedimenti, che semplifica la procedura (se non fosse possibile approvare con condizioni occorrerebbe, infatti, respingere; e tutto ciò sarebbe oggi anche in contrasto con la regola generale sul divieto di aggravamento del procedimento amministrativo di cui all’art 1, co. 2, l. 241/1990), ed in realtà consente di esercitare meglio la potestà conformativa.
Tuttavia tale potere trova limitazioni. Infatti la giurisprudenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 28.09.2012 n. 1623) ha ritenuto ammissibile l’apposizione di condizioni al rilascio di un titolo edilizio <<soltanto quando si vada ad incidere su aspetti legati alla realizzazione dell’intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento>> (in questo senso anche Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.04.2018 n. 2366; Cons. Stato, sez. V, 24.03.2001, n. 1702; conforme Cons. Stato, sez. IV, 16.04.2014, n. 1891; sez. IV, 06.06.2011, n. 3382).
Nel caso di specie il Comune ha inserito una limitazione che deriva dalla previsione dell’art. 66 c.5 del PGT comunale e che incide sulle modalità di realizzazione dell’intervento edilizio, in quanto il fatto che la bara sia conservata chiusa o aperta incide sulle caratteristiche dei sistemi di areazione, sì da presentarsi astrattamente consentito l’inserimento di una simile prescrizione, salvo poi verificarne la legittimità con l’esame dei motivi successivi. Né tantomeno può ritenersi che la condizione sia abrogante in quanto comunque non può escludersi che il commiato, inteso quale estremo saluto al defunto, mantenga una parte della sua funzione anche a bara chiusa, come succede durante il funerale; infatti l’estremo omaggio dei vivi al defunto assume carattere eminentemente spirituale mentre l’inspectio riveste una funzione accessoria. Che poi l’Amministrazione abbia in tal modo inciso autonomamente sull’originario regime del permesso di costruire non si rivela in sé motivo di illegittimità, in quanto il relativo potere non si consuma e ben può essere ancora esercitato fino a quando l’intervento non viene realizzato – se il privato chiede una variazione del titolo e la prescrizione è ritenuta collegata all’attività edilizia da svolgere –, senza che si configuri pertanto un atto di autotutela.
I primi due motivi vanno quindi respinti.
2.2 Venendo all’esame dei motivi da tre a sei, essi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto relativi all’illegittimità della previsione contenuta nell’art. 66 c. 5 del PGT, secondo la quale “<i>la realizzazione di strutture destinate ad ospitare attività a camera mortuaria e conservazione ed esposizione dei defunti è consentita solo all’interno del perimetro del cimitero esistente o di aree di ampliamento previste. Tali destinazioni sono escluse in ogni altra parte del territorio comunale</i>”.
In via pregiudiziale occorre affrontare l’eccezione di tardività dell’impugnazione proposta dal Comune.
L’eccezione è infondata in quanto la giurisprudenza (v., da ultimo, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 6/9/2018 n.2052) ha chiarito che le prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale comunale, che, per la loro natura regolamentare, sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo, possono formare oggetto di censura in occasione della impugnazione di quest’ultimo.
Venendo al merito il ricorso è fondato nel terzo motivo, relativo alla violazione del Regolamento regionale n. 6 del 09.11.2004 (Regolamento in materia di attività funebri e cimiteriali).
Infatti l’art. 2 distingue sala del commiato da camera mortuaria, stabilendo che la prima è il luogo dove mantenere prima della sepoltura una salma e dove si svolgono i riti di commiato.
A sua volta l’art. 42 stabilisce che 1. I soggetti autorizzati allo svolgimento di attività funebre possono realizzare e gestire propri servizi per il commiato. 2. L’autorizzazione per la gestione di sale del commiato, idonee a ricevere e custodire persone decedute presso abitazioni, strutture sanitarie di ricovero o cura, è rilasciata dal comune ai soggetti autorizzati allo svolgimento di attività funebre, previa verifica che: a) sussistano i requisiti previsti dall’articolo 4, comma 7, della legge regionale; b) durante il periodo di osservazione sia assicurata la sorveglianza anche a mezzo di apparecchiature di segnalazione a distanza, al fine del rilevamento di eventuali manifestazioni di vita della salma.3. Le sale di commiato possono prevedere l’esercizio delle attività di imbalsamazione e tanatoprassi secondo le modalità e i termini stabiliti da apposito provvedimento della Giunta regionale. 4. La sala del commiato non può essere collocata in strutture obitoriali, strutture sanitarie pubbliche o private o nelle loro immediate vicinanze, nonché in strutture socio-sanitarie o socio-assistenziali. 5. Il comune controlla il funzionamento dei servizi per il commiato presenti nel proprio territorio, avvalendosi dell’ASL per gli aspetti igienico-sanitari. 6. Il gestore della sala per il commiato trasmette al comune il tariffario delle prestazioni concernenti i servizi per il commiato.
Come già anticipato dalla Sezione in sede cautelare, non si rinviene da tale normativa alcuna preclusione all’utilizzo delle “sale del commiato” a bara aperta, rivelandosi anzi tale destinazione intrinseca nella funzione tipica di simili strutture. Né, del resto, la scelta operata in sede pianificatoria risulta avere ragioni legate ad autonome esigenze di corretto assetto del territorio, in alcun modo emergendo indicazioni in tal senso.
L’accoglimento di questo motivo di carattere sostanziale giustifica l’assorbimento degli altri, relativi a profili di natura procedurale.
Il ricorso principale va quindi accolto, con rinvio dell’esame della domanda risarcitoria alla conclusione dell’esame di tutte le domande di annullamento.
3. Venendo all’esame del ricorso per motivi aggiunti, appare fondata e assorbente la questione legata al diniego opposto dall’Amministrazione per il ritardo nella presentazione dell’istanza di proroga e per l’assenza di incolpevolezza nel protrarsi dei lavori.
In merito occorre premettere che in data 10.07.2017 (prot. n. 2833), il Comune rilasciava permesso di costruire PC2017/058 stabilendo che i lavori dovessero essere ultimati entro il 03.11.2017.
La ricorrente ha presentato una SCIA per proroga dei lavori in data 18.10.2017, ma l’Amministrazione si è pronunciata negativamente con provvedimento in data 03.11.2017 per violazione dell’art. 15 del DPR 380/01 ed in quanto, secondo l’ufficio “la tipologia degli interventi evidenziati ancora da eseguire non può essere avallata dalla presentazione di Segnalazione Certificata di Inizio Attività – SCIA”. La ricorrente ha quindi lo stesso giorno presentato una istanza di proroga del termine relativo al permesso di costruire, inoltrata tramite pec, ed in data 09.11.2017 il Comune ha respinto l’istanza in quanto tardiva, essendo il termine di ultimazione dei lavori ormai decorso, e per infondatezza della richiesta, non essendo la medesima adeguatamente motivata sulle cause di forza maggiore che avrebbero impedito il completamento dei lavori.
Il motivo di ricorso è fondato con riferimento alla presunta tardività in quanto, essendo il 3.11.2017 l’ultimo giorno utile per la conclusione dei lavori, deve ritenersi che la seconda istanza di proroga fosse tempestiva. La circostanza che l’Amministrazione l’abbia protocollata solo il giorno successivo non è evidentemente significativo, giacché la comunicazione effettuata a mezzo pec – di cui dà atto lo stesso provvedimento impugnato – trova legittimazione nell’art. 38 del d.P.R. n. 445/2000, secondo cui le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione possono essere trasmesse in via telematica.
Anche sotto il profilo motivazionale l’istanza deve ritenersi adeguatamente motivata. In merito l’istanza fa riferimento a fatti estranei alla volontà del titolare del permesso ed alla mole delle opere che ha impedito la conclusione dei lavori.
Nel caso di specie risulta chiaro che l’impossibilità di utilizzare la sala del commiato per cerimonie a bara aperta ha obiettivamente rallentato l’esecuzione dei lavori in quanto l’installazione dei complessi sistemi di areazione della sala è strettamente connessa allo stazionamento di bare aperte, con la conseguenza che la condizione apposta al permesso di costruire, l’incertezza che ne è seguita e la connessa iniziativa giudiziaria costituiscono fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire che hanno inciso sull’andamento dei lavori. Di tali elementi l’Amministrazione era evidentemente a conoscenza e, lungi dal rigettare l’istanza in ragione di una presunta sua genericità, essa avrebbe dovuto piuttosto indicare i motivi che eventualmente ostassero alla concessione della proroga. Il diniego di proroga del 9.11.2017 deve quindi essere annullato, mentre il precedente diniego del 3.11.2017 ha perso efficacia a seguito del rinnovo dell’istanza di proroga.
4. Venendo all’esame delle domande risarcitorie, esse sono fondate in considerazione dell’illegittimità degli atti adottati e degli effetti che essi hanno prodotto sullo svolgimento dei lavori.
In merito alla colpa dell’amministrazione occorre rammentare l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, V, 27 maggio 2014, n. 2708) secondo il quale <i>al di fuori del settore degli appalti (governato da autonomi principi sviluppati nel tempo dalla Corte di giustizia UE), in sede di accertamento della colpevolezza nell’esercizio della funzione pubblica, l’acclarata illegittimità del provvedimento amministrativo, integra, ai sensi degli artt. 2727 e 2729, co. 1, c.c., il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa in capo all’amministrazione; ne consegue che spetta a quest’ultima dimostrare la scusabilità dell’errore per la presenza, ad esempio, di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma (o di improvvisi revirement da parte delle Corti supreme), di oscurità oggettiva del quadro normativo (anche a causa della formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore), di rilevante complessità del fatto, della influenza determinante dei comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da successiva declaratoria di incostituzionalità della norma applicata dall’amministrazione. </i>
Nel caso di specie deve ritenersi che il quadro normativo in merito alla realizzabilità delle sale del commiato fuori dai cimiteri sia in Lombardia ben chiaro, stabile e di facile rilevabilità, per cui deve escludersi l’esistenza di un errore scusabile in materia, tra l’altro neppure invocato dall’amministrazione.
5. Venendo ora alla quantificazione del danno, occorre precisare che l’impedimento all’utilizzo completo della sala del commiato ha operato dal 12.07.2017, data di consegna del permesso condizionato fino al 01 febbraio 2018, data della concessione della sospensiva da parte del Tribunale, essendo invece irrilevante la successiva data del 23.03.2018 in cui il Comune resistente ha prorogato i termini per l’ultimazione lavori.
Per quanto riguarda le voci di danno la ricorrente, con la memoria di replica depositata il 17/01/19, che funge anche da memoria di precisazione delle conclusioni, chiede il risarcimento: per aver dovuto servirsi della casa del commiato di un’altra azienda di altro Comune (pagando i relativi importi per il noleggio della struttura); per la distrazione della clientela che si può essere rivolta ad altre imprese di Comuni vicini dotate di casa del commiato; per il ritardo – addebitabile ai provvedimenti illegittimi del Comune nella misura di almeno otto mesi – nell’esecuzione delle opere di realizzazione della casa del commiato.
In merito è priva di fondamento l’eccezione comunale relativa al possesso da parte della ricorrente di altre sale del commiato in altri Comuni in quanto non è data prova del loro utilizzo da parte delle famiglie residenti nel Comune colpite da decessi, fatto che il Comune avrebbe potuto accertare tramite i servizi mortuari comunali.
Per quanto attiene alla prova del danno va premesso che nel caso di specie occorre provvedere ad una valutazione equitativa, per l’oggettiva difficoltà nel quantificare il danno derivante dal fatto che lo sviamento della clientela connessa alla limitatezza dei servizi funerari offerti è di assai difficile prova.
In proposito va comunque ribadito (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 30.12.2014 n. 6428; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.01.2018 n. 12) che anche nel giudizio di equità la norma dell’art. 2697 Cod. civ. rappresenta un principio informatore del risarcimento dei danni, con la conseguenza che qualsiasi vicenda di danno lamentato da chi agisce in giudizio per il risarcimento debba essere provata dal danneggiato, sia pure con ogni mezzo, ivi comprese le allegazioni e le presunzioni semplici, fermo restando che la relativa articolazione va dimostrata nello specifico del caso concreto, cioè caso per caso, e non fatto discendere in via generale ed astratta quale conseguenza connessa automaticamente all’evento.
Nel caso di specie la ricorrente ha presentato la dichiarazione del 18.01.2018 di Garofalo Ornella e la dichiarazione del 20.01.2018 di Ga. Roberto che affermano di aver scelto altra impresa di pompe funebri per la mancanza della sala del commiato.
In merito, mediante una valutazione equitativa, si può quantificare, a seguito del contraddittorio svolto in udienza, il danno per perdita di funerali in euro 5.500,00.
Per quanto riguarda il noleggio di altre sale, nella memoria di replica la ricorrente indica quali strumenti di prova i documenti 3-4 del 25.01.2018 che però riguardano la perdita di clientela. A seguito di contraddittorio orale si può ritenere in via equitativa che il danno per utilizzo di altre sale sia quantificabile in euro 2.800,00.
Per quanto attiene poi il danno per ritardata conclusione dei lavori la ricorrente ha dichiarato di aver pagato in acconto la somma di euro 48.000,00 per la realizzazione dell’impianto di areazione per il servizio a bara aperta, che è stato posticipato. In merito ha allegato il doc. n. 36 che però ha per oggetto il progetto dei lavori; non ha dato, invece, prova del costo del ritardo nell’installazione, che è l’unica voce risarcibile. La richiesta va quindi respinta.
In definitiva il risarcimento dei danni può essere quantificato in euro 8.300,00.
6. L’importo del risarcimento del danno da responsabilità dell’Amministrazione, quale debito di valore, deve essere ristorato previa rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, <i>con decorrenza dalla data in cui si è verificato il danno, fino al deposito della decisione: a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta. Inoltre, spettano gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza di condanna fino al soddisfo. Si tratta in entrambi i casi di conseguenze automatiche direttamente discendenti dalla condanna al risarcimento del danno, a differenza della condanna al pagamento degli ulteriori interessi compensativi che, invece, deve essere appositamente oggetto di domanda giudiziale (art. 2043 c.c.)</> (in questo senso ex multis Cons. Stato Sez. V Sent., 20/11/2013, n. 5471). Nella fattispecie, alla luce degli elementi acquisiti e considerati, il danno può dirsi realizzatosi alla data del 31 gennaio 2018.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune Cadrezzate al risarcimento dei danni nella misura stabilita in motivazione (euro 8.300,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali).
Condanna il Comune Cadrezzate al pagamento delle spese processuali alla ricorrente, che liquida in euro 4.000, oltre accessori nella misura di legge, oltre alla restituzione del contributo unificato versato dalla ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Italo Caso, Presidente
Alberto Di Mario, Consigliere, Estensore
Antonio De Vita, Consigliere
L’ESTENSORE (Alberto Di Mario)
IL PRESIDENTE (Italo Caso)
IL SEGRETARIO