TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 18 dicembre 2024, n. 22939

TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 18 dicembre 2024, n. 22939

Pubblicato il 18/12/2024
N. 22939/2024 REG.PROV.COLL.
N. 09054/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9054 del 2021, proposto da
Marco D., rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Pittori, Federico Mazzella, con domicilio digitale come da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Pittori in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 24;
contro
A.M.A. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Mannocchi, con domicilio digitale come da Registri di Giustizia;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pier Ludovico Patriarca e dall’avvocato Paolo Richter Mapelli Mozzi, con domicilio digitale come da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
per l’annullamento
– della nota AMA s.p.a. prot. 00489.U del 4.6.2021, di rigetto della istanza di tumulazione dell’urna contente le ceneri di Paola D., madre del ricorrente, presentata dal medesimo in data 22.4.2021;
nonché per l’accertamento
– del libero esercizio dei diritti da parte del ricorrente, della sua famiglia e dei suoi successori ex lege in modo perpetuo (nei limiti degli otto posti previsti), iure sanguinis e ab indiviso tra loro (e, dunque, senza distinzioni, che pertengono al rapporto civilistico tra i comproprietari), il tutto secondo le disposizioni dell’originaria concessione (per i concessionari e loro famiglie) n. 2354 del 1952, qualsiasi altra “assegnazione” esclusa, e sino all’estinzione della famiglia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.M.A. S.p.A. e di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2024 la dott.ssa Maria Rosaria Oliva e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Oggetto del presente giudizio è il provvedimento del 4 giugno 2021, con cui la s.p.a. AMA ha respinto l’istanza del ricorrente, di data 22 aprile 2021, volta ad ottenere l’autorizzazione alla sepoltura dell’urna contenente le ceneri della madre (deceduta nel 2016) nella cappella del cimitero del Verano di cui un suo ascendente (unitamente alla sua consorte) ottenne la concessione cimiteriale perpetua n. 2364 del 24 ottobre 1952 (che ha assentito la tumulazione di otto salme, ‘sino alla estinzione della famiglia’).
2. Per precisare gli effetti dell’atto impugnato di data 4 giugno 2021 e per esaminare i motivi del ricorso, risulta necessario ricostruire alcune vicende che hanno caratterizzato l’utilizzo della cappella oggetto della concessione perpetua n. 2364 del 1952, rilasciata dal Comune di Roma in favore dei coniugi Pasquale D. (ascendente del ricorrente) e Fernanda S.
2.1. In data 13 novembre 1953, i concessionari (che si erano sposati entrambi in seconde nozze) avevano chiesto, per evitare future controversie tra i loro rispettivi eredi, di modificare le norme regolanti la concessione sepolcrale, consentendo unicamente la tumulazione delle loro salme (ciò che è avvenuto nel 1955 e nel 1964), oltre quelle già deposte, dei loro precedenti coniugi e della suocera del signor Pasquale D.
2.2. Successivamente, nel 1967, il figlio della signora Fernanda S. aveva ottenuto dal Comune di Roma la concessione per l’edificazione di una propria tomba di famiglia nel cimitero di Prima Porta, dove erano state traslate le spoglie del padre e della madre.
2.3. A seguito di tale traslazione, nella cappella del cimitero del Verano oggetto della concessione perpetua n. 2364 del 1952 sono rimaste tumulate tre salme (tutte riconducibili al nucleo familiare delle prime nozze del fondatore Pasquale D.: egli stesso, la sua prima moglie e la madre di costei), restando disponibili cinque loculi, rispetto ai quali gli eredi della signora S. e del suo primo marito, con tre distinti atti, avevano rinunciato ad ogni diritto di sepoltura.
2.4. In data 25 maggio 1990, il Comune di Roma aveva preso atto della rinuncia espressa dagli eredi della signora Fernanda S. ed aveva accolto l’istanza di data 12 aprile 1990, con cui il figlio del signor Pasquale D. (Guido D., anche in rappresentanza delle sorelle Vittoria e Franca) – quale erede dell’originario concessionario – aveva chiesto di subentrare nel diritto di utilizzare la cappella, dal momento che presso la stessa erano rimaste conservate le spoglie dei soli familiari del primo matrimonio del signor D. ed era quindi venuto meno l’unico presupposto del ‘divieto di utilizzo’, richiamato nella concessione del 1952, vale a dire possibili conflitti tra i rispettivi eredi dei fondatori.
2.5. Malgrado l’emanazione di tale provvedimento di data 25 maggio 1990, annotato sulla scheda cimiteriale, con il quale si “AUTORIZZA, gli eredi D, Guido, Vittoria e Franca ad usufruire dei posti disponibili” – e della conseguente tumulazione delle spoglie del signor Guido D., deceduto nel corso del 2003 – sono sorte contestazioni sugli effetti della concessione perpetua tra la famiglia del ricorrente, da un lato, ed il Comune di Roma e la s.p.a. AMA, dall’altro.
2.6. Un primo giudizio è stato proposto, tra gli altri, dalla signora Paola D., discendente dell’originario concessionario (e de cuius del ricorrente), ed è stato definito dal Consiglio di Stato, con la sentenza della Quinta Sezione n. 4401 del 2018.
Ella, in data 24 novembre 2003, aveva chiesto il trasferimento dal cimitero di Torino della cassetta dei resti di un proprio ascendente deceduto nel 1931.
Avendo l’Amministrazione inizialmente contestato tale possibilità, l’interessata aveva appreso che in data 19 novembre 2003 era stata iscritta una ‘annotazione d’ufficio’ sull’atto di concessione, con la quale si rendevano applicabili le disposizioni della delibera capitolina n. 146 del 1996, sulla revoca delle concessioni perpetue e sulla loro novazione in concessioni a tempo determinato.
Tale annotazione, unitamente alla delibera n. 146 del 1996, veniva perciò impugnata dagli eredi dell’originario concessionario, Pasquale D., innanzi al TAR per il Lazio, con un ricorso accolto con la sentenza n. 138 del 2009, di annullamento della previsione della delibera nella parte in cui aveva retroattivamente inciso sui diritti sorti con le concessioni perpetue rilasciate in precedenza.
All’esito del giudizio d’appello, la sentenza della Quinta Sezione n. 4401 del 2018, nel dichiarare inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione della disposizione regolamentare, ha esaminato la domanda degli interessati volta all’accertamento dei perduranti effetti della concessione in questione, rilevando che la “>la concessione cimiteriale di cui la famiglia D. è titolare non presenta caratteri di obbiettiva incertezza, né la sua esistenza o i suoi contenuti risultano oggetto di contestazione”, rilevando dunque il diritto degli eredi di avvalersi della concessione perpetua sino all’esaurimento degli otto loculi.
2.7. Nella pendenza del giudizio d’appello definito con la sentenza n. 4401 del 2018, l’odierno ricorrente ha chiesto alla s.p.a. AMA di tumulare la salma di sua madre, signora Paola D,, nel frattempo deceduta il 2 maggio 2016.
In data 8 agosto 2016, la s.p.a. AMA ha richiamato la precedente annotazione del 19 novembre 2003 (sopra menzionata) e le disposizioni regolamentari della delibera n. 146 del 1996.
Il ricorrente ha quindi impugnato, con un nuovo ricorso, la nota di data 8 agosto 2016 innanzi al TAR per il Lazio, il quale, con la sentenza n. 2248/2020, ha ritenuto il ricorso inammissibile per difetto di interesse (in considerazione dei principi enunciati dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4401 del 2018, sulla perdurante efficacia della concessione del 1952, e rilevando altresì la natura non provvedimentale dell’atto impugnato) ed infondato (venendo in rilievo la volontà degli originari concessionari di limitare l’utilizzazione del sepolcro).
Egli ha proposto appello avverso la sentenza n. 2248 del 2020 innanzi al Consiglio di Stato (col ricorso n. 9344 del 2020) ed ha ulteriormente chiesto alla s.p.a. AMA di autorizzare la sepoltura dell’urna cineraria della madre (la cui salma, a fronte del diniego di tumulazione, era stata nel frattempo cremata).
2.8. Con il provvedimento di data 4 giugno 2021 (oggetto del presente giudizio), la s.p.a. AMA ha ulteriormente ribadito che rileverebbero le volontà degli originari concessionari (come risultanti dall’iscrizione del 1953) ed ha respinto anche la nuova istanza.
3. Con il ricorso indicato in epigrafe, l’interessato ha impugnato la nota del 4 giugno 2021 e, con i primi due motivi, ne ha lamentato l’illegittimità sia per eccesso di potere (poiché incoerente con i precedenti atti dell’Amministrazione), sia per violazione del giudicato (poiché incoerente con le statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 4401 del 2018).
Ad avviso del ricorrente, l’Amministrazione ha errato nel considerare rilevanti le statuizioni della sentenza del TAR Lazio n. 2248/2020, tempestivamente appellata, ed ha errato nel dare rilievo al ‘vincolo derivante dalla volontà degli originari concessionari, come risultante dall’iscrizione del 28 novembre 1953’, essendovi stato nel 1990 il ripristino dell’originaria estensione della concessione, anche ai familiari.
Col terzo motivo, è lamentata la violazione degli artt. 70 e 76 del regio decreto n. 1880 del 1941, degli artt. 93 e 99 del d.P.R. n. 803 del 1975 e dell’art. 92 del d.PR. n. 285 del 1990, per i perduranti effetti delle concessioni perpetue rilasciate prima del 1975.
Il ricorrente ha chiesto, in conclusione, l’annullamento della nota del 4 giugno 2021 e l’accertamento del diritto suo, della sua famiglia e dei suoi successori di utilizzare in modo perpetuo la cappella, in base alle originarie previsioni della concessione n. 2364 del 1952.
4. La s.p.a. AMA e Roma Capitale hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione e, in subordine, hanno chiesto che il ricorso sia respinto, perché infondato.
5. In data 29 agosto 2024, la s.p.a. AMA ha depositato una memoria difensiva, con cui ha insistito nelle sue conclusioni;
6 Anche il ricorrente, in data 17 settembre 2024, ha depositato una memoria difensiva, insistendo nelle proprie conclusioni.
7. Ritiene il Collegio che il ricorso risulta fondato e va accolto.
7.1. In limine litis, va respinta la formulata eccezione di difetto di giurisdizione, secondo la quale la controversia rientrerebbe nell’ambito della cognizione del giudice civile.
Il provvedimento impugnato ha, infatti, inciso sugli effetti della originaria concessione cimiteriale n. 2364 del 1952, sicché va richiamata la pacifica giurisprudenza (formatasi nel vigore dell’art. 5 della legge n. 1034 del 1971 e ribadita nel vigore dell’art. 133, comma 1, lettera b) del codice del processo amministrativo), per la quale sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie in cui si faccia questione della sussistenza o meno di diritti sorti dal rilascio di concessioni cimiteriali.
Giova al riguardo considerare che il diritto al sepolcro in questione nasce dal rilascio di una concessione amministrativa, da parte della Pubblica Amministrazione, di un’area di terreno demaniale in un cimitero pubblico. Tale circostanza fa sì che la situazione giuridica soggettiva che da essa trae origine partecipi di una natura complessa, da un lato, di ‘diritto soggettivo perfetto di natura reale, assimilabile al diritto di superficie’, e perciò opponibile, iure privatorum, agli altri privati, dall’altro, di ‘interesse legittimo’ rispetto alla Pubblica Amministrazione concedente, ai cui poteri pubblicistici, regolativi e conformativi, soggiace.
7.2. Ciò posto, risultano fondati i primi due motivi del ricorso, secondo i quali l’atto impugnato ha incongruamente dato rilievo alla sentenza di questo TAR n. 2248 del 2020 (sulla rilevanza del ‘vincolo’ impresso dagli originari concessionari in data 13 novembre 1953), mentre in realtà avrebbe dovuto constatare gli effetti della concessione per come risultanti dall’annotazione di data 25 maggio 1990.
Le deduzioni del ricorrente, così sintetizzate, risultano fondate, poiché:
a) nessun provvedimento amministrativo ha inciso sugli effetti del provvedimento emesso in data 25 maggio 1990, che ha dato atto della rinuncia di alcuni dei titolari dei diritti (quali aventi causa) ed ha consentito la tumulazione di altre salme, oltre alle tre che già vi si trovavano sepolte;
b) le statuizioni contenute nella sentenza del TAR n. 2248 del 2020 (che esauriscono la motivazione del provvedimento impugnato) sono state riformate dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7639 del 2021, pubblicata due mesi dopo la notifica del ricorso in esame.
In coerenza con la sentenza del Consiglio di Stato del 2018, la sentenza n. 7639 del 2021:
– ha constatato la natura provvedimentale della nota del 2016 (di rigetto della istanza di tumulazione della madre del ricorrente), esclusa dalla sentenza del TAR n. 2248 del 2020, rilevandone la illegittimità per le ragioni già esposte nella sentenza n. 4401 del 2018;
– ha accertato lo ius inferendi mortuum in sepulchrum del ricorrente, quale titolare dell’interesse alla tutela del sentimento di pietà e memoria del defunto, riconoscendogli il diritto di collocare le ceneri della madre presso la cappella di famiglia.
Risulta non condivisibile la tesi difensiva della s.p.a. AMA, per cui rileverebbe la volontà degli originari concessionari.
Infatti, come hanno chiarito le due sentenze del Consiglio di Stato sopra citate, il provvedimento del 1990 (mai impugnato e neppure oggetto di atti di autotutela) ha prodotto effetti giuridici, pur se conseguente ad una dichiarazione degli eredi dei fondatori.
Per di più, dopo l’emanazione dell’atto del 1990, l’Amministrazione ha consentito all’interno della medesima cappella:
– la tumulazione, nel 2003, delle spoglie del figlio dell’originario concessionario;
– il trasferimento, nel 2004, di una cassetta-ossario appartenente al suocero del signor Pasquale D., dal cimitero di Torino, dove era stato sepolto nel 1931;
– l’estumulazione, ed il conseguente trasferimento presso il cimitero di Prima Porta, proprio della salma della fondatrice, signora S., (in accoglimento di una istanza di suo figlio), unitamente alla salma del primo marito, malgrado ella avesse chiesto di essere tumulata accanto al secondo marito.
Del resto, proprio la realizzazione di una seconda cappella nel cimitero di Prima Porta – su richiesta degli eredi del primo matrimonio della originaria concessionaria – e la loro successiva rinuncia ai diritti riguardanti la cappella in questione hanno, in realtà, comportato il venir meno dell’unica ed espressa ragione che aveva indotto i fondatori a porre il divieto di ulteriori tumulazioni, e cioè quella di evitare eventuali liti tra i numerosi eredi, essendovi state le seconde nozze.
Invero, risulta di tutta evidenza come, attraverso l’atto autorizzatorio del 1990 – rilasciato su istanza dei figli del fondatore, signor Pasquale D., e basato sulla presa d’atto della rinuncia degli eredi della fondatrice, signora Fernanda S. – la P.A. abbia realizzato di fatto, attraverso un rinnovato esercizio della propria discrezionalità e in accordo con tutti gli eredi dei fondatori, il subentro degli eredi del Sig. Pasquale D. nella concessione perpetua n. 2364 del 1952, per questa via riconducendo ad unità il complesso di posizioni giuridiche che già facevano capo ai concessionari originari.
Non può infatti sottacersi come, in coerenza con la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie degli anni Novanta che consideravano il diritto primario sul sepolcro familiare quale diritto personale di godimento e non un diritto reale, l’Amministrazione con il provvedimento di data 25 maggio 1990 abbia inteso prendere atto della trasformazione del sepolcro, da ‘familiare’ in ‘ereditario’, con la tumulazione dell’ultimo familiare avente diritto (nel 1964, la signora Fernanda S.), proprio in rigorosa osservanza della voluntas dei fondatori come ricavabile dalla iscrizione del 1953, oltre che successivamente dai facta concludentia del trasferimento della salma della fondatrice e del di lei primo marito nonché della rinuncia formalizzata dai loro eredi. In altre parole si è ritenuto che, con la morte dell’ultimo superstite compreso nella cerchia dei familiari aventi diritto allo ius sepulchri (inteso come diritto primario), fosse venuto a cessare il vincolo di destinazione impresso dal fondatore, vale a dire quel “patrimonio di scopo o di destinazione, che crea nei beneficiari una contitolarità di uso e di gestione”, estinguendosi così il limite posto alla libera circolazione del diritto stesso, che da quel momento – mutando da ‘familiare’ in ‘ereditario’ – è tornato a seguire le sorti del trasferimento secondo le ordinarie regole della successione mortis causa ovvero dei trasferimenti inter vivos, salvo i divieti imposti dai regolamenti comunali.
Diversamente opinando, laddove si ritenesse comunque prevalente l’iscrizione del 1953, l’Amministrazione sarebbe tenuta, coerentemente, a ripristinare lo status quo ante, in conformità con la ritenuta preminente voluntas dei fondatori all’epoca manifestata; dunque, ricollocando nel sepolcro in questione le sole salme che ivi giacevano al momento della tumulazione dell’ultimo concessionario originario, avvenuta nel 1964, vale a dire quelle dei fondatori, Pasquale D. e Fernanda S., dei loro precedenti coniugi e della suocera del signor Pasquale D.
7.3. Con riguardo al terzo motivo di ricorso, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire in più occasioni come le concessioni perpetue, rilasciate entro il 9 febbraio 1976, oltre a rimanere assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio in ossequio al principio tempus regit actum, possono essere modificate solo “da espressa disposizione di legge, da novazioni consensuali o dal concretarsi dei casi di estinzione quali ad es. soppressione del cimitero”. Con la conseguenza che tali concessioni mantengono il carattere di perpetuità, senza che sia possibile ipotizzare alcuna “conversione” di esse a tempo determinato, nemmeno adottando un Regolamento Comunale che vada a modificare la natura perpetua di tali concessioni, non potendo la regolamentazione comunale porsi in contrasto con le previsioni contenute nelle fonti normative gerarchicamente sovraordinate. Ciò che, al contrario, è destinato ad estinguersi è invece la potestà di esercitare il diritto di sepoltura una volta esaurita la capienza del sepolcro (cfr. C.d.S., sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505; TAR Lazio – Roma, Sez. II, n. 138/2009; TAR Sardegna – Cagliari, Sez. II, 30 gennaio 2006, n. 9).
7.4. Ad abundantiam, la scelta di AMA – di non riconoscere il diritto primario al sepolcro ai discendenti del fondatore, lasciando inutilizzati i posti realizzati dal privato all’interno del manufatto ed assentiti dall’autorità pubblica – risulta comunque irrazionale, contraddittoria e non conforme all’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, come cristallizzato nelle decisioni di Roma Capitale (attraverso la delibera del Consiglio Comunale n. 146/1996) di rafforzare l’istituto della revoca delle concessioni cimiteriali risalenti e (attraverso la modifica dell’art. 51 del Regolamento di polizia cimiteriale) di favorire la sepoltura di soggetti estranei al concessionario, ferma restando la necessità di “preservare il carattere familiare della sepoltura”, per far fronte ad una situazione oggettiva di ‘grave insufficienza’ dei cimiteri capitolini rispetto al fabbisogno (cfr. delibera del Consiglio Comunale di Roma n. 140 del 10 dicembre 2001).
8. L’accoglimento dei tre motivi di ricorso comporta l’annullamento del provvedimento impugnato, con la conseguente dichiarazione del diritto del ricorrente di ottenere la sepoltura delle ceneri della madre nella cappella del cimitero del Verano oggetto della concessione cimiteriale perpetua n. 2364 del 24 ottobre 1952, in ragione dell’ormai avvenuto superamento del vincolo originario alla stessa apposto, dal che ne deriva, quale effetto conformativo del disposto annullamento, che l’Amministrazione debba disporla senza indugio.
9. Quanto alle spese, la relativa condanna segue la soccombenza nei confronti della s.p.a. AMA, nella misura indicata nel dispositivo, mentre sussistono giusti motivi per compensarle nei rapporti tra il ricorrente e Roma Capitale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9054 del 2021, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento di AMA s.p.a. n. 489 del 4 giugno 2021, nei sensi di cui in parte motiva.
Condanna Ama spa al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio che liquida in complessivi euro 3.500 (tremilacinquecento/00), oltre accessori come per legge, nonché al rimborso del contributo unificato nella misura effettivamente versata. Compensa le spese nei confronti di Roma Capitale.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, via Flaminia n. 189, nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Donatella Scala, Presidente
Achille Sinatra, Consigliere
Maria Rosaria Oliva, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE (Maria Rosaria Oliva)
IL PRESIDENTE (Donatella Scala)
IL SEGRETARIO

Written by:

Sereno Scolaro

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