TAR Campania, Salerno, Sez. II, 7 novembre 2024, n. 2102

TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 158 D.Lgs. 12/4/2006, n. 163

Massima

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14/2014 ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006”. Più in dettaglio, secondo l’Adunanza Plenaria, “Se (…) nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale)”, posto che “In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate a operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio”. I suddetti principi, tuttavia, sono espressamente circoscritti dalla Plenaria al caso del contratto di appalto di lavori pubblici, “restando per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi”. Prendendo le mosse da tali principi, con la sentenza n. 2696/2024 il Consiglio di Stato ha recentemente affermato quanto segue: “La concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, piuttosto, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico), è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. La sua missione pubblicistica è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di bene pubblico, lo sfruttamento del bene nel senso delineato dalla concessione. In tale contesto trova ragion d’essere l’impostazione che ammette la revoca della concessione e della convenzione accessiva in costanza di rapporto esecutivo”. In altri termini per il Consiglio di Stato nella concessione, a differenza dell’appalto (ove la stipula del contratto dà luogo a un rapporto giuridico paritetico fra parte pubblica e parte privata), la stipulazione del contratto non modifica la qualificazione del rapporto, che continua, anche dopo il perfezionamento del negozio, la qualificazione di rapporto di diritto pubblico, con conseguente possibilità per l’Amministrazione di esercitare il potere autoritativo di revoca. Per quanto specificamente riguarda il contratto di concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici, viene poi in rilievo l’art. 158 del D.lgs. n. 163/2006, espressamente richiamato anche dalla citata Adunanza Plenaria n. 14/2014, la quale, a conferma dell’assunto dell’inammissibilità della revoca postcontrattuale nell’appalto evidenziava che: “quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca "per motivi di pubblico interesse" a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice)”.

Testo

TAR Campania, Salerno, Sez. II, 7 novembre 2024, n. 2102

Pubblicato il 07/11/2024
N. 02102/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01539/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1539 del 2024, proposto da
Impresa < omissis >, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Salvatore Della Corte, Luca Ruggiero e Fabio Ruggiero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio sito in Napoli, Via Vittorio Veneto n. 288/A;
contro
Comune di San Valentino Torio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Di Lieto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
a) della Determinazione n. 613 del 10 settembre 2024, mai comunicata, a firma del Responsabile del Servizio IV – LL.PP. e Governo del Territorio, con la quale, in forza della Deliberazione giuntale impugnata sub b), si è disposta la revoca di “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di Project Financing, ai sensi dell’art.21-quinquies della legge n.241/1990 della convenzione Rep. 256 del 19/07/2013”;
b) della Deliberazione di Giunta Comunale n. 117 del 19 luglio 2024, anch’essa mai comunicata, con la quale il Comune di San Valentino Torio ha demandato al Responsabile del Servizio IV “di porre in essere tutti gli atti amministrativi volti alla revoca ai sensi dell’art.21-quinquies della legge n.241/1990 della convenzione rep.n.256 del 19/7/2013 per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di project financing nonché di tutti gli atti annessi e connessi con la detta procedura”;
c) di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compresa la relazione istruttoria (di contenuto non noto) prot. n.17355 del 22 novembre 2023 del Responsabile del IV Servizio, e la comunicazione di avvio del procedimento dell’11 aprile 2024.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Valentino Torio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2024 la dott.ssa Laura Zoppo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente ricorso si impugna la determinazione n. 613 del 10 settembre 2024 a firma del Responsabile del Servizio IV- LL.PP. e Governo del Territorio del Comune di San Valentino Torio con la quale, in forza della Deliberazione della Giunta Comunale n. 117 del 19 luglio 2024, pure gravata, si è disposta la revoca di “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di Project Financing, ai sensi dell’art. 21- quinquies della legge n. 241/1990 della convenzione Rep del 19/07/2013”.
Rappresenta in fatto l’impresa ricorrente che, in esito all’espletamento di una procedura di gara pubblica ai sensi dell’art. 153, commi 1-14 del D.lgs. 163/2006, è stata individuata quale “Soggetto Promotore” della Concessione per la progettazione e la realizzazione di lavori di ampliamento del Cimitero Comunale, giusta Determinazione Dirigenziale n. 146 del 16 maggio 2012.
Deduce che, con successiva determinazione giuntale n. 126 del 1° novembre 2012, è stato approvato il progetto preliminare trasmesso dal Promotore con le modifiche progettuali richieste dall’Amministrazione e che, in data 19 luglio 2013, è stata sottoscritta la Convenzione rep. n. 256 avente ad oggetto la Concessione, in esclusiva e con diritto di privativa, della “progettazione e dell’esecuzione dei lavori per l’ampliamento del plesso cimiteriale e di tutte le attività collegate, funzionali utili ed opportune”.
Aggiunge di aver presentato, in data 18 ottobre 2013, il progetto definitivo dell’ampliamento del Cimitero, assunto al protocollo del Comune col n. 9232, e che, nonostante ciò, il Comune di San Valentino Torio non ha assunto alcuna determinazione in ordine alla sua approvazione.
A fronte di una situazione di assoluto stallo della procedura determinata dalla condotta colpevolmente omissiva della P.A., rappresenta parte ricorrente di avere ripetutamente diffidato e costituito in mora quest’ultima ma che neppure a seguito dell’incontro tenutosi presso i suoi Uffici questa ha inteso porre rimedio al dedotto arresto procedimentale.
Sicché, la ricorrente ha adito il Tribunale di Nocera Inferiore ai fini dell’accertamento e della declaratoria del grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del Comune resistente e, di conseguenza, della risoluzione del contratto di concessione rep. n. 256 del 19 luglio 2023, con condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni cagionati alla società.
Nell’ambito del detto giudizio, ancora non concluso, il Comune convenuto ha a sua volta proposto domanda riconvenzionale volta all’accertamento della risoluzione della concessione per grave inadempimento della società odierna ricorrente.
Ha poi attivato un “procedimento di revoca degli atti di gara e della procedura in oggetto con conseguente nullità/inefficacia del contatto nelle more stipulato, sussistendo i motivi di cui all’art. 21-quinquies della stessa legge 241/1990 e ss.mm. ed ii.” all’esito del quale è stata adottata la Determina di revoca di “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di Project Financing, ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990 della convenzione Rep. 256 del 19/07/2013”.
Censurando il provvedimento de quo e i relativi atti presupposti, parte ricorrente eccepisce l’assoluta illegittimità dell’operato della P.A. per sviamento della causa tipica, atteso che non sussisterebbe alcun sopravvenuto motivo di pubblico interesse, ovvero mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, idoneo a giustificare la revoca ex art. 21 quinquies L. n. 241/1990 degli atti della procedura di gara.
Rileva che, in ogni caso, le circostanze richiamate dall’amministrazione al fine di legittimare i provvedimenti adottati, non soltanto non sarebbero corrispondenti al vero ma non costituirebbero comunque il presupposto per l’esercizio del potere di revoca, afferendo le stesse alla fase esecutiva del rapporto contrattuale e alla corretta esecuzione delle obbligazioni poste reciprocamente a carico delle parti.
Come anche l’asserita “assenza di aggiudicazione definitiva quale atto conclusivo della fase ad evidenza pubblica …”, circostanza pure addotta dall’amministrazione a fondamento della contestata revoca, potrebbe al più assurgere a profilo di legittimità rilevante unicamente ai fini dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies L. n. 241/1990, che risulta tuttavia precluso dall’ampio decorso del termine ragionevole.
La ricorrente rileva poi che i provvedimenti gravati risultano affetti da evidente illegittimità anche sotto il profilo del mancato riconoscimento dell’indennizzo da mancato guadagno di cui all’art. 158, D.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis al caso di specie.
Si è costituito per resistere il Comune di San Valentino Torio il quale ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, vertendo la controversia a suo dire sull’inadempimento del contratto-convenzione rep. n. 256 del 19 luglio 2013.
Ha poi dedotto l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e di interesse, rilevando che, ai sensi dell’art. 1453 c.c., nei contratti con prestazioni corrispettive quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere o l’adempimento o la risoluzione del contratto. Sicché, avendo il ricorrente chiesto in sede civile la risoluzione, non vanterebbe alcun interesse a gravare gli atti impugnati nella presente sede sede.
Da ultimo, ha contestato la fondatezza del ricorso nel merito.
La causa è stata chiamata alla camera di consiglio del 30 ottobre 2024 ed è stata trattenuta in decisione con preavviso a verbale sulla possibilità di una sentenza in forma semplificata.
DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato quanto alla domanda principale di annullamento e manifestamente fondato quanto alla domanda subordinata di condanna del Comune al pagamento dell’indennizzo, nei sensi e nei termini di seguito indicati, e pertanto il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a. in esito all’udienza cautelare.
Viene all’esame del Collegio la questione della legittimità della revoca degli atti relativi al contratto di concessione in finanza di progetto pronunciata successivamente alla stipulazione della convenzione.
Giova pertanto preliminarmente affrontare sul piano sistematico il problema dell’ammissibilità della revoca postcontrattuale degli atti di gara, ossia dell’autotutela esterna al contratto.
Come è noto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14/2014 ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006” .
Più in dettaglio, secondo l’Adunanza Plenaria, “Se (…) nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto di lavori pubblici, è stata in particolare prevista per gli appalti di lavori pubblici una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale)”, posto che “In caso contrario la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate a operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio” .
I suddetti principi, tuttavia, sono espressamente circoscritti dalla Plenaria al caso del contratto di appalto di lavori pubblici, “restando per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi”.
Prendendo le mosse da tali principi, con la sentenza n. 2696/2024 il Consiglio di Stato ha recentemente affermato quanto segue: “La concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, piuttosto, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico), è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. La sua missione pubblicistica è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di bene pubblico, lo sfruttamento del bene nel senso delineato dalla concessione.
In tale contesto trova ragion d’essere l’impostazione che ammette la revoca della concessione e della convenzione accessiva in costanza di rapporto esecutivo
”.
In altri termini per il Consiglio di Stato nella concessione, a differenza dell’appalto (ove la stipula del contratto dà luogo a un rapporto giuridico paritetico fra parte pubblica e parte privata), la stipulazione del contratto non modifica la qualificazione del rapporto, che continua, anche dopo il perfezionamento del negozio, la qualificazione di rapporto di diritto pubblico, con conseguente possibilità per l’Amministrazione di esercitare il potere autoritativo di revoca.
Per quanto specificamente riguarda il contratto di concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici, viene poi in rilievo l’art. 158 del D.lgs. n. 163/2006, espressamente richiamato anche dalla citata Adunanza Plenaria n. 14/2014, la quale, a conferma dell’assunto dell’inammissibilità della revoca postcontrattuale nell’appalto evidenziava che: “quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice)”.
Ed effettivamente, dal dettato di cui all’art. 158 del D.lgs. n. 163/2006, può senza dubbio desumersi la voluntas del legislatore di estendere l’istituto della revoca per motivi di pubblico interesse anche agli ambiti negoziali successivi alla stipulazione del contratto di concessione di lavori pubblici in finanza di progetto.
Per concludere, può quindi in astratto affermarsi l’ammissibilità della revoca della concessione successiva alla stipulazione della convenzione.
In punto di giurisdizione, giova poi richiamare l’ordinanza n. 10935/2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui: “può distinguersi tra atti di ritiro incidenti direttamente sul contratto (recesso, risoluzione), qualificabili come atti di autotutela “interna”, che hanno natura privatistica con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, e atti di ritiro dell’aggiudicazione (annullamento, decadenza, revoca) i quali, in quanto incidenti sul provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica (e solo di riflesso sul contratto), danno luogo ad una forma di autotutela “esterna” al contratto di appalto, hanno natura pubblicistica e rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo”.
E ancora, in materia di revoca di una concessione, può citarsi la decisione delle Sezioni Unite n. 13623/2011, secondo la quale è nulla per difetto di giurisdizione del giudice ordinario la clausola compromissoria con cui si attribuisca alla cognizione degli arbitri la controversia avente ad oggetto l’atto col quale la P.A. revochi la concessione di progettazione, costruzione e gestione di opera pubblica e risolva la convenzione ad essa successiva.
Per tali ragioni, infondata si appalesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia di cui trattasi.
Deve al riguardo rilevarsi che tanto i connotati formali-procedimentali, quanto quelli sostanziali dell’atto impugnato, depongono univocamente nel senso che si tratti di una revoca ex art. 21 quinquies di cui alla legge sul procedimento amministrativo.
Invero, l’Amministrazione, al fine di emettere una motivata manifestazione unilaterale di volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale, ha valorizzato profili di opportunità, intendendo dunque esercitare un proprio potere autoritativo assoggettandosi alle norme di cui alla L. n. 241/1990.
Conseguentemente, poiché l’azione amministrativa, per come esercitata e per come motivata nell’atto impugnato, lungi dal contestare all’aggiudicataria inadempimenti nell’esecuzione del contratto, si connota in termini di esercizio autoritativo di autotutela sulla precedente fase di affidamento, rientra come tale nella giurisdizione del G.A.
Neppure può apprezzarsi favorevolmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e di interesse ad agire, pure avanzata dal Comune resistente.
Anzitutto, la ricorrente appare titolare di un interesse qualificato e differenziato legittimante l’azione di annullamento proposta, senza che la domanda di risoluzione avanzata in altro giudizio possa far venir meno tale interesse.
Si aggiunga che di palmare evidenza si appalesano le utilità che la stessa otterrebbe dall’eventuale caducazione del provvedimento amministrativo gravato, anche solo sul versante risarcitorio, essendo certamente possibile far derivare conseguenze risarcitorie in danno dell’amministrazione dall’illegittima adozione di un provvedimento di revoca (ex multis Consiglio di Stato, 28 gennaio 2019, n. 697).
Entrambe le eccezioni preliminari si appalesano, pertanto, infondate.
Occorre, a questo punto, procedere al vaglio nel merito dei motivi di censura dell’epigrafato provvedimento di revoca.
In sintesi, parte ricorrente eccepisce l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241/1990 e contesta la motivazione relativa al presunto “nuovo” interesse pubblico, che sarebbe in realtà immutato rispetto a quello (la realizzazione di nuovi loculi) che aveva mosso a suo tempo la P.A. ad attivare il procedimento culminato con la stipula della convenzione, lamentando altresì il mancato riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 158 D.lgs. 163/2006.
Le doglianze sono infondate avendo l’Amministrazione esercitato il potere di revoca degli atti relativi alla procedura di gara nel rispetto degli oneri motivazionali imposti ex lege.
Non va a tale ultimo proposito sottaciuto che, trattandosi di un potere autoritativo e unilaterale esercitato in una fase avanzata della procedura e pertanto idoneo ad incide sull’altrui affidamento, vige, a fortiori, l’obbligo in capo alla P.A. di fornire trasparenti e ragionevoli giustificazioni di pubblico interesse.
Invero, in materia di project financing è ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di revoca il quale indichi dettagliatamente e in maniera approfondita le ragioni sia di fatto che giuridiche a sostegno delle determinazioni di revoca (v. Consiglio di Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927).
Ciò posto, nel caso di specie, le censure di parte ricorrente in ordine all’insufficienza motivazionale del gravato provvedimento non appaiono meritevoli di favorevole apprezzamento.
Tenuto conto dell’interesse pubblico avente quale obiettivo la più rapida realizzazione di nuovi loculi cimiteriali all’interno del già esistente perimetro cimiteriale, la P.A. resistente deduce che: “dalla ricezione delle offerte (pervenute oltre 10 anni fa), le materie prime e le tecniche progettuali proposte dai concorrenti siano divenute obsolete e/o non economicamente convenienti tanto per la Pubblica Amministrazione quanto per i medesimi concorrenti oltre che non corrispondenti alle Nuove Norme Tecniche sulle Costruzioni”.
Il Comune ha dunque indicato i motivi – vale a dire le ragioni giuridiche e fattuali – che l’hanno indotto a disporre la revoca dei provvedimenti relativi alla procedura.
È evidente come, in mancanza, la P.A. si esporrebbe a facili azioni dei concorrenti e sarebbe pure tenuta a sopportare eventuali maggiori costi per opere intrinsecamente prive dell’efficienza necessaria al raggiungimento degli scopi di pubblico interesse sottesi alla loro realizzazione.
Sicché, rammentando che il potere di revoca di un provvedimento in autotutela trova fondamento nel principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost. (il quale impone alla stessa di adeguare la propria azione allo specifico interesse pubblico perseguito in rapporto anche alle modificazioni delle circostanze esterne o anche all’esito di una rinnovata valutazione) e che dinanzi ad un siffatto potere discrezionale il sindacato del G.A. è limitato ad aspetti che evidenzino l’irragionevolezza o il travisamento istruttorio nell’azione dell’Amministrazione (elementi senz’altro assenti nel caso specifico essendosi dato atto delle specifiche ragioni poste alla base della rinnovata valutazione della P.A.), il provvedimento impugnato non può che ritenersi legittimo in quanto adeguatamente motivato.
Venendo al motivo di doglianza relativo alla mancata previsione dell’indennizzo di cui all’art. 158 del D.lgs. n. 163/2006, deve osservarsi che, per giurisprudenza consolidata, la mancata previsione dell’indennizzo in un provvedimento di revoca non ha efficacia viziante o invalidante rispetto a quest’ultimo ma semplicemente legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi al giudice amministrativo che potrà scrutinarne i presupposti (cfr. T.A.R. Valle d’Aosta, sez. I, 10 giugno 2022, n. 32).
Precipitato logico di quanto anzidetto è che, nel caso di specie, il provvedimento di revoca, frutto del legittimo esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione, pur non contenendo alcuna disposizione in ordine al riconoscimento dell’indennizzo al privato, non può per ciò solo considerarsi illegittimo, e tuttavia parte ricorrente ben può vantare un diritto all’indennizzo.
La domanda subordinata di condanna del Comune al pagamento dell’indennizzo va quindi accolta, con la precisazione che l’indennizzo dovuto nel caso di specie è quello previsto dal comma 1 bis dell’art. 21 quinquies L. n. 241/1990.
Invero, come già chiarito, l’atto impugnato ha natura di revoca ex art. 21 quinquies, ammissibile sia in astratto che in concreto, senza che a ciò osti la sussistenza della disciplina peculiare in materia di revoca dettata dall’art. 158 del citato D.lgs. n. 163/2006 (sia pure ratione temporis applicabile).
Innanzitutto, la disposizione del codice dei contratti del 2006 faceva esplicito riferimento alla revoca della concessione, nella specie non pronunciata (avendosi unicamente riguardo a “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura”).
Inoltre, la stessa norma contemplava la sola revoca “per motivi di pubblico interesse”, mentre la nozione di revoca regolamentata dall’art. 21 quinquies è più ampia, essendo contemplati tre presupposti alternativi per la legittima adozione del provvedimento: i sopravvenuti motivi di pubblico interesse; il mutamento della situazione di fatto; la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi).
Ebbene, nel caso di specie la revoca non è stata pronunciata per effetto di una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico ma per ragioni di opportunità basate su una modifica della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione dei provvedimenti relativi alla procedura), che costituisce la ragione specifica del provvedimento amministrativo e che questo Giudice condivide per le ragioni già espresse.
Ne consegue che il Comune è tenuto a corrispondere l’indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge 241/1990.
Ciò posto, per la concreta quantificazione e liquidazione di tale importo, il Collegio reputa opportuno applicare il disposto dell’art. 34, comma 4, c. p. a., secondo cui: “In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti”.
I “criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma” s’identificano, nella specie, in quelli dettati dal comma 1 bis dell’art. 21 quinquies L. n. 241/1990, che recita: “Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.
Il Collegio dispone quindi che il Comune resistente, ex art. 34, comma 4 c.p.a., proponga, alla ricorrente, il pagamento, nel termine perentorio di novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, di una somma di denaro, quantificata secondo i criteri sopra precisati, oltre interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo.
Stante la reciproca soccombenza, si giustifica la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:
– rigetta la domanda di annullamento;
– accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione, la domanda di indennizzo proposta dall’impresa ricorrente contro il Comune di San Valentino Torio e, per l’effetto, dispone che lo stesso Comune, ex art. 34, comma 4 c.p.a., proponga alla società ricorrente il pagamento, nel termine perentorio di novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, di una somma di denaro, quantificata secondo i criteri precisati in parte motiva, oltre interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo;
– compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Nicola Durante, Presidente
Michele Di Martino, Referendario
Laura Zoppo, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE (Laura Zoppo)
IL PRESIDENTE (Nicola Durante)
IL SEGRETARIO