Corte di Cassazione, Sez. VI civ., 14 novembre 2019, n. 29548 (ordinanza)
MASSIMA
Corte di Cassazione, Sez. VI civ., 14 novembre 2019, n. 29548 (ordinnza)
Corte di Cassazione, Sez. VI civ., 14 novembre 2019, n. 29548 (ordinnza)
Costituisce affermazione consolidata e risalente nel tempo quella secondo cui (Cass. n. 2475/1970) lo jus eligendi sepulchrum</i> rientra nella categoria dei diritti della personalità e, come tale, non può formare oggetto di trasferimento mortis causa. Nel caso in cui la electio non sia stata esercitata dal
defunto durante la sua vita, la scelta del luogo di sepoltura può essere fatta dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello ius coniugii, sullo ius sanguínis e di questo sullo ius successionis (conf. Cass. n. 1527/1978).
Con specifico riferimento al caso in cui, una volta attuata la scelta da parte del soggetto al quale l’ordinamento attribuisce una posizione poziore tra i congiunti del defunto, si dibatta circa la necessità o meno del trasferimento del luogo di sepoltura, la stessa Corte di Cassazione ha altresì precisato che (Cass. n. 4288/1974) nel giudicare dell’opposizione dei parenti del defunto alla traslazione della salma di questo, ad iniziativa degli attuali aventi diritto alla scelta del sepolcro – a seguito della verificatasi necessità di immutare l’originario luogo di sepoltura – il giudice, una volta accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazíone del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro.
defunto durante la sua vita, la scelta del luogo di sepoltura può essere fatta dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello ius coniugii, sullo ius sanguínis e di questo sullo ius successionis (conf. Cass. n. 1527/1978).
Con specifico riferimento al caso in cui, una volta attuata la scelta da parte del soggetto al quale l’ordinamento attribuisce una posizione poziore tra i congiunti del defunto, si dibatta circa la necessità o meno del trasferimento del luogo di sepoltura, la stessa Corte di Cassazione ha altresì precisato che (Cass. n. 4288/1974) nel giudicare dell’opposizione dei parenti del defunto alla traslazione della salma di questo, ad iniziativa degli attuali aventi diritto alla scelta del sepolcro – a seguito della verificatasi necessità di immutare l’originario luogo di sepoltura – il giudice, una volta accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazíone del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro.
NORME CORRELATE
Civile Ord. Sez. 6 Num. 29548 Anno 2019
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 14/11/2019
ORDINANZA
sul ricorso 22802-2017 proposto da:
S. VANDA, B. EUGENIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA M. PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELA SCOTTON giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
C. CESARE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. SERPIERI 8, presso lo studio dell’avvocato GAETANO BUSCEMI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO PANIZZA giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 855/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 15/O6/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/O6/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalle ricorrenti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Le ricorrenti convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Cremona C. Cesare al fine di accertare il loro diritto a stabilire il luogo di sepoltura del nipote G. Adenilson, con la conseguente illegittimità del rifiuto opposto dal convenuto alla estumulazione ed al trasferimento della salma dal Comune di Persico Dosimo a quello di Casalmorano.
Nella resistenza del convenuto il tribunale adito con la sentenza del 19/9/2013 rigettava la domanda e la Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 855 del 15/6/2017 rigettava il gravame rilevando che le attrici non erano titolari in quanto parenti più prossimi del defunto dello jus eligendi sepu/chrum, diritto che peraltro era già stato esercitato dai genitori del defunto che avevano deciso di seppellire il figlio nel cimitero di Persico Dosimo, e che quindi non potevano contraddire l’iniziale manifestazione di volontà dei genitori.
Andava pertanto negato il diritto, una volta effettuata la scelta da parte dei congiunti più prossimi, a variare il luogo di sepoltura in favore di colui che ha in un secondo momento acquisito la qualifica di parente più prossimo. Inoltre, poiché il convenuto, in quanto concessionario della tomba ove era stato seppellito il giovane, si era limitato a sottoscrivere il consenso alla tumulazione anche del G., non era legittimato a contraddire la domanda attorea, atteso anche che il suo rifiuto era motivato dal timore legittimo che una volta avvenuta l’estumulazione del nipote delle attrici, sarebbe stato necessario spostare anche il luogo di sepoltura del figlio del C.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso B. Eugenia e s. Vanda sulla base di tre motivi.
C. Cesare ha resistito con controricorso.
Rileva il Collegio che non possa avere seguito la proposta di improcedibilità del ricorso, inizialmente formulata dal relatore in relazione alla mancata produzione di attestazione di conformità dei messaggi pec della notificazione della sentenza impugnata.
A tal fine occorre evidenziare che alcuni precedenti avevano inizialmente affermato che, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notìfica, doveva estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della I. n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte ( Cass. n. 24442/2017; Cass. n. 17450/2017; Cass. n. 6657/2017).
Trattasi peraltro di principio che era stato ribadito da questa Sezione con l’ordinanza n. 30765/2017, che dando conto della necessità di contemperare i principi del processo telematico con le peculiarità del giudizio di cassazione, aveva riaffermato che se il destinatario della notifica del provvedimento impugnato intende proporre ricorso per cassazione, doveva depositare nella cancelleria della Corte copia analogica del messaggio di posta elettronica ricevuto e dei relativi allegati, atto impugnato e relazione di notifica, e dovrà attestare la conformità di tali documenti cartacei agli originali digitali.
L’autenticazione del messaggio p.e.c. era poi necessaria, perchè solo di li si evince giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario, essendo altresì necessaria l’autenticazione dei suoi due allegati: relazione della notificazione a mezzo p.c.c. e provvedimento impugnato autenticato dall’avvocato che ha provveduto alla notifica, in quanto solo così si adempie a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., laddove richiede, a pena d’improcedibilità, il deposito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.
Pertanto l`avvocato che proponeva un ricorso per cassazione, anche quando il provvedimento impugnato gli è stato notificato con modalità telematiche, ha gli strumenti per procedere agli adempimenti richiesti, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., e quindi, qualora, trascorsi venti giorni dalla notificazione del ricorso per cassazione non siano state depositate le copie analogiche dei suddetti documenti digitali, corredate dalla attestazione di conformità, nel senso sopra indicato, e qualora le stesse, con attestazione di conformità, non siano state depositate dal controricorrente o non siano comunque agli atti, il ricorso è improcedibile, senza che l’improcedibilità possa essere sanata da una produzione successiva alla scadenza del termine di venti giorni dalla notiflca.
Tuttavia la questione è stata rimessa alla decisione delle Sezioni Unite che, nella sentenza n. 8312/2019, hanno affermato il principio secondo cui nel caso di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non può dichiararsi la sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale e della relata di notifica telematica agli originali.
Poiché nella fattispecie con la copia della sentenza impugnata sono stati depositati anche i messaggi pec relativi alla notifica della sentenza nel rispetto del termine di cui all’art. 369 c.p.c., e considerato che parte controricorrente non ha contestato la loro conformità, pur in assenza di formale attestazione di conformità, non può pervenirsi alla declaratoria di improcedibilità del ricorso.
Ritiene il Collegio che debba quindi procedersi alla disamina nel merito del ricorso che si palesa comunque come manifestamente infondato.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 c.c. in coordinato disposto con l’art. 12 delle preleggi e l’art. 13 Cost. con la conseguente errata interpretazione dello jus eligendí sepulchrum. Difetto di motivazione ovvero motivazione illogica o incongruente.
Assumono le ricorrenti che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che il diritto di scelta del luogo di sepoltura dello sfortunato G. Adenilson si fosse esaurito con l’esercizio da parte dei genitori, ma trattasi di conclusione che è erronea posto che, come affermato anche da questa Corte, nulla esclude che possa autorizzarsi la successiva traslazione delle spoglie mortali in altro luogo su richiesta di coloro che sono divenuti i parenti più prossimi del defunto.
La sentenza impugnata ha omesso di verificare le ragioni addotte dalle ricorrenti a giustificazione della richiesta di spostamento del luogo di sepoltura, tenuto conto della circostanza che i genitori del defunto, che avevano a loro tempo deciso il seppellimento nel cimitero di Persico Dosimo, erano deceduti nell’arco di pochi anni, essendo quindi le ricorrenti divenute le parenti più prossime del giovane, palesando in tal modo il loro giustificato interesse allo spostamento dei resti mortali in un luogo più vicino a quello della loro residenza al fine di adempiere con maggiore frequenza e comodità ai doveri nei confronti della memoria del defunto.
Il motivo va disatteso alla luce proprio della giurisprudenza di questa Corte, i cui principi appaiono essere stati rispettati dalla sentenza gravata.
Costituisce affermazione consolidata e risalente nel tempo quella secondo cui (Cass. n. 2475/1970) lo jus eligendi sepulchrum rientra nella categoria dei diritti della personalità e, come tale, non può formare oggetto di trasferimento mortis causa. Nel caso in cui la electio non sia stata esercitata dal
defunto durante la sua vita, la scelta del luogo di sepoltura può essere fatta dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello ius coniugii, sullo ius sanguínis e di questo sullo ius successionis (conf. Cass. n. 1527/1978).
Con specifico riferimento al caso in cui, una volta attuata la scelta da parte del soggetto al quale l’ordinamento attribuisce una posizione poziore tra i congiunti del defunto, si dibatta circa la necessità o meno del trasferimento del luogo di sepoltura, questa Corte ha altresì precisato che (Cass. n. 4288/1974) nel giudicare dell’opposizione dei parenti del defunto alla traslazione della salma di questo, ad iniziativa degli attuali aventi diritto alla scelta del sepolcro – a seguito della verificatasi necessità di immutare l’origìnario luogo di sepoltura – il giudice, una volta accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazíone del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro.
Ed è quindi in tale indicazione prospettica, orientata alla salvaguardia della scelta iniziale, ed alla valutazione prudenziale delle ragioni addotte da chi, una volta divenuto parente più prossimo del defunto, che deve essere inteso anche il precedente richiamato dalla difesa delle ricorrenti (Cass. n. 9168/1987), che appunto ha statuito che il diritto del coniuge superstite di scegliere e di trasferire il luogo di sepoltura del coniuge defunto, che trova limite soltanto nella diversa volontà già espressa dal defunto, non si pone in contrasto con la pietà verso i defunti perché la coscienza collettiva cui tale sentimento si riferisce non disapprova ne’ percepisce negativamente la translatio dei resti mortali per una tumulazione ritenuta ragionevolmente più conveniente dal coniuge superstite e da altri aventi diritto.
Orbene, posti tali principi ai quali il Collegio intende assicurare continuità, la sentenza gravata, lungi dall’esaurire la propria decisione negativa per le ricorrenti, nell’affermazione circa il fatto che i genitori a loro tempo avessero deciso di seppellire il figlio prematuramente scomparso nel cimitero di Persico Dosimo, e non in quello di Cremona, ove pur risiedevano, ha fornito contezza delle ragioni che deponevano a favore della conservazione della scelta inizialmente effettuata.
Oltre a ricordarsi che la stessa individuazione del luogo di sepoltura era frutto di una decisione concordata effettuata d’intesa con i genitori dell’amico del defunto, che aveva perso la vita nel medesimo incidente di cui era stato vittima il giovane Adenilson, si è sottolineato altresì come tale intento fosse volto ad assicurare la vicinanza anche dopo la morte a coloro che erano stati avvinti da una profonda amicizia e che avevano condiviso anche l’avversa fortuna, a suggellare quindi quel sentimento di amicizia a memoria del quale era stato anche eretto un monumento funebre in legno della val Camonica apposto in corrispondenza della tomba.
Nella motivazione si è altresì evidenziato come lo spostamento della tomba, atteso il peculiare regime della concessione cimiteriale rilasciata su richiesta congiunta dei genitori dei due amici, avrebbe avuto gravi ripercussioni anche sulla sorte delle spoglie mortali del figlio del controricorrente, rinnovando una ferita, mai Ienita, stante la necessità di dover ricollocare in un’altra sepoltura anche i resti mortali di C. Davide, con la rimozione del detto monumento funebre.
Appare al Collegio che tali elementi, puntualmnte evidenziati in motivazione, consentano di affermare che la Corte distrettuale abbia anche effettuato una valutazione comparativa yta le ragioni poste a fondamento della scelta iniziale dei genitori del defunto e quelle addotte dalle attrici, e che tale valutazione sia stata evidentemente risolta in favore della prima, posto che le esigenze morali che avevano portato ad effettuare un sepoltura comune dei due amici, con la creazione di un monumento volto a ricordare ai postumi la loro amicizia, unitamente alle diffioltà che lo spostamento anche di una salma avrebbe determinato sull’altro beneficiario della concessione cimiteriale, erano da reputarsi prevalenti rispetto alla difficoltà di poter esercitare con assiduità gli atti di culto e di pietas sulla tomba del nipote da parte delle attrici, avuto anche riguardo alla circostanza che la distanza tra il luogo di residenza dei parenti e quello di sepoltura era un elemento già tenuto presente al momento della scelta effettuata da parte dei genitori (essendosi dato atto a pag. 6 che la famiglia del G. risiedeva in Cremona e non nel comune di Persico Dosimo).
Risultano, quindi, insussistenti le dedotte violazioni di legge, e si palesa altresì una motivazione connotata come logica e coerente e quindi immune dalla critica di assoluta carenza, essendo viceversa inammissibili, attesa l’applicabilità alla fattispecie delle novellate previsioni di cui all’art. 348 ter e 360
co. 1 n. 5 c.p.c., le censure che attengono alla logicità ed alla congruenza della motivazione, vertendosi in un’ipotesi di cd. doppia conforme.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione de|l’art. 112 c.p.c. e de|l’art. 167 c.p.c. e 2697 c.c. quanto alla legittimazione a contraddire del convenuto.
Si deduce che la Corte d’Appello avrebbe affermato che il C., non avendo rapporti di parentela con le attrici e con il defunto, non aveva alcuna legittimazione a contraddire con riferimento alla titolarità del diritto fatto valere.
Dopo avere richiamato la differenza tra legittimazione e titolarità del rapporto, si ritiene che la Corte non avrebbe potuto rilevare d’ufficío quella che invece rappresentava una contestazione della titolarità passiva.
Anche tale doglianza non è fondata.
In primo luogo la sentenza gravata ha ritenuto di dover distinguere il profilo relativo alla titolarità dello <i>jus eligendi sepulchrum</o>, rispetto al quale ha affermato che il convenuto non fosse legittimato a contraddire, da quello che invece riguardava la legittimità del diniego opposto dallo stesso convenuto al trasferimento della salma, motivato in ragione del proprio concorrente diritto sulla concessione cimiteriale, atteso il rilascio congiunto del provvedimento concessorio in favore del C. e del genitore di G. Adenilson.
Poiché il Comune di Persico Dosimo aveva disatteso la richiesta delle attrici di procedere all’estumulazione del feretro del nipote della attrici, allegando il mancato consenso del convenuto, in relazione a tale controversia che investiva la legittimità del diniego di quest’ultimo, la Corte d’Appello ha ravvisato la legittimazione passiva del C., pervenendo al rigetto della domanda attorea, sulla base di considerazioni che, sempre in un’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi, evidenziavano come il pregiudizio che avrebbe subito il convenuto sarebbe stato di gran lunga superiore ai vantaggi che invece avrebbero tratto le attrici.
La doglianza appare poi erronea alla luce dello stesso richiamo effettuato da parte delle ricorrenti ai principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 2951/2016 che, lungi dall’affermare che il rilievo del difetto di titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio sia riservato al monopolio delle parti, ha invece chiarito che, essendo la relativa contestazione una mera difesa, l’eventuale carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa, essendo quindi smentito in radice il presupposto in diritto dal quale muove la tesi delle ricorrenti.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del DPR n. 115/2002 comma 1 quater come modificato dalla legge n. 228/2012 sulla liquidazione delle spese di lite.
Si ritiene che la Corte avrebbe in realtà, per la complessità della vicenda, dovuto avvalersi del potere di compensare le spese di lite.
Il motivo è evidentemente inammissibile, avendo i giudici di merito fatto piana applicazione del principio di soccombenza e della regola posta al riguardo dall’art. 91 c.p.c., non essendo sindacabile in cassazione il mancato esercizio del potere discrezionale del giudice di merito di provvedere alla compensazione delle spese di lite (cfr. da ultimo, Cass. n. 24502/2017).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obblìgo di versamento, da parte delle ricorrenti, delI”ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi € 2.200,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi deii’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, i. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per ii versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per ii ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio dei 19 giugno 2019.
Il Presidente
Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 14/11/2019
ORDINANZA
sul ricorso 22802-2017 proposto da:
S. VANDA, B. EUGENIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA M. PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELA SCOTTON giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
C. CESARE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. SERPIERI 8, presso lo studio dell’avvocato GAETANO BUSCEMI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO PANIZZA giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 855/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 15/O6/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/O6/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalle ricorrenti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Le ricorrenti convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Cremona C. Cesare al fine di accertare il loro diritto a stabilire il luogo di sepoltura del nipote G. Adenilson, con la conseguente illegittimità del rifiuto opposto dal convenuto alla estumulazione ed al trasferimento della salma dal Comune di Persico Dosimo a quello di Casalmorano.
Nella resistenza del convenuto il tribunale adito con la sentenza del 19/9/2013 rigettava la domanda e la Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 855 del 15/6/2017 rigettava il gravame rilevando che le attrici non erano titolari in quanto parenti più prossimi del defunto dello jus eligendi sepu/chrum, diritto che peraltro era già stato esercitato dai genitori del defunto che avevano deciso di seppellire il figlio nel cimitero di Persico Dosimo, e che quindi non potevano contraddire l’iniziale manifestazione di volontà dei genitori.
Andava pertanto negato il diritto, una volta effettuata la scelta da parte dei congiunti più prossimi, a variare il luogo di sepoltura in favore di colui che ha in un secondo momento acquisito la qualifica di parente più prossimo. Inoltre, poiché il convenuto, in quanto concessionario della tomba ove era stato seppellito il giovane, si era limitato a sottoscrivere il consenso alla tumulazione anche del G., non era legittimato a contraddire la domanda attorea, atteso anche che il suo rifiuto era motivato dal timore legittimo che una volta avvenuta l’estumulazione del nipote delle attrici, sarebbe stato necessario spostare anche il luogo di sepoltura del figlio del C.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso B. Eugenia e s. Vanda sulla base di tre motivi.
C. Cesare ha resistito con controricorso.
Rileva il Collegio che non possa avere seguito la proposta di improcedibilità del ricorso, inizialmente formulata dal relatore in relazione alla mancata produzione di attestazione di conformità dei messaggi pec della notificazione della sentenza impugnata.
A tal fine occorre evidenziare che alcuni precedenti avevano inizialmente affermato che, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notìfica, doveva estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della I. n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte ( Cass. n. 24442/2017; Cass. n. 17450/2017; Cass. n. 6657/2017).
Trattasi peraltro di principio che era stato ribadito da questa Sezione con l’ordinanza n. 30765/2017, che dando conto della necessità di contemperare i principi del processo telematico con le peculiarità del giudizio di cassazione, aveva riaffermato che se il destinatario della notifica del provvedimento impugnato intende proporre ricorso per cassazione, doveva depositare nella cancelleria della Corte copia analogica del messaggio di posta elettronica ricevuto e dei relativi allegati, atto impugnato e relazione di notifica, e dovrà attestare la conformità di tali documenti cartacei agli originali digitali.
L’autenticazione del messaggio p.e.c. era poi necessaria, perchè solo di li si evince giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario, essendo altresì necessaria l’autenticazione dei suoi due allegati: relazione della notificazione a mezzo p.c.c. e provvedimento impugnato autenticato dall’avvocato che ha provveduto alla notifica, in quanto solo così si adempie a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., laddove richiede, a pena d’improcedibilità, il deposito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.
Pertanto l`avvocato che proponeva un ricorso per cassazione, anche quando il provvedimento impugnato gli è stato notificato con modalità telematiche, ha gli strumenti per procedere agli adempimenti richiesti, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., e quindi, qualora, trascorsi venti giorni dalla notificazione del ricorso per cassazione non siano state depositate le copie analogiche dei suddetti documenti digitali, corredate dalla attestazione di conformità, nel senso sopra indicato, e qualora le stesse, con attestazione di conformità, non siano state depositate dal controricorrente o non siano comunque agli atti, il ricorso è improcedibile, senza che l’improcedibilità possa essere sanata da una produzione successiva alla scadenza del termine di venti giorni dalla notiflca.
Tuttavia la questione è stata rimessa alla decisione delle Sezioni Unite che, nella sentenza n. 8312/2019, hanno affermato il principio secondo cui nel caso di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non può dichiararsi la sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale e della relata di notifica telematica agli originali.
Poiché nella fattispecie con la copia della sentenza impugnata sono stati depositati anche i messaggi pec relativi alla notifica della sentenza nel rispetto del termine di cui all’art. 369 c.p.c., e considerato che parte controricorrente non ha contestato la loro conformità, pur in assenza di formale attestazione di conformità, non può pervenirsi alla declaratoria di improcedibilità del ricorso.
Ritiene il Collegio che debba quindi procedersi alla disamina nel merito del ricorso che si palesa comunque come manifestamente infondato.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 c.c. in coordinato disposto con l’art. 12 delle preleggi e l’art. 13 Cost. con la conseguente errata interpretazione dello jus eligendí sepulchrum. Difetto di motivazione ovvero motivazione illogica o incongruente.
Assumono le ricorrenti che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che il diritto di scelta del luogo di sepoltura dello sfortunato G. Adenilson si fosse esaurito con l’esercizio da parte dei genitori, ma trattasi di conclusione che è erronea posto che, come affermato anche da questa Corte, nulla esclude che possa autorizzarsi la successiva traslazione delle spoglie mortali in altro luogo su richiesta di coloro che sono divenuti i parenti più prossimi del defunto.
La sentenza impugnata ha omesso di verificare le ragioni addotte dalle ricorrenti a giustificazione della richiesta di spostamento del luogo di sepoltura, tenuto conto della circostanza che i genitori del defunto, che avevano a loro tempo deciso il seppellimento nel cimitero di Persico Dosimo, erano deceduti nell’arco di pochi anni, essendo quindi le ricorrenti divenute le parenti più prossime del giovane, palesando in tal modo il loro giustificato interesse allo spostamento dei resti mortali in un luogo più vicino a quello della loro residenza al fine di adempiere con maggiore frequenza e comodità ai doveri nei confronti della memoria del defunto.
Il motivo va disatteso alla luce proprio della giurisprudenza di questa Corte, i cui principi appaiono essere stati rispettati dalla sentenza gravata.
Costituisce affermazione consolidata e risalente nel tempo quella secondo cui (Cass. n. 2475/1970) lo jus eligendi sepulchrum rientra nella categoria dei diritti della personalità e, come tale, non può formare oggetto di trasferimento mortis causa. Nel caso in cui la electio non sia stata esercitata dal
defunto durante la sua vita, la scelta del luogo di sepoltura può essere fatta dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello ius coniugii, sullo ius sanguínis e di questo sullo ius successionis (conf. Cass. n. 1527/1978).
Con specifico riferimento al caso in cui, una volta attuata la scelta da parte del soggetto al quale l’ordinamento attribuisce una posizione poziore tra i congiunti del defunto, si dibatta circa la necessità o meno del trasferimento del luogo di sepoltura, questa Corte ha altresì precisato che (Cass. n. 4288/1974) nel giudicare dell’opposizione dei parenti del defunto alla traslazione della salma di questo, ad iniziativa degli attuali aventi diritto alla scelta del sepolcro – a seguito della verificatasi necessità di immutare l’origìnario luogo di sepoltura – il giudice, una volta accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazíone del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro.
Ed è quindi in tale indicazione prospettica, orientata alla salvaguardia della scelta iniziale, ed alla valutazione prudenziale delle ragioni addotte da chi, una volta divenuto parente più prossimo del defunto, che deve essere inteso anche il precedente richiamato dalla difesa delle ricorrenti (Cass. n. 9168/1987), che appunto ha statuito che il diritto del coniuge superstite di scegliere e di trasferire il luogo di sepoltura del coniuge defunto, che trova limite soltanto nella diversa volontà già espressa dal defunto, non si pone in contrasto con la pietà verso i defunti perché la coscienza collettiva cui tale sentimento si riferisce non disapprova ne’ percepisce negativamente la translatio dei resti mortali per una tumulazione ritenuta ragionevolmente più conveniente dal coniuge superstite e da altri aventi diritto.
Orbene, posti tali principi ai quali il Collegio intende assicurare continuità, la sentenza gravata, lungi dall’esaurire la propria decisione negativa per le ricorrenti, nell’affermazione circa il fatto che i genitori a loro tempo avessero deciso di seppellire il figlio prematuramente scomparso nel cimitero di Persico Dosimo, e non in quello di Cremona, ove pur risiedevano, ha fornito contezza delle ragioni che deponevano a favore della conservazione della scelta inizialmente effettuata.
Oltre a ricordarsi che la stessa individuazione del luogo di sepoltura era frutto di una decisione concordata effettuata d’intesa con i genitori dell’amico del defunto, che aveva perso la vita nel medesimo incidente di cui era stato vittima il giovane Adenilson, si è sottolineato altresì come tale intento fosse volto ad assicurare la vicinanza anche dopo la morte a coloro che erano stati avvinti da una profonda amicizia e che avevano condiviso anche l’avversa fortuna, a suggellare quindi quel sentimento di amicizia a memoria del quale era stato anche eretto un monumento funebre in legno della val Camonica apposto in corrispondenza della tomba.
Nella motivazione si è altresì evidenziato come lo spostamento della tomba, atteso il peculiare regime della concessione cimiteriale rilasciata su richiesta congiunta dei genitori dei due amici, avrebbe avuto gravi ripercussioni anche sulla sorte delle spoglie mortali del figlio del controricorrente, rinnovando una ferita, mai Ienita, stante la necessità di dover ricollocare in un’altra sepoltura anche i resti mortali di C. Davide, con la rimozione del detto monumento funebre.
Appare al Collegio che tali elementi, puntualmnte evidenziati in motivazione, consentano di affermare che la Corte distrettuale abbia anche effettuato una valutazione comparativa yta le ragioni poste a fondamento della scelta iniziale dei genitori del defunto e quelle addotte dalle attrici, e che tale valutazione sia stata evidentemente risolta in favore della prima, posto che le esigenze morali che avevano portato ad effettuare un sepoltura comune dei due amici, con la creazione di un monumento volto a ricordare ai postumi la loro amicizia, unitamente alle diffioltà che lo spostamento anche di una salma avrebbe determinato sull’altro beneficiario della concessione cimiteriale, erano da reputarsi prevalenti rispetto alla difficoltà di poter esercitare con assiduità gli atti di culto e di pietas sulla tomba del nipote da parte delle attrici, avuto anche riguardo alla circostanza che la distanza tra il luogo di residenza dei parenti e quello di sepoltura era un elemento già tenuto presente al momento della scelta effettuata da parte dei genitori (essendosi dato atto a pag. 6 che la famiglia del G. risiedeva in Cremona e non nel comune di Persico Dosimo).
Risultano, quindi, insussistenti le dedotte violazioni di legge, e si palesa altresì una motivazione connotata come logica e coerente e quindi immune dalla critica di assoluta carenza, essendo viceversa inammissibili, attesa l’applicabilità alla fattispecie delle novellate previsioni di cui all’art. 348 ter e 360
co. 1 n. 5 c.p.c., le censure che attengono alla logicità ed alla congruenza della motivazione, vertendosi in un’ipotesi di cd. doppia conforme.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione de|l’art. 112 c.p.c. e de|l’art. 167 c.p.c. e 2697 c.c. quanto alla legittimazione a contraddire del convenuto.
Si deduce che la Corte d’Appello avrebbe affermato che il C., non avendo rapporti di parentela con le attrici e con il defunto, non aveva alcuna legittimazione a contraddire con riferimento alla titolarità del diritto fatto valere.
Dopo avere richiamato la differenza tra legittimazione e titolarità del rapporto, si ritiene che la Corte non avrebbe potuto rilevare d’ufficío quella che invece rappresentava una contestazione della titolarità passiva.
Anche tale doglianza non è fondata.
In primo luogo la sentenza gravata ha ritenuto di dover distinguere il profilo relativo alla titolarità dello <i>jus eligendi sepulchrum</o>, rispetto al quale ha affermato che il convenuto non fosse legittimato a contraddire, da quello che invece riguardava la legittimità del diniego opposto dallo stesso convenuto al trasferimento della salma, motivato in ragione del proprio concorrente diritto sulla concessione cimiteriale, atteso il rilascio congiunto del provvedimento concessorio in favore del C. e del genitore di G. Adenilson.
Poiché il Comune di Persico Dosimo aveva disatteso la richiesta delle attrici di procedere all’estumulazione del feretro del nipote della attrici, allegando il mancato consenso del convenuto, in relazione a tale controversia che investiva la legittimità del diniego di quest’ultimo, la Corte d’Appello ha ravvisato la legittimazione passiva del C., pervenendo al rigetto della domanda attorea, sulla base di considerazioni che, sempre in un’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi, evidenziavano come il pregiudizio che avrebbe subito il convenuto sarebbe stato di gran lunga superiore ai vantaggi che invece avrebbero tratto le attrici.
La doglianza appare poi erronea alla luce dello stesso richiamo effettuato da parte delle ricorrenti ai principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 2951/2016 che, lungi dall’affermare che il rilievo del difetto di titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio sia riservato al monopolio delle parti, ha invece chiarito che, essendo la relativa contestazione una mera difesa, l’eventuale carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa, essendo quindi smentito in radice il presupposto in diritto dal quale muove la tesi delle ricorrenti.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del DPR n. 115/2002 comma 1 quater come modificato dalla legge n. 228/2012 sulla liquidazione delle spese di lite.
Si ritiene che la Corte avrebbe in realtà, per la complessità della vicenda, dovuto avvalersi del potere di compensare le spese di lite.
Il motivo è evidentemente inammissibile, avendo i giudici di merito fatto piana applicazione del principio di soccombenza e della regola posta al riguardo dall’art. 91 c.p.c., non essendo sindacabile in cassazione il mancato esercizio del potere discrezionale del giudice di merito di provvedere alla compensazione delle spese di lite (cfr. da ultimo, Cass. n. 24502/2017).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obblìgo di versamento, da parte delle ricorrenti, delI”ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi € 2.200,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi deii’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, i. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per ii versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per ii ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio dei 19 giugno 2019.
Il Presidente